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5.11.14

Recensione: "Ragazze Interrotte" - Diversamente, storie di ordinaria anormalità - 1 - di Federica Pace

E' giunto il momento anche della prima puntata della rubrica sulle diversità, o presunte tali, di Federica.

Con un cult assoluto che tutti voi, tranne me, avrete visto.


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Il punto è che ce l’abbiamo davanti, la diversità, anche quando non lo è, soprattutto quando non lo è. I film sono stati i primi luoghi dove ne ho sentito il peso. Ecco perché ho pensato di presentarvi le pellicole che per me hanno rappresentato con forza la diversità, anche inaspettatamente.   
Il primo film è Ragazze Interrotte, avevo 12 anni e in teoria non avrei potuto guardarlo neanche in presenza di un adulto ma mio nonno aveva la scheda taroccata di Tele+, quindi potevo scroccare i film di Primafila e mentre lui e mia nonna riposavano, avevo campo libero.
Fu un colpo di fulmine non ancora interrotto.
La regia è di James Mangold, il film è tratto da una storia vera. Siamo nel biennio 1967/69, anni in cui in America qualsiasi cosa sembrasse strana poteva farti finire in manicomio, in una pervasiva condanna della differenza. 
La protagonista, Susanna Keysen ( Winona Ryder), ci porta nel reparto femminile dell’ospedale psichiatrico “Claymore Hospital”, dopo aver tentato di uccidersi con vodka e aspirine. E sono tutte lì, le altre pazienti, sulla soglia della loro camera insieme alla loro malattia mentale da curare con pasticche, camice di forza ed elettroshock. Anoressiche, bulimiche, bugiarde patologiche, lesbiche, traumatizzate e sociopatiche, ad aspettare di poter tirare fuori il male che le fa essere quello che sono. Ad aspettare di aver ammesso la verità, ma non una verità qualsiasi, quella giusta per non essere più sbagliate e inadatte. Vengono “trattate” per poter essere riammesse nella società, per essere salvate, o per essere definitivamente interrotte. Mi sembrava tutto stranissimo, un mondo dove io non ero mai stata e soprattutto dove non sarei mai stata. Ero un po’ come Susanna e le guardavo con paura, perché lei non è come loro, e neanche io lo ero. 

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Susanna può uscire, il suo è stato un semplice mal di testa, diciottenne e immatura, solo troppe aspirine e troppo alcool per un semplice mal di testa. Questo però lo spiegherà al suo dottore e a noi con dei continui flashback, per adesso ha poco da ribattere, è pazza, si è rinchiusa lei stessa in manicomio e da maggiorenne ha firmato. Neanche il tempo di poggiare la valigia sul letto e arriva Lisa che le urla contro perché ha preso il posto che era di un’altra ragazza, una di quelle che si sono arrese. Lisa è immorale, affascinante e immorale, cattiva e tirannica. È Angelina Jolie nella sua interpretazione migliore. 
Nel film troviamo un personaggio che bilancia il contrasto tra pazzi e dottori, ed è quello dell'infermiera Valerie (Whoopy Goldberg), che si distingue poi anche dalle altre infermiere, che compiono macchinamente il loro mestiere. La Valerie che accoglie Susanna all'ospedale, che spiega le regole e che si rapporta alle pazienti con razionalità e consapevolezza, è la voce della loro coscienza, una coscienza 2.0 che si forma appena si varca la porta dell'ospedale e si è imprigionati in qualcosa che non si comprende.
Riguardando il film da adulti ci si rapporta ovviamente in una maniera completamente differente. E più lo si guarda, più ci si chiede se il nostro posto sarebbe stato quello, è da pazzi, lo so, ma era così semplice finirci dentro. Susanna ha un disturbo bordeline, è al limite di se stessa, ha una visione alterata della propria persona, è promiscua, e si lega morbosamente a Lisa. Perché Lisa è l’appiglio mal afferrato che ci fa rendere conto, inconsciamente, di quanto noi possiamo essere deboli in certi momenti, ma anche che ciò che è più forte di noi può salvarci. Susanna è un cucciolo che cerca di imitare l’adulto, e lo fa anche in maniera pessima. Così la nostra protagonista si adagia nella sua diversità, nella sua sindrome, nell’immagine che gli altri hanno di lei. Accetta di essere una pazza. Di essere diversa, prende quell’etichetta è l’attacca meglio al proprio petto, come una ribellione. Lei è noi stessi che ci adattiamo. Lisa si infila nella mente, la mette in subbuglio e poi la tranquillizza. È l’espressione dell’errore, del non avere scelte.

