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29.11.13

Recensione "Miss Violence"


presenti spoiler


Non può essere un caso e infatti non lo è.

Non può essere un caso che il film che ricorda di più questa splendida opera greca è proprio quel Dogtooth, probabilmente la miglior pellicola greca dell'ultima decade e, tra l'altro, vincitore del miglior film Il Buio in Sala 2011.
Due film greci (credo gli unici due che ho visto in vita mia dato che di Angelopulos non ho visto nulla), due opere sublimi e molto simili tra loro.
Torna un'altra volta la famiglia, torna un'altra volta la storia di un'aberrante educazione, torna un'altra volta la figura di un padre padrone-orco capace di plasmare a proprio piacimento i suoi figli, torna la glacialità di una vicenda che mette i brividi, torna il senso di fastidio misto a un guilty pleasure di piacere che prova lo spettatore.
Eppure i due film viaggiano su binari diversi, qua non c'è affatto l'impressionante surrealtà, o semplicemente realtà-altra di Dogtooth, qui magari si prova a travestire da surreale, perchè lo spettatore per propria difesa penserà sia tale, la vicenda invece tremendamente reale, e non soltanto realistica, che il film racconta.
E se Dogtooth poteva essere visto come un film a tesi, come un saggio, qua invece entriamo piano piano in un orrore indicibile che non vuole dimostrare niente ma solo raccontare, in un film a matrioske che ogni volta ne scopre una più brutta, una più orribile.

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Da un lato mi dispiace che il film alla fine palesi in modo così evidente e terribile quello che lo spettatore nel suo incedere cominciava ad immaginare.
Quel padre ad un certo punto chiamato nonno, quel padre vero che invece non c'è, subito mi era venuta in mente l'aberrazione che alla fine si farà palese. Preferivo restasse un'idea e interpretazione mia lasciata in sospeso fino alla fine, mi piacciono da morire le domande senza risposta.
E invece tutti i pezzi alla fine tornano al loro posto, quella coppia di genitori apparentemente tranquilla al commissariato il giorno stesso che la figlia di 11 anni si è suicidata buttandosi giù, quella freddezza dei rituali di famiglia che non cambiano se non per quella sedia vuota sulla destra, quel rispetto intriso di terrore ma anche di fascinazione che tutti i figli/nipoti hanno verso il pater familias.
Ma, come in Dogtooth, qualcosa inizia a creparsi, lo show allestito dal padre inizia ad avere qualche scricchiolio, il germe della ribellione piano piano inizia a venir fuori. E' veramente soltanto quella la realtà? Solo quella la vita che ci è toccata? Così il canino tolto nel film di Lanthimos diventa il taglio con la lametta della figlia 14enne nel film di Avranas. Basta, basta, basta.

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Basta per la madre, da 30 anni succuba compagna di un orco al quale non riesce a ribellarsi. Madre che sa tutto, che ha tutto nascosto in quelle rughe, madre che ingoia schifosi rospi senza avere il coraggio di ribellarsi. Madre che inizia a sentirsi male perchè prima o poi uno non ce la fa più, prima o poi, come diceva Baricco, un quadro cade senza un motivo, pluff, il chiodo non ha retto più.
Basta per Eleni, figlia e madre, probabilmente il personaggio più tragico del film perchè quello che ha conosciuto per prima l'inferno e quella che per prima dell'inferno ha visto tutti i gironi. Senza mai riuscir a riveder le stelle.
Basta per i due piccoli Philippos e Alkmini, che vedono quel nonno così premuroso ma così severo, che contano gli alberi nel bosco di un poster per punizione e che pensano che l'infanzia sia quella. Ma Philippos bene non sta,si vede. Mentre Alkmini balla come balla una bimba, una danza libera, bella, divertente. Una danza che un giorno però sarà vista da qualcuno che non è un uomo, ma un mostro. Portata nelle fauci di un mostro da un mostro ancora più brutto. E qua lo spettatore sta male, no, basta.
Basta per Myrto che in una scena devastante (meraviglioso il fatto che non la si veda in volto per farci credere fosse Eleni) soddisfa le voglie di 3 animali tra cui lui, quel verme schifoso. Ma Myrto, la più legata alla sorellina morta, è quella che comincia a ribellarsi, a creare quella crepa. Crepa che anche se lei non lo sa, porterà soltanto quell'uomo a sostituirla con la sorellina più piccola, senza aspettare i canonici 11 anni.

La macchina da presa è sempre ferma, glaciale, come quello che racconta.
Si muove solo due volte, nel volteggio in mezzo agli schiaffi e nell'impressionante piano sequenza del controllo degli assistenti sociali.
Gli attori sono incredibili con, su tutti, lui, Coppa Volpi, ed Eleni con quello sguardo che dice sempre ogni cosa e quel suo modo di sedersi sul divano composta, impaurita ed indifesa.
E quello che rimane è una sensazione fortissima, uno schifo che farà fatica a togliersi.
E la tensione della madre che pulisce i coltelli è intensissima.
Ma è anche un'altra la sensazione che rimane.
Quella del volo di quell'angelo dalla finestra, quell'incipit così drammatico nasconde anche un'altra cosa.
Sarà paradossale ma quel salto verso la fine è l'unica vera azione, l'unico vero momento nel quale, a posteriori, troviamo qualcosa di giusto e vitale, quel volo verso la morte è la cosa con dentro più vita di tutto il film.

