Ecco la prima puntata di Boarding House, la rubrica di Giorgio, alias The Late Answer's Man, la cui storia potete trovare in uno degli ultimi post.
Quando la passione e la competenza (e il saper divertire) raccontano un tipo di cinema pochissimo esplorato.
Diciamo che Boarding House potrebbe essere l'altra faccia della medaglia de Lo Spazio Invisto di Frank, visto che seppur sempre nel cinema sommerso siamo, dove uno, Frank, ricerca quello più "alto" l'altro, Giorgio, scandaglierà i più putridi bassifondi della cinematografia mondiale.
Sempre di perle nascoste, in fondo, possiamo parlare.
Solo il titolo del primo film è tutto un programma.
Buon divertimento.
Ovviamente il titolo (in originale: Water Power o The Enema Bandit).
Meraviglioso, strano, intrigante. Ti fa domandare: “Che cosa si saranno mai inventati?”.
Ovviamente l’impossibilità di trovarlo in Italia.
Lessi del film in un piccolo paragrafo dedicatogli da Jonathan Ross nel suo libro L’Incredibile Storia Del Cinema Spazzatura (1996), libro che mi serviva per la mia tesi su Edward D. Wood Jr.
Rimasi folgorato dalla trama, perché non era normale...assolutamente no.
Ci misi cinque mesi per scaricarlo: in inglese, con sottotitoli in croato o chessò io...
Uno di quei film definibili "thriller psicologici" quasi per antonomasia.
Una pellicola a tratti notevole e benissimo scritta.
Ma, ahimè, deturpata da un finale banale ed affrettato.
Dal regista de Il mio piede sinistro, Nel nome del padre e Brothers.
spoiler ammazzafilm (come il trailer del resto)
Di solito tutto quello che è il contesto intorno ad un film non solo lo ignoro, ma cerco sempre di fare di tutto per non conoscerlo.
E i premi, e le critiche, e i problemi, e le storie che ci girano intorno, e come è stato realizzato, e la distribuzione e tutto il resto di cazzi e mazzi.
Però ricordo sto titolo in videoteca e alcune notizie che lessi, all'epoca, al riguardo.
La prima cosa che ricordo è un trailer assassino che svelava il colpo di scena del film.
La seconda un casino talmente grosso successo col finale che il regista Sheridan (quello de Il mio piede sinistro, Nel nome del padre e Brothers, no, giusto per capirsi) disconobbe (perchè la laurea in lettere a volte va ricordata con termini simili), dicevo, disconobbe (2), il film.
Insomma, Dream House fu un flop sia perchè distribuito in maniera disastrosa (non guardate il trailer) sia perchè deturpato in sceneggiatura.
Questa è una storia che merita di essere raccontata.
In una calda estate del 2011 guardo con mio fratello e un amico un film orendo, The Boarding House.
Erano gli anni dei filmacci, agli albori del blog. Io sono ancora al paesino, Giordano (l'amico) non è ancora a Londra, il gruppo (con mio fratello) di rapaci dell'orrido è al completo.
Nessun commento, niente di strano, già il blog non aveva certo tutta l'affluenza di adesso e poi diciamocelo chiaro, sto film l'avremo visto in 50 in tutta Italia.
Dopo due mesi appare un commento, questo:
Ovvero il commento di un pazzo che non solo aveva visto sto film ma ne possedeva QUATTRO COPIE in formati diversi, tra l'altro 3 perfettamente legali e quasi introvabili.
Sto Giorgio chiude il suo intervento con "Sono assolutamente un fan di questo film degenerato.
Perchè sono un degenerato....
Dopo soli 46 minuti (e, attenzione, in questa storia i tempi di attesa sono importanti) gli rispondo così
Ovvero manifesto al Giorgio un'ammirazione istantanea, quasi un colpo di fulmine.
Però sì, quel titolo ha confuso parecchi appassionati, c'è anche un filmaccio italiano con un titolo praticamente identico.
Insomma, formulo UNA DOMANDA
"Mi confermi che stai parlando di questo vero?"
Nessuna risposta, ci sta.
Tanti lettori occasionali non tornano poi a leggere se te gli hai risposto. E tanti non sanno nemmeno delle notifiche. Ci sono centinaia di domande inesplose nel blog.
La mia vita va avanti, non dico tranquillamente, tutt'altro, ma va avanti.
Poi, il 10 Gennaio 2016, poco più di 15 giorni fa trovo questo:
Giorgio dopo 4 ANNI E 3 MESI (sembra un film di Mungiu) mi ha risposto.
Quattro anni e tre mesi dopo.
Così, dal nulla.
