Si abusa - io per primo - dell'aggettivo "importante" quando si parla di alcuni film.
Eppure in questo caso è impossibile discostarsene, La zona d'interesse è un film troppo importante.
Perchè attraverso una storia e una regia pulite, geometriche e perfette - come pulita, geometrica e perfetta è la vita che vive la famiglia del gerarca nazista a fianco - appena un muro li divide - dall'orrore dei campi di Auschwitz - in realtà riesce a raccontare talmente tante cose e a suscitare talmente tante metafore e suggestioni da far quasi spavento.
E a raccontare l'oggi ancora più dello ieri.
Un film sull'indifferenza all'orrore, sull'alienazione, sul far finta di non sentire il brusio.
Brusio che, invece, per chi vuol sentire, è rimbombo e frastuono.
Eppure in questo caso è impossibile discostarsene, La zona d'interesse è un film troppo importante.
Perchè attraverso una storia e una regia pulite, geometriche e perfette - come pulita, geometrica e perfetta è la vita che vive la famiglia del gerarca nazista a fianco - appena un muro li divide - dall'orrore dei campi di Auschwitz - in realtà riesce a raccontare talmente tante cose e a suscitare talmente tante metafore e suggestioni da far quasi spavento.
E a raccontare l'oggi ancora più dello ieri.
Un film sull'indifferenza all'orrore, sull'alienazione, sul far finta di non sentire il brusio.
Brusio che, invece, per chi vuol sentire, è rimbombo e frastuono.
Ho pensato per quasi tutto il film che quello che stavamo vedendo fosse la Germania.
Ma non la Germania di allora ma quella di adesso, o meglio qualsiasi Germania esistita da dopo il 1945 a finchè questo mondo andrà ancora avanti.
La metafora era troppo forte.
La metafora era troppo forte.
Un muro a dividere due cose.
Nel film sono da una parte la villetta con immenso giardino del gerarca con famiglia e dall'altra il campo di sterminio di Auschwitz.
Nel film sono da una parte la villetta con immenso giardino del gerarca con famiglia e dall'altra il campo di sterminio di Auschwitz.
Nella mia metafora, invece, da una parte del muro c'è la Germania del presente e dall'altra il suo passato.
Perchè è così, qualsiasi cosa faccia questa nazione, qualsiasi cosa faccia un tedesco, da qualche parte della sua testa, al di là di un muro immaginario, c'è quello che questa nazione è stata in quegli anni.
Si divertono, stanno con la loro famiglia, fanno film, sono potenti, vivono in maniera normale ma quel muro c'è, loro lo sanno, e anche se hanno paura di arrampicarsi e vedere quello che c'è dall'altra parte, nel sovrappensiero l'altra parte c'è sempre.
Si divertono, stanno con la loro famiglia, fanno film, sono potenti, vivono in maniera normale ma quel muro c'è, loro lo sanno, e anche se hanno paura di arrampicarsi e vedere quello che c'è dall'altra parte, nel sovrappensiero l'altra parte c'è sempre.
Sempre.
E quel sovrappensiero nel film sono rumori, sono urla, sono colpi di pistola, sono pianti, sono carri armati che si muovono, sono forni che bruciano.
Qualcosa che è lì perennemente nella nostra testa ma che o per empietà o per indifferenza o per non impazzire proviamo a non percepire, a non sentire, a non farci caso.
Qualcosa che è lì perennemente nella nostra testa ma che o per empietà o per indifferenza o per non impazzire proviamo a non percepire, a non sentire, a non farci caso.
In questo senso bellissimo ripensare che anche l'altro grande film sull'Olocausto di questi nostri ultimi tempi, Il figlio di Saul, usava questa tecnica del "fuori campo", del non visibile.
Ma se lì l'orrore era nascosto nel fuori fuoco qua è proprio nascosto del tutto, coperto da un muro di cinta.