( voto 8,5 )


24.11.13

Recensione "Il Passato"




alcuni spoiler

Quando un regista risulta così riconoscibile si avverte sempre una strana sensazione. Da un lato c'è il piacere,
anche solo personale, di aver già "immagazzinato" la sua cifra e il suo stile, di esser già riusciti in soli 2 film ad individuare quali sono le caratteristiche principali del suo far cinema. Sensazione che poi porta ad una riflessione più ampia su questa meravigliosa arte che, appunto, fuori da effetti digitali dai film in catena di montaggio, riesce ancora ad essere una disciplina in cui il regista risulta riconoscibile.
Dall'altro lato della medaglia però già con soli due film, praticamente identici, si inizia ad avere la paura che manchi un pò di poliedricità e di inventiva, che si sappia fare, certo benissimo ma una sola cosa.
Resta il fatto che Il Passato, come fu Una Separazione è un'altra grande opera del regista iraniano Fahradi, un mago degli script e delle direzione degli attori. A proposito, che piacere rivedere il Rahim de Il Profeta e la Benjo di The Artist...
Ancora una volta una separazione come tema principale, ancora una volta una straordinaria prova del cast, ancora una volta un film che basa gran parte della sua forza in dei dialoghi magnifici e tremendamente realistici, ancora una volta un uso degli interni quasi teatrale, ancore una volta la sensazione non di un film che prende un pezzo di vita ma di una vita che entra in un pezzo di film.
A Fahradi non interessano trucchetti, colpi di scena o scene madri (anche se a livello metaforico ne sono individuabili più d'una), a lui interessa raccontare una storia anche non notevole, anche semplice e restituirla nel modo più realistico e meno cinematografico possibile.

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Anche se, e qui c'è lo scarto più grande con il precedente film, mentre in Una Separazione la semplicità della vicenda era quasi disarmante qui si tinge leggermente di giallo e di thriller perchè tutti i personaggi, e noi spettatori con loro, andiamo alla ricerca della verità, al cercar di capire cosa sia successo e perchè il giorno che la moglie di Samir ha tentato il suicidio.
La magia del film è che in un modo o nell'altro tutti i personaggi possono essere colpevoli e non esserlo. Tahir e Marie con la loro storia clandestina, Lucie con le sua mail, la lavorante con quella bugia. Non parliamo di colpe morali perchè quelle, gioco forza, sono tutte nella coppia fedifraga, ma delle colpe effettive che hanno portato a quel gesto. E il passato del titolo piano piano viene fuori portando in superficie amori probabilmente mai finiti, segreti mai rivelati, azioni mai confessate.
Chi ama chi? E chi deve espiare colpe? Chi deve sostituire un vuoto con un pieno?
Il film lavora su delle sottigliezze psicologiche labilissime, ogni personaggio è allo stesso tempo caratterizzato in maniera meravigliosa ma sfuggente, indecifrabile. Lo è Marie che passa da uomo in uomo per coprire chissà quale disagio, lo è Ahmad, probabilmente il personaggio più "puro" e positivo ma anch'esso con i suoi scheletri nell'armadio, lo è Lucie (una grande nuova attrice) che non ce la fa più a vedere un uomo diverso vicino a sua madre dopo che ha visto andar via sia il suo vero padre che quello che di fatto l'ha cresciuta (Ahmad). Lo è anche il piccolo Fouad, personaggio minore in apparenza, ma forse il più tragico, quello che ha vissuto lo shock più grande. E, forse, quello che sa qualcosa.



Il finale è il vero capolavoro del film, è il finale che già immaginavo e speravo a metà visione.
Quel letto, quella donna.
E lui che torna indietro per farle sentire il suo profumo.
Perchè tornare indietro, perchè? Eppure la situazione sembra incontrovertibile, eppure i medici te l'hanno detto, eppure nemmeno i profumi servono.
Nella risposta a questa domanda c'è quasi tutta la lettura del film.
E in quella mano che leggermente stringe l'altra.
Ma quello che Samir non ha visto e noi, se attenti, invece sì è quella lacrima che scende.
Se tu l'avessi vista Samir sarebbe tutto più facile per te.
Capire cosa fare, dove andare.
O forse tutto più difficile.
Noi l'abbiamo vista, senza il dettaglio, senza esser messa in evidenza, l'abbiamo vista laggiù piccola e lontana.
Va cercata.
Bisogna esser fortunati a vederla.
Perchè è semplicemente magnifica.

