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25.10.22

ToHorror 2022 (3/3) - Recensioni: "Mandrake" - "Il Cameraman e l'Assassino", "Polaris" e "A Wounded Fawn"

La mia ultima giornata al ToHorror 2022 (terza per me delle 6 totali, di cui solo 4 con film in concorso) è buona, come media direi ai livelli della prima.
Un buonissimo film, Mandrake, ambientato in Irlanda del Nord, che racconta di streghe, bambini, omicidi, mamme incapaci di esser tali, amore e disamore.
Un buon film, Polaris, ambientato nel 2144 in una Terra, come in Snowpiercer, ormai rimasta solo neve e ghiaccio. La storia di una bambina e di qualcosa che deve raggiungere, probabilmente molto simbolico.
Poi un film bruttino, una specie di revenge movie in cui la prima parte, quella del serial killer che deve uccidere la ragazza, è completamente realista, mentre la seconda, tutta metaforica, simbolica e giocata su effetti visivi, è davvero debole e retorica.
Ma il mio ToHorror si conclude ottimamente con Il Cameraman e l'Assassino, film che volevo vedere da 20 anni e che sì, merita la fama che si porta dietro.
Divertente, assurdo, anarchico, a suo modo inquietante.
Una troupe segue un serial killer nelle sue gesta. 
Da recuperare subito


 

L'Irlanda - e gli irlandesi con essa - è uno di quei luoghi che, come la giri la giri, sono già cinema.
In realtà, nel caso di Mandrake, ci troviamo in Irlanda del Nord, terra che, a differenza della sorella a sud, viene vista sempre in modo diverso da noi europei.
Come l'Eire è sinonimo di terre verdi sconfinate, paesaggi mozzafiato e piccole città caratteristiche quella del Nord, invece, forse per una personificazione con la sua capitale Belfast, ci sembra una terra grigia e operaia piena di uomini grigi e operai.
Chissà dove sta la verità.
In ogni caso quando sento parlare di "horror irlandese" vado sempre in fibrillazione (al volo ripenso a The Canal e A Dark Song ma ce ne sono sicuramente tanti altri).
E Mandrake mantiene sicuramente alto il livello.
Siamo all'ennesimo film sulle streghe (evidenti, anche poi confermati dalla stessa regista, i rimandi a The Witch, Hereditary e altri film sul filone) ma per ambientazione e svolgimento del plot Mandrake ha una sua assoluta originalità.
E' la storia di Bloody Mary (così viene chiamata), una donna che nel passato uccise in maniera brutale il marito e adesso è appena tornata - in libertà vigilata - dalla prigione. Vive in una casa fatiscente in cima al bosco e vuoi per questo, vuoi per l'omicidio del passato, vuoi per le leggende del luogo, Mary è considerata una strega.
Un giorno, lo stesso giorno che la donna è uscita di prigione e tornata a casa, spariscono nel bosco due bambini. Fare 2 + 2 per gli abitanti del luogo è immediato...
Film benissimo girato, ancora meglio interpretato e che ha la sua forza nell'ambientazione (la piccolissima comunità, il bosco, la casa della "strega") e nel saper sapientemente fondere insieme l'elemento horror (con nemmeno troppe derive paranormali) e una componente molto più intima e delicata, ovvero la maternità (che possiamo tranquillamente individuare come tematica principale del film).
In questa storia di donne e streghe si parla quindi di amore verso i propri figli, di disamore verso gli stessi, di disagio nell'esser madri, di voglia di esserlo di nuovo, di invidie e gelosie femminili. Quasi tutto è poggiato sulle spalle delle due protagoniste, la strega Mary e l'assistente sociale Cathy, donna probabilmente incapace di amare il proprio figlio ma, forse, altrettanto desiderosa di averne un altro (e qui gioca l'ambiguo, splendido e tronco finale).
Il film è molto particolare anche nel NON sorprendere. Tutti pensano che le tragedie che stanno accadendo siano colpa di Mary e, incredibile, proprio di Mary sono colpa. Di solito in sceneggiature del genere la figura della strega (falsa o vera che sia) viene sempre inquadrata come quella della donna innocente accusata di cose terribili. Qui no, qui Mary è veramente il mostro, la colpevole, anche se resta un personaggio complesso con il quale è possibile provare pure una certa empatia.
Bello il costume da Diavolo del figlio, belle molte sequenze nei boschi o nella casa, affascinante la sequenza della mandragora (che dà titolo al film). Curiosamente questo che è sulla carta uno dei film più "sovrannaturali" del festival ha in questa scena l'unico elemento trascendentale (mentre quasi tutti gli altri film paiono realistici per poi virare nel soprannaturale).
Un gran bel film, forse sul mio podio del festival (tra quelli in concorso)

7


30 anni fa uscì un minuscolo film, realizzato con pochissimo, che in qualche modo entrerà poi nella piccola storia del genere.
Curioso caso vuole che il titolo originale francese, quello internazionale e quello italiano non c'entrino niente l'uno con l'altro (caso più unico che raro credo).
Quel film è - almeno qui da noi - Il Cameraman e l'Assassino e io finalmente sono riuscito a vederlo.
Dico subito che il suo "mito" e il fatto che 30 anni ancora se ne parli a mio parere ha assolutamente senso.
Ci troviamo infatti davanti ad un film che, visto adesso, ci appare straordinario per l'epoca. Geniale, originale, pazzo, anticipatore dei tempi.

La trama si può riassumere in una riga.
Una troupe decide di seguire un serial killer.
Punto.
Il film è ironico, a tratti comicissimo, altri violento, altri surreale. Per almeno mezz'ora si fa fatica a respirare tanto alto il ritmo e tante le trovate.
Un Benoit Poelvoorde al debutto, nemmeno professionista al tempo (se ho capito bene tutta la troupe e gli attori erano amici reali di vita) ci regala un'interpretazione straordinaria, prendendo il film tutto su di sè (e da lì partirà una lunghissima ed esaltante carriera per lui).
Il suo Benoit (il personaggio si chiama come lui) è irresistibile, istrionico, folle.
Un uomo razzista, misantropo, anarchico, a cui ogni tanto parte la capoccia e ammazza gente senza quasi un perchè (all'inizio erano i soldi il motivo ma poi la sua pazzia lo porta ad omicidi del tutto gratuiti).
La troupe lo segue e lui spiega loro i trucchi del mestiere (ad esempio nel folgorante incipit sulla zavorra da mettere in un corpo morto per farlo affondare nell'acqua), si lascia seguire negli omicidi e, nel frattempo, disserta di tutto, dall'immigrazione all'accoppiamento degli uccelli, dalle case popolari agli omosessuali.
Non sappiamo perchè quella troupe lo segua, non c'è un prima.
E il montaggio, specie nel primo tempo, è straordinario nell'alternare momenti di vita normale di Benoit con velocissimi estratti dei suoi omicidi.
Tante le scene da ricordare, come la vecchia fatta morire per infarto, come la splendida e lunga sequenza della fabbrica (la regia, tutta camera a mano, è di altissimo livello), come l'omicidio del "nero che non si vede di notte" o il massacro famigliare con quel bambino prima perso e poi riacciuffato (e l'anarchia e follia di questo film e del suo personaggio principale la vedi specie qua, con questa scena di omicidio di un bambino che viene mostrata e raccontata come niente fosse, con serenità e divertimento).