Poi ho pensato che questo discorso, alla fine, potevamo ampliarlo a qualsiasi nazione, a qualsiasi essere umano, perchè quel passato alla fine riguarda tutti noi, è una macchia che ha sporcato l'intero genere umano, e dare tutto il peso ai soli tedeschi è pura ipocrisia.
Ma se lì l'orrore era nascosto nel fuori fuoco qua è proprio nascosto del tutto, coperto da un muro di cinta.
Poi ho pensato che questo discorso, alla fine, potevamo ampliarlo a qualsiasi nazione, a qualsiasi essere umano, perchè quel passato alla fine riguarda tutti noi, è una macchia che ha sporcato l'intero genere umano, e dare tutto il peso ai soli tedeschi è pura ipocrisia.
Da questa parte del muro, quindi, ci siamo tutti noi e il nostro presente, dall'altra quel passato in qualche modo comune a tutti.
Un passato ben nascosto ai nostri occhi e ai nostri pensieri.
Un passato ben nascosto ai nostri occhi e ai nostri pensieri.
Ma a 5 metri da noi.
Poi, come se avessi avuto davanti delle matrioske e le stessi usando in modo contrario al consueto -ovvero dalla più piccola alla più grande - ho pensato che la metafora potesse diventare ancora più ampia, allargarsi ancora di più fino a diventare completamente esistenziale.
E che questo importantissimo film non racconti quindi il nostro rapporto con l'Olocausto, ma il nostro rapporto con qualsiasi atrocità cerchiamo di non vedere, non affrontare o dimenticare.
Poi, come se avessi avuto davanti delle matrioske e le stessi usando in modo contrario al consueto -ovvero dalla più piccola alla più grande - ho pensato che la metafora potesse diventare ancora più ampia, allargarsi ancora di più fino a diventare completamente esistenziale.
E che questo importantissimo film non racconti quindi il nostro rapporto con l'Olocausto, ma il nostro rapporto con qualsiasi atrocità cerchiamo di non vedere, non affrontare o dimenticare.
Da una parte, quella della villetta, ci siamo noi che ci raccontiamo di star bene, che il mondo sia bello, che le cazzate che facciamo ogni giorno siano importanti, noi che pensiamo quasi esclusivamente a noi stessi e chi ci sta vicino.
Dall'altra tutti gli orrori del mondo, le guerre, le atrocità, gli esseri umani che muoiono di fame, i bambini privati della loro infanzia e tutto quello che volete metterci.
Da un lato noi che, forse per non impazzire, cerchiamo di curare il nostro giardino, amare i nostri figli e accarezzare i nostri cani, limitare insomma il nostro interesse in quella sola nostra zona, appoggiandoci al titolo del film.
Dall'altra tutti gli orrori del mondo.
Alcuni di noi quel muro, in realtà, lo attraversano spesso, anzi, qualcuno decide addirittura di dedicare la propria vita al di là di quel muro.
Ma quasi tutti gli altri, un buon 90% - io in primis - preferiamo stare di qua.
Da un lato noi che, forse per non impazzire, cerchiamo di curare il nostro giardino, amare i nostri figli e accarezzare i nostri cani, limitare insomma il nostro interesse in quella sola nostra zona, appoggiandoci al titolo del film.
Dall'altra tutti gli orrori del mondo.
Alcuni di noi quel muro, in realtà, lo attraversano spesso, anzi, qualcuno decide addirittura di dedicare la propria vita al di là di quel muro.
Ma quasi tutti gli altri, un buon 90% - io in primis - preferiamo stare di qua.
Potremmo ancora aggiungere un quarto grado di lettura, ovvero immaginare che di là del muro ci sia la nostra parte oscura, e per nostra intendo proprio quella che ognuno di noi ha singolarmente di sè, i nostri traumi, le nostre zone oscure, i lati peggiori di noi, ma mi fermo qua.
Credo che questo film resterà nella piccola o grande storia del genere.
Non so nemmeno quanto sia bello - e bello lo è - ma come importanza e potenza ha pochi eguali.