Ma la meraviglia della cosa non è l'aver ricevuto una risposta dopo 4 anni e 3 mesi, perchè magari un'altra decina di volte sarà capitato nel web. No, il colpo di genio di Giorgio è l'aver risposto COME NULLA FOSSE. Senza dire "oh, scusa per il ritardo", "sono il ragazzo che ti scrisse 4 anni fa" o cose così.
Domanda diretta, risposta diretta come se niente fosse.
Solo con un lustro di ritardo.
Impazzisco.
Sono talmente impazzito che sbaglio anche di un anno i conti.
Insomma, ci saranno altri 3 commenti, questi:
"...mi ero perso nei meandri della vita"
L'unica risposta e motivazione che mi dà per 4 anni e 3 mesi di attesa.
Un genio.
Nemmeno il tempo di dare quella risposta e Giorgio torna ad essere professionale regalando altre chicche sul film.
Stavolta non mi scappa.
Lo contatto, ci diamo l'amicizia su facebook.
La sua vicenda, che io riporto sul social, scatena curiosità e divertimento.
E io scopro un amante di un cinema "altro" di straordinaria competenza. Uno che, per capirsi, ha scritto una tesi su Ed Wood.
Giorgio, il mio LATE ANSWER'S MAN è l'uomo che cercavo, quello che potrebbe colmare una delle tante lacune del blog.
E il modo in cui ci siamo trovati è straordinario, divertente, assurdo, incredibile.
Ma anche bellissimo e per certi versi umanamente notevole.
Perchè ci siamo riconosciuti come due pazzi appassionati.
Perchè forse due persone diverse da noi di questa storia non avrebbero saputo tirar fuori il suo lato grottesco, non avrebbero colto la meraviglia dell'assurdo.
Quella risposta in ritardo non poteva essere solo una risposta in ritardo per uno come me.
Era solo un altro fantastico esemplare, un ulteriore segno di questo Circo Barnum che è la vita.
Benvenuto Giorgio, l'uomo autoappellatisi "degenerato" che per uno scherzo del destino proprio de-genere parlerà.
Questa è la sua presentazione alla rubrica.
Rubrica che poteva avere solo quel nome.
Qui leggerete recensioni di film che NON hanno fatto la storia del cinema.
Qui leggerete di storie e registi che NON volevano essere “marginali” ma cercavano di ritagliarsi uno spazio nel grande universo del cinema per mettere in scena un’idea.
E magari fare soldi e avere successo.
Quasi tutti non ci sono riusciti.
Eppure, nella loro semplicità, divertono e soprattutto sono imprevedibili.
Hanno lo Spirito della Stravaganza,
sono Mine Vaganti.
Possiedono il potere taumaturgico dell’Assurdo.
Così hanno tutto il diritto di essere studiati e recensiti, e magari apprezzati, a differenza di quei film REALMENTE stupidi e REALMENTE infimi che non hanno niente in sé se non l’imbarazzo dello spettatore,
la sua vergogna.
I film di questa rubrica non hanno nulla di tutto ciò.
Vi entusiasmeranno.
Di ogni genere, essi sono come gli avventori in una cittadina isolata, lontana dalle luci della ribalta della Metropoli, e si accontentano di una piccola pensione in cui stare.
Intorno a lui tutto è sfocato, tutto è morte e tutto è minaccia.
A quell'uomo di sopravvivere sembra quasi non interessare.
L'unica sua, nuova, ragione di vita ha a che fare con un piccolo corpo e con un miracolo che qualcuno non ha voluto rispettare
presenti spoiler
Il viso in primo piano, sempre.
In secondo e terzo piano un mondo sfocato, un mondo fatto di gente che dà ordini e altri che li ricevono, un mondo di urla, di bisbigli, di rumori, di dolore, di barbarie.
Saul è un Sonderkommando, un deportato costretto a collaborare con quelle bestie là.
Loro si spogliano, finalmente una doccia, pensano. Dopo la doccia vi sarà offerto del thè dice uno dei nazionalsocialisti.
Le porte si chiudono pesantemente, Saul è costretto insieme agli altri deportati "protetti" come lui a tenerle ancora più serrate. Pochi istanti e dentro si sentono grida, mani che sbattono sulle porte, disperazione.
In teoria è il giorno che nostro signore pensò per il riposo anche se, testimoni oculari dell'epoca, giurano di averlo visto parecchio scornato e pentito dell'ambaradan che aveva messo su.
Devo andare al lavoro.
Maremma maiala.
Scendo e trovo le auto dentro degli igloo. La mia poi ha un igloo con chiusura a doppia mandata. Grazie ad un buon lavoro di scalpello riesco ad entrare. I vetri sono ghiacciati come il cuore del killer frangettato dei Coen. Impossibile aspettare il disgelo, servirebbero ere geologiche.
