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10.5.18

Recensione: "L'Isola dei cani" (con una prefazione su Wes Anderson e sulla perfezione)



Per quanto mi riguarda il miglior Wes Anderson che abbia mai visto.
Di sicuro l'Anderson più adulto, più maturo, più coraggioso.
In una splendida animazione a passo uno un film di fortissima denuncia sociale, un film di deportazioni e razze inferiori, di soprusi e segregazioni, di poteri forti e di esseri ultimi.
Ma anche di amore e desiderio di libertà

Voglio dire la mia in maniera definitiva su Wes Anderson.
E lo dico da ora, i wessini non si offendano, io da 15 leggo di tutto, le peggiori bestialità, su gente come Trier, Lynch, Nolan, Lanthimos e altri dei miei preferiti.
Sinceramente tutte le offese, spesso gratuite e violentissime, che ho letto riguardo i miei registi preferiti mi hanno fatto lo stesso effetto di una leggera brezza sul viso, nè caldo nè freddo (dipende dalla leggera brezza), anzi, di solito mi hanno divertito nel constatare quanta incompetenza e celodurismo c'è in giro.
Quindi se ora faccio una leggerissima critica a Wes Anderson (regista che stimo tantissimo) è da auspicare che questa non offenda nessuno.
Parlando dello straordinario The Florida Project ho scritto una frase del tipo "e' Wes Anderson se Wes Anderson riuscisse a mettere il cuore davanti, e non dietro, la sua ossessione formale".
Più di una persona mi ha contestato la cosa.
Preferisco spiegarmi meglio.
Con quella frase non ho MAI voluto intendere che Wes non avesse anima o non mettesse cuore nelle sue opere. Anzi, credo ne abbia a quintali.
Volevo solo dire che mi dispiace che questo aspetto, così marcato, venisse dietro la sua ossessione per la forma.
Io spesso mi immagino i registi sui set.
E allora mi immagino Wes.
Lo vedo lì a costruire una scena, a dirigere.
Mi immagino che stia girando una scena molto bella, dolce, tenera e buffa come sa fare lui.
Gli attori son perfetti, la scena è venuta da Dio, la luce negli occhi dei bambini quella giusta, la chimica perfetta, la battuta detta nel modo giusto, quella mano ha fatto quel piccolo gesto così bello.
Ma cavolo, l'inquadratura non era perfettamente centrale, rifacciamo, ciak.
Ecco, mi immagino Wes star lì a comporre l'inquadratura, a dargli la sua centralità, ad armonizzare luci e colori, a far tutto, a discapito di tutto quello che i suoi personaggi e la sua storia potrebbero dare.
La trovo una cosa talmente ossessiva che mi uccide la vita dentro il film.
Spesso io uso la figura femminile per spiegarmi meglio.
Immaginate quelle ragazze bellissime, perfette, con il viso senza nemmeno un'irregolarità, con un corpo incredibile, pettinate da Dio, vestite in modo impeccabile.
Ma vuote dentro come una ciotola dove è passato un cane affamato.
Ecco, quelle ragazze NON sono il cinema di Wes.
Sono perfette ma vuote, cazzi loro, contente loro e i maschi, di solito vuoti parimenti, che le cercano.
Ora invece immaginate una ragazza con un mondo dentro, profonda, intelligente, simpatica, emozionata ed emozionante, con la luce negli occhi.
Però questa ragazza si veste e comporta come quelle vuote di cui sopra, si agghinda alla stessa maniera, si trucca completamente, si rifà le sopracciglia e qualcos'altro, cerca di apparire perfetta anteponendo tutto questo a quello che, di magnifico, potrebbe dare.
Ecco, che spreco cazzo, che spreco.
Ma lo sanno tutti che gli innamoramenti nascono dalle piccole imperfezioni, dalle cose diverse dalle solite, dagli sbagli, dalle irregolarità, dagli errori che si fanno e dalle debolezze.
La perfezione è quasi per definizione privazione di sorpresa e di imprevisto, la perfezione è routine. E la routine è quasi sempre una piccola morte.
Questo è per me il cinema di Wes, una ragazza con un mondo dentro, bellissima di suo, potenzialmente emozionante, ma ossessionata dalla forma e dalla perfezione dell'apparire.
Che poi, intendiamoci, a me i film puramente estetici piaccion tanto. Penso ad Amer, a Beyond the black rainbow e a tanti altri. Però lì quello si cerca e ottiene, una bellezza visiva ed estetica priva di altro.
In Wes no, in Wes ci sarebbe tutto volendo.
Che poi di registi ossessivi ce ne sono tantissimi, non lo sono gli stessi Lynch, Trier e Lanthimos?
Però quelle ossessioni sono diverse, sono magma, sono distruzione, sono malattia, quelle ossessioni non tolgono niente, anzi, aggiungono.
Sono ossessioni per l'imperfezione semmai, l'imperfezione e la potenza della psiche.
Nel caso di Anderson, invece, a me quella perfezione ha sempre affascinato (come puoi criticare una sua inquadratura? sono magnifiche) ma sempre tolto qualcosa.
Ecco, non ci torno più.
E non voglio avere ragione, è solo la mia idea.

