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11.9.15

Recensione "The Visit" - BuioDoc - 26 -

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Un documentario di fantascienza quasi unico. Una fantascienza che mi piace definire reale. O potenziale. Gli alieni sono arrivati, ma ancora pochissimi lo sanno. L'Umanità riflette e si domanda sul da farsi.

Al di là del contenuto (anche se è proprio il contenuto a portare a questa riflessione) credo che uno degli aspetti più interessanti di The Visit sia il cercare di capire cosa sia.
Potremmo quasi prendere il prestito il termine UFO (Unidentified Flying Object), togliere il "Fying", e chiedersi che razza di oggetto (filmico) non identificato sia questo.
Sì, perchè ci troviamo davanti a qualcosa di poche volte visto prima, quasi un nuovo genere, quello della fantascienza potenziale. O quello della fantascienza senza fanta. O quello, forse il più suggestivo e pertinente, della fantascienza realista, ovvero una fantascienza che, fino a prova contraria, si poggia totalmente su fatti, scientifici e non, veri, reali o presuntemente tali.

E qui, di conseguenza, possiamo anche divertirci a capire se The Visit sia un documentario tout court o un falso documentario. Per quanto mi riguarda sono fermamente convinto che debba essere inserito nella prima categoria, e non solo perchè nel film sono intervenuti professionisti e studiosi di grande fama (scienziati, politici, legali) che mai si sarebbero prestati ad un gioco puramente finto, ma anche perchè, e il bellissimo finale del film lo dimostra, forse la storia dell'alieno e dell'astronave atterrata qui da noi è stato solo un semplice pretesto per raccontare un "se fosse".


 Sì, perchè di questo stiamo parlando.

Una nave aliena è atterrata sulla Terra.
Soltanto pochissime persone, tutte in qualche modo di ambiente "governativo", lo sanno.
Perchè sono venuti?
Un'avaria? Una perlustrazione? Un attacco?
Cosa vogliono?
Cosa possiamo chiedergli?
Ma, soprattutto, cosa diremo agli abitanti della Terra, quali parole useremo per non allarmarli troppo? (insomma, un'operazione opposta alla Guerra dei mondi wellsiana)
Come cambierà la nostra vita?
The Visit non è altro che una esaustiva e interessantissima analisi "in potenza" di tutto quello che, fuor di cinema, accadrebbe in caso di arrivo di forme di vita extraterrestri.
Partecipano tutti, politici delle Nazioni Unite, teologi, grandi scienziati di rami diversi, militari.
Si decide di andare a perlustrare la Nave Aliena, in maniera pacifica, per capire qualcosa in più, visto che non si riesce altrimenti ad avere alcun contatto.
Un professore universitario di ingegneria spaziale (mi pare) va per primo.
Dentro la sua tuta arancione si incammina nel buio dell'ignoto, dentro la Nave.