22.10.22

ToHorror 2022 (2/3)- Recensioni: "Terrifier 2", "All jacked up and full of worms", "Devil's Resident" e "Landlocked"

 Dopo la buonissima (mia) prima giornata al ToHorror 2022 arriva purtroppo una seconda molto molto inferiore (ma è anche vero che ieri in una sala c'era la giornata di un importante ospite speciale quindi nell'altra hanno messo i film più deboli).
Per fortuna poi la sera è arrivato Terrifier 2 e quando c'è Art il Clown niente può andare storto.
Prima di Terrifier avevamo visto un intimo e interessante film a metà strada tra finzione e documentario su un ragazzo che torna nella casa di famiglia e, attraverso una telecamerina "magica", riesce a riprendere i ricordi del passato.
Poi un pastrocchio giapponese senza capo nè coda su 3 youtuber che vanno a visitare una casa - si dice - stregata e per terzo un film tremendo pieno di vermi (non riesco a ricordami altro).
Però, come dicevo, la giornata si è chiusa con Terrifier 2..
E la minisaga Terrifier, c'è poco da dire, è quanto di meglio si possa trovare nello splatter odierno.
E Art è Art, stop





Art salva la mia seconda giornata al ToHorror 2022.
Sala piena, nemmeno un posto libero, cosa credo mai successa per un film del ToHorror che non fosse di apertura (anche se questo bel festival ha sempre più gente, e se lo merita).
Evidentemente questi anni Art il Clown ha fatto in tempo a trovare sempre più persone che lo amano.
Che dire, difficilmente in questi tempi si può trovare uno splatter migliore, specie considerando come ogni effetto sia assolutamente vecchio stampo, con i cari effetti speciali.
Art è un villain incredibile, privo di empatia, sornione, istrione, con un senso macabramente ironico unico. Il suo volto fa paura e al tempo stesso ogni cosa che fa ti diverte.
I suoi omicidi sono tremendi, terribili, senza pietà.
E Terrifier 2, come già fece il primo capitolo, è un gran guignol di amputazioni, teste fracassate, altre decollate, occhi che schizzano, cuori presi in mano, oggetti che si infilano in qualsiasi parte del corpo.
Ma c'è una novità, Terrifier 2 vuole essere anche un film, contenere una storia (il capostipite no, zero, era solo Art che ammazzava) e per questo infatti ha una durata doppia.
E la sceneggiatura, in qualche modo, funziona, con una protagonista principale bella e brava e con la quale - mai lo avrei detto in questa saga - vai addirittura in empatia (ma la novità è che io st'empatia per le vittime di questo secondo capitolo l'ho provata più volte).
Dirò di più, la parte "normale" del film, quella fuori dallo splatter e dalla violenza, è addirittura un 3/4 dello stesso.
In effetti il film è troppo lungo ma si guarda alla grande fino alla fine e, anche se so sia brutto dirlo, mi è sembrato più corto dei 3 precedenti film da 80 minuti visti nel pomeriggio (questo invece è di 140).
Il problema di Terrifier 2 semmai - e per me fonte di delusione - è quello che palesemente si trasforma in qualcosa di soprannaturale. Certo, la "resurrezione" del primo capitolo (che già mi fece storcere il naso) era un indizio ma ora abbiamo la conferma che no, ahimè, la saga di Terrifier ha componenti trascendentali (e non mi riferisco solo all'immortalità di Art ma a tutto il finale, quasi marveliano).
Per quanto mi riguarda questo incredibile killer funzionava molto di più restando in una dimensione solo umana, ma non si può aver tutto.
Però che bello, che belli gli omicidi (alcune volte talmente devastanti da distogliere lo sguardo), che belle le faccine che fa Art, che bella l'aggiunta della bambina "artiana" (anche lei avrei preferito fosse solo reale però).
Art nella lavanderia, il massacro a colpi di mitra nel set pubblicitario, la scena del negozio di costumi con Art che si prova gli occhialini, l'omicidio devastante della ragazza in camera, le caramelle di Halloween dentro la testa, tutta la parte finale nella casa dei brividi del Luna Park.
Ci si diverte, tanto.
E si fanno in tempo ad apprezzare personaggi per niente abbozzati, ma veramente buoni come lei, Sienna, il fratellino e la madre.
Ci sono lungaggini, c'è il paranormale che stona, ci sono errori (Sienna lorda di sangue buttata giù e la ritroviamo pulita) e un finale post titoli per me evitabile (bello eh, ma uno scarto ancora maggiore dal realistico).
E poi il film è ben girato, gli attori ottimi, gli effetti i migliori sul mercato.
E poi stigrancazzi, c'è Art.
Non serve altro

7.5 (8.5 nel solo genere splatter)




Come seconda parte del titolo dice (Full of worms) questo film è pieno di vermi.
Ed è vero, è pieno di vermi

4


DEVIL'S RESIDENT

Ogni edizione ci deve essere un pastrocchio e Devil's Resident è sicuramente il pastrocchio dell'edizione 2022.
Un film assolutamente senza capo nè coda che mischia insieme in maniera terribilmente confusa e senza un minimo filo logico fantasmi, omicidi, youtuber, spiritismo.
E' la storia di 3 youtuber che per fare views vengono mandate dal loro manager in un complesso di case che, si dice, siano stregate (nell'incipit, anzi, nel doppio incipit, abbiamo visto che ci fu un omicidio e che ci siano delle presenze rimaste in casa successivamente).
Vanno lì, devono filmare cose, conoscono un ragazzo che abita lì e poi boh.
Una serie di cose buttate là, mai o mal sviluppate. Il "sensitivo" che non si fa che fine faccia, ste ragazze che non si sa alla fine che cosa fanno lì, sto ragazzo che segue le orme del nonno ma non si capisce quali orme (far tornare in vita l'anima della nonna? ma che cazzo ne so), jumpscares mille volte visti e rivisti uno peggio dell'altro, 3-4 sequenze disastrose e lunghissime (tipo quella della "ragazza Joker", senza alcun senso), il giochino del dente mangiato che ha fatto anche ridere la sala, boh. mentre a me sto film ha irritato per tutta la durata.
Giusto un buon momento quando una delle protagonista vede l'uomo all'angolo della strada o con la faccenda della foto che cambia in base a quello che succede.
Non parliamo poi delle grossolane e fastidiose scene splatter finali.
O della colonna sonora terribile, la più assurda che io abbia mai sentito in un horror.
Magari Devil's Resident può piacere a chi ama qualsiasi cosa esca dal Giappone.
Ma chi cerca un minimo di qualità ne stia lontanissimo