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Ecco, tutto questo discorso che ho fatto non voglio applicarlo minimamente per L'isola dei cani.



Il primo motivo è tecnico.
Essendo un cartone (una stop motion a tecnica mista) è quindi una creazione ex novo. Ed è ovvio che una creazione artistica prescinde da tutte le cose che ho scritto sopra, mancando del tutto la componente umana.
Il secondo motivo è che io adoro la stop motion e quindi sono di parte.

L'Isola dei cani è, per quanto mi riguarda, il più bel Wes Anderson che io abbia mai visto (me ne mancano la metà però).
Di sicuro è il Wes Anderson più "grande", quello cresciuto, quello più impegnato, quello con più cose da dire.
Ed è molto bello che per realizzare il suo film più adulto abbia scelto la tecnica apparentemente più infantile, quella del cartone.

In un prossimo futuro tutti i cani di una grande città giapponese, Megasaki, vengono deportati in un'isola a poche miglia di distanza, l'isola dove la città butta anche i suoi rifiuti (e già qui abbiamo la prima metafora volendo).
Questo perchè i cani sono considerati pericolosi, portatori di malattie.
Il decreto è preso da Kobayashi, sindaco-dittatore della città.
Il suo pupillo, Atari, un bambino scampato ad un terribile incidente ferroviario, non accetta però la cosa, prende un piccolo aereo e va all'Isola dei Cani a ricercare il suo amato Spots.

L'Isola dei cani, sotto forma di animazione a passo uno, è invece un potentissimo, disperato e coraggioso film di denuncia, nemmeno troppo metaforico, anzi...
Dai regimi dittatoriali alle mafie, dalle bugie di stato alle questioni etiche, dal discorso sulla natura e sull'addomesticatura, i temi sono infiniti.
Andiamo per ordine (ma quale ordine, mai avuto).
Anderson crea un'opera visivamente splendida, dalle ambientazioni minacciose e derelitte ma di grandissimo fascino.
Da un lato abbiamo la città di Megasaki, una specie di Norimberga dei tempi che furono.
Dall'altra c'è questa isola dei rifiuti che, inevitabilmente, ci richiama subito Wall-E.
Ma quando i nostri eroi si metteranno in viaggio avremo sempre più location, tutte ugualmente devastate.
Ed è forte qui il richiamo a tutte le tragedie naturali e non che hanno colpito e colpiscono il Giappone, dagli tsunami ai terremoti, dalle eruzioni vulcaniche ai disastri chimici e nucleari.
Il luna park abbandonato, il campo da golf, tutte queste strutture senza più vita, splendide rappresentazioni di un mondo distrutto dalla natura o dallo stesso uomo.
Ma il Giappone è presente ovunque, non solo nei luoghi.
Dal teatro Kabuki (e come non richiamare Dolls...) al sumo, dai giochi di ombre (bellissimi, ma del resto la fotografia è curatissima) alla musica, L'Isola dei cani è un film enfio di cultura giapponese, inscindibile da essa.
C'è una vena molto malinconica, del resto storia e ambientazione non potevano portare ad altro, dimenticatevi i colori, la brillantezza e la spensieratezza degli altri Anderson.
Io, personalmente, credo di aver riso solo un paio di volte (una è quella geniale trovata delle visioni della cagnetta Oracle, nient'altro che trasmissioni televisive).
In realtà questo è un film molto duro, molto impegnato, probabilmente non adatto ai bambini se non aiutati.