( voto 8 )

18.11.13

Recensione "Red Lights"

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spoiler ammazzafilm

A questo punto non so se è un caso, una buffa coincidenza oppure c'è proprio una mia personale affinità con questo
regista che due volte su due, almeno in Italia, ha visto invece le sue pellicole ricevere critiche che dir negative è poco.
E così come successe per la sua opera prima, Buried (per me un piccolo gioiello e film che nel suo piccolo ha fatto la storia del cinema) mi ritrovo anche questa volta ad essere una delle pochissime mosche bianche che non solo difendono, ma esaltano la sua opera seconda, il thriller Red Lights.
Io credo, anzi, sono fermamente convinto che questo film non sia stato capito (come per Buried non si capì la sua assoluta straordinarietà, ripenso ancora che si fecero ad esempio paragoni con In linea con l'assassino e cose simili, non c'entra nulla).
Ma non capito nel senso più banale del termine.
Capito nella sua anima filmica.
Devo spoilerare come non mai, impossibile andare avanti per chi non l'ha visto.
La straordinarietà di Red Lights -tra le altre cose, sulle quali magari torneremo- sta in quel portentoso finale che solo se colto in pieno restituisce al film quello che merita.
Il colpo di scena finale, non quello riguardante Silver di pochi minuti prima, ma quello di Tom fa leggere il film in tutt'altra maniera. Credo a questo proposito che una seconda visione farebbe ricredere molti.


Tom nel suo lavoro insieme alla Matheson (una superba Weaver) non voleva smascherare sedicenti sensitivi, ma tutto l'opposto. Tom si unisce alla Matheson nella disperata ricerca di qualcuno come lui, di un "diverso", di qualcuno che lo aiuti a far accettare a sè stesso quello che è. Io ho trovato questa nuova lettura magnifica perchè assolutamente opposta a quello che pensavamo. Splendida metafora della paura di scoprire cosa siamo e della ricerca di trovare un nostro simile e una risposta alle nostre domande (mi fa pensare un pò all'omosessualità in questo).
Ci sono moltissime scene che riviste dopo acquistano letture completamente diverse.
L'odio di Tom verso Silver ad esempio era dovuto solamente al fatto, un misto di terrore, rabbia ed euforia, che davvero il sensitivo cieco possedesse dei poteri. Tom sotto sotto ci sperava. Ed è bellissimo anche il suo rapporto con la Matheson, giocato sulla bugia e sul non detto, sulla voglia di rivelarle chi è e la paura di non esser creduto. Anche perchè quel figlio in coma era come un freno per Tom, avrebbe in qualche modo sconvolto la vita della Matheson e rischiava di portarla a una decisione troppo dolorosa, anche eticamente. E anche qui il finale è grande perchè quello staccare la spina non è il regalo al figlio per una felice vita ultraterrena, ma il regalo alla madre di poter riabbracciare il figlio.
"Meriti tutto" sussurra Tom.
E stacca la spina.

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Una grande sceneggiatura, piena di dialoghi molto ben scritti e interessanti, anche "utile" perchè svela tanti trucchetti per smascherare i truffatori del paranormale, una sceneggiatura che almeno a me e a chi mi accompagnava nella visione ha stimolato molto. Ipotesi, suggestioni, domande e risposte. E un film che fa questo è già di per sè un film riuscito.
Ci sono difetti, vedi il personaggio della Olsen ( curioso che io la veda per la prima volta dieci giorni prima del remake di Old Boy in cui interpreta "Mido") del tutto inutile, vedi certe forzature come il fatto che nessuno abbia mai smascherato prima Silver per il suo handicap, o certi cali di ritmo o scene troppo autoriali e confuse come quelle dell'incontro lynchiano di Tom nell'appartamento di Silver.
Ma questo è un film che affronta tematiche forti e lo fa in un modo originale, interessante, bisognoso di letture non superficiali e di riflessioni.
Per me, solo per me, Cortes è un grandissimo nuovo autore.
Me lo tengo stretto.

( voto 7,5 )

16.11.13

In memoria di te


91 anni fa nasceva quello che sarebbe diventata una delle persone più importanti della mia vita.
Senza averlo mai visto di persona.
Senza averlo mai incontrato.
Ma è come se l'avessi fatto, come se, nemmeno fossi suo nipote, decine e decine di volte mi fossi sdraiato vicino a lui ad ascoltarlo raccontare storie impossibili che solo lui poteva inventare.
Storie di uomini che perdono la vista senza un perchè.
Storie di uomini che vedono sè stessi dentro un film e partono alla ricerca di quel sè stesso.
Storie in cui la Morte si dimentica di uccidere e insegue un uomo per rimediare all'errore. Ma finisce per innamorarsene.
Storie di una nazione, la sua, il Portogallo, che si stacca dall'altra e inizia a navigare per mare.
Storie di un Gesù mai così poco figlio di Dio ma mai così meravigliosamente umano.
Storie dove le donne, sempre le donne, sono quello per cui l'umanità merita di esistere e i cani leccano le lacrime degli uomini.
Storie raccontate solo come lui sa fare, in apnea, senza pause, senza punti, entri in una frase e non sai più quando ne esci.
Storie in cui si mischia tutto, la meraviglia della lingua, la magia della sintassi, la Storia, la politica, la religione, le umane debolezze e le umane schifezze, la bellezza delle piccole cose, la magia dell'amore, l'assurdità della Vita.
Storie raccontate da un vecchio che ha il cervello di un bambino iperdotato.
E io mi sdraiavo lì, ad occhi chiusi, ad ascoltare ogni sua storia, vergognandomi ogni volta di provare a fare in un modo penoso e maldestro quello che lui sapeva fare in modo divino, scrivere.
Non morire, gli dicevo, Sono vecchio rispondeva, Non morire, scrivi ancora, non ci lasciare, Sono vecchio, troppo vecchio, devo andare.
Lo fece poco più di 3 anni fa, a 88 anni, nella sua isola.
Volevo andare a salutarlo, ancora maledico di non averlo fatto.
Ma il suo nome mi mancava e questo cagnolino che ogni volta mi scodinzola davanti l'ho chiamato con quel nome.
E' un bravo cane, probabilmente anche lui asciugherebbe le mie lacrime leccandomi il volto.
Si chiama Jose.