Decido allora di affidarmi alla statistica.
Alle 5 di mattina c'è il 4% del traffico normale.
Quindi ho la possibilità di essere centrato dal 96% in meno delle automobili.
Decido così di immettermi in strada guidando solo con i due vetri laterali aperti, quello che succede davanti a me e dietro di me è perso in una obnubilante nebbia di ghiaccio.
Capisco di non esser morto quando arrivo vicino all'unico bar aperto della zona la domenica mattina.
Mi accorgo di avere la radio a tutto volume, mi vergogno un po' vista la moltitudine di gente che vedo fuori dal bar e che penserà "Ecco, è arrivato il napoletano". Abbasso il volume e mi accorgo in realtà che la mia radio è spenta.
La musica assordante non è dentro la mia macchina ma fuori.
E non precisamente fuori, ma dentro il bar.
Affascinato, entro.
La musica è assordante, la gente balla e canta, sono le 5 del mattino, mi aspettavo un freddo bar dove una vecchietta mi avrebbe preparato con mani sapienti un buon caffè e invece mi ritrovo il delirio.
Ci sono 4 spazzini con le tute arancioni che parlano di fica.
Ci sono una decina di ragazzi (molti ecuadoFregni, i giovani ecuadoregni di Perugia) con volti simili all'urlo munchiano che ballano, annuiscono a non so cosa con la testa mentre si sbafano di cornetti alla crema.
Capisco l'ovvio.
Per loro è ancora il sabato notte, non sono nemmeno andati a letto mentre io già mi sono svegliato per smadonnare.
Le facce sono inebetite, dentro la loro testa al momento ci sono più decibel che neuroni.
Ci sono poi due trans, con il loro classico viso triste e malinconico, il viso triste e malinconico di chi ha dentro di se un uomo che cerca disperatamente di raggiungere una donna senza mai riuscirci completamente.
Ad un certo punto in mezzo a quel delirio di musica e sballo mi viene in mente una cosa che mi inquieta. Mi immagino che quella sia una festa in onore del mio fallimento. E il festeggiato è appena arrivato.
Questa terribile e misantropa sensazione si affievolisce e poi dipana del tutto quando mi accorgo dopo cinque minuti che ancora non è arrivata nessuna torta con su scritto "Suca Giuseppe".
Prendo coraggio, del cappuccino non se ne parla, troppa gente e troppo casino.
Tento con il cibo.
Mi avvicino al bancone dei sandwich e quello che dovrebbe essere il gestore mi chiede, lo capisco dal labiale, cosa voglio.
Sto per rispondere quando mi accorgo che lui nel frattempo mi guarda e canta. Canta il pezzo house in spagnolo che sta imperversando nel locale. L'immagine è fastidiosa ed inquietante, mi stai servendo cazzo, non cantare che già non capisco una sega.
Gli urlo "IL TRAMEZZINO TONNO E CARCIOFINI !!!!!"
Gli indico quale e gli faccio due con le dita.
Annuisce mentre continua a cantare.
Me ne dà solo uno.
Decido che sticazzi, meglio fuggire.
Pago.
Mentre esco ho quasi la certezza che una ragazza mi abbia fatto l'occhiolino. Poi mi convinco che era solo un riflesso incondizionato, probabilmente il click dell'ultimo neurone che aveva fatto fagotto.
Scappo via da quello che mi è sembrato un incubo nel litorale perugino e mi avvio verso la fabbrica.
In portineria firmo e intanto racconto al portiere tutto quello che ho visto.
Lui annuisce, lo sa. Parliamo un po' con quella improvvisa, strana, estemporanea e mesta confidenza che si trovano ad avere due persone ritrovatisi nella stessa zattera del medesimo oceano.
Siccome la domenica di mille operai lavoriamo in tre posso quindi avvicinarmi con la macchina fino quasi all'entrata. Praticamente sono la prima macchina dopo i posti riservati ai dirigenti.
La domenica quell' avvicinarmi ai parcheggi davanti è la cosa più vicina ad una scalata sociale che abbia fatto in vita mia.
Entro usando il badge, l'immensa fabbrica sembra un gigante spento e addormentato.
Saluto i due operai che se ne stanno andando per far posto ai nuovi.
Magari anche loro adesso, uscendo, andranno al pazzo bar dove la notte non finisce mai.
E mentre se ne staranno là mangiando un cornetto vicini ad un trans triste io intanto penso che la bellezza del mondo sta in queste piccole cose.
Rido e intanto apro il mio primo saccone di fave di cacao.
