"Io il culo non glielo svuoto"
tuona Driss, un omone nero di 1,90, disoccupato delinquentello trovatosi
catapultato d'amblè dalle strettezze e sporcizia della banlieu alllo sfarzo e
alla pulizia di un villone aristocratico. Quel culo, tanto per essere chiari, è
di Philippe, il padrone di quel villone, un uomo che ha tutto ma non ha niente,
che preferirebbe perdere tutte le ricchezze che possiede in cambio di un corpo
sano. Già, perchè Philippe è tetraplegico e non sente nulla dal collo in giù.
Driss e Philippe sono tutto l'opposto, bianco e nero, sano e malato, alto e
basso, sboccato e raffinato, povero e ricco, delinquente e persona tutta d'un
pezzo, ma queste differenze non contano nulla quando si crea quella particolare
chimica. Driss è un puro, uno che non ha sovrastrutture, uno che non ragiona,
uno che agisce d'istinto (andatelo a chiedere al vicino di casa), uno che dice
quello che pensa e non pensa quello che dice. Per questo l'ha scelto Philippe,
perchè non ha bisogno di compassione e di qualcuno che lo comprenda ma di
qualcuno che lo faccia vivere, che lo pigli per il sedere anche senza
svuotarglielo, che lo faccia ridere ed uscire da quella prigione che non è
soltanto il suo corpo ma anche tutto quello che gli sta intorno, di qualcuno
che lo faccia andare più veloce, a costo di modificare il motore della
carrozzina.
Perchè l'umorismo è il sale della vita ed anche se quello di Driss
è di grana grossa poco male. E di umorismo ce n'è tanto in questo capolavoro,
qualsiasi lato tragico è schermato dalla leggerezza, dalla semplicità, dall'ironia.
E il culo svuotato, tanto per tornare sempre sullo stesso punto, è protagonista
di una gag di straordinaria vis comica, così potente da far dimenticare
completamente la tragedia che tale espressione nasconde. C'è una grazia
inusuale che aleggia nella pellicola, sarà l'immensa colonna sonora (curata da
Ludovico Einaudi), saranno le straordinarie interpretazioni dei due
protagonisti (con un Cluzet- appena visto dal sottoscritto nel bellissimo Non
dirlo a nessuno- impressionante), sarà la capacità di creare situazioni comiche
come dio comanda tipo il ragazzino che torna a portare le brioches col la
molletta nei capelli o il thè bollente versato nelle gambe, sarà la capacità
dissacrante che investe tutto, dall'Arte (con il quadro di Driss venduto a
11.000 euro) all' Opera ( spettacolare Driss "ma è un albero che canta!
voi siete tutti impazziti..."), dall' Handicap (praticamente tutto il
film) alla Musica Classica, sarà quello che volete ma è raro provare una
piacevolezza così nel seguire un film.
Quando poi nelle scene precedenti il
meraviglioso finale- che sarà pure telefonato ma non ce ne frega niente- (come
quando da giovani innamorati squillava finalmente quel telefono, e per quanto
potevamo aspettarcelo l'emozione era intatta), dicevo nelle scene precedenti ho
avuto una visione. In Philippe rimasto con quei baffetti non ho visto il
Fuhrer, ma chi il Fuhrer l'ha sbeffeggiato. Sono convinto che a lui sto film
sarebbe piaciuto, che l'avrebbe voluto interpretare, perchè nessuno più di lui
ci ha raccontato la tragedia e la gioia con la stessa grazia. Avrebbe posato
bastone e bombetta in terra e si sarebbe messo su quella carrozzina, vecchio
Verdoux riuscito finalmente a fregare la vedova giusta ma ad un prezzo troppo
alto. E magari a spingere quella carrozzina poteva esserci Buster, pronto lì a
prenderlo in giro e trattarlo male ma incapace questa volta, l'unica nella sua
vita, di trattenere quel sorriso che mai ci ha mostrato quando finalmente
avrebbe visto Charles incontrare la donna che amava.
Ma non è comunque qua l'anima di Quasi
Amici.
E' in quel volo in parapendio.
E non solo perchè Philippe torna nel luogo
del delitto, non solo perchè cerca di trarre linfa vitale in una cosa che la
vita gliel'ha distrutta, non solo perchè è una liberatoria elaborazione di un
lutto che, ahimè, non sarà mai del tutto elaborato ma lo accompagnerà fino alla
fine.
No, perchè è la reificazione massima del
volere è potere.
Perchè quel volo, magari sulle note
indimenticabili di un Nessun Dorma, qualcuno l'aveva già fatto prima, ma un
conto è sognarlo, un altro farlo davvero. Perchè se le sensazioni possono
essere le stesse, anzi, forse addirittura amplificate dal sogno, poi però
quando ti svegli è tutto diverso. Hai visto le stesse cose, hai sentito l'aria
sbatterti sulla faccia allo stesso modo, ma non hai gli occhi diversi da prima,
non hai la pelle arrossata da piccole punture di felicità.
E Philippe ha dimostrato che quel mare
dentro può esserlo anche fuori.
E che non sempre ci sono lo scafandro e la
farfalla.
Ma che lo scafandro può essere una
farfalla.
( voto 9 )