Oltre la notte è il silenzioso viaggio dentro l'anima ormai morente di una donna che in un solo secondo ha perso tutto.
Nel suo dolore, nella sua rabbia, nella sua afona e metodica voglia di giustizia e vendetta.
Nemmeno un film sull'elaborazione del lutto perchè, qua, il lutto non si prova mai nemmeno ad elaborarlo.
Un grande finale, una Diane Kruger di raggelante bellezza e bravura
presenti pesanti spoiler
Mi piace tanto questo titolo italiano (non so se traduzione fedele), Oltre la notte.
Non che sia originalissimo, che la notte, da sempre, da un'altra di notte, quella dei tempi, è stata spesso metafora di altro.
Pensiamo solo a uno dei romanzi più imprescindibili che esistano del 900, Viaggio al termine della notte di Celine.
La notte come metafora del nostro profondo, delle nostra zone più scure e inaccessibili.
Oppure, come nel caso del film di Akin (che avevo già incontrato col cult Soul Kitchen), una notte che è metafora di un dolore talmente profondo da non avere chiaroscuri, squarci di luce, nulla.
Ed ho trovato bellissimo che non si sia tradotto "dopo la notte" ma "oltre la notte", come se questa notte di vita e di anima non sia semplicemente un momento, un accadimento, un minuto in cui niente è più come era nel minuto prima. No, una notte che pare luogo quasi fisico, da oltrepassare, non solo un mero contestualizzare un prima e un dopo.
Perchè quando accadono tragedie simili tutti noi dobbiamo vivere il dopo la notte, è inevitabile, la nostra vita è una linea retta nel tempo. Ma quasi nessuno quella notte sa superarla, scavalcarla, andargli oltre.
E a significare l'importanza di questo titolo c'è anche il fatto di quanto arrivi in ritardo, dopo un lunghissimo prologo.
Dopo che Katja, la nostra protagonista, conosce la sua notte.
Ed è la notte più terribile che esista, quella dove, giusto il tempo di una sauna ristoratrice, se ne vanno via i tuoi due amori più grandi, tuo marito per cui hai così aspettato e lottato e quel bambinello simpaticissimo, tutto occhiali e creatività, ancora, per restare in metafora, all'alba della vita.
Katja non ha più nulla se non lo stanco e al tempo stesso disperato bisogno di capire cosa sia successo.
Akin ci porta nell'intimità del dolore, quella della casa silenziosa e in penombra, quella della migliore amica che ti piange alle spalle ma ha il dovere di farti forza, quella dei nervosismi parentali, quella delle inopportune ma doverose domande degli inquirenti.
Chissà in questi casi come si fa a staccar la testa dal dolore, come si fa a ragionare, come si fa ad accendere ad intermittenza la parte del cervello obbligata ancora a funzionare, per non impazzire.
Ho trovato questa la parte più potente del film, quella che urla realtà più di tutte, quella dove si staglia una figura raramente raccontata meglio in questi anni, quella dell'amica del cuore.
Una ragazza che se ne sta sempre lì, che non parla tanto perchè sa che non c'è niente di cui parlare, una che sa accusare colpi anche duri perchè, lo sa, in questi casi anche i migliori amici possono ferirti, mandarti via.
Dove c'è Katya c'è lei, con un dolore che le disegna il volto davvero verosimile.
Ma del resto Oltre la notte eccelle in questi personaggi secondari, così belli, così poco ambigui, così umani. E mi riferisco anche all'amico avvocato, un bell'uomo che, nel 90% degli altri film, avrebbe flirtato con la bellissima donna e amica (una straordinaria Diane Kruger) che stava aiutando. E invece no, e invece Akin ci regala un uomo tutto d'un pezzo, uno che semplicemente fa il suo lavoro infarcendolo di umanità ed amicizia, uno che non sbaglia una parola e sa star vicino.
Katja ha questi due tesori vicini, ma la notte è comunque scurissima.
Il film è diviso in 3 atti molto ben distinti. Il primo è quello della famiglia, dove conosciamo i personaggi e si consuma la tragedia.
Il secondo è, mi pare, "la giustizia", dove seguiamo tutto il processo.
Il terzo, forse quello che rende "Oltre la notte" un film anche abbastanza originale, è "il mare", quello in cui la disperazione di Katja la porterà a gesti estremi nel sole della Grecia.
Non siamo davanti ad un capolavoro, forse per via di un'andatura un pò schematica, di un film privo di guizzi e che forse commette l'errore di non gestire bene il climax, con una prima parte a mio parere abbastanza superiore alla seconda e un'ultima leggermente tirata per le lunghe (anche se porterà ad un finale bellissimo).