5



Mason torna nella casa d'infanzia perchè questa - come ultime volontà del padre - sta per essere abbattuta. Sono gli ultimi giorni per rivivere i ricordi di un tempo, prendere le ultime cose e salutare poi per sempre un pezzo della propria vita.
Succede una cosa però, ovvero che Mason - usando la vecchia telecamera del padre - si accorge che questa riprende ancora adesso, ma non il mondo del qui e ora, ma proprio i ricordi del passato.
La punti nel giardino e vedrai i ricordi di quando giocavi in quel giardino, la punti davanti al caminetto e rivivrai scene di quello spazio.
Poi, però, iniziano a materializzarsi presenze sempre più inquietanti.
Landlocked è un film minuscolo, forse innocuo, forse nemmeno del tutto riuscito ma che ha la forza e la dignità di essere un'opera intima, partecipata, personale e malinconica.
Le immagini che vediamo del passato sono reali vhs di ricordi della famiglia del regista.
Gli stessi attori sono veramente tutti fratelli.
Un film quindi profondamente personale che ha cercato - riuscendoci a metà - di trasformare in arte qualcosa di privato.
L'operazione è interessante, la trovata per mischiare la fiction (l'oggi) e il documentario (lo ieri) davvero bella, con questa telecamera che mostra solo ricordi.
Eppure il film non riesce mai a spiccare il volo ma anche con poco, anzi, pochissimo, a farsi confusionario (chi è quella presenza che sembra bruciata? il padre? ma se ce lo mostrano morto nel letto di un ospedale di infarto. E quel finale cosa significa? Forse che la famiglia alla fine è tutta lì, in quella casa ,a vivere dei propri ricordi e quando la casa sarà demolita tutto finirà. E quella bambina che vediamo per un secondo? Forse è la vecchia inquilina ma resta qualcosa di mal sviluppato).
C'è poi un errore madornale, ovvero presentarci un ragazzo che per giorni e giorni vive in quella casa abbandonata senza mangiare e bere nemmeno una sola volta.
Resta un film semplice al quale, alla fine, vuoi anche bene perchè racconta di fratelli (reali poi), padri morti e ricordi.
Qualcosa che conosco

6

21.10.22

ToHorror 2022 (1/3) - Recensioni: "Megalomaniac", "Saloum" e "Sick of myself"

 La mia prima giornata al ToHorror 2022 è una buona giornata.
Tre film, due buoni e uno buonissimo.
Una cosa li lega però, la sensazione che avrebbero potuto essere ancora migliori (tutti e 3 perdono potenza per colpa di cose aggiunte o ridondanti).
C'è un film senegalese di contrabbandieri, abusi, spiriti e pistolettate davvero benissimo girato e ancora meglio interpretato.
C'è un film norvegese, tragicommedia molto inquietante a livello psicologico, su una coppia di due narcisi di tale livello che per superarsi l'un l'altro (ognuno dei due vuole essere più famoso del compagno) vede lei deturparsi in maniera mostruosa il viso pur di avere attenzioni ed essere compatita.
E poi forse il film più bello e riuscito, malato, violento, visivamente bellissimo e psicologicamente malsano, Megalomaniac.
La storia (inventata) dei due figli del Macellaio di Mons (lui vero), serial killer belga degli anni 80 e 90.
Lui seguirà le orme del padre, lei sarà una ragazza vessata e umiliata di continuo, fortemente disturbata, che alla fine avrà la sua vendetta.
Un gioiello, probabilmente, leggermente appesantito da sequenze oniriche assolutamente superflue.
In ogni caso una prima giornata più che buona



Partiamo dall'ultimo film visto in ordine cronologico ma, per me, il più bello (anche se, come per gli altri due, condivide la possibilità che avrebbe potuto essere anche migliore).
Siamo in Belgio.
Tra gli anni 80 e 90 (tutto realmente accaduto) c'è stato un serial killer chiamato il Macellaio di Mons, mai catturato. Molte donne uccise, tutte fatte a pezzi e gettate in sacchi della spazzatura ai bordi della strada.
25 anni dopo il mostro sembra tornato. In realtà, e noi spettatori lo sappiamo sin da subito, si tratta di suo figlio. Figlio che condivide la tetra casa con una sorella disturbata, nata presumibilmente, come incipit racconta, dal ventre di una delle vittime del padre.
Megalomaniac (titolo secondo me brutto e che rimanda a horror spazzatura) è una di quelle opere malsane, perverse, violentissime e cupe.
Una storia davvero malata e che, sarà per la cornice famigliare di fratello e sorella, mi ha ricordato a tratti un altro film visto proprio al ToHorror, il gioiello Tous le dieux du ciel.
Megalomaniac è un ritorno al cinema sporco e disagiante degli anni 80 e 90, quello dei personaggi privi di empatia, violenti, degradati come i luoghi che vivono.
Un film girato benissimo, con due attori principali straordinari e che ha il merito di fondere perfettamente due storie parallele, ovvero quella del figlio che ricalca le orme del padre (in questo senso davvero suggestiva quell'immagine iniziale del padre che tipo Angelo della Morte arriva a terra e ispira quello che, credo, sarà il primo omicidio del figlio) e quella della sorella, una ragazza completamente disturbata (e come può non esserlo una nata in quelle condizioni e poi vissuta con quel padre e quel fratello?), vessata al lavoro, umiliata, senza una sola conoscenza (tanto che parla anche con le torte che mangia) e completamente scollegata alla realtà (è talmente tanto il dolore, la solitudine e il disagio che soffre di una specie di schizofrenia "salvifica").
Ecco, in realtà, e qui secondo me Megalomaniac cala e perde punti, c'è anche un terzo "mondo" intersecato agli altri due, ed è quello ultraterreno (o comunque frutto di visioni). Quei bambini e uomini completamente neri, quell'ammasso di materiale anch'esso nero in soffitta, tutte queste aggiunte orrorifiche oltre a legarsi male col resto del film, oltre ad essere di difficile significato (forse metaforico) aggiungono una non necessaria cornice paranormale e puramente horror ad un film che horror, e anche parecchio, lo sarebbe stato comunque restando nel mondo realistico.
Le scene di violenza sono straordinarie (con 3/4 omicidi impressionanti per crudeltà, efferatezza e anche empatia per le vittime), la scelta della ragazza rapita a casa è perfetta sia visivamente che narrativamente (Martha, la sorella, ha finalmente qualcuno con cui parlare e a cui badare), i personaggi secondari sono inquietanti e perfettamente riusciti (i due colleghi arrivi proprio ad odiarli).
Tutto poi realizzato con una regia di grande talento, una fotografia perfetta e cupa e delle ambientazioni tutte fonti di grande disagio.
Restano impressi l'incipit alla Martyrs (incipit che tornerà poi verso la fine del film scena completa), i sopracitati omicidi, la scena dello stupro, quella della torta, lei che imbocca lei simulando affogamenti da fellatio (e pensare che quella ragazza li ha veramente subiti rende la scena molto forte ed empatica), tutta la scena magistrale della cena, vero cinema di tensione.
Un film bello, bellissimo, che viene appesantito e peggiorato da tanti inserti onirici (qualcuno ottimo ma troppi e troppo difficili da capire).
In ogni caso, nel suo genere, una perla