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 Non si può scegliere chi essere quando gli altri hanno già deciso, è troppo complicato. Ci vuole troppo coraggio per ammettere la semplicità di uno stato d’animo. E riesce a trascinarci dentro i suoi compromessi, la sua assoluta immoralità. Una delle scene più sconvolgenti e forse più belle la ritrae mentre butta in faccia la verità a Dayse, un’altra paziente, con una freddezza e un'atrocità da far venire i brividi, come se fosse un dovere assoluto. Il suo dovere di essere diversa e crudele, infernale. Ogni volta è come se rivedessi l’inferno della verità e della diversità in un luogo dove non c’è movimento alcuno e tutto è in standby, interrotto. L’unico fuori è quello della televisione, l’unica scappatoia i sotterranei dell’ospedale. Ragazze Interrotte è la mente “diversa” che si protegge da se stessa e da tutti gli altri, prima di tornare alla consapevolezza. 

20 commenti:

  1. l'aspettavo questa rubrica, e finalmente è arrivata! grazie Caden e complimenti Federica!
    La diversità, è per me una delle questioni cruciali - non dico di questa epoca, ma di sempre. La diversità per come viene accolta o rifiutata, raffiguarata e rappresentata, accettata o 'curata'. Ma questo e un discorsONE, che caso mai ci tornerò su altri commenti, chissà.
    Ho visto il film , anni fa, mi è rimasto impresso: mentre lo vedevo, pensavo che davvero molti (o alcuni?), umani viaggiano a velocità diverse da quella ritenuta socialmente giusta, perciò non rispondono alle aspettative, le sentono troppo pesanti, le rifiutano, le evitano, preferiscono adattarsi nel ruolo border line che gli viene fatto interpretare e vivere. In fondo, può essere più facile, non si hanno responsbilità, ma il costo è salatissimo, perché non si vive una vita che abbia un senso. E un senso - anche personalissimo, individuale, unico e incomunicabile o incomprensibile agli altri - la vita lo deve avere.
    E poi, un altro pensiero: come è facile scivolare oltre il bordo della cosiddetta 'normalità' (e il film lo racconta benissimo), basta un breve istante, una piccola svista, una casuale distrazione, e si è al di là, senza quasi possibilità di ritorno, si capovolgono le prospettive e persino i valori della propria vita, la cui bussola non segna più il nord. Facilissimo è cadere, è scivolare, e solo quelli che procedono a grandi falcate, sgomitando e calpestando, sono convinti che non sia così.

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    1. Giovanni, qui ti risponde lei, e semmai anche io stasera.
      Poi ti volevo ricordare che risponderò prima o poi anche da te, sai dove.
      Ho salvato sui preferiti quella pagina, prima o poi arrivo.
      E' che ci vuole impegno mentale :)

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    2. Grazie Giovanni :)
      è sicuramente più facile accettare una determinato ruolo che ci viene assegnato, seplicemente perchè, credo, si sa come adempierlo, ma non credo che porti ad una vita senza senso. O meglio, credo che porti ad un non-senso che poi il senso l'avrà. E magari, il senso, sta proprio nel vivere in equilibrio tra tutto ciò che viene considerato socialmente accettabile e quello che non lo è, o che comunque non lo era, nel momento in cui ci si distrae per caso, come hai scritto tu. Hai ragione, è facile scivolare, c'è un detto che dice " A menti è n'filu di capiddu"-" La mente è (fragile) come un filo di capello".
      Ho letto anche il libro, ed è un'autobiografia di Susanna Keysen, una scrittura assolutamente lucida e consapevole, che fa un po' impressione perchè l'adattamento e la normalità dell'adattamento si percepisco con più forza, forse perchè è scritto in un modo semplicissimo