Non sono un grande amante dei legal thriller e forse la seconda parte mi ha un pò allontanato dall'empatia della prima.
Anche se quella biondina assassina seduta e silente, la deposizione di suo suocero e l'inquietante e grottesca sequenza col greco sono tre ottimi elementi.
Stranissimo che Akin abbia deciso di non mostrarci nemmeno un secondo delle deposizioni dei due assassini. Se ne restano sempre lì, freddi e silenziosi, quasi due automi, fino a quella odiosa e incontrollata esplosione di gioia per l'assoluzione.
A me piacciono più le piccole cose.
Katja che va a scegliere le bare e si limita ad accarezzare quelle prescelte, Katja che va nel luogo dell'attentato e "abbraccia" quel muro tinteggiato a striature di rosso, striature di rosso che non sono design ma simbolo di morte. Morte di chi più ami.
Quasi inevitabile arriverà la scena del suicidio.
E, che buffo, è una scena praticamente identica, identica, a quella vista recentemente nel bel Corpo e Anima.
Una giovane donna nuda in vasca, i polsi recisi, l'attesa della fine.
E poi una telefonata salvifica in entrambi i casi.
Poi, siamo in Grecia.
Ed è forte questo contrasto tra il mare, tra la terra del sole e l'oscurità ormai obnubilante che avvolge Katja.
A questo punto lo spettatore segue la vicenda come un thriller che ha soppiantato il drammatico.
Le ipotesi possibili sono tante (io ne ho fatte 3,4, alla fine ci prendevo per forza).
Il senso di schifo per quelle persone è altissimo, tanto che tu speri veramente li faccia fuori senza pietà.
Perfetta, veramente perfetta, la scelta di vendicarsi nello stesso modo, costruendo la stessa identica macchina di morte.
Chissà se quegli omicidi avrebbero portato Katja oltre la notte.
Io non credo.
E non lo crede nemmeno lei.
E allora si arriva al finale più terribile e coerente che ci possa essere.
La vendetta si compierà, ma motivi per restare di qua nel nostro mondo comunque non ce ne sono più, anzi, dopo aver compiuto la vendetta se n'è andato anche solo l'ultimo che restava.
Chissà se Katja ha pensato che in quel momento se ne sarebbe andata nello stesso modo in cui se ne sono andati suo marito e suo figlio.
Io credo di sì.
L'ultima inquadratura è straordinaria, la macchina da presa che si allontana da quel rovente luogo di morte e piano piano se ne va su, superando quell'albero che lentamente sta prendendo fuoco.
E arriva su in cielo, quel luogo simbolo di disperati nuovi abbracci, ricongiunzioni.
Ma io voglio scendere un attimo da quel cielo che poi diventa mare.
E voglio tornare a Katya nella cameretta del figlio.
Un letto a castello.
Una sedia per salire, uno scivolo per scendere.
Quel letto è, per me, simbolo del dolore più forte.
Katja è salita su, piange come non ci fosse un domani, abbraccia il cuscino del piccolo Rocco.
Katja è salita sul letto del dolore ma non riuscirà mai a prendere lo scivolo per scendere, per tirarsene fuori.
Resterà lì, nel letto.
Nella notte.
E ne resterà inghiottita, senza poter andare oltre.
O forse sì.
Forse quello scivolo porta nel cielo, un cielo capovolto
Nel suo dolore, nella sua rabbia, nella sua afona e metodica voglia di giustizia e vendetta.
Nemmeno un film sull'elaborazione del lutto perchè, qua, il lutto non si prova mai nemmeno ad elaborarlo.
Un grande finale, una Diane Kruger di raggelante bellezza e bravura
presenti pesanti spoiler
Mi piace tanto questo titolo italiano (non so se traduzione fedele), Oltre la notte.
Non che sia originalissimo, che la notte, da sempre, da un'altra di notte, quella dei tempi, è stata spesso metafora di altro.
Pensiamo solo a uno dei romanzi più imprescindibili che esistano del 900, Viaggio al termine della notte di Celine.
La notte come metafora del nostro profondo, delle nostra zone più scure e inaccessibili.
Oppure, come nel caso del film di Akin (che avevo già incontrato col cult Soul Kitchen), una notte che è metafora di un dolore talmente profondo da non avere chiaroscuri, squarci di luce, nulla.
Ed ho trovato bellissimo che non si sia tradotto "dopo la notte" ma "oltre la notte", come se questa notte di vita e di anima non sia semplicemente un momento, un accadimento, un minuto in cui niente è più come era nel minuto prima. No, una notte che pare luogo quasi fisico, da oltrepassare, non solo un mero contestualizzare un prima e un dopo.