7.5 / 8 -


Il primo film visto viene da una nazione, anzi, da un continente, praticamente sconosciuto a livello cinematografico in Italia, il Senegal.
Questi festival sono sempre occasione per vedere film di tutte le cinematografie, anche le più impensabili.
E' la storia di tre mercenari che finiscono (volutamente) in una specie di villaggio-comune al di là del fiume, un luogo che ospita persone in cambio di piccole aiuti nella gestione giornaliera dello stesso villaggio.
La scusa è trovare carburante e resina (per il loro aereo, danneggiato) ma in realtà il capo dei mercenari vuol tornare in quel luogo perchè, nella sua infanzia, successe qualcosa di molto brutto...
Saloum è un film inaspettatamente girato benissimo (e qui c'è una sorta di pregiudizio mio nel pensare che un film senegalese non potesse essere così ben girato), che ha dei protagonisti con dei visi perfetti, che ha un'ambientazione eccezionale (dai, vedere "horror" ambientati in Africa è sempre bellissimo le poche volte che succede) e che per buona parte della sua durata tiene lo spettatore davvero in tensione e super curioso di quello che potrà accadere.
Ma, come successo per Megalomaniac, anche qui stesso problema, film perfetto finchè rimane nel realistico (seppur evocativo) che poi perde molto quando la componente trascendentale viene fuori.
Intendiamoci, quegli spiriti che sembrano uno sciame di mosche con le corna ma, in realtà, hanno fisicità come gli esseri umani (infatti possono essere uccisi facilmente) son belli e funzionano. Ma quando il film diventa soltanto uno scampare da essi, quasi una via di mezzo tra uno stealth e un western, il film cala.
Molto meglio prima, quando lo spettatore non sa nulla, quando il film può diventare continuamente più cose. 
Ed ottima la scelta della ragazza sordomuta perchè proprio quelle con il linguaggio dei segni sono tra le scene più belle.
Ma Saloum è tante cose, forse troppe.
C'è una forte componente geopolitica quasi impossibile da comprendere per tanti noi europei, c'è la componente spiritistica (impossibile manchi in Africa) molto suggestiva ma anche questa abbastanza complessa da inquadrare, c'è il tema degli abusi, della schiavitù e, forse, nel finale anche un accenno alle morti in mare tipiche, ahimè, dei migranti.
C'è' tanta "cultura" dentro ma uno spettatore che, come me, non conosce niente di quei luoghi si ritrova perso in nomi, usanze e leggende, uscendone un pò smarrito.
Non credo che sia un film che mi resterà nel tempo (ieri notte già facevo fatica a ricordare il finale) ma resta il fatto che ci troviamo davanti a cinema di assoluto livello e che dà il meglio di sè soprattutto nel materiale umano, cosa sempre iper gradita.

6.5 /7


Potenzialmente un film bellissimo.
Signe e Thomas sono una coppia.
Tutti e due narcisissimi, tutti e due vorrebbero prevalere l'uno sull'altro.
Il livello di tale "competizione" diventa così parossistico che quando Thomas diventa abbastanza famoso come artista (in realtà le sue "opere" sono solo sedie rubate in esposizioni e messe una sull'altra) Signe, dopo parecchi tentativi infruttuosi, decide di prendere un medicinale russo che le deturperà irrimediabilmente il viso.
Adesso che sono così malata, pensa, tutti parleranno di me.
Syk Pike potremmo definirlo una tragicommedia capace di non diventare mai nè troppo tragica nè troppo comica (e questo è un bene) ma restare sempre su quel filo di piccola inquietudine in cui si ride a denti stretti.
Pellicola tutta basata sul gioco psicologico dei due protagonisti, gioco psicologico di grande raffinatezza.
Quello tra Signe e Thomas è un rapporto al massacro, in cui ogni momento significativo di uno deve essere annientato o superato dall'altro.
Se Thomas sta esaltando la sua opera Signe attirerà l'attenzione su di lei (ad esempio la magistrale sequenza dell'allergia nel ristorante), se Signe riesce a mettersi al centro dell'attenzione sarà lui a sminuirla.
E questo tante, tante, troppe volte, tanto che sono almeno una decina di momenti in cui i due si scavalcano in questo gioco.
E' tutto molto interessante, il ritratto psicologico di lei eccezionale, il film in questo senso è davvero originale.
Solo che ha un paio di problemi.
Il primo è che tante, troppe scene, vanno troppo per le lunghe cosicchè il film perde spesso di ritmo.
Il secondo è - anch'esso problema di ridondanza - l'uso troppo frequente del giochino "questo era solo un sogno di Signe".
Ogni volta infatti che Signe ha una trovata per aver successo vediamo delle sequenze in cui questo successo arriva davvero. Per poi tornare sempre alla triste realtà che, pur rovinandosi la vita, nessuno si accorge di lei.
Ecco, un film dall'assunto e prima parte così formidabili poi si ferma su sè stesso tra canovacci usati troppo spesso e scarsa capacità di sintesi.
Ma Syk Pike resta un'opera profondamente interessante e, a suo modo, inquietante.
Racconta i nostri tempi, quelli del successo sopra ogni cosa, quelli del "voglio che si parli di me", quelli dell'individualismo becero (non solo i due protagonisti ma anche quasi tutti gli altri sono esseri umani privi di empatia, nascosti nel loro ego e incapaci di pensare agli altri).
Ovviamente Syk Pike diventa visivamente anche un body horror anche se questo aspetto resterà sempre secondario rispetto a quello metaforico e psicologico (per capirsi l'aspetto di lei è metafora di quello che è disposta a fare, non altro).
Ci sono tante scene bellissime, come quella del bar e di lei lorda di sangue, come quella, straordinaria, dell'amplesso sessuale e del funerale immaginato (vero non plus ultra del narcisismo, desiderare la propria morte per immaginarsi tutta la gente che piange per noi), come quella nascosta ma efficacissima di lui che l'accarezza nel bus (perchè una ragazza lo guarda, come a dire "vedi che ragazzo che sono, amo la mia ragazza malgrado è in queste condizioni), come quella dell'inumana manager e delle sue ragazze disabili (la mostruosità che diventa fonte di guadagno) e anche un paio di altre (ad esempio la sopracitata cena).
Però, ecco, un film con un soggetto del genere, con due personaggi così caratterizzati, con tematiche tanto belle quanto interessanti ed inquietanti, secondo me, con un lavoro più asciutto, sarebbe stato straordinario.
In ogni caso un racconto della società che stiamo vivendo davvero disarmante

18.10.22

Filmamo è più bello e più grande che mai (e adesso oltre che ai voti, alle collezioni e alle recensioni potete anche inserire film nel database). Che aspettate?

 

Sono mesi e mesi che non parlo qua nel blog del bellissimo progetto Filmamo, progetto che, in realtà, è andato sempre avanti.
Questi mesi sono stati caratterizzati da miriadi di migliorie, cambiamenti, aggiunte, tutto grazie al lavoro dell'amico Luca Redavid e della software house.
E ora possiamo dirlo, Filmamo è davvero bello, agile, pieno di cose, con un database grandissimo e veramente smart.
Ma - per chi non lo ricorda o ancora non lo conosce - cos'è Filmamo?
E' tante cose.
E', ed è sempre stato, un grandissimo database dove ricercare film, attori, registi, di tutto.
Ma soprattutto il miglior motore di ricerca italiano (insieme ad un altro sito) in cui poter trovare le informazioni su dove trovare legalmente i film che volete vedere.
Insomma, voi cercate un film e Filmamo vi segnala in quale piattaforma (sono quasi una trentina tra grandi e piccolissime) potete trovarlo.
Ma da inizio anno - e qui eravamo entrati in camp io e Luca - è diventato anche un'altra cosa, ovvero un sito dove potete voi stessi essere protagonisti.
Potete votare tutti i film che avete visto, potete mettere in wishlist quelli che volete vedere, potete recensire film (con poche parole o con tantissime), potete seguire altre persone che vi interessano, potete essere seguiti, potete creare delle bellissime liste tematiche (le collection).
E la vostra pagina più cose mettete più sarà bella (con una grafica stile Instagram).

