Il quarto film di Paulo (dopo i primi bellissimi due - El Cuerpo e Contrattempo - e la mezza delusione del terzo - Durante la tormenta -) è l'ennesimo (4 su 4) thriller-giallo a orologeria dove tutti i pezzi si devono incastrare e dove - ormai da lui ce lo aspettiamo sempre - ci sarà un gran colpo di scena finale.
Il film è bello, forse molto bello (ma troppo lungo), affascinante, stimolante e ambiguo (come è ambigua la sua protagonista, Alice, una detective che si finge malata per indagare dell'omicidio avvenuto in un manicomio. Ma se fosse invece veramente malata?).
La sensazione, però, è che a differenza dei 3 precedenti film stavolta l'architettura sia talmente grande e complessa che qualcosa non torna o se torna, è solo perchè Paulo furbescamente usa tantissimi trucchi.
La sensazione, però, è che a differenza dei 3 precedenti film stavolta l'architettura sia talmente grande e complessa che qualcosa non torna o se torna, è solo perchè Paulo furbescamente usa tantissimi trucchi.
Resta un film piacevolissimo da vedere, che ti porta a parlarci ore con gli amici ma che - e questo è un difetto - ti sembra più volte un tantinello forzato per risultare credibile.
In ogni caso provo, come sempre, a dare la mia - lunga - spiegazione al film.
Oriol Paulo è ormai considerato uno dei maestri del thriller moderno.
Più che altro è uno che, a differenza di altri registi (anche migliori di lui), non ha mai tradito il suo genere.
Oriol Paulo è ormai considerato uno dei maestri del thriller moderno.
Più che altro è uno che, a differenza di altri registi (anche migliori di lui), non ha mai tradito il suo genere.
Paulo (il cognome è questo) fa sempre e solo thriller/gialli con mega colpo di scena (e tutti con un omicidio di mezzo), è un vero e proprio specialista.
Non ricordo altri registi che, o prima o dopo, non siano mai usciti da questi binari.
Non ricordo altri registi che, o prima o dopo, non siano mai usciti da questi binari.
Se i suoi primi due, "El Cuerpo" e "Contrattempo", erano davvero notevolissimi e se il terzo, "Durante la tormenta", un piccolo passo falso, ecco che con "Quando Dio imparò a scrivere" (brutto e "sbagliato" titolo italiano) io mi ritrovo nella fastidiosissima sensazione di non saper dare un giudizio netto.
Bello come i primi due?
Delusione come il terzo?
Il fatto è che questo film ha un'architettura così grande che al tempo stesso ti sembra geniale se tutto torna (perchè i pezzi son tanti, molti di più dei 3 film precedenti) o traballantissimo se, al contrario, tutto non torna.
Anche se in realtà la sensazione è che ci troviamo davanti ad una via di mezzo per cui tutto torna sì (proverò a dare la mia "soluzione più tardi) ma che per far ciò Paulo usi tante e troppe furberie, tante situazioni, frasi e personaggi che tu li leggi in un modo ma poi lui ti dirà "dovevi leggerli in un altro".
E, a proposito di fastidio, finisci il film con la voglia di rivederlo, ma non quella voglia che hai quando hai visto un film ostico e bellissimo e vuoi rivederlo per capirlo meglio o, nel caso l'hai già capito, per "riviverlo" con altri occhi (ad esempio lo stesso Contrattempo ma anche film ben più importanti e con altri tipi di difficoltà, vedi tanti Lynch).
No, ti viene voglia di rivederlo perchè la prima visione è stata così confusa e con così tanti dubbi che ti senti non possa bastare.
E questo è un difetto.
Tutto questo preambolo in realtà non rende merito a un film bello, forse molto bello, e che consiglierei a qualsiasi amante del genere, questo voglio ribadirlo.
La detective Alice (nome che mi dà sempre un brividino) viene accompagnata da un uomo in una grande clinica per malattie mentali (un manicomio) dove poco tempo prima è morto un ragazzo, il figlio dell'uomo che l'ha accompagnata.
Suicidio o, come pensa Alice, omicidio?
Alice, per essere il più possibile "dentro" l'istituto, accetta di farsi ricoverare come finta paranoica.
Ma se fosse davvero malata?
Suicidio o, come pensa Alice, omicidio?
Alice, per essere il più possibile "dentro" l'istituto, accetta di farsi ricoverare come finta paranoica.
Ma se fosse davvero malata?
C'è da dire che il film è troppo lungo, due ore e mezza (peccato perchè fosse stato mezz'ora in meno l'avrei rivisto volentieri).
E' vero che, come dicevo, ha un'architettura così complessa e con talmente tanti incastri che di tempo per erigerli ne serviva parecchio ma, ecco, la sensazione che se fosse stato più asciutto ne avrebbe giovato è forte.
L'ambientazione (come sempre nei film nei manicomi) è super suggestiva (buffissimo che due giorni dopo ho visto Adoration di Du Weltz, anch'esso - anche se solo nel primo tempo- ambientato in un manicomio con un bosco a fianco), e la regia di Paulo sempre moderna e accattivante.
Forse però, al di là della sceneggiatura che, come in tutti i film di questo regista è l'architrave più importante, è il materiale umano, più ancora di location e regia, l'aspetto più "debordante".
Questo perchè QDIAS (scusate l'acronimo) è un film corale, con almeno 15 personaggi con parti più o meno grandi.
Sono distinguibili in 3 macrocategorie, ovvero i personaggi che riguardano Alice (lei, il marito e l'uomo che l'ha accompagnata), i medici e i pazienti (e, come se non bastasse, ci sarebbero anche 3/4 elementi della polizia).
E' indubbio che il gruppo più interessante sia quello dei pazienti.
Ecco, tra i malati le facce son davvero perfette e la caratterizzazione veramente marcata.
Forse così marcata che - come avviene spessissimo in film ambientati in manicomi - il confine tra il trovarsi davanti un personaggio riuscito o una macchietta è davvero labilissimo.
Il Gigante, il Nano, i due gemelli inquietanti (con quegli occhi così distanti tra loro), la loro "sorella", l'uomo idrofobo ma anche tanti altri personaggi minori come la donna albina (che a me ha emozionato) creano un fascinoso, ma anche esagerato, Circo Barnum per lo spettatore.
In realtà Paulo è bravo a rendere tutti abbastanza credibili e a non farci pensare che quel tale personaggio sia solo strumentale (anche nel caso lo fosse veramente).
In realtà Paulo è bravo a rendere tutti abbastanza credibili e a non farci pensare che quel tale personaggio sia solo strumentale (anche nel caso lo fosse veramente).
Interessanti anche i medici, su tutti l'ambiguo direttore Alvar, il vero e proprio personaggio chiave secondo me.
Indubbio però che buona parte del peso sia retto dalla sempre bravissima Barbara Lennie, attrice che ho sempre adorato (Magical Girl, Il Regno, Contrattempo) e che qui, pur bella, si mostra leggermente sfiorita per interpretare un personaggio equivoco, misterioso, a cui lo spettatore non riesce mai a dare un giudizio definitivo.