Perchè quando accadono tragedie simili tutti noi dobbiamo vivere il dopo la notte, è inevitabile, la nostra vita è una linea retta nel tempo. Ma quasi nessuno quella notte sa superarla, scavalcarla, andargli oltre.
E a significare l'importanza di questo titolo c'è anche il fatto di quanto arrivi in ritardo, dopo un lunghissimo prologo.
Dopo che Katja, la nostra protagonista, conosce la sua notte.
Ed è la notte più terribile che esista, quella dove, giusto il tempo di una sauna ristoratrice, se ne vanno via i tuoi due amori più grandi, tuo marito per cui hai così aspettato e lottato e quel bambinello simpaticissimo, tutto occhiali e creatività, ancora, per restare in metafora, all'alba della vita.
Katja non ha più nulla se non lo stanco e al tempo stesso disperato bisogno di capire cosa sia successo.
Akin ci porta nell'intimità del dolore, quella della casa silenziosa e in penombra, quella della migliore amica che ti piange alle spalle ma ha il dovere di farti forza, quella dei nervosismi parentali, quella delle inopportune ma doverose domande degli inquirenti.
Chissà in questi casi come si fa a staccar la testa dal dolore, come si fa a ragionare, come si fa ad accendere ad intermittenza la parte del cervello obbligata ancora a funzionare, per non impazzire.
Ho trovato questa la parte più potente del film, quella che urla realtà più di tutte, quella dove si staglia una figura raramente raccontata meglio in questi anni, quella dell'amica del cuore.
Una ragazza che se ne sta sempre lì, che non parla tanto perchè sa che non c'è niente di cui parlare, una che sa accusare colpi anche duri perchè, lo sa, in questi casi anche i migliori amici possono ferirti, mandarti via.
Dove c'è Katya c'è lei, con un dolore che le disegna il volto davvero verosimile.
Ma del resto Oltre la notte eccelle in questi personaggi secondari, così belli, così poco ambigui, così umani. E mi riferisco anche all'amico avvocato, un bell'uomo che, nel 90% degli altri film, avrebbe flirtato con la bellissima donna e amica (una straordinaria Diane Kruger) che stava aiutando. E invece no, e invece Akin ci regala un uomo tutto d'un pezzo, uno che semplicemente fa il suo lavoro infarcendolo di umanità ed amicizia, uno che non sbaglia una parola e sa star vicino.
Katja ha questi due tesori vicini, ma la notte è comunque scurissima.
Il film è diviso in 3 atti molto ben distinti. Il primo è quello della famiglia, dove conosciamo i personaggi e si consuma la tragedia.
Il secondo è, mi pare, "la giustizia", dove seguiamo tutto il processo.
Il terzo, forse quello che rende "Oltre la notte" un film anche abbastanza originale, è "il mare", quello in cui la disperazione di Katja la porterà a gesti estremi nel sole della Grecia.
Non siamo davanti ad un capolavoro, forse per via di un'andatura un pò schematica, di un film privo di guizzi e che forse commette l'errore di non gestire bene il climax, con una prima parte a mio parere abbastanza superiore alla seconda e un'ultima leggermente tirata per le lunghe (anche se porterà ad un finale bellissimo).
Non sono un grande amante dei legal thriller e forse la seconda parte mi ha un pò allontanato dall'empatia della prima.
Anche se quella biondina assassina seduta e silente, la deposizione di suo suocero e l'inquietante e grottesca sequenza col greco sono tre ottimi elementi.
Stranissimo che Akin abbia deciso di non mostrarci nemmeno un secondo delle deposizioni dei due assassini. Se ne restano sempre lì, freddi e silenziosi, quasi due automi, fino a quella odiosa e incontrollata esplosione di gioia per l'assoluzione.
A me piacciono più le piccole cose.
Katja che va a scegliere le bare e si limita ad accarezzare quelle prescelte, Katja che va nel luogo dell'attentato e "abbraccia" quel muro tinteggiato a striature di rosso, striature di rosso che non sono design ma simbolo di morte. Morte di chi più ami.
Quasi inevitabile arriverà la scena del suicidio.
E, che buffo, è una scena praticamente identica, identica, a quella vista recentemente nel bel Corpo e Anima.
Una giovane donna nuda in vasca, i polsi recisi, l'attesa della fine.
E poi una telefonata salvifica in entrambi i casi.
Poi, siamo in Grecia.
Ed è forte questo contrasto tra il mare, tra la terra del sole e l'oscurità ormai obnubilante che avvolge Katja.