Questo ad esempio il mio profilo. Ho inserito per ora solo 29 recensioni delle 1600 fatte nel blog, ci vuol tempo ;)


 Tutto è stato migliorato graficamente ma, più che altro, ci sono davvero tante tante cose non solo migliorate ma anche nuove

Intanto il database dei film adesso è davvero enorme. 
Ma nel caso voi non riusciate a trovare un film ecco la funzione più bella, ovvero la possibilità di inserirlo.
Ad esempio, sei scandalizzato che non ci sia Possessione Demoniaca del mio amico Alessio Nencioni?
Ecco, scrivendolo ti si aprirà questo pop up da cliccare e tu stesso potrai inserirlo, trovandolo in un vastissimo database mondiale


Ovviamente grazie a questa funzione potrete aiutarci ad inserire dentro Filmamo anche tanti film non ancora distribuiti. E magari se a quei film fate anche una recensione sarete tra i non solo tra i pochi presenti ad averla fatta (magari gli unici), ma aiuterete quel film ad essere conosciuto.

E sappiate che facendo questa cosa (ma anche tante altre, come recensire film, inserire dati mancanti, promuovendo Filmamo etc..) guadagnerete PUNTI POPCORN (come vedete nel mio profilo ne ho zero, ma tutto parte da oggi).
In futuro questi punti vi serviranno per vincere premi e sconti

Impossibile non segnalare poi la bellissima funzione Collection con la quale potete dividere e raggruppare i vostri film in qualsiasi modo vogliate, per tematica, autore, livello, wishlist.
Potete aggiungere un film nella vostra collezione sia partendo dalla vostra griglia (insomma, dai film che avete già votato e sono nel vostro profilo) sia dalle singole schede di ogni film.
Ad esempio mia figlia che ha ereditato da me (oltre, spero, al ricercare bei film) anche la mia vena trash ha realizzato, tra le altre, quella dei film sugli squali



Inutile dire che una delle cose più belle e che ci sarebbero più gradite sono le vostre recensioni.
Brevi, lunghe, belle e brutte ma ogni recensioni inserita è un regalo per noi, un servizio per gli altri e un vostro modo per partecipare più attivamente.
Potete anche solo votare il film (o "amarlo" tramite il tasto love) ma una recensione è sempre bella.
Ecco ad esempio la mia di The Humans (ovviamente solo una parte nello screenshot), l'ultimo film recensito qui nel blog



Come vedete anche nella stessa recensione vengono segnalate le piattaforme dove vedere il film.
Ma Filmamo è tanto altro.
E' soprattutto un progetto che vorrebbe diventare una vera e proprio comunità e che ha nel mirino tante altre cose (una redazione, una vetrina, magari in futuro poter distribuire film)

Ma adesso c'è bisogno di voi.
Siete venuti già in tanti ma potete essere tantissimi
E adesso è il momento migliore, vi aspettiamo!


15.10.22

Recensione: "The Humans" - Su Mubi

 

Opera prima di un giovane regista teatrale - tratto dalla sua omonima piece, vincitrice di Pulitzer-  The Humans è uno di quegli esempi in cui è facilmente percepibile una scrittura "superiore", illuminata, uno di quei testi che - apparentemente parlando del "niente" - sono invece capaci di aprirti la testa, mandarti in mille direzioni diverse, farti provocare emozioni contrastanti e indirizzarti su letture che non c'entrano niente l'una con l'altra.
Senza dimenticare una regia di grande classe e raffinatezza (almeno 3 scene sono eccezionali per come sono costruite).
Un appartamento malandato in cui una famiglia sta per effettuare un trasloco.
Padre, madre, nonna, le due nipoti e il fidanzato di una delle due.
Non usciremo più da lì.
Incomprensioni, dolori, incubi, traumi, dialoghi su dialoghi.
Di cosa parla The Humans? Impossibile dirlo, ognuno lo farà suo in maniera diversa.
Quando una sceneggiatura raggiunge livelli apicali

L'altro ieri ho visto The Humans.
C'ho pensato tutta la notte (anche il pomeriggio coi miei due compagni di visione e telefonicamente con Rocco, che ce l'ha consigliato).
Sono andato a dormire con la sensazione non tanto di aver visto un grandissimo film (cosa che comunque credo sia) ma con quella di aver assistito ad una scrittura pazzesca, di quelle che mi mandano in visibilio e che, in una vita parallela, avrei tanto voluto saper fare io.
Oggi, contravvenendo al mio diktat "nessuna informazione" sono andato a vedere chi fosse l'autore della piece teatrale dalla quale il film è tratto.
E ho fatto bene perchè non solo ho scoperto che la piece è dello stesso regista (che, anzi, fa quello di mestiere, il drammaturgo) ma che questo ragazzo nel 2016 è stato in lizza per il Pulitzer (tra i 3 finalisti) e che questo testo, questo magnifico testo, ha vinto il Tony Award come miglior opera teatrale.
Molto bene, almeno qualsiasi lode sperticata posso fare alla scrittura del film so che va a finire alla stessa persona (chè a volte si esaltano film per la loro scrittura ma si dimentica o il testo di origine o lo sceneggiatore).
Ah, il nome di questo scrittore/regista è Stephen Karam, rischiavo pure di non dirlo.


