Dopo tantissimo tempo (ma la colpa è mia, Roberto mi ha mandato materiale da mesi) torna la rubrica esterna più longeva del blog, quella delle recensioni di Roberto, sempre al limite della sperimentazione di scrittura.
Torna con un film (che incredibilmente non ho ancora visto) di uno dei miei registi preferiti, Gaspar Noè.
Due righe di presentazione di Roberto e poi la recensione.
Torna con un film (che incredibilmente non ho ancora visto) di uno dei miei registi preferiti, Gaspar Noè.
Due righe di presentazione di Roberto e poi la recensione.
-----------------------------------------
Eros e thanatos.
Amore e violenza.
Sesso e sangue.
Vita e morte.
Film duro, crudo, doloroso.
Impossibile restare impassibili.
Travolgente dalla fine all’inizio.
Recitato benissimo, girato e montato splendidamente.
Film ossessivo, prepotente, passionale.
Impossibile da dimenticare.
Perché il bello non è che il tremendo al suo inizio.
(Rainer Maria Rilke)
Una storia, una notte, piani sequenza, piani d’azione, piani di evasione dalla vita, che è e resta un dono/male/sogno/malattia irreversibile.
Perché la vita non ha un contrario.
Per questo non riusciamo a capirla, a comprenderne il motivo.
Per questo ci affanniamo alla ricerca di un senso, costruendo e inventando significati.
La morte è il contrario della nascita, non della vita.
Che resta insondabile, misteriosa, incomprensibile.
E per questo è terrificante, per questo è meravigliosa.
E siamo preda di dubbi, incertezze e paure.
E siamo predatori di sogni, desideri e passioni.
Perché la storia è una macelleria.
Un’anonima fossa comune di uomini e donne e niente.
Ed è tutta scritta con il sangue e con lo sperma.
Perché il mistero che ci abita si espande più velocemente del mistero che abitiamo.
Perché nessuno è innocente.
Perché il dolore fa meno paura del piacere.
Perché danziamo bendati sull’orlo di quell’abisso insaziabile che chiamiamo cuore, e non facciamo altro che strapparlo a morsi.
Perché siamo estinzione e salvezza.
E non sappiamo distinguerle.
Perché quella notte, quelle labbra che non hai baciato, quel sospiro che hai trattenuto, quel pomeriggio bagnato da una pioggia di fiori, quel libro, quel prato, quella volta che lei disegnava il futuro sulla tua schiena, di notte, con le dita sporche di amore e di sesso. Perché quella strada, quella scelta, quel desiderio, quel sole stanco, quei giorni, quell’assordante assenza, quell’orgoglio, quell’inesprimibile sensazione di felicità che ti sei affrettato a soffocare, perché il tuo più grande desiderio è sempre stato quello di avere un alibi. Perché non vuoi essere felice: la felicità ti costringe a metterti in gioco. Preferisci avere un motivo di infelicità: vedete, non è colpa mia. Questo è ciò che desideri davvero. Patetico. Umano. Come chiunque. Come me. Perché quella notte, in quel buio, lontano da lei, hai capito che le cose a un certo punto di spezzano.
Perché il mondo – malgrado, nonostante e grazie all’uomo – è caos, dispersione, guerra, fame, disordine, distruzione, follia, incubo, assurdità, notte profondissima. E al tempo stesso, per le stesse ragioni, grazie a sapiens, è armonia, dialogo, incontro, comprensione, stupore, meraviglia, gioco, dolcezza, infinità, luce senza fine.
Perché non abbiamo ancora imparato a nascere.
Perché l’uomo è un animale che parla.
Perché esiste qualsiasi cosa, compreso l’inesistente.
Perché la poesia comincia con un selvaggio battere di tamburi nella giungla.
Perché la memoria, l’identità, il futuro, l’amore, la morte, la vita, ogni cosa: sono storie.
Noi siamo storie. Parole. Racconti. Tutto è narrazione.
Perché l’origine del mondo, di ogni mondo, è esattamente quella dipinta da Coubert.
Perché il tempo distrugge tutto.
Perché siamo armonie di opposti.
Coltiviamo contraddizioni.
E ogni nostro saluto è sempre un addio.
È sempre un adesso, un mai, un altrove, un qui.
Perché il tempo crea tutto.
E il mondo è il tempo.
“In quale momento Dio ha creato il mondo?”,
si chiede Agostino.
“In nessun momento, giacché la creazione del mondo è quella del tempo”.
Così si rispondeva.
È una dimensione dalla quale non possiamo astrarci.
Ma il tempo distrugge tutto, annienta ogni cosa.
Desertifica e punisce.
Ma il tempo crea tutto, genera ogni cosa.
Cementifica e lenisce.
Perché ogni pace si conclude in guerra.
Perché non esiste eros senza thanatos.