A questo punto lo spettatore segue la vicenda come un thriller che ha soppiantato il drammatico.
Le ipotesi possibili sono tante (io ne ho fatte 3,4, alla fine ci prendevo per forza).
Il senso di schifo per quelle persone è altissimo, tanto che tu speri veramente li faccia fuori senza pietà.
Perfetta, veramente perfetta, la scelta di vendicarsi nello stesso modo, costruendo la stessa identica macchina di morte.
Chissà se quegli omicidi avrebbero portato Katja oltre la notte.
Io non credo.
E non lo crede nemmeno lei.
E allora si arriva al finale più terribile e coerente che ci possa essere.
La vendetta si compierà, ma motivi per restare di qua nel nostro mondo comunque non ce ne sono più, anzi, dopo aver compiuto la vendetta se n'è andato anche solo l'ultimo che restava.
Chissà se Katja ha pensato che in quel momento se ne sarebbe andata nello stesso modo in cui se ne sono andati suo marito e suo figlio.
Io credo di sì.
L'ultima inquadratura è straordinaria, la macchina da presa che si allontana da quel rovente luogo di morte e piano piano se ne va su, superando quell'albero che lentamente sta prendendo fuoco.
E arriva su in cielo, quel luogo simbolo di disperati nuovi abbracci, ricongiunzioni.
Ma io voglio scendere un attimo da quel cielo che poi diventa mare.
E voglio tornare a Katya nella cameretta del figlio.
Un letto a castello.
Una sedia per salire, uno scivolo per scendere.
Quel letto è, per me, simbolo del dolore più forte.
Katja è salita su, piange come non ci fosse un domani, abbraccia il cuscino del piccolo Rocco.
Katja è salita sul letto del dolore ma non riuscirà mai a prendere lo scivolo per scendere, per tirarsene fuori.
Resterà lì, nel letto.
Nella notte.
E ne resterà inghiottita, senza poter andare oltre.
O forse sì.
Forse quello scivolo porta nel cielo, un cielo capovolto
Ciao Giuse, speravo in una tua recensione di questo film, perchè mi ha lasciato un po così, incerto sul suo significato.
RispondiEliminaDiciamo che non mi ha entusiasmato. Il titolo originale è Aus dem Nichts, che tradotto in italiano fa "Dal nulla", forse a sottolineare l'impossibilità di aspettarsi una tragedia simile, brutale e improvvisa, senza significato, e una reazione di lei altrettanto brutale, suicida, perchè l'unica cosa che le rimane è la sete di vendetta, e oltre a quella, appunto, il nulla.
Ma mi ha lasciato a bocca asciutta, non ho capito la spinta di fondo: è contro un sistema legale che non riesce a fare giustizia? Vuole approfondire i meccanismi che scattano in una persona normale quando le viene tolto tutto? Vuole parlarci della forza distruttrice della vendetta e la spirale di niente a cui porta? Oppure della necessità di riscatto personale, che porta alla creazione di un mostro, colpevole solo per necessità di crearne uno? Alla fine Akin non dà prova della colpevolezza dei due ragazzi, loro non lo ammettono mai, neanche quando pensano di essere da soli. Nella scena in grecia, quando lei li spia, il ragazzo dice "le faccio fare la fine che ha fatto suo marito", ma comunque anche questa non è un'ammissione chiara. Quindi non so, mi ha lasciato molte domande sul senso ma senza la curiosità di comprenderlo.
ah, che bel commento...
Eliminaallora, la questione titolo ti ringrazio da morire di avermi dato queste informazioni. Per fortuna, però, nulla cambia nella mia prefazione visto che io esaltavo la traduzione italiana, che mi piace moltissimo
peccato non combaci del tutto
e quella inglese, in the fade, è ancora diversa
come avrai visto io con la mia solita sciatteria ho parlato solo della parte umana del film, eliminando DEL TUTTO quella politica, quella etnica, quella di stato
manco una riga, che vergogna
sì, vero, leggendoti capisco come, in effetti, non c'è un obiettivo chiaro. Per me c'è stato perchè, appunto, io l'ho visto solo come un film sul dolore, intimo
sulla parte della giustizia secondo me non c'è un'accusa. Purtroppo la faccenda dell'oltre ogni ragionevole dubbio esiste e quindi se uno è colpevole al 95% è comunque innocente.