Siamo a Chinatown (anche se lo scopriremo solo poi).
La prima inquadratura - lunghissima e con vaghi richiami all'incipit di Niente da Nascondere di Haneke - ci mostra il cortile interno di un complesso di palazzi.
Nessuna via d'uscita, un imbuto con mura su tutti i lati e l'inquadratura che compie continue panoramiche a 360 gradi.
Tra l'altro questo senso claustrofobico di spazi stretti, angusti e per niente gradevoli l'avremo anche con tutti gli interni successivi.
Tanto che, lo anticipo subito, possiamo tranquillamente dire che la location del film non solo è esso stesso personaggio ma anche metafora di quello che accadrà.
L'appartamento, come dicevo, è tutt'altro che gradevole.
Muffa ovunque, ruggine, vetri appannati o smerigliati (ci torneremo), un senso di vuoto, sporco e per niente ospitale.
Fa specie, in questo senso, che sia l'appartamento che una delle due figlie ha scelto per vivere e che venga quindi presentato con entusiasmo.
In una delle prime scene vediamo come, in quello strettissimo corridoio, sia quasi impossibile far ruotare la sedia a rotelle della nonna, in una scena al tempo stesso patetica, sommessamente divertente ma anche un filo disagiante.
Tubature vecchie e a vista vengono più volte inquadrate.
E, come dicevo, queste orribili finestre dalle quali non si vede praticamente niente fuori. Tutto è appannato, offuscato, e tutto serve a darci quest'atmosfera di ritrovarci in una specie di microcosmo "a parte", per cui il mondo esterno, almeno per quest'ora e mezzo di film, sembra totalmente bandito.
In famiglia si parla, tanto.
Si parla del trasloco, si fanno battutine, si presentano gli ambienti, a volte - a coppia - si parla di cose più intime come problemi personali grandi e piccoli.
E' uno script che punta tutto sul realismo, uno di quelli in cui ciò che si dice è come nella realtà, quasi tutto convenzione e futile.
Però vediamo che lui, il padre, Erik (un  - ancora una volta sontuoso - Richard Jenkins) è inquieto. Spesso si isola, sembra a disagio, osserva finestre e tubature. Non si capisce se sia in questa condizione per il luogo in cui si trova, per un suo tormento personale o magari solo perchè non sopporta questo tipo di cose (ah, si festeggia il Ringraziamento, cosa per la quale - ma non solo per questa - The Humans potrebbe richiamare quel gioiello di Krisha).
C'è poi l'anziana nonna ormai completamente immersa nel suo Alzheimer, la moglie che ride ride ride ma in realtà è quella che porta più la morte addosso, una figlia vicina alla depressione perchè è stata lasciata dalla ragazza e soffre di un grave problema intestinale (credo una specie di Morbo di Chron) e l'altra figlia col suo compagno, forse gli unici due personaggi veramente spensierati e felici (anche perchè sono entusiasti di andare a vivere là).
Il film va avanti lentamente, forse troppo lentamente, tanto che dopo mezz'ora ci si trova a sperare che accada qualcosa (non tanto a livello di azioni reali ma di dialoghi, visto che si capisce che in questo film le azioni sono quasi tutte nelle parole).
Ed ecco che a un certo punto la madre dice al padre "Quando glielo dirai? Non farlo dopo cena".
Una piccola frase che, però, come accade nelle grandi sceneggiature, basta a cambiare il film, a riprendere con sè lo spettatore che si stava annoiando e a far vivere tutto il resto del film in quest'attesa del "cosa dovrà dirgli?"
Poi lo scopriremo. Niente di sconvolgente ma comunque nel frattempo The Humans aveva cambiato faccia, e l'atmosfera diventata un perfetto di mix di dramma, inquietudine, mistero con addirittura dei possibili risvolti horror o fantascientifici (ok, questa è stata solo una mia sensazione, lasciate perdere).
Ma è inutile che vi racconti tutto quello che accade, andremmo solo ancora più lunghi.
Quindi vado diretto su tecnica e interpretazione.


E' vero, The Humans è un film "di sceneggiatura" (come quasi tutti quelli trasposti dal teatro) ma al contempo anche tecnicamente notevole.
C'è un uso eccezionale dei lentissimi carrelli (specie in avanti) in queste scene lunghissime in cui partiamo da un campo medio ed arriviamo senza nemmeno accorgersi quasi ai primi piani. Ce ne sono due della madre da infarto per quanto son belli. Questa tecnica, o almeno come è usata in The Humans, diventa emozionante perchè è come se il regista ci dicesse "tutti parlano, tutti agiscono, ma il nostro focus deve essere su quel personaggio". E così malgrado alcune scene siano corali noi ci avviciniamo sempre di più al personaggio scelto per il restringimento, come se diventassimo lui. Ripeto, almeno un paio della madre sono bellissimi.
Ma ci sono altre scene di grandissimo livello.
Penso a quando la figlia "felice" vuol far sentire al resto della famiglia un pezzo musicale che ha scritto.

8.10.22

Recensione: "Athena" - Su Netflix

 

Athena è un film formidabile, potentissimo, deflagrante come le bombe che lo vivono.
Un viaggio senza respiro dentro una Parigi letteralmente esplosa.
Un film sull'odio, sulla rabbia incontrollabile, sul Caos, sull'impossibilità di capire chi è chi, chi ha fatto questo e quello, chi è il nemico.
Un film quasi unico perchè riesce a trasformare la tecnica usata (una serie di piani sequenza incredibili e un ritmo infernale, alla Safdie) in vera e propria tematica, senza bisogno che l'intreccio venga troppo curato (volutamente).
Un film di 4 fratelli che diventa archetipico, ancestrale, simbolico, ed è proprio per questo (come dicevo appena sopra riguardo la tecnica) che ha il coraggio di non puntare troppo sulla verosimiglianza.
Per quanto mi riguardo un film quasi perfetto e una delle miglior cose mai viste su Netflix.


Trovo sempre tanto buffo chi attacca quelli che, come me, adorano i piani sequenza. E' una cosa piuttosto infantile e ridicola, oltre che abbastanza priva di senso.
Come se i gusti sulle tecniche di ripresa possano non essere, appunto, dei gusti.
Come se si criticasse chi si emoziona per una carrellata indietro lentissima, chi per una panoramica perfetta, chi per delle inquadrature fisse glaciali, chi per i montaggi serrati, chi per le soggettive, chi per i primissimi piani, chi per i droni e chi per questo o quell'altro.
E' buffo che, alla fine, di tutte le tecniche di ripresa quella che viene però quasi sempre perculata è solo il piano sequenza, magari perchè - e a ben ragione per quanto mi riguarda - tanti la trovano spesso esaltante.
C'è sta patetica fissa generale a perculare e deridere le cose che vengono esaltate da altre persone, invece che limitarsi a dire (spiegando perchè) quello che ci piace o non piace.
E' un qualcosa di profondamente irrispettoso che, molto spesso, si ritrova anche nei giudizi sui film stessi.
Guardate ad esempio quello che sta succedendo adesso col nuovo film dei Daniels (andrò a vederlo stasera credo), film che tanti, tantissimi, hanno trovato un capolavoro e allora per questo motivo i grandi fenomeni della tastiera privi di onestà intellettuale (e, mamma mia, dentro ci sono tanti professionisti) giù a dargli della cagata pazzesca (sì, siamo ancora a sto punto, sigh...), della merda o altro. 
Ormai pochissimi sanno parlare di cinema con equilibrio, tutti esaltano o denigrano, esaltano un film (spesso quello che la massa odia) o perculano, solo in nome di aver visibilità social (e tanti ci riescono, mentre quelli che non ci riescono a sto punto sono eroi per me).
Per fortuna io non leggo nessuno ma, ahimè, lo scenario è deprimente.
Quindi meglio gente che magari capisce niente di cinema (mi ci metto in mezzo) ma dà sempre giudizi sinceri, equilibrati, personali, non mettendo in mezzo i gusti degli altri che, appunto, restano quello che sono, i gusti degli altri.
Insomma, adoro i piani sequenza, a volte mi esaltano pure.
E allora?
E' un problema?
Capisco meno di cinema per questo?
Mamma mia che pochezza.


Ma andiamo ad Athena.
Che è un film straordinario, di una potenza impressionante, di un livello tecnico spaventoso (roba per pochi registi) e che riesce in un'impresa quasi unica per me, ovvero far diventare la tecnica utilizzata vera e propria tematica, senza che quindi si debbano cercare i sottotesti nella sceneggiatura perchè questi sono già presenti nel modo in cui è girato il film.
Ci torneremo.