(Mi scuso per gli errori ma ho scritto la cosa nei venti minuti di pausa qui in fabbrica con il tablet. E col tablet la come luogo, da come verbo e tante altre cose non riesco a farle. Evitate di commentare sta cazzata ma se lo fate voglio che scriviate solo buongiorno Giuseppe. Poi semmai il commento tra parentesi)
Ma anche la sensazione di trovarsi davanti ad un cinema grande che non riesce completamente, però, a farsi grande cinema.
presenti spoiler
Trovo stucchevole, banale e assolutamente senza senso leggere anteprime di recensioni (recensioni intere ancora non l'ho lette) commenti e giudizi su The Revenant tirando sempre fuori la questione Di Caprio-Oscar.
Anzi la maggior parte delle volte ho letto solo questo, come se il film, il film cavolo, fosse in secondo piano in confronto.
Ecco, a me degli Oscar frega quasi nulla, mi piacciono a livello umano, mi piacciono alcune storie che raccontano, ma come premio, insomma, esticazzi.
Eppure...
Eppure nel film si passa da quella laguna iniziale che sembra tanto il Titanic quando cominciò a riempirsi e si finisce con un'interpellazione alla macchina da presa.
Ecco, The Revenant m'è sembrato una metafora della carriera de sto povero ragazzo, degli sforzi che ha fatto, della fatica, dell'impegno che ha profuso.
Dal Titanic iniziale a quello sguardo in camera che sta come a dire, ecco, io ho fatto questo, io vengo da qua, ora sta a voi.
Come Glass merita la vita Di Caprio merita l'Oscar. E non è la fine del suo percorso a farmelo dire ma il percorso tutto.
E io mica lo so chi l'ha detto, magari è qualcosa di orale che si perde nella notte dei tempi, magari l'ha tirata fuori un santone, oppure uno scrittore, oppure semplicemente è una cosa talmente ovvia ed evidente che ogni tanto si dice, come si dicono le cose ovvie ed evidenti.
Io non so chi l'ha detto ma credo fortemente che sia vera sta cosa, io che solo dagli occhi riesco a capire, o provo a riuscire a capire, se la persona che ho davanti è un'anima bella, se è sincera, se è vera, se ha sofferto, persino se è intelligente.
Cavolo, eppure son così piccoli gli occhi, e così simili gli uni agli altri, colori a parte.
Com'è possibile in così pochi cm quadrati (sempre se a cm quadrati arriviamo) riuscire a notare, intravedere, cogliere, sentire un caleidoscopio così vasto di percezioni e sensazioni?
Cavolo sì, se l'anima esiste dev'essere per forza in quelle iridi, perchè c'è più roba nascosta dentro un occhio che in tutto il resto del corpo messo assieme,
Ricordo ancora quelle onomatopee all'inizio del libro, ripescate in una nebbia diversa da quella da cui cercava di uscire Paul Sheldon, la nebbia dei miei ricordi.
Ero bambino, 12, forse 13 anni, e lessi questo libro al contempo così semplice e complesso.
Vidi il film pochissimo tempo dopo, forse un anno, forse poco più.
Me lo ritrovo oggi, 25 anni dopo, e scopro che ricordavo tutto, anche singoli dettagli.
Impressi come le onomatopee del libro.
Misery è un film grandioso e sarebbe riduttivo e ingrato credere che lo sia perchè tratto da un romanzo come quello di King.
Certo, l'dea di partenza è fenomenale, e gli sviluppi ancor meglio.
L'idea geniale di King fu riuscire ad agire non soltanto su uno ma su due piani metaletterari.
Antonio Niola è un lettore arrivato da queste parti da pochissimo, nemmeno un mese.
Dopo aver commentato parecchio ha voluto "saltare il fosso" proponendo delle recensioni.
Cosa che, ricordo, potete fare tutti.
Purtroppo non l'ho letta perchè il film non l'ho visto ed è uno di quelli che ho sempre voluto vedere.
Buona lettura.
Questo è film dal genere che non riesco a definire e non è detto che sia un male, anzi.
Probabilmente proprio questa constatazione racchiude l'essenza del lavoro fatto dalla produzione.
Fuori Orario è un film anomalo, schizofrenico, surreale.
Non intendo parlare di trama perché secondo me è uno di quei casi nei quali è l'aspetto meno importante, il film è importante per l'atmosfera, per la teatralità, per le maschere.
Dirò solo che il protagonista si ritrova coinvolto in una serie di eventi che lo fanno rimbalzare da una parte all'altra di in quartiere di NY che non conosce, nel tentativo di fare la cosa più banale possibile: tornare a casa sua.