Non so nemmeno quanto sia bello - e bello lo è - ma come importanza e potenza ha pochi eguali.
Forse, giocando con le parole, La Zona d'interesse è più bello per quello che rappresenta che per le cose che vengono rappresentate.
Ma non perchè pecchi nei significanti, assolutamente, ma perchè come significato è gigantesco e, per quanto mi riguarda, diventerà uno di quei film "esempio" ai quali ogni tanto riferirsi.
Si comincia con uno schermo nero di lunghissima durata, quasi un momento di riflessione e preparazione a quello che vedremo dopo.
Saranno addirittura 3 i momenti a "tinta unita" del film visto che oltre questo nero iniziala ne avremo uno di completo bianco - quasi accecante - e uno di completo rosso, tra l'altro, quest'ultimi due, di eccezionale intensità ed emozione per come arrivano.
Poi vediamo la famiglia in riva al lago, un luogo al contempo vicinissimo ma lontanissimo dall'orrore.
Se ci pensate già in questi primi 5 minuti capiremo quanto il sonoro in questo film - come raramente mi è capitato in vita di vedere - sia l'assoluto protagonista del film.
Perchè passiamo dal silenzio assoluto intervallato dal canto delle cicale (rumore di serenità per eccellenza) a quel quasi impercettibile ma disumano brusio che ci accompagnerà per tutto il resto del film.
Un brusio, come detto prima, che è crasi e compresenza di urla, pianti, spari, forni che bruciano.
Un brusio, termine italiano che indica una cosa lieve, che è invece un rimbombo, un frastuono - termine opposto - se solo lo si vuole ascoltare.
E rimbombo, frastuono, lo è di per certo per noi spettatori.
Ma per i protagonisti del film non esiste nemmeno il brusio - mai ne fanno menzione - ma la loro vita è identica a quella in riva al lago, una vita ideale, serena, pervasa dal silenzio, senza problemi, senza affanni, senza niente che turbi.
Si comincia con uno schermo nero di lunghissima durata, quasi un momento di riflessione e preparazione a quello che vedremo dopo.
Saranno addirittura 3 i momenti a "tinta unita" del film visto che oltre questo nero iniziala ne avremo uno di completo bianco - quasi accecante - e uno di completo rosso, tra l'altro, quest'ultimi due, di eccezionale intensità ed emozione per come arrivano.
Poi vediamo la famiglia in riva al lago, un luogo al contempo vicinissimo ma lontanissimo dall'orrore.
Se ci pensate già in questi primi 5 minuti capiremo quanto il sonoro in questo film - come raramente mi è capitato in vita di vedere - sia l'assoluto protagonista del film.
Perchè passiamo dal silenzio assoluto intervallato dal canto delle cicale (rumore di serenità per eccellenza) a quel quasi impercettibile ma disumano brusio che ci accompagnerà per tutto il resto del film.
Un brusio, come detto prima, che è crasi e compresenza di urla, pianti, spari, forni che bruciano.
Un brusio, termine italiano che indica una cosa lieve, che è invece un rimbombo, un frastuono - termine opposto - se solo lo si vuole ascoltare.
E rimbombo, frastuono, lo è di per certo per noi spettatori.
Ma per i protagonisti del film non esiste nemmeno il brusio - mai ne fanno menzione - ma la loro vita è identica a quella in riva al lago, una vita ideale, serena, pervasa dal silenzio, senza problemi, senza affanni, senza niente che turbi.
Non è un caso che l'unica persona che invece quel brusio lo sentirà e l'unica persona che vorrà anche vedere al di là del muro (in quella scena magnifica di forni brucianti di notte, alla finestra in camera) ossia la nonna.
Perchè viene da fuori.
Perchè non si è abituata, come tutti gli altri, all'indifferenza dell'orrore.
Forse un'altra metafora (in un film che è gigantesco proprio per questo, per come rende metaforica ogni minima azione ha dentro), ovvero quella di come "vivere" dentro l'orrore abbia assuefatto tutti, abbia reso tutto quello che accadeva in quei tempi in Germania una cosa normale, accettata o, nel caso peggiore, non presa in considerazione, ignorata.