Siamo a Parigi.
Il militare Abdel torna dal fronte perchè è appena stato ucciso uno dei suoi fratelli in circostanze misteriose, forse per mano della polizia.
Lui cerca di calmare le acque, promette - insieme alla polizia stessa - di aprire un'indagine, ma non fa nemmeno in tempo a cominciare il discorso che un altro suo fratello, Karim - capo di una gang delle banlieu - lancia una molotov contro i poliziotti, dichiarandogli guerra e cominciando un raid.
Da qui, letteralmente, il film non si fermerà più, quella molotov lanciata è come il primo pezzo di un domino inarrestabile.
E Gavras (figlio d'arte) ha solo un modo per raccontare questo domino, i piani sequenza. Che diventano quindi non meri esercizi di stile ma acquisiscono un doppio significato nel loro uso, ovvero sia quello di vorticosa continuità temporale che parte da una piccola causa (la molotov lanciata) e porta ad un grandissimo effetto (l'intera Francia sotto assedio) senza una pausa, senza un respiro, senza una minima soluzione di continuità (come è appunto un piano sequenza), tanto che lo spettatore si ritrova in un'ora e mezzo davanti ad un effetto valanga inarrestabile e quasi impossibile da comprendere, sia, tornando al doppio uso, mezzo necessario e straordinario per raccontare il vero protagonista di Athena, ovvero il Caos.
E il Caos non puoi raccontarlo piazzando la macchina da presa, non puoi raccontarlo con una temporalità ben definita, il Caos lo racconti al meglio andando dentro l'occhio del ciclone, muovendoti avanti, indietro, a destra e sinistra senza mai fermarti, senza mai dare il tempo di capire cosa succede, senza spiegare i fatti.
Athena è un tornado e il piano sequenza è la tecnica per stare dentro al tornado.
I primi 12 minuti sono pazzeschi (alcuni passaggi sono talmente grandiosi che non riesco a vedere il trucco che, sicuramente, ci deve essere), con l'inquadratura che passa da Abdel a Karim (quasi sempre avremo un solo personaggio seguito - alla Aronofsky - ma passeremo continuamente da uno all'altro), e poi la distruzione della stazione di polizia, e poi l'ambulanza rubata sulla quale entriamo in corsa, e poi quella moto che impenna, e poi l'arrivo al quartiere e poi tutti sul tetto con la "macchina da presa" (dico in senso lato, essendo un drone o un trucco di post produzione) che finalmente si allontana dai corpi, dai tumulti, dai vicoli e si rifugia nel cielo (tra l'altro moltissimi dei piani sequenza termineranno così, con l'inquadratura che termina andando all'indietro ed allargando il campo).
Un incipit prodigioso, incredibile, da pelle d'oca.


E un incipit in cui abbiamo già il secondo aspetto (dopo quello sull'uso doppiamente sensato del P.S) sul quale mi piace soffermarmi, ovvero lo scambio di divisa.
I membri della gang indossano tute rubate alla polizia. Sembra un dettaglio stupido ma invece è solo il primo di una serie interminabili di cambi d'abito. Quasi tutti i personaggi, principali o comprimari, si cambiano continuamente d'abito, indossando le divise del nemico, diventando d'un tratto civili da militari (vedi scena del funerale), spogliandosi (vedi il poliziotto che nel finale, nudo, si ritrova in mezzo agli insorti, uguale a loro), scambiandosi vestiti, è un continuo, a volte volontario altre involontario, camuffamento.
 E, anche qui, come per l'uso del piano sequenza, ecco che questo aspetto tecnico (i costumi) diventa quindi vera e propria tematica. Siamo nel Caos e tutti sono confondibili con tutti, ognuno può diventare l'altro, nessuno è ben identificabile.
Lo spettatore spesso è confuso, perso nel tornado, magari cerca di seguire una sceneggiatura ferrea senza capire che no, che il film quello racconta, il disordine, lo scoppio dell'odio, l'impossibilità di riconoscere chi sta con te e chi no, chi è l'alleato e chi il nemico.
Perdersi, non capire, non farsi tornare le cose, è quello che deve succedere, quello che il film cerca.
Ho letto critiche sulla sceneggiatura e mi dispiace un sacco perchè Athena, con un plot coeso e facilmente intellegibile, non sarebbe stato Athena.
Che è invece racconto di una bomba che è scoppiata, di uomini che insorgono, di rabbia che esplode, di istinti animali ormai liberati, di odio politico ormai non arginabile.
Io più non capivo più mi emozionavo, perchè non volevo capire, perchè volevo essere lì, in mezzo a tutti, a non sapere dove andare, con chi parlare, chi è con me e chi contro di me.
Ma la vera perla di Athena sta in un altro aspetto che molti hanno trovato sbagliato, malfatto, quando addirittura assurdo e quasi ridicolo.
Ovvero il ritrovarsi davanti un'intera città in fiamme, in rivolta, vedere 2000 persone aggirarsi e poi a morire sono solo i 4 fratelli.
Ma è qui che Athena (anche il titolo lo dimostra, credo) vuole diventare simbolico, tragedia (greca).
In un caos infernale dove può morire chiunque alla fine muoiono solo i 4 fratelli, fratelli poi che hanno scelto parti avverse, destini diversi.
Come a dire che tutto questo odio, tutta questa violenza, tutta questa Apocalisse alla fine uccide senza distinzione chiunque, in qualsiasi parte si trovi e qualsiasi idea abbia.
E quei 4 fratelli diventano quindi simbolo della morte di tutti, di come l'odio porti alla distruzione di ogni cosa, di come non ci siano vincitori e vinti, ma solo vittime, ovunque.
Quei 4 fratelli siamo tutti noi, esseri umani (quindi fratelli) che possiamo ritrovarci di qua o di là della barricata ma che se poi, in mezzo alla guerra, ci accorgiamo che questa uccide tutti.
Una vera tragedia scespiriana, a pensarci.
E Abdel, il fratello "buono" che tutto voleva fermare è invece simbolo di chi dà la vita per gli altri ma poi, una volta capito che niente può essere fermato, che tutto è perduto, non ha ormai più speranza e, letteralmente, crolla (le sue scene di follia sono bellissime, non tanto per l'efferato omicidio del fratello ma specie per questa sua ormai completa dissociazione dalla realtà (non sente/capisce nemmeno che nel frattempo si è scoperto che la polizia non c'entra niente con la morte del fratellino).
Un film che quindi riesce a raccontare mille cose senza usare il plot (miracolo, davvero) ma solo basandosi su aspetti tecnici (i piani sequenza, i costumi) o simbolici (la morte dei 4 fratelli).
Siamo a livelli di cinema altissimi, poche volte battuti.
Tante cose restano addosso, come l'omicidio di Karim, come quello che compie Abdel dell'altro fratello, come le sequenza di nebbia e sordità del giovane poliziotto, come quel campo di fiori immacolato dove l'ex miliare, con le cuffiette, non sente nulla dell'apocalisse che ha intorno, come quell'ultimo carrello indietro che dal palazzo esce fuori, per mostrarci l'ultima terribile esplosione.