E il cuore in gola è anche quello di un bambino di 13 anni malato di calcio che si ritrova il Mondiale nel proprio paese, un'Italia lussureggiante e goduriosa, ancora ignara delle mani pulite che la governano e soltanto incuriosita dai primi barconi colmi di disperazione che arrivano sulle coste.
E quel cuore in gola del bambino che fui non è tanto quello di chi non vede l'ora di tifare la propria nazionale, quella nazionale di Azeglio Vicini così piena di talento, dar Principe de Roma al siciliano dagli occhi sgranati, dal giovane codino buddhista toccato dalla Grazia alla punta che elevò le rovesciate ad arte, ma è l'emozione, l'attesa, l'adrenalina e la voglia di vivere e godersi ogni singola partita, di scoprire i nomi dei calciatori degli Emirati Arabi Uniti o quelli impossibili e tutti uguali dei Coreani del sud.
Perchè quel bambino già da anni riempe quaderni di nomi, statistiche e storie di calcio, e più le longitudini son lontane da Greenwich più il bambino si emoziona.
E' il Paese delle meraviglie di Alice, è la Fabbrica di Cioccolato del bambino goloso, è il Paese dei Balocchi di Pinocchio.
E' il Mondiale di calcio. Ed è a casa mia. E io partirò per Roma.
Totò Schillaci
"E il mondo è una giostre di colori
e il vento accarezza le bandiere
arriva un brivido e ti trascina via
e sciogli in un abbraccio la follia"
Edoardo e Gianna continuano a cantare.
E parlano di colori e bandiere.
E il bambino quelle bandiere le adora, e non solo per il calcio ma anche per la geografia, altra grande passione.
L'Italia è coloratissima. l'arancione dell'Olanda, lo stesso arancione che molti anni dopo, ormai uomo, lo abbaglieranno in un'Olimpiade invernale torinese vista dal vivo, i ritmi tribali dei tifosi camerunensi, l'esoticità della Costa Rica, le orrende tute acetate dei russi, gli scozzesi in kilt, gli inglesi che bevono e menano, gli Stati Uniti che iniziano a scoprire veramente il soccer, l'incredibile entusiasmo misto alla religione di brasiliani e argentini, gli jugoslavi ancora tutti insieme ma pieni di fratture, e soprattutto una santabarbara di tricolori italiani che ammantano il suolo patrio tanto da coprirlo completamente.
E non so se l'abbraccio possa sciogliere questa follia.
Ma sì, sembra veramente di essere in un gigantesco abbraccio.
"Notti magiche
inseguendo un goal
sotto il cielo di un'estate italiana
e negli occhi tuoi
voglia di vincere
un'estate
un'avventura in più"
Sotto quel cielo che anche se piovesse te vedresti solo il sole il Mondiale comincia.
E quell'espressione "inseguendo un goal" non ha senso, ma sembra così bella.
Ed è bellissima, storica, la prima partita.
L'Argentina campione in carica affronta degli africani neri come la pece, i camerunensi.
L'Africa non è praticamente nessuno nel calcio, ha solo due squadre.
Davide nero sfida Golia bianco.
E lo mette a terra, tra gli sguardi attoniti di uno stadio stracolmo.
E la pietra che usa Davide è quella di una punta che sale in cielo e colpisce di testa. Sembra un tiro innocuo ma Pumpido, come scrisse De Gregori parlando di Nino e della sua maglia numero 7, lo lasciò passare.
L'Italia si innamora di questi africani, impara a memoria la formazione, scopre nuovi colori.
Ancora però il Vecchio Leone di cui poi parleremo non viene fuori, lo farà, in modo dirompente, solo poi.
L'Italia comincia bene e vince grazie a quello che, dal nulla, diventerà l'uomo simbolo dei Mondiali, un brutto nanerottolo con la faccia da associazione criminale.
Schillaci si chiamava. E il suo nome divenne leggenda.
Ma questo non è il post del resoconto sportivo di un mondiale.
Questo è il post di un bambino e delle storie che lo affascinarono.
Lo storico goal di Oman Biyck nella partita d'esordio
Quella degli Stati Uniti, un crogiolo di razze e di nomi. In porta Tony Meola, un portiere d'albergo che ha la sfortuna di esser venuto fuori 15 anni troppo in anticipo altrimenti, ne son sicuro, l'avremmo visto ne I Soprano.
C'è la Cecoslovacchia con una punta gigantesca che sembra una star del rock. Si chiama Skuhravy, ed è un grandissimo calciatore.
C'è la Romania più forte di sempre, quella di Hagi, Lacatus, Dumitrescu, Popescu, Munteanu.