Perché ognuno distrugge ciò che ama.
Perché l’infelicità della persona amata lacera dentro.
Il suo sorriso, il suo volto tumefatto, la vita in frantumi.
Perché l’unica certezza che abbiamo nella vita è la scelta. Anche la scelta del dubbio. E l’esistenza della morte, dispositivo generato dalla natura come “strumento” evolutivo, è ciò che ci permette di vivere appieno l’esistenza della vita. Perché il tempo sta scadendo. Perché tutto è in tempesta.
Perché fin dai primordi dell’universo vi è al contempo conflitto e complementarietà tra ciò che disgiunge, separa, distrugge, annienta, e ciò che unisce, aggrega, congiunge, crea.
Perché certe azioni sono irreparabili.
Perché siamo in grado di pronunciare l’indicibile.
Perché siamo, contemporaneamente, pittore, tela e paesaggio.
Perché la nascita è un atto di violenza, è una catastrofe in senso matematico, è morfogenesi, è ridefinizione identitaria, trauma, distruzione. Perché non si può che nascere tra lacrime, urla e scie di sangue.
Perché ogni fine è un inizio.
Perché ogni inizio segna una fine.
Perché i concetti di creazione e distruzione sono inestricabilmente interconnessi, avviluppati in una danza di radicale bellezza, di profonda disperazione.
Perché la società esiste in natura, l’individuo no.
Perché il desiderio di vendetta è un’invenzione del cuore umano, che si illude di riparare l’insanabile, di riportare indietro le lancette del mondo, di soffocare il dolore, di saziare il vuoto con il dolore altrui.
Perché l’amore brucia.
Perché d’amore si muore, ma io vedo la gente viva.
Perché malgrado ogni tramonto sia gravido di promesse e ogni carezza ammorbidisca la realtà, continuiamo ad addormentarci e insistiamo a sentirci perduti.
Perché creare, far nascere, generare: vuol dire separazione.
Perché distruggere, annientare, estinguere: vuol dire unione.
Perché ogni equilibrio si regge sull’ipotesi della sua rottura.
Perché la bellezza è un fenomeno umano, non appartiene a nessun’altra specie. Come l’orrore.
Perché possono accadere un miliardo di cose in un attimo di ciglia, in un battito di meraviglia.
Perché ci sono oscurità impenetrabili che annientano e travolgono tutto con una potenza devastante.
La maggior parte sono dentro di noi.
Perché il sesso è quanto di più bello possa esserci.
Ma è anche un’arma che lacera ogni cosa.
Perché la disperazione ottenebra la mente e confonde la percezione del reale in modo brutale e spietato. Quasi come innamorarsi.
Perché alla base di ogni conoscenza umana vi è un atto di fede.
Perché ci sono momenti che contengono tutta la vita.
E ci sono vite che durano solo un momento.
Perché il senso di colpa genera mostri e buchi neri.
Perché si può morire per carenza di universo.
Perché si può morire per eccesso di universo.
Perché l’ossessione e la possessione sono gli ingredienti fondamentali dell’agire poetico, ma basta un niente di niente per precipitare nel patologico, nel baratro della mediocrità, nel vuoto pneumatico.
Perché chiunque.
Perché adesso.
Perché l’umano è la misura di tutte le cose.
Perché un giorno questi giorni saranno quei giorni.
Perché il passato è in continua evoluzione.
Perché, per quanto ci sforziamo, malgrado l’esperienza, gli annunci, gli avvertimenti, le rivelazioni, i miracoli e le premonizioni, non siamo in grado di cambiare il futuro.
Perché abbiamo la bocca piena di già detto, gli occhi colmi di già visto, le mani sanguinanti di già fatto.
Perché niente è puntuale come il troppo tardi.
Perché il tempo distrugge tutto e crea tutto.
Perché il tempo rivela ogni cosa.
Il peggio e il meglio.
Vita e morte.
Amore.
Buio.
Irreversible è un film ossessivo, compulsivo, assordante, disturbante, forte come una mano che ti tappa la bocca mentre sogni. È la storia di Alex e Marcus, coppia giovane e bella, e del loro amico Pierre, ex di Alex. È la storia di una violenza efferata, insostenibile, consumata in un sottopassaggio immerso in un rosso pompeano che richiama il sangue della storia, degli altari, delle eclissi. È la storia frammentata del processo di frammentazione della vita di Alex, di Marcus e di Pierre. Di quella notte tremenda e disperata, della caccia all’uomo, della violenza e della perversione umana, che non conoscono limiti. È la storia di un cortocircuito esistenziale, che innesca un fuoco accecante e brutale: quello della vendetta. È una storia di corpi, di mani che si cercano, di sesso inteso come interfaccia con il mondo, come strumento di comunicazione del sé, come punizione, come arma, come vicolo cieco in cui perdersi.