E in tutto questo, in un film che parla di morte, di caos, di controllo ormai non più possibile, di come anche un solo piccolo gesto potrebbe portare al collasso di un'intero paese, un film frenetico, incredibile, teso e inarrestabile c'è solo una figura che sembra staccata da tutto, una figura tragica.
Una mamma.
Che chiama i propri figli, che non si rende conto di quello che sta succedendo e di quello che loro sono e rappresentano per gli altri.
Una mamma che quei figli li perderà tutti.
Ma non sono loro 4 a morire.
Siamo tutti noi

8.5

6.10.22

Recensione "Censor" - Su Prime

 

Sulla carta un mezzo capolavoro.
Soggetto devastante, sottotesti straordinari, una grande attrice, messinscena (almeno nelle scene del presente) notevole.
Ma anche la sensazione, davvero forte, che tutte le potenzialità autoriali del film siano finite in mano ad un...autore ancora non pronto a trasfigurarle per immagini.
Anni 80, una ragazza lavora nella commissione censura dovendo quindi visionare centinaia di horror violentissimi che deve tagliare, accettare o rifiutare (è il periodo del boom delle vhs).
Nel suo passato - 20 anni prima - la scomparsa dell'amata sorellina.
Passato che ripiomba nel suo presente proprio attraverso una vhs...
Uno dei classici film polanskiani sull'identità, sul doppio, sul senso di colpa.
Tanta tanta roba in potenza, tanta ne rimane, tanta si disperde.

presenti spoiler, più che altre mie interpretazioni da leggere solo dopo aver visto il film

Mamma mia che peccato.
Censor aveva tutte le carte in regola per diventare un "mio" film.
Soggetto straordinario, sottotesti interessantissimi, messa in scena a tratti di altissimo livello.
E angosciante, e "malato", e in qualche modo nuovo.
Eppure no, eppure quello che resta un bel film rimane spanne e spanne sotto quello che avrebbe potuto essere.
Con la sensazione fortissima (e rara) di essermi ritrovato davanti un autore che sulla carta ha davvero tutto per esser definito tale ma che poi, in questo film, quando ha dovuto tradurre le cose che aveva nella testa per immagini, non ha avuto (ancora) la competenza, la mano e la grazia per farlo.
Dico la verità, ho sperato di trovarmi davanti un altro Possessor ma, ahimè, la speranza è durata al massimo mezz'ora.

Siamo a metà anni 80, in Inghilterra.
C'è stato ormai il boom delle vhs e specialmente quelle di film iper-violenti, cinici, amorali e visivamente al limite dell'accettabile.
Enid (una splendida attrice a me fino ad oggi sconosciuta, davvero una delle meglio cose che ti lascia il film) lavora ad una specie di commissione censura (credo statale) che taglia e tagliuzza i film horror, assegna i vari visti censura (la fascie d'età) e, in ultima istanza, può rifiutare del tutto un'opera.
Ma c'è qualcosa nel passato di Enid di terribile, ovvero la scomparsa (20 anni prima, in un bosco insieme a lei) della sua sorellina.
Questo suo passato si mischia in maniera sempre più morbosa ed inquietante al suo lavoro, ai film che vede...


Le cose belle di Censor son tante ed è per questo che penso a come, come la giri la giri, ci troviamo comunque davanti ad un bel film.
Intanto, ad esempio, il raccontare un mondo così vicino eppure così lontano ai giorni nostri come quello dell'home video.
Sono stato videotecaro, anche se ho cominciato che già il consumo delle vhs era finito da tempo.
Ma è impossibile per me non ricordare, grazie al film, i meravigliosi tempi in cui entravamo nel negozio di elettronica del paese (sì, una videoteca vera e propria non c'era) e stavamo lì, emozionati, nello scegliere il film horror di turno (sì, quasi sempre solo horror, per questo il film mi ha ricordato tanto quel periodo).
La scena in cui Enid entra in videoteca, quindi, è stato per me un tuffo al cuore, pur non essendo niente di che (anzi, sequenza debolina).
E' vero, c'era un cinema molto violento e sporco, cosa quasi impossibile adesso. E qui il film è sicuramente vincente, ovvero nel mostrare molti spezzoni (veri o finti che siano, credo per la maggior parte del primo tipo) di film horror estremi dell'epoca.
I cari e vecchi effetti speciali artigianali, la violenza senza controllo, la "malattia", l'amoralità. Tutte cose perse adesso in nome di un'etica e di un politically correct che, se è vero che ha portato molti benefici, è anche vero che ha livellato veramente tutto, senza saper distinguere quando quell'andare oltre i limiti sia etico o no.
E proprio qui interviene Enid, in un discorso non solo visivo, ma anche "morale", ovvero il saper scegliere quali sono le scene che possono o far male allo spettatore oppure dargli insegnamenti sbagliati. Un lavoro difficilissimo che la ragazza fa con attenzione e rigidità (non è assolutamente di manica larga, anzi...) anche se con la mente più aperta possibile.
Ecco, un altro grande merito del film è aver portato alla luce questo mondo del controllo, della censura, un mondo dove si mischiano mille cose come le sensibilità personali, le indicazioni dall'alto, le fobie sociali, l'attualità, la politica, e dove è sempre difficile scegliere cosa sì e cosa no.
Nella prima mezz'ora del film si parla di questo, di anni 80, di censura, di violenza visiva che può istigare altra violenza visiva, di limite dell'etico e della morale e di come il mondo "finto" dei film possa essere o specchietto di quello che è il mondo reale o, al contrario, di qualcosa che il mondo reale lo modifica.
E il film funziona alla grande.


Anche grazie ad una notevole messinscena, di gran classe, con un uso perfetto delle luci, dei colori, dei chiaroscuri e della macchina da presa.
Il paradosso è che quando il film diventa però più bello e interessante (con la storia della sorella, del passato che ritorna, della personalità doppia e tutto il resto) perde tantissima di quella classe, diventando insomma più bello si imbruttisce.
I flash back ad esempio sono davvero mal fatti (anche fotograficamente), la gestione psicologica pure, e poi un paio di scene son veramente terribili.
Ma andiamo con ordine.
Enid crede di aver notato in uno dei film visionati (anzi, un film che le è stato caldamente consigliato dal produttore, cosa non casuale, ci torneremo) sua sorella, con vent'anni di più addosso.
Quella sorella ormai creduta morta.
Ecco, un espediente abbastanza simile ad Enemy di Villeneuve (ovviamente preso in origine da "L'uomo duplicato" da Saramago, anche se preferisco citare il regista canadese perchè è stato lui - molto più del mostruoso scrittore portoghese - a dare il significato di seconda personalità all'attore che il protagonista vede nel film visto nel libro di Saramago, secondo me, siamo davanti ad una cosa diversa), assolutamente vincente.
Non solo quell'attrice è identica a sua sorella "proiettata" 20 anni dopo, ma anche i soggetti dei film che interpreta richiamano la vita della stessa sorella, in primis il giorno in cui sparì insieme a lei nel bosco.
Enid è sempre più sicura che Nina sia quindi viva e, magari manipolata dal regista, stia mettendo in scena il proprio passato.
Ecco, andiamo ora ad analizzare il significato di Censor.