E invece quella madre che arriva lì, come fosse qualcuno che entra nell'orrore da fuori senza esserci cresciuto a fianco giorno dopo giorno, quelle cose le sente.
E, benchè nazista (ricordiamo le prime cose che dice quando entra in casa) si rende conto, si rende perfettamente conto di tutto.
Perchè i suoi occhi e i suoi orecchi hanno voluto vedere e sentire, perchè erano occhi e orecchie vergini.
E andrà via, perchè è inevitabile a quel punto andare via.
Ma la sua lettera, di cui non conosciamo il contenuto (e io come al solito preferisco quando lo spettatore non può sapere) finirà in un forno.
Già, in un forno, dove per quella gente finiscono tutte le cose da eliminare, che li infastidiscono.
I forni di Auschwitz, il forno dove finisce la lettera, il forno di Hansel e Gretel, forni ovunque.
Perchè viene da fuori.
Perchè non si è abituata, come tutti gli altri, all'indifferenza dell'orrore.
Forse un'altra metafora (in un film che è gigantesco proprio per questo, per come rende metaforica ogni minima azione ha dentro), ovvero quella di come "vivere" dentro l'orrore abbia assuefatto tutti, abbia reso tutto quello che accadeva in quei tempi in Germania una cosa normale, accettata o, nel caso peggiore, non presa in considerazione, ignorata.
E invece quella madre che arriva lì, come fosse qualcuno che entra nell'orrore da fuori senza esserci cresciuto a fianco giorno dopo giorno, quelle cose le sente.
E, benchè nazista (ricordiamo le prime cose che dice quando entra in casa) si rende conto, si rende perfettamente conto di tutto.
Perchè i suoi occhi e i suoi orecchi hanno voluto vedere e sentire, perchè erano occhi e orecchie vergini.
E andrà via, perchè è inevitabile a quel punto andare via.
Ma la sua lettera, di cui non conosciamo il contenuto (e io come al solito preferisco quando lo spettatore non può sapere) finirà in un forno.
Già, in un forno, dove per quella gente finiscono tutte le cose da eliminare, che li infastidiscono.
I forni di Auschwitz, il forno dove finisce la lettera, il forno di Hansel e Gretel, forni ovunque.
Hansel e Gretel viene letta di notte.
E' una favola dove i buoni, i due bimbi tedeschi, uccidono in un forno i cattivi, la strega.
L'analogia è talmente evidente che è inutile sviscerarla.
E nasconde anche l'ipocrisia dei tedeschi, quel loro sentirsi puri, minacciati, come due bambini che devono eliminare degli esseri deformi e cattivi.
Ma mentre quel padre abietto legge alla propria figlia la favola di notte un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro.
Le immagini sono in negativo (o termiche, non so), di eccezionale bellezza e suggestione (al confine con i disegni).
E nasconde anche l'ipocrisia dei tedeschi, quel loro sentirsi puri, minacciati, come due bambini che devono eliminare degli esseri deformi e cattivi.
Ma mentre quel padre abietto legge alla propria figlia la favola di notte un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro.
Le immagini sono in negativo (o termiche, non so), di eccezionale bellezza e suggestione (al confine con i disegni).
E anche qui abbiamo probabilmente l'ennesima metafora, ovvero di come l'unico gesto umano del film sia visto "in negativo", al buio, come se il mondo normale, lucente e sereno, fosse quello crudele e immorale della famiglia tedesca e, in questo quadro, coerentemente, il mondo invece come dovrebbe essere, quello della solidarietà e dell'umanità, sia buio e in negativo (che dà il senso dell' "opposto").
Bambina che poi, come un dono caduto dal cielo in attesa che qualcuno lo trovi e ne faccia l'uso migliore, troverà un piccolo scrigno con dentro uno spartito.
E suonerà quella musica, in quelli che sono gli unici momenti in cui il film cerca di esprimere speranza.