Recensione: "Project X"



Certo, per uno che non ha mai fumato, mai bevuto, mai entrato in una discoteca e passato tutta la sua
adolescenza a veder film con gli amici, giocare interminabili partite a calcetto, mangiato qualsiasi cosa e ovunque, fuso la play e fatto sì bravate e casino ma tutte a cervello (almeno "ufficialmente") acceso, un film più lontano dalle proprie corde di questo è difficile trovarlo.
Per non parlare poi del generale rifiuto della commedia ohdaesiano
Ma in una serata così così mi capita in tv, guardo 3,4 minuti e un paio di battute fulminanti mi convincono a restare.
E, incredibile, m'è piaciuto.
Il cappello della rece avrà un pò inquadrato come sono fatto. Io odio certi tipi di divertimento ma ci vorrebbe un post a parte per spiegarne i motivi.
Però sto film non è dalla parte di quelli che ci "credono", degli sballati che vedono ste feste sesso, droga e rock and roll come unica ragione di vita e di ribalta, ma da quella di 3 (4) teneri outsider che attraverso la festa cercano anche loro la ribalta e lo sballo, è vero, ma in un modo goffo, esplorativo, di conoscenza del mondo che li circonda. Solo attraverso esperienze del genere si può realmente decidere cosa piace e cosa non piace, capire a 360° il meraviglioso e pericolosissimo mondo dell'adolescenza.

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I personaggi funzionano alla grande, le battute sono brillanti come poche, volgarissime sì ma con una volgarità intrisa di ironia ed intelligenza. Si ride parecchio, il grassone che insegna le varie posizioni delle dita per far quelle cose lì e poi conclude la lezione con un "a voi mancano le basi" lanciato agli amici, il fattone che li insegue urlando "ridatemi il mio gnomo del cazzo", il cane che rimbalza sul tappeto (momento cult) o che vola coi palloncini, il grassone che fa "mi sto lavorando una" e Costa "tu ti puoi lavorare solo il diabete", il nano dentro il forno e che dà cazzotti sulle palle a tutti, Tom che chiede "Come fa lo gnomo ad essere qua, sono venuti in camera?" e Costa "E' uno gnomo, avrà camminato no?" ma soprattutto, almeno personalmente la strepitosa, per quanto assurda e inaspettata,scena in cui il bodyguard 12enne dà la scossa elettrica al vicino e questo gli rifila un cazzotto in faccia (e Costa che poi lo soccorre dicendo "Sei un mito vivente"), dico la verità, malgrado fossi solo mi sono ritrovato a ridere più volte, figuriamoci in compagnia.

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Sta proprio nell'esagerazione la magia del film, più tutto si fa assurdo e inconcepibile, più tutto diventa meno verosimile (l'auto nella piscina, la tv, gli incendi che regalano 10 minuti che di comico non hanno nulla, sfiorando quasi il dramma) più paradossalmente il film acquista un suo perchè, un suo unicuum, si avverte la sensazione che davvero quello che avviene abbia in sè qualcosa di epico e, magari sottotraccia e senza sbandierarlo, anche un che di formativo, un divenire adulti in una notte attraverso lo sballo, attraverso l'errore, attraverso l'incoscienza. A questo proposito è magnifica e affatto banale la battuta che fa Costa alle 6 del mattino a delirio finito:
"Vado a casa, mi faccio un bel pianto e mi cerco un'avvocato"
Battuta splendida e carica di significato, una sola frase che vale più di 5 eventuali scene moraleggianti.

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Non è un capolavoro, il film ha i suoi momenti di stanca (per me paradossalmente quelli più frenetici di pura festa, tette e culi) e almeno due momenti davvero inverosimili (il padre che davanti alle "macerie" è in qualche modo orgoglioso del figlio e il sopracitato piromane) ma c'è la sensazione che questo film, nel suo piccolo genere, abbia assolutamente un suo perchè e possa tirare una riga dopo la quale tutti devono confrontarvisi.
Voglio i due bodyguard fuori casa mia.