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    3. scrivi così tante cose interessanti che vorrei essere capace di rispondere a tutte contemporaneamente, senza perdere il filo del discorso. In effetti, temo che perderò per strada alcune parti di risposta, ma che magari riprenderò se il dialogo prosegue :)
      Mi piace molto l'espressione "un non-senso che poi un senso lo avrà", mi ricorda l'immagine del movimento del respiro, fatto di due momenti alternati e in apparenza opposti. Hai ragione: la vita non ha senso se si accetta che non ce l'abbia, o meglio che non abbia il senso che vogliono le venga dato-imposto da fuori. Invece, ogni vita ha un senso, ed è quello che vogliamo che abbia, poiché è la nostra vita. Il film parla molto bene del controllo sociale, che è sempre molto forte e che vuole livellare ogni discrepanza su una media uniformata, basata su uyna definizione di normalità e devianza che è allo stesso tempo unilaterale e interiorizzata. Il controllo sociale della nostra epoca è quello che ospedalizza e ricovera, per riabilitare - di fatto, spesso, estirpando e sopprimendo diverse alternative e modi di percorrere la vita.
      La mente è fragile ma è anche forte, e spesso trova vie di fuga dalle situazioni di realtà che non riesce a sopportare.
      Il libro non l'ho letto, penso che lo troverei in biblioteca e probabiilmente è una lettura emozionante. Me lo consigli? :)
      Una curiosità: come mai il proverbio è in sardo? ;)

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    4. Sì, te lo consiglio, è molto differente dal film. Per certi aspetti è un'opera a se stante, è come se fosse stato "romanzato cinematograficamente", non trovo un altro modo per spiegarmi, ma a me è piaciuto molto in ogni caso. Il detto è siciliano :)

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    5. oddio, scusa ho confusom dialetto! che confusione, scusa! è un detto curioso: alla fine cosa vuol dire, che la mente è forte o che è fragile? proverò a cercare il libreo, allora, se poi è diverso dal film tanto meglio! :)

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    6. Tranquillo :) che è fragile, che in un attimo può cedere, ovviamente non si intendono solo psicosi

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    7. Oddio, ma volete far diventare sto blog troppo serio.
      Complimenti a entrambi, avete detto cose molto interessanti ed equilibrate.
      Sono argomenti delicati e mi serve tempo, testa e non so cosa per rispondere in maniera ampia e articolata come voi.
      Sono argomenti che non mi lasciano indifferente...
      Ma comunque avrei poco da aggiungere a quanto dite.
      Insomma, forse è meglio che esco zitto zitto, chiudo la porta e vil lascio soli...

      Giovanni: sì, nel tuo blog non si scrive tanto per fare.
      Sono argomenti delicatissimi e che mi mettono in crisi,
      E' un complimenti ovviamente.
      Ma hai i suoi contro, serve testa per rispondere, altrimenti si banalizza tutto

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    8. urka, ti ringrazio per il complimento, adesso mi sento ancor più in dovere di esserne all'altezza! hai ragione però, ha i suoi pro e contro. ma uno (1) post 'leggero l'ho scritto anche io, dai: vai a cercare quello sul pesce d'aprile. vabbeè, magari qualcosina più leggerino lo metterò più spesso in futuro, anche così è difficile, proprio per evitare le banalizzazioni, come giustamente dici tu :)

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  2. Ciao Caden, attendo volentieri la risposta di Federica e poi la tua :) Passa quando vuoi da me, per proseguire la tua stupenda metafora del ristorante, ci possiamo fare un bicchiere di rosso mentre chiacchieriamo e poi du'spaghi :) OH, tieni presente che la mia risposta da me, pur scritta in ritardissimo, è stata scritta di getto, e quindi magari alcune cose possono correre il rischio di venire travisate. non era mia intenzione! dici che di la da me ci vuole 'impegno mentale? oh mamma mia! :) dovrò essere più leggero, d'ora in poi, secondo te? grazie :)

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  3. L'ho visto eoni fa per avere un parere coerente... però ricordo che mi era piaciuto.
    Poi un film con la Jolie e la Winona non può essere brutto a prescindere <3

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    1. Winona Ryder si è rovinata appena è diventata cleptomane

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    2. Questo dialogo a 1400 km di distanza tra Catania e Bolzano è commovente

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    3. jean infatti è sparita dalla scena cinematografica, e gli ultimi lavori sono stati i peggiori

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    4. Caden Noi siamo il superamento delle rivalità tra nord e sud XD

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    5. E io infatti sono perfettamente al centro, 700 e 700 quasi, nella mia Umbria, metafora del punto d'incontro tra voi

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

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3 ciao