Speranza ammaccata e straziata, ma speranza.
I personaggi del comandante nazista e di sua moglie sono radicali, eccezionali in questo (ho amato molto come vengono descritti, senza nessun grigio, senza dubbi, senza rimorsi, senza mai consapevolezza).
La vita da sogno che hanno costruito a 2 metri dall'orrore è veramente "assoluta", senza il minimo pensiero a quello che sta accadendo di là.
Anzi, non a quello che sta accadendo (perchè "accadere" è verbo che molto spesso presuppone qualcosa al di fuori di noi) ma a quello che volutamente e scientificamente sta proprio facendo Hess (la scena dove spiegano il funzionamento dei forni in maniera così fredda e industriale, chiamando "carico" i deportati, è tremenda).
Non solo fanno finta di non sentire quei rumori, non solo non provano la minima empatia per chi sta morendo di là (anzi, Hess cerca sempre metodi migliori per sterminare) ma la loro indifferenza e completa ipocrisia la notiamo in tanti piccoli dialoghi.
Come quel "i riscaldamenti funzionano male, d'inverno fa molto freddo" detto da lei.
Pensare al proprio innocuo e temperato freddo mentre a 5 metri da loro passano gli inverni a temperature sotto lo zero, quasi nudi.
Sono frasi impercettibili che dimostrano quanto, semplicemente, quello che vivono gli ebrei non esiste, non è nemmeno preso in considerazione.
O quel pulirsi dopo il bagno nel lago dove finiscono cenere e ossa di gente bruciata, ceneri e ossa che vengono viste come un fastidio malgrado siano proprio loro, e Hess in primis, ad averle causate.
Pazzesco.
O quel chiamare il proprio giardino "Paradiso", a due metri dall'Inferno e concimare le proprie piante e i propri fiori con i resti degli ebrei (altra metafora? il lavoro che stiamo facendo rende più belle e divertenti le nostre vite, vedi anche i denti d'oro con cui giocare e i nuovi bellissimi vestiti da indossare).
O sperare che le viti crescano per "coprire la vista".
O preoccuparsi di un cespuglio di lilla calpestato.
Sono proprio menti che vivono in un loro mondo in cui l'altro mondo non esiste, non è contemplato, non può essere nemmeno oggetto di orribile paragone con loro.
No, non esiste, e le poche volte che entra dentro il loro mondo fatato, come una cenere, è solo un fastidio.
I personaggi del comandante nazista e di sua moglie sono radicali, eccezionali in questo (ho amato molto come vengono descritti, senza nessun grigio, senza dubbi, senza rimorsi, senza mai consapevolezza).
La vita da sogno che hanno costruito a 2 metri dall'orrore è veramente "assoluta", senza il minimo pensiero a quello che sta accadendo di là.
Anzi, non a quello che sta accadendo (perchè "accadere" è verbo che molto spesso presuppone qualcosa al di fuori di noi) ma a quello che volutamente e scientificamente sta proprio facendo Hess (la scena dove spiegano il funzionamento dei forni in maniera così fredda e industriale, chiamando "carico" i deportati, è tremenda).
Non solo fanno finta di non sentire quei rumori, non solo non provano la minima empatia per chi sta morendo di là (anzi, Hess cerca sempre metodi migliori per sterminare) ma la loro indifferenza e completa ipocrisia la notiamo in tanti piccoli dialoghi.
Come quel "i riscaldamenti funzionano male, d'inverno fa molto freddo" detto da lei.
Pensare al proprio innocuo e temperato freddo mentre a 5 metri da loro passano gli inverni a temperature sotto lo zero, quasi nudi.
Sono frasi impercettibili che dimostrano quanto, semplicemente, quello che vivono gli ebrei non esiste, non è nemmeno preso in considerazione.
O quel pulirsi dopo il bagno nel lago dove finiscono cenere e ossa di gente bruciata, ceneri e ossa che vengono viste come un fastidio malgrado siano proprio loro, e Hess in primis, ad averle causate.