The Visit è un film che aiuta a riflettere su moltissime cose. 
Di quello che siamo noi innanzitutto, della nostra cultura antropocentrica per la quale, in tutti i sensi, ci poniamo al centro dell'Universo quando invece in realtà, molto probabilmente, non siamo altro che un piccolo sputo di carne umana in una tinozza milioni di volte più grande.
Ma è anche un discorso sull'ignoto, sul non conosciuto, sulla paura e sul terrore che genera ogni cosa a cui non sappiamo dare un nome o un volto. In questo senso sono magnifiche le scene al buio dello scienziato che si avvicina alla nave. Quel buio non è tanto assenza di luce ma buio della mente, non conoscenza. 
Io vedo questo film come la Matrioska più grande -quella non contenuta in nessun'altra- di sentimenti e dinamiche anche molto più piccole.
Quante volte abbiamo l'angoscia per un appuntamento con qualcosa che non conosciamo o che non sappiamo come andrà a finire? Quante volte l'attesa ci logora, le domande che ci poniamo diventano , gli scenari che ci immaginiamo infiniti? Ecco, The Visit sono le domande che si pone, le angosce che prova e le attese che vive l'intera umanità al cospetto di un appuntamento che rischia di cambiare per sempre il nostro vivere comune.
E, approfittando di questo limbo, si parlerà un pò di tutto, come ad esempio della navicella Voyager che mandammo nello spazio per farci conoscere.
Una navicella con dentro le nostre "voci", le nostre facce, i notri luoghi. E le nostre musiche, quella del caos, quella della forza e quella nostra capacità di dare comunque un ordine.
Sì, dentro quella navicella ci siamo noi ma niente dei nostri difetti e delle nostre aberrazioni. Un biglietto da visita farlocco per farci benvolere.
E si parlerà anche della conquista dell'America (vista come metafora dello sbarco alieno da noi), e di come solo quando si trovarono nei nativi dei riti religiosi si poterono considerare quegli uomini pari a noi, e non solo animali. Perchè credere in Dio e praticare questa credenza è qualcosa di strettamente legato alla ragione umana, e solo a quella.
E si parlerà anche di biochimica, con discorsi affascinantissimi sulla possibilità di una seconda genesi, su altre forme di vita che magari già esistono ma che noi con i nostri mezzi limitati non possiamo individuare.
E anche di aspetti legali, di quali leggi instaurare tra razze interplanetarie.
Il documentario (che lo dico per inciso, non è una passeggiata di piacere eh)  alterna decine e decine di interviste con momenti di vita vissuta, di piazze, di strade, di uomini, ma anche di preparazione bellica (magnifiche) tutte in ralenti, come se il tempo in questo momento fosse fermo, come se le nostre esistenze fossero per un attimo bloccate, sulla soglia della vita che era finora e di quella che sarà.
 

Intanto però lo scienziato è entrato sulla nave.

E, come una specie di Arca Russa, si ritrova dentro uno sfarzoso palazzo, pieno di ori, statue e libri. Vaga per questo luogo così strano e allo stesso tempo così familiare.
Vaga solo ma convinto che in quelle stanze ci sia qualcun altro.

Il finale sono domande non risposte, è un sentirsi piccoli e non considerati, è quella specie di muro di gomma, è una stanza, è un'esaltazione dell'immaginazione, è la consapevolezza di aver vissuto qualcosa che in realtà non si è vissuto.
E' l'andar via di qualcosa, o qualcuno, che forse non è mai arrivato.

3 commenti:

  1. Hai commentato "solo" due volte (il solo è perchè anche un commento è tanto) ma entrambe le volte sei il più veloce del West Bara ;)

    attento, è molto interessante ma, non so se lo si capisce, è tutto molto parlato, anzi, quasi esclusivamente parlato

    ciao!

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  2. Un esperimento ben riuscito. L'altro da sé è sempre una rappresentazione, e come tale, non può essere esente dalla nostra immaginazione e dalle nostre speranze e timori. Dunque un documentario veritiero può svolgersi solamente a partire dalle nostre categorie umane nell'attesa di un evento che si è forse già verificato, o sta verificandosi, o si verificherà. E mentre siamo coinvolti in questa sospensione della storia, avvicinandoci a quest'evento, ci accorgiamo che stiamo soltanto indagando in profondo solo su noi uomini, e mentre sondiamo il futuro, guardiamo solo il nostro passato (il primo incontro con gli indigeni americani nel nuovo mondo).

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    1. Esatto, l'altro non conosciuto, l'ignoto, è una pozione che ha come ingredienti immaginazione, speranze e timori.

      Ed è perfetto quello che dici, il pretesto dell'attesa di "loro" è il frattempo per parlare di noi.
      E sì, il ricercare nel passato qualche elemento che ci aiuti a capire che potrebbe succedere nel futuro è una cosa che mi è piaciuta molto.
      Come dicono nel doc poi, quasi sempre nella Storiia qualsiasi civiltà superiore ha schiacciato quella "inferiore", rendendo quasi imprescindibile la dinamica dominatori-dominati.
      Proprio per questo, credo, quella visita, alla fine, nessuno di noi la vorrebbe

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