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29.7.12

Recensione "Bed Time" (Mientras Duermes)

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leggeri spoiler

Oh, ci hanno provato in tutti i modi eh?
Prima con quel titolo internazionale che va a sostituire un altro comunque internazionale (almeno per noi), un titolo che con un banalissimo gioco di parole prova a portarci dove vogliono loro.
Poi con quella locandina in cui c'è quella mano che fa tanto baubau, mano tra l'altro leggermente modificata all'uopo. In realtà è la semplice mano di un normalissimo (almeno al'apparenza) portiere d'albergo, no, tanto per capirci.
Poi il trailer dove tutto, dalle musiche, alle scritte in sovrimpressione, alle scene scelte ad hoc (tutte, ma proprio tutte quelle che potevano) vuole portare ad una sola cosa.
Quale?
Titolo, locandina, trailer. Bed Time è un horror.
Manco pe la fava.
Bad Time è un dramma, il dramma di un uomo che fatica da matti a portare avanti la propria esistenza..
E' vero, il film thrilla che è un piacere ma la base è fortemente drammatica.
Ed è proprio lì che rischia di affondare però, vedremo perchè.
Cesar è depresso, un infelice cronico che odia vedere persone sorridenti e felici intorno a sè (questo è l'anti Saw in poche parole).
Cesar fa il portiere d'albergo. Prende di mira un'inquilina (me coglioni! complimenti alla madre per la figlia).
Ogni notte gli si piazza sotto il letto, la narcotizza e attua il suo progetto. Progetto tutt'altro che a breve termine...

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Balaguero, consapevolmente o no, completa la sua trilogia del condominio (con Para entrar a vivir e Rec) dimostrandosi un maestro nell'uso degli spazi e nella gestione degli attori, ancora una volta nettamente sopra la media. Luis Tosar, l'indimenticabile Malamadre dell'ottimo Cella 211 questa volta recita per sottrazione, nascondendo dietro la normalissima faccia di un portiere d'albergo un'animo più che tormentato e, indubbiamente, malato.
La sceneggiatura è gestita in maniera perfetta, con un climax ascendente leggerissimo, lieve, controllato.
Alla fine quelli di Cesar sono semplici dispetti, azioni che in altri contesti potrebbero persino risultare ridicoli. E' qui il miracolo di Balaguerò, costruire un thriller abbastanza serrato con elementi che, fino al finale, con il thriller c'entrano veramente poco. Ma l'atmosfera è perfetta, la curiosità dello spettatore tenuta sempre vivissima e alcune sequenze sono veramente notevoli. La caratterizzazione del personaggio principale è perfetta, riusciamo forse a capirne perfettamente le motivazioni anche se è quasi impossibile provare una qualsivoglia empatia con lui (tranne forse nella scena in cui vaga per casa con la paura di essere scoperto dagli amanti, lì avviene una specie di magia, Cesar diventa quasi vittima e lo spettatore è portato a immedesimarsi in lui).
Per non farci dimenticare che è pur sempre il regista di Rec, Balguerò sforna poi una sequenza splatter davvero coi controcazzi sia visivamente che emotivamente.
Però. però, però...

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A me pare che il tentativo di dare profondità al tutto sia un pò maldestro, come voler fare una grossa buca con una paletta da spiaggia.
Resta difficile capire perchè una persona che non sopporta la felicità altrui si concentri per due mesi su una sola vittima. Chissà quanta altra felicità lo circonda tutti i giorni.
E la felicità è avere un sorriso stampato in faccia la mattina?
E l'infelicità è avere la pelle arrossata o gli scarafaggi in casa?
Se questa è l'intentio autoris siamo davvero fuori strada, se è soltanto la visione di Cesar è un altro discorso.
La felicità è un concetto molto più alto.
E l'infelicità ancora di più.
Anche se quel bimbo alla fine forse salva tutta la baracca, il progetto di infelicità di Balaguerò-Cesar trova un suo perchè.
Ma un figlio è sempre un figlio.
E' sempre felicità.
O così dovrebbe essere.