( voto 7 )

15.11.13

Recensione "Noroi" - Horror Underground - 6 -

Torna dopo tantissimo tempo la rubrica che cerca di far uscire dal sottobosco alcuni horror di valore e misconosciuti
(almeno alla massa, difficilmente ai blogger di appassionati). O, se non di valore quantomeno controversi, come accadde con A Serbian Film.
Quasi sempre si pesca in Giappone. Anche stavolta.
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leggeri spoiler

Chi odia i mock stia alla larga, o forse no, un'occhiata la dia lo stesso perchè a mio parere ci troviamo davanti ad uno dei migliori esponenti del genere, uno che davvero ha la credibilità del falso documentario tanto che a volte ci si dimentica che sia soltanto fiction cosa che, per ora, mi è successa solo con Lake Mungo (che mannaggia a me non recensii).
Certo, quasi due ore di un genere indigesto sono ancora più indigeste...
Noroi ha la straordinaria qualità, come il già citato Lake Mungo, di non ricorrere a nessun trucco, nessuno spavento facile, nessuna scorciatoia per metter paura. Semplicemente tiene il suo passo, indaga, racconta incastonando nello stesso racconto immagini, parole, sequenze che non possono che dare una certa inquietudine allo spettatore.
E ha dietro una grandissima sceneggiatura che si muove nel tempo e negli spazi per creare un'incredibile tela di personaggi, luoghi, vicende, temporalità che piano piano cominciano sempre di più ad intersecarsi tra loro.
Ricorda alcuni giochi nippo, ad esempio Forbidden Siren, sia per questa sua trama rapsodica che per una certa atmosfera mista di magia, terrore, male atavico.
Il giornalista Kobayashi realizza documentari sul mistero, è una brava persona e sa fare il suo mestiere. La conoscenza con un'attricetta, una bambina prodigio e un pazzo misantropo, tutti e tre persone dotate della capacità di vedere "oltre" e sentire qualcosa, diciamo medium, lo porterà a un'indagine che solo a metà film avrà un nome, Kagubata, un demone che un paese, ora sommerso da una diga, teneva a bada ogni anno con un rituale. Ora Kagubata è libero.




C'è un uso dei media superlativo, telegiornali, vhs, riprese dal vivo, reality show, altri documentari, c'è di tutto, in una rete grandissima che si regge in piedi alla grande e, come detto, ha tanta verosimiglianza al suo interno.
Lo spettatore può perdersi, è vero, ma alla fine ritroverà la strada. Lo farà però attraverso sequenze da brivido che certo cinema moderno, vedi Wan, si sogna soltanto.
Impossibile negare che ci si appesantisce un pò durante la visione, tra l'ora e l'ora e mezzo il rischio di perdere tutta l'atmosfera in cui il film ti ha coinvolto è alto ma il finale vale l'attesa.
Più si va avanti più lo spettatore comincia a vedere che tutti i personaggi del film, principali o secondari muoiono di continuo (e anche qua, forse soprattutto qua, sta l'eccezionale onestà del film, visto che nessuna morte, a differenza degli altri mock, avviene sotto l'occhio della telecamera, ma viene riportata o dai tg o dagli appunti dello stesso Kobayashi, tutto molto veritiero),si avverte che c'è, e forte, una qualche maledizione (Noroi). Tanti elementi iniziano a ritornare, quella maschera (da brividi ripensare al disegno della bimba nell'esperimento), quelle corde intrecciate, tutto.
Fino ad arrivare al finale, quasi un triplo finale che ha in quello definitivo il capolavoro del film.



Prima ho tremato all'inchino in barca e sono rimasto di sasso alla terribile immagine notturna nel bosco.
Ma gli ultimi 2 minuti, anche qui incastonati perfettamente nella sceneggiatura (capiamo come si è creato l'incendio e tante altre cose) sono strepitosi. Quell'immagine fugace su quel bambino mi ha regalato un brivido come da tempo, forse proprio quando lei vede sè stessa deforme in Lake Mungo, non mi capitava.
E la moglie che va là...
Questo è un film che va diffuso perchè non si è preso una telecamera e si è girato in 5 giorni.
Qui si è scritto, si è costruito, si è creata una struttura quasi incredibile per un mockumentary.
Kagubata, almeno per una notte, vi tormenterà.

( voto 7,5 )

11.11.13

Recensione "Prisoners"

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leggerissimi spoiler

Senza ombra di dubbio uno dei più grandi thriller degli ultimi 10 anni e probabilmente il migliore della
seconda decade del secolo.
Aspettavo Villeneuve con ansia dopo quel capolavoro indimenticabile che è La donna che canta e me lo ritrovo hollywoodiano in un thriller vecchio stampo pieno zeppo di attori multimilionari.
Il rischio che anche questa volta il soldo avesse avuto la meglio sull'ennesimo regista di talento non americano era forte e invece, capperi, altra opera grandiosa. A questo punto mi tocca recuperare Polytechnique con il serio rischio di trovarmi davanti il miglior terzetto di film che abbia mai visto in un nuovo regista.
Siamo dalle parti di un Mystic River, di un Gone Baby Gone o per quanto riguarda le indagini di uno Zodiac, dalle parti cioè di quei film cupi e grigi, dove i crimini si commettono in un retroterra caratterizzato da un'umanità gretta, dove tutti hanno qualche scheletro nell'armadio, dove più che quello del thriller viene fuori un clima triste, doloroso, denso e sporco, tanto sporco.