Ne L'Isola dei cani troverete le più grandi nefandezze della nostra storia recente, i regimi totalitari, il senso di razza (anche se qui trasposta nel regno animale con i gatti amati da Kobayashi visti come puri e i cani impuri), le deportazioni, gli esperimenti assassini, le collusioni politiche, la privazione della libertà di stampa, di tutto.
A volte ci sono dei richiami molto espliciti (pensiamo alla scena in cui vediamo tutte le targhette dei cani morti, impossibile non ripensare agli effetti personali dei campi di sterminio nazisti) a volte lo spettatore deve cercare di andare più in profondità con un pò di sforzo.
E' molto interessante vedere come l'intera città approvi quello che dice Kobayashi, a testimonianza che quando sei in un clima dittatoriale, dove tutto è manipolato, molto probabilmente chiunque finirebbe in una sorta di ipnosi collettiva.
Ho sempre pensato che quasi tutti noi che odiamo e abbiamo conati di vomito ripensando al nazismo se fossimo stati tedeschi di quell'epoca quello saremmo stati, nazisti.
Qui la manipolazione è proprio decisa a tavolino, visto che la stessa malattia dei cani è stata creata ad hoc.
Ed è molto indicativo allora che in questa sorta di ipnosi collettiva (ricordiamolo, la maggior parte dei cani erano con padrone, amati) le uniche due "menti" che riescono a ribellarsi sono una a rappresentanza della scienza virtuosa e non corrotta (con lo scienziato poi ucciso), l'altra la "straniera", la ragazza americana che, appunto in quanto straniera, riesce forse a veder tutto senza condizionamenti.
E, non ultima, lei rappresenta anche la stampa libera, quella che va alla ricerca della verità.
Ma non si finisce qua, ogni 5 minuti Anderson mette dentro qualcos'altro.
Abbiamo così anche il discorso sulla natura (inteso come attitudine naturale) e sul conseguente rapporto uomo-cane.
Nella sequenza apparentemente antropocentrica del lancio del bastoncino c'è forse nascosto un altro significato, quello di un mutuo bisogno, di un potersi dare e ricevere affetto, quello della scoperta di una carezza da parte del cane randagio, avverso agli uomini.

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Del resto tutti i cani deportati sentono la mancanza dei loro padroni, mancanza che, spero, debba essere vista come bisogno di quell'affetto che adesso manca loro, e non solo delle contingenze (cibo, alloggio, etc...).
E' anche vero che solo il coraggiosissimo Atari (personaggio molto complesso, non il classico bambino con cui empatizzare senza se e senza ma) sente così tanto la mancanza del suo cagnolino da andarlo a cercare.
Tutti gli altri, come dicevamo, sono ormai zombie nelle mani del potere.
Ma sono forti anche i discorsi sul dolore, sulle ferite, sugli abusi, sugli esperimenti. La colonia di cani nel finale è una comunità di handicappati mutilati dall'uomo.
Ma lo stesso Atari, il bambino, oltre ad essere un sopravvissuto che, probabilmente, ha avuto danni permanenti al cervello, è immagine simbolo di questo martirio, di questo dolore, con tutte quelle ferite, quel ferro piantato in testa e la zoppia.
Quello nell'isola è un mondo di reietti, storpi e ultimi.
E a questo mondo se ne vuole sostituire un altro, quello freddo e disumano dei robot.
Anderson va giù pesante e ci regala un'ultima mezz'ora molto emozionante.
Prima ha messo dentro tanti giochi, tante soluzioni grafiche (penso alle immagini sui circuiti chiusi che sono cartoni animati classici - geniale - , alle risse, alla specie di platform quando i 4 cani finiscono nell'inceneritore, alla sequenza del sushi o a quella del trapianto) ma il clima è sempre cupo, pesante, opprimente.
Ci si emoziona anche, ci si emoziona per alcuni rapporti o per questa lotta contro tutto e tutti intrapresa da Atari, i suoi cani, e la combattiva studentessa.
Si finisce il film forse con un pizzico di irreale retorica (il cambiamento di Kobayashi) ma con la sensazione di aver visto un'opera d'arte di aspetto bellissimo e di cuore pulsante.
Ops, l'ho detto