C'è in'Inghilterra pragmatica, bruttina, anche se là in mezzo ha giocatori di una classe infinita. Si chiamano Beardsley, Barnes, Waddle, Platt. Davanti un serpente velenoso straordinario, Lineker.
Ma quello che ruba gli occhi è uno che col calcio apparentemente non c'entra niente. E' tracagnotto, ha la faccia da cazzo, fa le smorfie, sembra giocare solo per divertirsi un pò. Ma ha due piedi che un feticista del calcio starebbe lì a guardare fino alla fine dei suoi giorni.
E' Gazza Gascoigne, un atleta che dell'atleta non ha nulla. Probabilmente si farà 5 birre anche prima di giocare. Adesso, 25 anni dopo, è un uomo distrutto da almeno 15 di anni. Solo che sia ancora vivo è qualcosa di miracoloso. Quanto ti ho amato Gazza
il Genio: Paul Gascoigne
Ci sono gli Emirati che ne beccano 11 in 3 partite, il Costa Rica che passa il turno, l'Egitto che se la gioca con tutti. il Belgio che sembra grande, Matthaus che insegna calcio.
Ci sono decine di storie che se avessi la pazienza di voler raccontare e voi di voler sentire starei qua a farlo.
Ma, almeno io, quella pazienza non ce l'ho.
E allora torniamo al titolo, al Vecchio, il Matto e Il Bambino.
Il Bambino l'avete già conosciuto.
Ma non sapete che si trova a Roma, allo stadio.
C'è Italia - Cecoslovacchia.
E Baggio decide che quello non è il giorno giusto per giocare a calcio, preferisce lo sci.
E slalomeggia come in quegli anni faceva solo l'Albertone nazionale.
Dribbling di una leggerezza infinita, un ballerino.
E segna un goal pazzesco.
Il Bambino è basso, non ricorda quasi nulla, solo tante persone che sembrano travolgerlo.
Baggio e la fine del suo capolavoro. Visto dal vivo
Il Vecchio è nero, ha 38 anni, un'età impressionante per giocare a pallone.
Nel suo continente, l'Africa, è una specie di personaggio che trovi nei libri di Storia.
Ma qui non lo conosce nessuno, nessuno.
Segna due goal nella stessa partita alla forte Romania.
E' una pantera. Dopo il goal va alla bandierina e inizia a danzare in un modo che nessuno si dimenticherà. Lo farà ancora nel Mondiale. E ancora.
Si chiama Roger di nome, Milla di cognome.
La danza del Vecchio Campione
Il Matto è uno che se Soderbergh fosse passato di là avrebbe sicuramente chiamato per Traffic.
E' colombiano, capellone, una faccia e un atteggiamento da bullo e delinquente.
Il suo mondo, diresti, è quello dei cartelli della droga, non il calcio.
Dovrebbe essere un portiere ma in realtà lui se ne gironzola per tutto il campo. Lo trovi al limite dell'area, anche fuori, Lo vedi partire palla la piede scartando gli avversari.
E nessuno gli può dire niente sia perchè questo magari poi gli avrebbe piazzato una pallottola in testa sia perchè se c'è sto un leader nel calcio questo è lui.
Un giorno deciderà che è venuto il momento di far vedere al mondo qualcosa che il mondo su un campo da calcio non ha mai visto.
Si chiama Scorpione quel qualcosa.
Qualcosa che solo un Matto poteva fare e inventarsi.
Lui, invece, si chiama Higuita.
Potremmo anche parlare di un altro personaggio indimenticabile di quella nazionale, uno che lo vedi e cominci a ridere, "Dai, non può giocare a pallone uno coi capelli così, non scherziamo".
E invece questo non solo gioca ma gioca anche da Dio. Forse ci troviamo davanti addirittura ai due migliori piedi della storia del calcio colombiano.
Valderrama Carlos.
Carlos Valderrama
Il Vecchio e Il Matto si incontrano negli ottavi di finale.
L'occasione per entrambe le nazionali è unica. un posto ai quarti.
La partita va ai supplementari.
Il Vecchio prende la palla e con un'azione formidabile firma un goal meraviglioso.
A 38 anni agile come nessuno.
Va alla bandierina, la mano sinistra sul ventre e quella destra volteggia in aria, la sua danza.
La partita è ancora in bilico.
E vedi Il Matto quasi a metà campo con la palla la piede. E' un'immagine strana, di solito quelli vestiti in maniera diversa da tutti gli altri li trovi in porta.
Ha così tanto carisma ed ascendente sui suoi compagni che questi non solo non gli dicono di tornare indietro, ma gli passano la palla di continuo.
Come adesso.