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Se in Incendies Villeneuve prese di base la matematica e un'equazione, una terribile equazione che chi ha visto il film ricorderà benissimo, questa volta al posto della matematica c'è il labirinto, vera e propria icona del film, che ne simboleggia però anche la struttura, una struttura per la quale sembrano tante le porte per uscirne fuori per poi rivelarsi tutte sbagliate. Solo alla fine, come sempre, si ritroverà la sola uscita disponibile. Ma forse è troppo tardi...
Uno sicuro della sua personale uscita dal labirinto era senz'altro Keller (un ottimo, un pò magro e invecchiato Jackman), convinto che la soluzione di tutto fosse dentro la testa bambinesca di Alex (uno straordinario Paul Dano, qui da poco visto in Ruby Sparks, per la serie giovani attori non belli e di solo talento crescono).
E' indubbio che il rapporto tra i due, la prigionia/tortura cui Keller sottopone Alex è uno dei punti forti del film. Va in parallelo con le indagini più "classiche" del detective Lockee (un grandissimo Gyllenhaal, con quel tic agli occhi e la capacità di nascondere, ma non troppo, un'esistenza senza felicità), per una volta un detective senza grandi misteri nel passato, traumi, casi non risolti o terribili segreti, bene così.


E la struttura funziona alla grande portando lo spettatore a decine di congetture in un clima però, come dicevo, di profondo dolore, malinconia, angoscia, per la sorte cui sono andate incontro le due bimbe.
La regia è fenomenale, come successe in Incendies non si contano le scene costruite magistralmente (il panico che piano piano monta quando le due famiglie si accorgono della scomparsa delle bimbe, la cattura nel camper sotto la pioggia, la corsa sfrenata in macchina finale), la bellezza di certe inquadrature (il fiume su tutte, ma anche delle lentissime carrellate in avanti morbide come lana) e netta è sensazione che qui ci troviamo davanti a un film che mixa classicismo e stile personale in modo superbo.
Poi ci sono Maria Bello, Terrence Howard, Viola Davis, la solita immensa Melissa Leo, ragazzi, questa è l'eccellenza.
E' vero, concatenare le (3,4?) varie vicende tra loro crea qualche difficoltà, qualche passaggio risulta forzato (ma quale thriller non ha svolte d'indagine un pò esagerate?) e unire i pezzi del puzzle o trovare l'uscita del labirinto porta alla fine a qualche domanda di troppo. In più specie nella parte centrale ho accusato un leggero calo di ritmo ma c'è poco da fare, questa è una macchina che funziona a meraviglia per due ore e mezzo.
Merito di una sceneggiatura, non di Villeneuve, solida come il granito che esalta ogni piccolo dettaglio.

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Come quella frase "non hanno pianto finchè non le ho lasciate" che sussurra Alex a Keller, frase che giustifica e riempe di mistero tutto quello che avverrà dopo.
O come quel fischietto rosso.
E quel flebile fischiare.
Ascoltalo Lockee.
Sei solo nel silenzio.
Ascoltalo.

( voto 8,5 )

7.11.13

Recensione: "Paura (2012)"


qualche spoiler

C'è poco da fare, io voglio bene ai Manetti e non credo riuscirò mai a massacrarli.
Il loro cinema piccolo, artigianale, appassionato, ideativo, stilosamente trash, comunque personale, mi è sempre sembrato un presidio del nostro cinema da difendere, una piccola isola di autori dove ogni tanto far attraccare la propria barca ed esplorare.
Detto questo se nel gioiellino Piano 17 e nel coraggiosissimo e, a mio pare molto riuscito, L'Arrivo di Wang potevo esser trascinato dalle ali dell'entusiasmo mi pare evidente come questo Paura (pensato per il 3D, credo prima volta in Italia) sia un deciso passo indietro.
Ma come in tutti i loro film c'è tanto di buono e tanto di meno buono, è questo che mi piace, danno materiale, invitano ad analizzare, non stanno nella mediocrità.
A differenza dei due film sopracitati qua non c'è un'idea nuova o un soggetto tanto geniale anche perchè, si sa, nessun genere è più saturo dell'horror.
Per la terza volta di fila i Manetti si destreggiano alla grande in un piccolo luogo chiuso come fu per l'ascensore (e il palazzo) di Piano 17, la singola stanza de L'Arrivo di Wang mentre qua abbiamo una villetta con seminterrato del terrore.