16 commenti:

  1. bellissima, ora che ti ho letto confermo appieno le mie ****scarse, cioè ora sono **** quasi abbondanti

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  2. Visto in settimana, lo attendevo da mesi questo film (anche se wes mi piace si e no dipende dallo stato del momento durante gira il suo film) perché sapevo fosse una metafora della vita e della natura umana.. e sono d'accordo con te, è il miglior anderson e dire che pensavo I Tenembaum non avrebbe potuto batterlo! Mi ha molto emozionato e colpito ed è veramente un grande lavoro con una sceneggiatura forte e potente

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    1. Io I Tenembaum lo vidi all'uscita al cinema, ho paura di andare a vedere che anno fosse...

      Ma anche io, pur con un ricordo vago, avrei detto che fosse quello il mio preferito

      prima de L'Isola dei cani ;)

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  3. Contea Sergej: 11 Maggio, Anno Domini 2018; (solo i cretini.... non cambiano idea...)

    In Sala, versione originale, stop-motion, splendido, ho pensato.....peccato che il film sia girato da un Texano tutto finto e narcisista...irritante per i suoi esercizi di stile quasi quanto un assolo di un violinista che strimpella senza passione dentro una underground....sarà, mugugnando, il suo
    solito pastrocchione con sequenze alla Cine-Ridolini....e poi... dopo pochi minuti di visione....mmmhhhh...lo sciccoso ha fatto ricorso ha sostanze psicotrope....e poi, ancora qualche minuto e mumble, mumble ....tutti gli Alarm, Alarm nella mia testa cessano di squillare e....i neuroni si attizzano e il cuore inizia a pompare per una idea di cinema finalmente adulta e
    interessante da visitare...L'isola dei Cani non è un racconto ideologico, un film di denuncia o un movie-prison...finalmente Wes Anderson spariglia le carte e si eleva di colpo...il suo film è uno stupendo messaggio visuale pieno di amore per il Cinema e fa quello che deve fare e costruisce qualcosa privo di retorica e di visioni onanistiche...dove una colonna sonora diventa un tamburo martellante..... e batte il ritmo di un immaginario con connotati poetici e ....caz£zo se funziona....impossibile raccontare tutti i tributi al cinema e alle arti pittoriche del Sol Levante che WES riesce a trasformare in sequenze indimenticabili... il fascino sbalorditivo delle inquadrature e gli occhi dei personaggi e la potenza sovversiva degli starnuti degli UnderDogs sono qualcosa
    che è difficile da descrivere....guardatelo Isle of Dogs......

    N.B: consigliato in versione originale per le voci di Bryan Cranston (quello di Bad Breaking) e di Scarlett Johansson (quella di Her)

    P.S.: unica pecca, the Cats così, Wes, e daiiiiiiiiiiiii......naaaaaaaa,......;)

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  4. Curiosità: quando ho letto la recensione di The Florida Project, in particolare la frase su Anderson che hai ripreso qui, avevo già visto L'Isola dei cani e con un pizzico di presunzione ho pensato che proprio questo Anderson ti avrebbe fatto cambiare idea.

    Ennesima testimonianza di come un film d'animazione possa essere uno strumento superiore - l'ho detto - anche anche del cinema con le "persone vere" per veicolare mondi, metafore, allegorie e messaggi senza retorica. Il rapporto uomo-cane è solo il punto di partenza per trattare temi enormi come l'uso corrotto del potere, il ruolo della stampa, il coraggio di fronte all'ingiustizia.

    Concordo sulle atmosfere malinconiche e la mancata brillantezza (segno di maturazione, secondo me, perché adatta la tecnica al tema rafforzando entrambi), tuttavia credo abbia messo anche tutta la sua leggerezza, l'amore per l'incredulità e la ricerca della bellezza nel malefico mare di rifiuti attraverso le scene che tu stesso hai descritto, come le risse, le visioni e le carrucole.