Il Matto la stoppa, decide di non restituirla ai difensori e prova a dribblare con classe la punta avversaria.
Ma la punta avversaria è Il Vecchio.
La palla è rubata, la porta è vuota, Higuita prova da dietro ad abbattere Milla ma non può raggiungerlo.
Giuseppe è commosso alla tv mentre vede il quasi 40enne africano ballare ancora sulla bandierina.
Decide che quei 5 secondi sono i 5 secondi del suo Mondiale, quelli in cui i due personaggi più incredibili dello stesso sembrano quasi essersi messi d'accordo per regalargli la sceneggiatura, a lui che di sceneggiatura ancora non capisce niente, più bella che potesse esistere.
La disperata rincorsa di Higuita
Il Mondiale va avanti, Caniggia anticipa le farfalle di Zenga, i rigori ci buttano fuori.
Maradona in diretta tv ci dà dei figli di puttana durante l'inno.
E tante tante altre cose.
Notti magiche cantavano Edoardo e Gianna.
Un'iperbole apparentemente.
Eppure solo di magia posso parlare.
Se è vero che nessuna delle nostre estati potrà mai ritornare possiamo avere ancora il privilegio di ricordarle.
E se chiudo gli occhi sento un boato della folla in uno stadio, vedo quaderni riempirsi di tabellini, ricordo pomeriggi passati con gli occhi sgranati a vedere coreani correre a casaccio per il campo.
Mi verrebbe quasi voglia di ballare solo a pensarci.
Mano sinistra sul ventre, destra che volteggia nell'aria.
Torna Rocco con la recensione del recentissimo film di Sokurov, probabilmente l'ennesima perla del regista russo.
Per sapere cosa ne pensa non dovete far altro che leggerlo.
Anche se, lo ammetto, l'accoppiata Rocco-Sokurov mi spaventa, potrebbe portare ad una roba tipo per Eletti (io non avendolo visto non l'ho letta la rece eh, vado ad occhio).
Comunque Rocco è lo stesso che ho citato in Possessione Demoniaca per motivi del tutto diversi.
Quindi, insomma, è un uomo completo
Ogni collezione non semplifica la realtà, ma la complica e la amplifica, perché volendo includerla allo stesso tempo è inclusa in essa. Ogni unità è una e molteplice, sintesi e somma di ciò che contiene, ma anche potenza unica di ciò che esprime singolarmente. Che cos’è il Louvre? Continua a chiedersi Sokurov è la sua storia? la sua architettura? Un luogo fisico? L’insieme delle sue opere? E’ un popolo? Una nazione?
Un uomo grasso con addosso soltanto un pannolone guarda la tv.
Sintonizzata sul nulla.
Forse c'è un significato profondo in tutto questo, una certa metafora carica di esistenzialismo o di accusa verso i mass media.
La sensazione diventa ancora più forte quando il pannoluto omone trae dal suo deretano, o più probabilmente dal sopracitato pannolone che le aveva raccolte, le proprie feci.
Le osserva e poi le mangia.
Insomma, per farla breve magna la merda.
Potrebbe apparire Cinico Tv ma la sensazione iniziale, ossia quella della forte carica autoriale della scena, diventa realtà quando scopriamo che suddetta scena in realtà è sul televisore dei protagonisti del film che stiamo vedendo, Possessione Demoniaca.
Mi chiamo Steven Bradbury, sono australiano e faccio uno sport stranissimo.
Si chiama Short Track, una specie di "giro o tracciato corto" insomma.
Probabilmente voi lo chiamereste pattinaggio su ghiaccio ma in realtà noi siamo diversi, noi siamo tutti uno addosso all'altro, noi siamo quasi sempre in curva, noi siam pazzi, non solo pattinatori.
Loro, quelli del piano di sopra, pattinano veloci e basta, sono contro il tempo, sono eleganti e belli grossi.
Noi invece siamo agili, furbi, sleali persino. Il nostro avversario non è mai il tempo, le nostre son lotte greco romane sul filo del rasoio e della velocità.
Ci possiamo anche quasi permettere di fermarsi, andar piano, lasciar andare avanti gli altri.
Siamo come il keirin del ciclismo, ma non penso conosciate manco quello.
Sono forte io, un talento, neanche 21 anni e già tre medaglie mondiali. In uno sport in cui se anche sei il più forte le variabili sono duemila.
Mica come il pattinaggio che se sei il più forte e il più in forma l'unica persona da battere è te stesso.
Cadiamo spessissimo, anzi, ci fanno cadere spessissimo questi avversari sempre così al limite della lealtà.
E tante volte ci squalificano, in uno sport nel quale come in nessun altro si vedono così tanti squalificati.
