La sensazione che ho provato a fine
visione è stata quella di aver visto un film intelligente, profondamente
intelligente. E genuino, vero, umile. Ci voleva poco per renderlo eccessivo,
fastidioso, morettiano, ma il regista Amoroso è riuscito invece con
sobrietà e intelligenza a raccontare una piccola storia e al contempo lanciare
(se mai ce ne fosse il bisogno) un grido d'allarme, un terribile grido
d'allarme che le ultime generazioni (e non solo loro) stanno vivendo, il
terrore di non avere un futuro.
Ioan è un ragazzo rumeno che quasi per
caso si ritrova da solo in Italia. Conosce Michele, un precario addetto alle
pulizie. Si instaura una profonda amicizia sull'orlo della disperazione. Fino a
quando Ioan non si ritrova a fare il modello...
Amoroso parte da immagini d'archivio sulla
fine del Comunismo nell' Europa dell' Est. Ioan vede assassianre suo padre poco
prima della definitiva caduta di Ceausescu. Molti anni dopo, ormai
ventenne, un suo amico lo porta in Italia per guadagnare soldi facilmente.
L'amico viene fermato sul treno dalla polizia, Ioan rimane solo.
Ben presto si rende conto che la
differenza tra i giovani romeni e i giovani romani (italiani) è minima. Il
paese di Bengodi, coem letteratura vuole, è solo un'illusione, portare il pane
a casa è durissima per tutti. Amoroso racconta con molto tatto l'amicizia tra i
due ragazzi, l'atmosfera che pervade il film è di profonda verità,
al limite del documentario. Ottimi i due attori, specialmente Luca
Lionello, talmente bravo da superare in alcuni casi il confine tra la
recitazione e la naturalezza. La fotografia non aiuta -troppi i cambi di luce
se non quelli addirittura di grana- ma la regia non ne risente troppo. Come
definizione vuole, il film rappresenta benissimo cosa voglia dir precario. Ci
sono momenti in cui lavora solo uno dei due, altri in cui lavorano entrambi,
altri ancora in cui sono ambedue disoccupati, tutto in pochi giorni. Si arriva
al paradosso di sognare di aprire un locale in Romania, al completo
ribaltamento della situazione iniziale . A questo proposito molto incisiva
la scena in cui Michele si finge extracomunitario, incisiva perchè dimostra
benissimo senza neanche apparire tanto forzata cosa vuol dire mettersi nei
panni l'uno dell'altro. Amoroso vuole raccontare una storia, la
narrazione è la prima istanza che lo muove. Lo fa in maniera un pò discontinua
(troppo lunghe e reiterate le sequenza dell'alta moda ad esempio) e alcune
volte un pò troppo ad effetto (i nudi integrali maschili non una, non due,
ma tre, quattro volte atte soprattutto a conferire in Michele una latenza
omosessuale forse inutile alla fine dei conti. O forse no...) ma riesce in
maniera magari un pò grezza a dire tutto quello che voleva dire. Tra l'altro
crea una scena madre fantastica, quella del manifesto pubblicitario. Senza
bisogno di un minimo dialogo rappresenta al meglio in una sola immagine cosa
sia la speculazione sul dolore, il definitivo crollo di
qualsiasi minimo valore. Quel "dovresti vergognarti" che Ioan
riserva alla fotografa è in questo caso perfetto perchè in completa "simbiosi"
con tutta la sua vita. Il rifiuto di trarre profitto da una tragedia che
l'ha colpito così profondamente (specialmente negli affetti) è quasi
dovuto. Meglio avere la dignità di trovarsi difficilmente da mangiare che
affogarsi ipocritamente nella Milano da bere.
Il finale, se da un lato risulta un
tantino forzato (proprio lo stesso giorno? E quella telefonata sarebbe stata
così importante? ), dall'altro è costruito in maniera esemplare perchè riesce a
cambiar scenario almeno tre volte in 5 minuti.
Forse, affinchè Cover Boy risulti più
incisivo, affinchè quel grido d'allarme sia urlato ancora più forte, non è
altro che un finale necessario.
( voto 7 )