    Interessante anche la scelta della doppia lingua: se altrove è un vezzo qui non mi pare proprio fine a se stessa.

    Mi porterò nel cuore soprattutto gli sguardi di questo film: tumultuosi di Kobayashi, speranzosi di Atari, indagatori di Tracy e vivi, i più vivi di tutti, quelli di Rex, Boss, King e tutti gli altri.

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    1. io non credo di aver cambiato idea su Wes ;)

      cioè, se rivedo i film che avevo già visto prima dell'Isola dei cani la mia idea è la stessa. E qui, con la stop motion, quella idea non potevo nemmeno verificarla

      perchè qui si disegna una scena, si creano i pupazzetti, li si dispongono e tutto il resto

      quindi un'eventuale perfezione formale ci sta alla grande, tanto tutto è creato

      è quando c'è la vita "vera" che a me dispiace vederla sempre dietro la forma ;)

      sì, vero, ci sono dei cartoni che non solo sono alla pari del live action ma superiori, veicolano i messaggi in maniera ancora più forte

      questo accade spesso quando c'è un "contrasto" tra significante e significato o tra mezzo e fine

      ma del resto pensa ai comici, quando vogliono far piangere lo fanno meglio degli attori drammatici

      "Concordo sulle atmosfere malinconiche e la mancata brillantezza (segno di maturazione, secondo me, perché adatta la tecnica al tema rafforzando entrambi), tuttavia credo abbia messo anche tutta la sua leggerezza, l'amore per l'incredulità e la ricerca della bellezza nel malefico mare di rifiuti attraverso le scene che tu stesso hai descritto, come le risse, le visioni e le carrucole."

      sì sì, perfetto, bravissimo

      guarda, sono uno stronzo, volevo fare una (lunga) analisi sull'uso della lingua nel film. Ma avendolo visto doppiato non avevo la certezza di alcune cose, quindi per evitare di dire castronerie ho rinunciato

      ma è un'operazione grandiosa quella

      per me gli sguardi sono tutto, gli occhi sono tutto, nel cinema e nella vita

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    2. In effetti non avevo riflettuto bene sulle tue parole: per uno come Anderson in un film simile, dove si tutto si stabilisce e controlla a priori, la forma è scontata mentre la sostanza non necessariamente lo è :)

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    3. no, più che scontata diciamo che possiamo accettare la perfezione di forma perchè di sicuro non può inficiare sulla potenza delle emozioni e della naturalezza

      poi la sostanza può esserci o no ma non può essere rovinata dalla forma

      è difficile spiegarmi ma credo che l'esempio che ho fatto in recensione è quello che rende meglio. Per Wes una scena perfetta non potrà mai solo essere quella in cui funziona tutto, quella emozionante di per sè, quella recitata da dio. Ma sarà sempre anche quella che non deve avere un cm fuori posto nella composizione

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  5. Anche io mi immagino Anderson come lo hai descritto all'inizio, per quanto lo adori proprio per questo suo perfezionismo snob che ogni volta mi catapulta in un mondo "altro", fatto di persone matte che vivono in un universo di arte, cultura, bellezza estrema.
    Qui ci ho trovato anche tanto cuore, tanta rabbia, tanta voglia di vivere, che hanno reso la perfezione formale ancora più bella!

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    1. ma assolutamente Erica ;)

      la mia non è una critica oggettiva, anzi, il suo perfezionistmo è sbalorditivo e lo stimo molto

      ma a me risucchia l'emozione come un finestrino rotto in un aereo

      qui invece la forma non può far danni, non può succhiare energie vitali

      e sì, c'è cuore, rabbia e...perfezione

      ed è bellissimo ;)

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  6. quando scriveranno i libri sulla storia del cinema ci sarà un capitolo a parte, il cinema di Wes Anderson, inconfondibile.
    e questo è un film che resterà, ne sono certa.

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    1. certA ? ;)

      sì, per quanto non lo ami tanto è un autore incredibile che, come dici te, avrà la sua pagina nella storia

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    2. vabbè, nessuno è perfetto, alla tastiera :)

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    3. pensavo fosse uno splendido outing ;)

      scherzo

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