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28.11.10

Recensione: "Cleaner"



Svolge il suo compitino abbastanza bene questo Cleaner, pellicola passata quasi inosservata in Italia malgrado lo straordinario cast con tanto di Samuel Lee Jackson, Ed Harris, Eva Mendes e quella faccia indimenticabile di Luis Guzman. Prima di parlare del film vorrei fare una considerazione. Non so se è lo stesso anche per voi, ma ogni volta che un film ha per protagonista un bambino o un ragazzino mi capita spessissimo di considerare l'interpretazione del giovane attore pari o superiore a quella dei più blasonati colleghi. Penso che anche per voi sia così. Mi è venuto da pensare allora che la maggior qualità recitativa nei minori dipende dalla minor conoscenza del mestiere. Più diventi bravo nell'arte recitativa più paradossalmente perdi naturalezza e di conseguenza qualità. I ragazzi di Gomorra saranno sempre più convincenti di un Nicholson sontuoso non tanto perchè non recitano, quanto perchè proprio non conoscono i trucchi della grande recitazione.E più una non conoscenza dell'arte recitativa che un non utilizzo, un'ignoranza che in questo caso è arricchimento, punto di forza. Vabbeh, andiamo avanti.



Ottimo lo spunto di Cleaner. Tom Cutler, addetto delle pulizie un pò sui generis (scene del crimine) si ritrova a farne una in una villa dove è stato appena commesso un omicidio. Lui pulisce ma poi scopre che soltanto l'assassino (e non la polizia...) sapeva dell'omicidio ed è stato lui stesso a commissionarne la "pulizia". Tom, quindi, richia di restare incastrato.
Cleaner non raggiunge mai vette di tensioni molto alte, tutt'altro, ma racchiude nell'originalità della trama una certa piacevolezza nell'esser seguito. La regia è modernissima, veloce, pazza dei dettagli, tanto da risultare anche fastidiosa dopo un pò. Tipico del cinema americano, Cleaner nasconde nella trama principale la classica sottostoria del poliziotto che non sa fare il padre a causa dei troppi impegni e preoccupazioni. E' qui che viene fuori la grande interpretazione, a cui prima mi riferivo,della 14enne Keke Palmer, figlia in cerca d'amore non corrisposto, carica di forza e fragilità allo stesso tempo.
L'inchiesta del film, una storia di tangenti e corna, alla fine non è facilmente comprensibile o così interessante, ma come detto il compitino è portato a casa in maniera più che buona, come un film di genere dovrebbe fare. Certo lo spunto iniziale rimane la componente più interessante, ma anche il finale certo non delude anche se il colpo di scena è (forse volutamente) telefonato. La Mendes non mi piace ma le riconosco un viso non banale, che con il giusto regista e il gusto personaggio, potrebbe dare più di una soddisfazione. Il messaggio finale non è affatto stupido, ci sono macchie (come quelle di sangue che pulisce il protagonista) che si possono sempre togliere, altre, quelle dell'anima, indelebili.

( voto 6,5 )

2 commenti:

  1. Ciao. Finito di vedere in questo momento. Qui ho esagerato, addirittura 12 anni dopo la tua recensione. Sono d'accordo con te al solito, l'unica cosa è che, personalmente, sono rimasto un po' deluso dal movente, un delitto passionale. Volevo però aggiungere una cosa riguardo gli attori in giovane età. Come avevo detto una volta, io recito da 30 anni (oddio....sono solo un attore di teatro amatoriale con 3 anni di esperienza anche nel settore professionale ma poca roba), ma non parlo tanto di me, anzi, ho però avuto modo di confrontarmi con attori, registi e insegnanti di vari livelli, anche con uno che insegna all'Actor Studio (anzi, due, una era una donna e insegnava a Parigi, c'è uno studio anche lì) con cui ho avuto il piacere di frequentare un seminario. C'è un problema di fondo che ci frega tutti, cioè il fatto che si pensi che più tecnica si conosce, meno si è naturali. Ma il punto è proprio questo: nel cinema o nel teatro, non bisogna essere naturali ma credibili. E' vero che ci sono esempi anche illustri di registi che hanno usato (e usano) attori non professionisti, De Sica, Pasolini, più recentemente, Ken Loach. Ma sono eccezioni e casi molto particolari. Peraltro, questa idea che la tecnica tarpa le ali, è uno dei motivi per cui la maggior parte degli attori italiani, fa cagare, a partire da Scamarcio che nell'horror "Il legame" ha passato metà film con le mani in tasca, passando per Raul Bova che ha la fissità di un paracarro. O la Ferilli che da sempre fa se stessa. Il fatto è che noi italiani soprattutto, pensiamo che basti il "talento" e ci rifacciamo sempre ai soliti nomi della vecchia guardia, pensando che fossero solo talento, ma non era assolutamente così. O meglio, lo era anche ma il "talento", è come la potenza nella famosa pubblicità: non è nulla senza controllo. Ricordo un insegnamento: impara la tecnica per dimenticarla. Il bravo attore è quello che sa mettere la tecnica al servizio del talento. La tecnica è anche disciplina: certo che un ragazzino può sembrare più naturale di un adulto ma perché ha ruoli meno complessi e psicologicamente si hanno meno pretese. E certe scene, non possono essere "naturali", sarebbe inquietante, secondo me, se la ragazzina del film trovasse "naturale" sparare a uno, anche per finta. Kubrik non ha certo lasciato completa libertà al ragazzino di Shining. Che poi la ragazza recitava già da 3 anni in alcune serie. L'attore bravo è quello che non fa vedere che sta usando la tecnica. Poi, è anche vero che il cinema non è il teatro, certe scene le rifai talmente tante volte. In teatro non puoi bluffare. E' qui, purtroppo una differenza, tra noi e gli americani: che loro fanno davvero la gavetta e studiano, da noi, escono dal GF e pensano di essere arrivati. Poi, ci sono varie tecniche, ad esempio quella dell'Actor's studio, che deriva da Stanivlaski, non è adatta a tutti, perché va a pescare nel subconscio cose che non tutti vogliono riprendere. Ma quando si lavora davvero con questa tecnica, i risultati sono eccezionali. O Danny Day Lewis, che passava mesi e mesi per entrare nel personaggio, o Jack Nicholson che ha passato mesi nell'ospedale psichiatrico. Gli attorucoli italiani se li sognano certi sacrifici. Petri, in una vecchia intervista, disse riguardo a Gian Maria Volonté, era in grado di interpretare qualsiasi personaggio. E i vari personaggi erano tutti diversi tra di loro, anche se magari di base simili. La tecnica, semmai, ti castra se l'hai studiata poco o male. Ma la tecnica ti può salvare nei momenti difficili. Se io non conosco alcuna tecnica, non ho esperienza e devo fare Medea, non reggo due minuti il personaggio.....Scusa il pippone, ci sarebbe molto ancora da dire , ma come disse Lee Van Cleef a Clint Eastwood nel finale di "Per qualche dollaro in più": "Un'altra volta".....Buona notte.

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  2. Eccomi! Una settimana, prima della media dai, ahah

    Allora, prima di leggerti ti dico che dopo 12 anni de sto film non ricordo NIENTE. Anche perchè è un film credo bello ma che si confonde in mezzo ad altre centinaia, vedrai che anche te nel 2034 (ma forse anche nel 2024) non ricorderai nulla

    andiamo a leggere

    ecco, come sempre sei fantastico perchè alla fine del film dici poco o nulla e parli d'altro, il che rende tutto più piacevole e posso pure risponderti

    Ah, molto molto interessante. Io resto della mia opionione che più impari tecnica più perdi naturalezza ma, come dici, questo non significa recitar peggio, anzi, diventi più credibile. Per capirsi le nostre due posizioni non sono in antitesi, e non per forza naturalezza significa esser migliori, anzi

    riguardo il talento, da profondo conoscitore del mondo dello sport (e nel mio piccolo praticante a livelli decenti di due sport) la penso esattamente come te, il talento è tanto, a volte quasi tutto, ma se non gli abbini la tecnica, la dedizione, il "mestiere" e tutto il resto è fine a sè stesso. E raggiungi risultati anche inferiori a chi talento non ne ha

    Riguardo ragazzini dipenhde dai film, in alcuni noto completa naturalezza (leggi anche "gioco") in altri una direzione molto più ingabbiata e precisa. Di sicuro Danny in Shining era un attore "normale", completamente diretto, non aveva niente dell'istinto bambinesco o immediatezza

    tutta la parte finale oltre che interessante la quoto tutta. Amo molto gli attori che, anche sacrificando sè stessi o mettendo in dubbio sè stessi, entrano completamente in un personaggio, magari studiandone i comportamenti e i contesti (reali) per mesi. Anche qui potremmo fare un discorso su come viene preso il mestiere dell'attore. Se viene visto come "ho oggi un ruolo, domani un altro, domani un altro ancora" , se recitare è solo una commissione, puoi anche arrivare a risultati eccellenti ma secondo me non è l'approccio giusto

    che, invece, dovrebbe essere quello di vedere ogni ruolo come qualcosa di tremendamente importante, un qualcosa dove immergersi completamente, senza pensare la film successivo o precedente. Se recitare diventa così atto d'amore si possono raggiungere risultati, sia personali e intimi che di riuscita, impossibili da raggiungere se lo si vede come un mestiere in cui vengono affidate cose

    grande Luca, sempre illuminante!

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