( voto 7,5 )

27.7.12

Recensione: "Il Cigno Nero"

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presenti spoiler

La nostra vita ne è piena.
Quante volte siamo rimasti vittime dell'ansia da prestazione, quante volte gli ostacoli che ci ha messo davanti la vita ci sono sembrati insormontabili, quante volte ci siamo lacerati l'anima e la mente con la paura fottuta di non farcela.
E quante volte abbiamo poi creduto che quella cosa che tanto ci martoriava, quella cosa che non ci faceva dormire la notte, quell'appuntamento che credevamo vitale doveva essere assolutamente perfetto, indimenticabile.
E quante volte per raggiungere questo ci siamo dovuti abbassare a vili compromessi, quante volte abbiamo buttato al vento i nostri valori, quante volte abbiamo tradito la nostra anima, quante volte siamo stati costretti a perdere la nostra innocenza.
Nina voleva il balletto perfetto, il balletto di una vita o, forse, il balletto della Vita.
Nina ricercava la perfezione, il non plus ultra.
Nina ha perduto la propria innocenza per farcela.
E la perfezione, quel concetto astratto che in vita probabilmente non ha manifestazioni le ha sicuramente nella morte.
La morte è sempre perfetta, sempre.
Una Portman di una bravura quasi illegale volteggia e poi trema, danza e poi piange, salta e poi muore. L'ansia da prestazione la divora, quel balletto è l'appuntamento di un'intera esistenza.

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La danza classica è già di per sè ricerca della perfezione ma Nina vuole andare oltre, vuole vivere quel Lago dei Cigni come se non fosse solo un balletto ma qualcosa di più. C'è un solo problema, il Cigno Nero.
Ed è qui che Nina è costretta a subire quello che non avrebbe mai voluto subire, la perdita della propria innocenza. Probabilmente il prezzo da pagare era troppo alto ma ci sono obbiettivi che non riusciamo a lasciar perdere, conquiste che ci sentiamo costretti a dover raggiungere.
Nina vede Il Cigno Nero in un'altra ballerina ma in realtà è lei stessa che sta perdendo tutto il proprio candore, la propria purezza. E, forse, la propria anima.
La scena del vecchio porco nella metro sembra banale ma risulta importantissima.
Perchè senza che lei faccia niente è ormai chiaro che ha distrutto le proprie difese, che il cigno nero, il cigno del vizio, della lussuria, è dentro di lei e gli altri, probabilmente, lo notano.
Il sesso diventa ossessione e presenza costante nella vita di Nina, violare il proprio corpo è l'unica maniera per cominciare a trasformarlo, per permettere a quelle piume nere di affacciarsi nella sua schiena.
La Portman è così grandiosa che ci sembra di assistere a un film nel film, Nina non solo interpreta ma diventa realmente il cigno nero, la Portman non solo interpreta ma diventa realmente Nina.

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La sua trasformazione nel secondo atto del balletto è roba per poche.
Aronofsky la segue martellandoci di pseudo-soggettive in movimento, le sta dietro, addosso, incollato.
Non raggiunge forse la perfezione per script e ritmo ma quel fenomeno di Natalie ci va molto vicina.
Ma la perfezione non è di questo mondo, al massimo dell'altro.
Nina salta giù.
Come Randy the Ram.
Una cercava la perfezione, uno sfogava la disperazione.
E la morte è perfezione.
E disperazione.
Uno schermo bianco per lei, uno nero per lui.
Cosa c'è sotto quello schermo, dopo quello schermo non è dato sapersi.
E mamma mia, quanto è bello non saperlo.