Quindi non ci vedo un'accusa, solo una cosa "strumentale" per portare alla terza parte, a quella della vendetta
sì, hai ragione, certezze sulla colpevolezza non ce l'abbiamo
ma, secondo me, sì ;)
cioè, son nazisti, in cantina avevano i 3 componenti, IDENTICI, della bomba esplosa lì, quella ragazza c'aveva appoggiato la bicicletta 4 minuti prima, sono in combutta col greco, hanno detto quella frase, insomma, è francamente impossibile che siano coincidenze
cioè, una ragazza passa davanti a un negozio che di lì a poco esploderà
lascia la bici nememno legata
il negozio esplode
a casa della ragazza ci sono i componenti per fare quella bomba identica (tutti eh)
lei è una nazista, suo marito uguale
e tante altre cose
sono loro oltre ogni ragionevole dubbio
ma non per la legge
(non so perchè ho ripetuto praticamente due volte le stesse cose, forse per metterle meglio in fila)
in ogni caso non un film grandissimo anche per me
però m'è piaciuto due spanne più di te ;)
eh lo so, ma Akin ci immerge nella vicenda dalla parte di lei, ci porta a credere ciecamente a ciò di cui é convinta, la lettura,di una donna comunque disperata, e quindi un giudizio molto emotivo.
EliminaComunque, sopra tutto, Diane Kruger. Un vero piacere vederla all'opera, il prezzo del biglietto ne vale anche solo per la sua bravura
no Davide dai, anche senza la visione di lei le prove oggettive sono gigantesche...
EliminaCioè, lei riconosce un volto (dopo aver fatto un identikit) e guarda caso sto volto è quello di una ragazza nazista, che odia i curdi, che in garage aveva i tre componenti per fabbricare quella bomba, che ha amici sempre nazisti che inventano alibi
insomma, qui siamo ben oltre la percezione soggettiva
lei supenda
io, ovviamente, la ricordo soprattutto per Mr Nobody
Akin si è ispirato agli attentati di Colonia del 2004, ad opera del gruppo neonazista NSU, e già per questo - SECONDO ME - è chiaro che i due imputati sono colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio. Detto ciò, a parte la bravura della Kruger, ho trovato il film molto triste. Ovviamente avrei preferito che lei non si sacrificasse, ma poi mi sono "immedesimata" e ho pensato ad una donna che, avendo perso tutto, non ha più nulla da perdere. E se anche si fosse salvata, facilmente avrebbe passato il resto della vita in carcere. E allora tanto valeva perdere anche l'unica cosa che le rimaneva, una vita che non aveva più senso vivere.
RispondiEliminaNo, spetta Dani.
EliminaCioè, la faccenda di Colonia a cui si è ispirato dice con certezza che di sicuro è un attentato terroristico e razziale ma non che sono stati loro ;)
insomma, avrebbero potuto essere altri nazisti no?
in ogni caso per me, come te, sono loro oltre ogni ragionevole dubbio
ho vissuto la parte finale come te, con mille idee diverse in testa
ma poi, come te, quando c'è stato quel finale ho pensato che fosse il migliore possibile
purtroppo :(
anche per me i colpevoli sono loro; ed è proprio questa la cosa che non mi è piaciuta del film. Possibile che nella strada nessuna telecamera abbia ripreso la donna dopo che ha lasciato la bici? Possibile che si stata presa per buona la dichiarazione del complice greco senza verificare che abbiano comprato un biglietto per la Grecia, che abbiano effettuato una qualsiasi spesa in quei giorni in Grecia, che il loro cellulare abbia impegnato una cella in Grecia? ecc. ecc. Poco verosimile questa parte!
RispondiEliminaNo aspetta Mauri che non è così
Eliminatutte le cose che dici sono di sicuro stata sbugiardate (specie quelle dell'amico greco).
Infatti in sentenza si dice proprio che per tutti sono loro ma che non c'è la faccenda dell' "oltre ragionevole dubbio", specie perchè nel garage avevano accesso altre persone
insomma, anche se ci sono il 95% di prove o smentite alla difesa purtroppo non possono condannarli, sapendo quasi per certo che sono loro
Mah! Avrai ragione tu. Sicuramente il giudice avrà valutato anche lire cose di cui parlavo, ma nel film non mi pare sia stato esplicitato che erano state vagliate. Detto questo, una sempre bella e brava Diane Kruger. Un saluto
Eliminaquando l'avvocato di lei fa vedere che il greco era amico loro e tante altre cose è implicito pensare che quella cosa del viaggio in Grecia si sia rivelata una truffa
Eliminae nella sentenza il giudice dice esplicitamente "malgrado siamo quasi certi che siate i colpevoli non possiamo dimostrare la cosa oltre ogni ragionevole dubbio"
insomma, le prove dell'accusa vincono 95 a 5 contro quelle della difesa
ma purtroppo serve un 100...