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C'è da capire se sia un loro marchio, se gli piaccia così o se è solo per problemi di budget.
Il plot è banalotto con la stravista storia del carceriere e carcerato e qualche arrivo "esterno" (in questo caso tre amici, di cui uno lavora, uno studia e uno sona la chitara, che vogliono passare il week end nella villa deserta) a scombussolare le carte.
A proposito del carceriere, interpretato tra l'altro dal fratello di Servillo, Peppe, il cantante degli Avion Travel.
Avete presente Giuseppe Simone?
Alla domanda del mitico Diprè su cosa fosse la prima cosa che vede in una donna rispose "La vagina depilata"
Beh, il villain di Paura credo sia uno dei maggiori fan di Simone.
Mi fermo qua.
L'inizio mi è sembrato un pò deboluccio come ritmo anche se si lascia vedere grazie soprattutto alla sempre spettacolare calata romana che a me fa scompisciare. Gli attori fanno quello che possono, mi ha fatto piacere ritrovare Diele che per me fu l'm.v.p di quell'ottimo film che fu A.C.A.B.


Poi una volta iniziato il confronto ragazzi-"orco" il film prende ritmo, regala qualche scena ben riuscita (ottima l'impiccagione che fa da sfondo per una decina di minuti), i soliti sempre buoni effetti di Stivaletti (anche se almeno in un caso talmente esagerati sa superare il confine della verosimiglianza), qualche scemenza di sceneggiatura (non trovano l'amico, ma mandargli almeno un sms no?/ 3 ragazzi contro un vecchietto, fatelo fuori subito no?/ il ragazzo che ammazza quello di giorno, risale il bosco ed è notte fonda) e il solito "divertimento", almeno mio, di trovarmi dentro un film dei Manetti e "riconoscerlo".
Insomma, c'è di tutto per star sopra la sufficienza ma poi il finale, con quella Sindrome di Stoccolma quasi insensata mi è sembrato davvero fuori luogo, assolutamente incoerente con ciò che viene prima.
Diciamo che l'Idea, marchio di fabbrica dei Manetti, che era mancata per tutto il film alla fine arriva.
Ma è sbagliata.
W Giuseppe Simone.

( voto 6 )



4.11.13

Recensione "La Vita di Adele"

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Non so cosa abbiano scritto altri su questo film, non leggo mai un rigo prima di non averne parlato personalmente.
Ma io non riesco ad analizzare La Vita di Adele solo in quanto film perchè non ce la faccio a staccarlo completamente dall'interpretazione immensa, incredibile, unica, della sua protagonista, la giovanissima Adele Exarchopulos.
Ma se non ci fosse stata lei, se ci fosse stata un' attrice normale questo film varrebbe così tanto?
Non è un caso che Adele, l'attrice, abbia lo stesso nome della protagonista perchè mai prima d'ora avevo visto un tale mimetismo, una tale capacità di restituire allo spettatore tutte, ma proprio tutte, le emozioni che una storia così può suscitare.
L'imbarazzo ai primi sguardi dei ragazzi, con quegli occhi che non vorrebbero andare a cercarli  ma poi ci vanno lo stesso.
L'impaccio della prima chiacchierata con uno di essi con quelle frasi troppo veloci per dirsi tutto e niente.

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L'indescrivibile sensazione della prima volta che, per caso, vede lei, con quelle gote che arrossiscono, lo sguardo che continua a cercarla per strada, l'improvvisa destabilizzazione di tutto, il colpo di fulmine se ne esiste uno.
La confusione di non sapere cosa si è, con quella prova di un bacio a quella ragazza e il vagare nei locali gay a cercare una risposta.
La nascita dell'amore con quelle prime parole al bancone, quel tentativo di sembrar distaccata e a proprio agio mentre il cuore e l'anima urlano dentro.
L'attesa del primo bacio, con quei movimenti impercettibili della testa che vuole resistere ma non ce la fa.
L'estasi del sesso, infinito, incontrollabile, la prova provata che è questa la sua dimensione.
La sottile vergogna di vivere una storia che difficilmente gli altri, e forse anche sè stessa, possono accettare.
La gelosia che arriva quasi d'improvviso, in quella festa, con lei che sta sempre con l'altra, l'altra col pancione, simbolo opposto di quanto sono loro, eppure sta con lei, sempre
Lo smarrimento di non capire più cosa è giusto e cosa è sbagliato, se si sta bene oppure no, se quella è veramente la strada da prendere oppure no.