( voto 8 )


15.7.12

Recensione "Take Shelter"


 leggeri spoiler

Ognuno ha la propria Melancholia.
Ognuno di noi aspetta la propria fine, cerca di immaginarsela, ne è allo stesso tempo attratto ed impaurito.
E ognuno di noi ha due modi per affrontarla, restarne in balia o cercare di eluderla, rifugiarsi.
La Melancholia di Curtis è una tempesta perfetta, un tornado devastante, una santabarbara del cielo pronta a distruggere ed eliminare ogni cosa trovi nel suo cammino.
E Curtis ha deciso di combatterla, di costruirsi un proprio rifugio per salvare sè e la propria famiglia.
Ma quella Melancholia, la sua personale Melancholia è soltanto frutto della sua immaginazione? O no?
Apparentemente Take Shelter potrebbe apparire come un film sulla follia, tematica abusata ma sempre tremendamente affascinante, ma in realtà credo che l'istanza principale sia ancora più delicata e complessa, la paura di morire. Quello di Curtis è il tipico comportamento dell'ipocondriaco grave, Curtis è convinto che arriverà quel tornado come l'ipocondriaco è convinto che in qualsiasi momento lo possa colpire una malattia grave. Non è un caso, portando avanti questo paragone, che l'ipocondriaco sia definito malato immaginario (ne approfitto, vista la tematica, per ricordare ancora una volta l'immenso Synecdoche New York) perchè è proprio questo l'asse portante narrativo del film, Curtis è un malato immaginario? Le sue visioni, i suoi sogni sono solo visioni o pre-visioni della "malattia" che teme, una malattia tremendamente reale?
Strepitoso il cast. Shannon è uno dei 5 migliori giovani attori di Hollywood, anche se qua deve riuscire a far dimenticare un doppiaggio italiano a mio modo di vedere imbarazzante (solo il suo, per il resto buono). La Chastain si conferma dopo The Help e l'attrice bambina fa più volte breccia nel cuore dello spettatore per una dolcezza infinita acuita dalla condizione di sordomutismo che la affligge.

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Importantissima la coesione dei tre perchè il senso di amore famigliare che il film trasmette è grandioso. L'abbraccio tra lui, lei e la bambina dopo la sfuriata alla cena (magnifica scena, argh, mannaggia sto doppiaggio...) o l'accenno di intesa che si danno i due genitori nel magnifico ancorchè misterioso finale sono due momenti di altissima fattura in tal senso.
Spelndida la figura di Samantha, una donna fortissima che più vede scivolar via il marito, più comincia a dubitare sulla sua salute mentale più però continua ad amarlo e, paradossalmente, a credergli.
La superba scena del primo tornado, quello che costringe la famiglia a rifugiarsi (take shelter) è come se rappresentasse un atto d'amore di lei verso di lui, un accompagnarlo per mano nella sua malattia e poi (con la sequenza della chiave) aiutarlo ad uscirne. E poco importa in quel momento se quella che pareva una malattia terminale era poco più di un raffreddore, Curtis doveva sublimare tutta l'attesa, tutti i preparativi, tutto il lavoro fisico e mentale fatto fino ad allora. Quel cielo terso era un'anima tersa, un'anima senza più nuvole (ah, tra l'altro magnifica la fotografia, il film ha picchi visivamente altissimi come la scena dei fulmini).

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Ed ecco che arriva la beffa, il colpo di coda che allo stesso tempo è valore aggiunto del film ma anche sua possibile crepa.
Il cerchio si era chiuso, la pellicola narrativamente aveva finito il suo percorso. E lo aveva fatto in maniera perfetta.Perchè quel finale?
Torniamo al principio.
Cos'era la Melancholia di Curtis?
Una fine personale o collettiva?
La metafora di un malessere o un evento tremendamente reale?
Curtis guarda sua moglie, sua moglie guarda Curtis.
Il cenno è d'intesa.
Che sia vero o immaginario non importa.
Che sia lieve o devastante, che sia un raffreddore o una malattia terminale non importa.
Quel che conta è che lo si affronti insieme.
Tanto il rifugio già lo conosciamo.
Bisogna solo entrarci.

( voto 8,5 )