Pazzesco.
O quel chiamare il proprio giardino "Paradiso", a due metri dall'Inferno e concimare le proprie piante e i propri fiori con i resti degli ebrei (altra metafora? il lavoro che stiamo facendo rende più belle e divertenti le nostre vite, vedi anche i denti d'oro con cui giocare e i nuovi bellissimi vestiti da indossare).
O sperare che le viti crescano per "coprire la vista".
O preoccuparsi di un cespuglio di lilla calpestato.
Sono proprio menti che vivono in un loro mondo in cui l'altro mondo non esiste, non è contemplato, non può essere nemmeno oggetto di orribile paragone con loro.
No, non esiste, e le poche volte che entra dentro il loro mondo fatato, come una cenere, è solo un fastidio.
Tutto radicale, empio, freddo in una maniera glaciale.
Tutto nero senza alcuna sfumatura.
Anzi, tutto bianco come un perfetto abito bianco.
Anzi, tutto bianco come un perfetto abito bianco.
L'unica scena - madonna che bella, geniale - che secondo me ha la forza di far intravedere una zona oscura nel cervello di quegli esseri umani senz'anima, e per zona oscura intendo un loro "segreto", una specie di fascinazione per l'ebreo che loro non vogliono far vedere) è quella appena sussurrata, accennata, ma potentissima, del probabile sesso con una deportata e del poi andarsi a lavare.
Per andarsi a lavare Hess attraversa un lungo tunnel buio (avrebbe tranquillamente potuto lavarsi al bagno di casa no?) che lo porta in un luogo sporco, decadente, malmesso e oscuro.
Come fosse un luogo della sua mente dove esercitare le proprie perversioni, quelle indicibili.
Ma, anche in questo luogo oscuro e nascosto agli altri Hess si lava, come a dirsi "che schifo, ho fatto sesso con un ebrea".
Eppure il sesso l'ha fatto.
Mi sembra la metafora più bella, come quegli omofobi che in realtà sono - più o meno latentemente - omosessuali, e che fuori sono in un modo ma poi dentro di sè, all'oscuro da tutti, hanno la tendenza opposta.
E che però son così ipocriti che anche nella loro vera natura, quella natura che fanno tanto finta di ripudiare, anche in quella zona buia, comunque "si lavano", come a pulirsi la coscienza, come a dire a sè stessi "no, non sono questo, io odio i gay"
Io odio gli ebrei.
Per andarsi a lavare Hess attraversa un lungo tunnel buio (avrebbe tranquillamente potuto lavarsi al bagno di casa no?) che lo porta in un luogo sporco, decadente, malmesso e oscuro.
Come fosse un luogo della sua mente dove esercitare le proprie perversioni, quelle indicibili.
Ma, anche in questo luogo oscuro e nascosto agli altri Hess si lava, come a dirsi "che schifo, ho fatto sesso con un ebrea".
Eppure il sesso l'ha fatto.
Mi sembra la metafora più bella, come quegli omofobi che in realtà sono - più o meno latentemente - omosessuali, e che fuori sono in un modo ma poi dentro di sè, all'oscuro da tutti, hanno la tendenza opposta.
E che però son così ipocriti che anche nella loro vera natura, quella natura che fanno tanto finta di ripudiare, anche in quella zona buia, comunque "si lavano", come a pulirsi la coscienza, come a dire a sè stessi "no, non sono questo, io odio i gay"
Io odio gli ebrei.
E in questo film al tempo stesso così glaciale anche stilisticamente, con tante inquadrature ferme e location perfettamente pulite, ineccepibili, geometriche, in cui nulla è mai caos, nessun dialogo, nessuna azione, nessun oggetto, nessuna emozione, forse l'unico caos è quel fumo che esce dalle ciminiere, unica presenza informe e difforme - e scura, e nera - che contrasta il candore di colori e cose.