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La tremenda sofferenza e il violentissimo dolore quando Emma l'abbandona, la insulta, la manda via, con quegli occhi che si bagnano di lacrime e il tentativo, vero ma allo stesso tempo incerto, di difendersi.
La disperazione finale in quel bar, ultimo tentativo di provare a recuperare qualcosa o tutto, la disperazione che porta a un gesto insensato, la disperazione di capire che dall'altra parte non c'è più niente, la disperazione e la rabbia da dover celare nello scoprire che l'altra è quella della festa.
La finale sconfitta alla mostra, nel vagare tra i quadri in cerca di una decisione definitiva, la voglia di andarsene e l'orgoglio di restare, vince il primo, Adele si allontana di spalle
Quest'attrice ha saputo restituirci tutto quanto, con quel volto magnifico, quegli occhi che raccontano tutto.
Ed è incredibile come per almeno 2 ore e mezza delle lunghissime 3 totali la regia sia stata solo nel suo primo o primissimo piano, sempre, come mai avevo visto prima. Saper raccontare a 19 anni tutte quelle emozioni, saperlo fare con la macchina da presa sempre, ma proprio sempre, a un palmo di naso, fanno dell'interpretazione della Exarchopulos qualcosa di eccezionale, talmente grande da oscurare il film stesso.
Film che nella sua bellezza ha comunque i suoi difetti con quelle scene sempre portate allo sfinimento, specie le feste (si potrebbe ricavare tranquillamente un film da 2 ore), con alcuni personaggi, vedi il maghrebino, buttati un pò là, con la sensazione di trovarci davvero dentro una vita vera e vissuta ma tutto narrato un pò troppo linearmente.

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E anche la famosa scena di sesso, esplicito come raramente si era mai visto prima, è sì necessaria, assolutamente necessaria, perchè se lo spettatore non capisce fino in fondo la passione delle due protagoniste non potrà vivere allo stesso modo il film, ma comunque a mio modo di vedere leggermente esagerata, supera cioè il punto in cui può apparir lecito chiedersi se il regista cercasse lo scandalo oppure no.
Magnifica anche la Seydoux, molto più osannata della Exarchopulos anche se, a mio parere, non raggiunge affatto la capacità di raccontare il proprio animo della seconda.
E non so se è solo una mia lettura o quella più banale e scontata, ma ho avuto la sensazione che Emma non sia stata mai innamorata di Adele, che l'abbia quasi sfruttata per divertirsi.
Sono troppi i segni, quella chiacchierata alla festa con Lise -alla luce del finale affatto disinteressata- quella violenza nel cacciare Adele senza nemmeno cercare di ascoltarla, quella "freddezza" nel bar nel dirgli che è tutto finito. Freddezza che scompare solo nel tentativo maldestro di far sesso.
Ognuno interpreterà questa storia come crede ma non darei per scontato che la persona in difficoltà o non convinta di quell'amore fosse Adele e non Emma.
Perchè gli occhi di Adele in quel bar e in quella mostra sono occhi che parlano da soli.
Basta guardarli.

8,5

2.11.13

Recensione "Smiley"


l'ho fatto per Lultz
l'ho fatto per Lultz
l'ho fatto per Lultz

per chi???????????????????????

Dio mio, per chi l'hai fatto? Per Lultz?
No, scusa, vieni qua un attimo, mettiti a sedere, spiegami.
Abbiamo un problema di traduzione in italiano o questa cosa non ha alcun senso?
Ah, in inglese è un gioco di parole dici?
Ah, molto interessante, ti sembrava suonasse bene eh.
Capisco.
Beh, fa schifo.
Come il tuo film.
Schifo, ribrezzo, repellenza, fastidio, fastidio, fastidio, fastidio, fastidio, fastidio, un fastidio come ripetere 7 volte di fila fastidio.

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8 euri t'ho dato

per assistere ai dialoghi più insensati, fastidiosi, assurdi e banali della storia recente del cinema

per assistere alle lezioni universitarie di un professore che ogni minuto parla di una cosa diversa, di un argomento diverso, senza che ci si capisca mai niente. Cosa insegna? Tuttologia? Confondivismo? Credo sia il film dove vengono esplicate più teorie senza che se ne capisca nemmeno una e senza che nessuna c'entri una beneamata fava col film

sì perchè il film in realtà parla di Mr Felicità che uccide via internet persone collegate in chat anonime
non vi dico nemmeno le modalità perchè, specie alla luce del finale, non hanno alcun senso

finale poi, anzi, prefinale, che si intuisce dopo 29 secondi dall'inizio

ma oltre al numero di teorie il film batte anche il record di bubusettete, ce ne sono 13 di cui 9 dell'amica della protagonista che ha un senso così cinematografico della sua vita che gli compare SEMPRE d'improvviso, SEMPRE. Una volta si rompe anche il naso, echecazzo, quell'altra sognava Mr Felicità e lei gli stava a mezzo metro dalla faccia a guardarla, probabilmente per fargli un altro bubusettete, non so.

No, davvero, qui si rasenta il punto zero dei teen horror



e il finale è davvero da ergastolo. Hanno tentato in tutti i modi di dare un senso a tutto con la storia della cricchetta (ma tanto il film non regge lo stesso) e poi quel finale

mavafanculo

MENO MALE, meno male che c'è uno dei poliziotti più mitici di sempre, un enorme nero che prende per il culo la ragazza in un modo sì inappropriato ma così inappropriato da risultare strepitoso

guardate come fa con la bocca, guardate come istrioneggia, come se la comanda

e dopo che la ragazza gli racconta tutta la vicenda la sua risposta giunge meravigliosa

"c'è solo una cosa che non quadra nel tuo discorso. Tutto quanto"

non sarà valso il prezzo del biglietto ma 3,4 euri sì

( voto 3,5 )