Sono giovane, non bellissimo, un mezzo campione di uno sport che magari non dapertutto, ma da qualche parte è qualcosa che vale molto.
E' tutto bello fino a quando in gara un italiano, Vuillermin, un campione per giunta, cade insieme a me.
Il suo pattino mi apre in due.
Perdo talmente tanto sangue che avrei potuto rifornire le flebo di un ospedale di provincia.
Rischio di morire, così, sul ghiaccio, come un pirla qualsiasi.
111 punti di sutura, qualsiasi raccolta di qualsiasi supermercato mi avrebbe premiato con il regalo più grande.
Ci metto tanto a tornar su, troppo.
Nel 2000, 6 anni dopo che la mia vita rischiò di abbandonarmi in un addio color cremisi, cado ancora e mi rompo il collo.
Ma amo il mio sport e vado avanti.
Ci sono le Olimpiadi, quelle di Salt Lake del 2002.
Ho 29 anni, son vecchio per uno sport in cui serve talmente tanta agilità, talmente tanti riflessi e talmente tanta ambizione che altrimenti non sei nessuno.
Arrivo ai quarti ma, diciamoci la verità, ai quarti ci arrivano un pò tutti.
Sono sfavoritissimo, nemmeno ci credo di andare avanti. Ma son qua, è l'Olimpiade, sono ancora vivo e sono ancora un atleta.
La gara parte, resto sempre dietro, ma non per tattica, è che sono troppo più lento.
Cinque metri nel nostro sport sono un giro di pista in F1.
Arrivo terzo su quattro giusto perchè uno per poco non cade nel finale.
Son fuori, ma è stato bellissimo lo stesso, grazie.
Poi mi dicono che Gagnon, uno di quelli forti, è stato squalificato.
Ve l'avevo detto, capita da noi, capita spesso.
Sono in semifinale dell'Olimpiade, con le stesse probabilità di andare in finale che avrebbe uno dei nostri amati canguri gareggiando al posto mio.
In semifinale poi siamo in cinque per soli due posti, ciao core...
Partiamo e dopo 1 metro di gara sono già 3 metri dietro l'ultimo, un paradosso che manco Zenone poteva creare.
All'ultimo giro son quinto, la posizione che ho sempre ricoperto in tutta la gara, Senza manco andare mai a infastidire quelli davanti e mica perchè son cortese, ma perchè non li arrivo.
Mezzo giro alla fine e cade uno, son quarto, sempre meglio di niente.
Pochi metri e succede l'incredibile. Non ne cade solo un altro, che poi esser terzo sarebbe stato un mix perfetto tra bucio de culo e rimpianto millenario.
Ne cadono due, altri due insomma. A 4 metri dal traguardo.
Son secondo, in finale, essendomi praticamente limitato a girettare.
Finale dell'Olimpiade.
Io.
Uno ormai quattro spanne dietro gli altri. Uno che ci è arrivato perchè gli unici 5 che ho battuto 4 son caduti e 1 l'hanno squalificato.
Parto e torno subito a fare lo spettatore, stavolta anche da più lontano.
Posso sempre dire che avevo un posto da abbonato in prima fila.
Ultimo giro e sono sempre là, quinto indisturbato.
A pochi metri dal traguardo cadono tutti.
Tutti.
Tutti.
Non uno, non due per una medaglia di bronzo incredibile, non tre per una medaglia d'argento epocale, ma tutti, per una medaglia d'oro quasi trascendentale.
9 avversari in 3 turni,
8 caduti e 1 squalificato.
Sono campione olimpico con la consapevolezza che lo sarebbe stato anche un bambino che fosse arrivato al traguardo senza cadere.
Dicono che è il più grande scandalo della storia dello sport, la medaglia d'oro olimpica più incredibile di sempre, il campione più scarso di un dato sport di tutti i tempi.
Sì, forse lo è.
Ma io intanto non son caduto, sono rimasto in piedi, ogni volta.
Sono rimasto in piedi anche dopo che 8 anni prima ho lasciato metà del mio sangue in una pista.
Sono rimasto in piedi e c'ho creduto quando l'unica cosa che mi era rimasta addosso non era più la velocità o il talento, ma solo la passione e la tigna.
La gente ride, mi guarda, mi prende in giro, tante cose mica le sa.
Sono una specie di fenomeno da baraccone che ha vinto la gara più importante del pianeta.
Qualcuno dice che esiste il karma, altri che la vita quanto ti toglie poi ti restituisce.
Altri ancora credono che ci siano divinità che premiano quelli che se lo meritano.
Altri ancora credono, semplicemente, che a volte dice culo e a me ha detto culo tre volte in tre gare.