E' per questo contesto e questa cifra stilistica che considero ancora più potente e bello che si possano ravvedere così tante metafore, come se più ti pulisco le cose, meno le rendo complesse, più rendo complessa la loro interpretazione.
Penso anche a quel bimbo tedesco che gioca coi dadi, e si dispera per un numero sbagliato (giocare con i dadi è giocare con le vite degli altri).
O all'immenso finale.
Se devo dir la verità tutta la parte con Hess fuori da Auschwitz la trovo molto più debole, ed è sempre un peccato quando la seconda parte è più debole della prima (molto meglio il contrario).
Restano però due cose, e valgono il prezzo della parte.
Una è lui che immagina di gasare i suoi stessi compagni, in quell'immenso salone di gala.
Come se ormai il suo "lavoro", la sua missione sia così radicale e lui sia così onnipotente nel farla che potrebbe farla con chiunque.
E poi il finale, con il suo corpo che cede, con il vomito che arriva.
E lui che si ferma e guarda verso di noi.
E l'azione si sposta ai giorni nostri.
E per la prima volta vediamo gli effetti di quello che accadeva di là dal muro.
E lui che si ferma e guarda verso di noi.
E l'azione si sposta ai giorni nostri.
E per la prima volta vediamo gli effetti di quello che accadeva di là dal muro.
Vestiti, scarpe, oggetti di tutte le persone che quegli anni furono uccise in nome di un ideale senza alcun senso.
E' un museo dove alcune ragazze, in modo sereno, annoiato e spensierato, stanno pulendo.
Compresi quei forni che abbiamo "sentito" per tutto il film senza mai esserci andati dentro.
Adesso sì, adesso siamo là dentro, quando tutto è finito da anni e anni.
E' talmente potente questo finale che, in un film con dentro una decina di metafore, qui ne ho immaginate addirittura due.
La prima è l'indifferenza che ancora esiste nei confronti di questo abominio.
Con queste ragazze che puliscono come fosse una normale camera d'albergo.
La seconda è il tentativo, attraverso quelle pulizie, di pulire la propria coscienza, di cercare di cancellare quello che si è fatto.
Quello che la Germania cerca di fare da sempre (e si merita anche di farlo, la colpa dei padri non può riflettersi sui figli).
Pulire, pulire, pulire.
Ma è tutto un effetto placebo, il ricordo resta, anzi, pulendolo lo rendi ancora più lucente.
E' un museo dove alcune ragazze, in modo sereno, annoiato e spensierato, stanno pulendo.
Compresi quei forni che abbiamo "sentito" per tutto il film senza mai esserci andati dentro.
Adesso sì, adesso siamo là dentro, quando tutto è finito da anni e anni.
E' talmente potente questo finale che, in un film con dentro una decina di metafore, qui ne ho immaginate addirittura due.
La prima è l'indifferenza che ancora esiste nei confronti di questo abominio.
Con queste ragazze che puliscono come fosse una normale camera d'albergo.
La seconda è il tentativo, attraverso quelle pulizie, di pulire la propria coscienza, di cercare di cancellare quello che si è fatto.
Quello che la Germania cerca di fare da sempre (e si merita anche di farlo, la colpa dei padri non può riflettersi sui figli).
Pulire, pulire, pulire.
Ma è tutto un effetto placebo, il ricordo resta, anzi, pulendolo lo rendi ancora più lucente.
E questo criminale in quelle scale, fermandosi, sembra vedere tutto questo.
Sembra vedere quello che sta facendo.
Sembra vedere il futuro, un futuro dove, a bocce ferme, potrà finalmente guardare il passato.
E come nel finale di quell'eccezionale film che fu The Act of Killing, il suo corpo sembra non reggere a quell'orrore, a quella consapevolezza.
La sua mente è ancora malata, indifferente.
Ma il suo corpo parla per lui.
E guardando la macchina da presa, finalmente, vede.
Un uomo che non aveva mai nemmeno sentito adesso vede.
Ma è troppo tardi vedere adesso.
E' troppo tardi.
E' troppo tardi.