"Sorrentino abbandona le sue non narrazioni, le sue "non trame" per tornare ad un cinema lineare, dritto come una spada, senza flash back, senza deviazioni, senza sottostorie.
Ed è commovente come per raccontare la sua vita Sorrentino abbia appunto abbandonato quella che ormai è riconosciuta come la "sorrentinità".
E' commovente se pensiamo specialmente ad una delle scene più belle del film, quella dove Capuano urla a Fabietto:
"Non ti disunire!!"
"Non ti disunire!!"
E cosa è stato il cinema del secondo Sorrentino, quello più famoso, se non un cinema disunito?
Ed ecco allora che, invece, per raccontare sè stesso, Sorrentino ascolta quel vecchio consiglio, "non ti disunire". E lui allora non si disunisce, racconta un anno della sua vita in modo "intero", senza parzialmente scremarsi, senza orpelli, senza rapsodie, senza parentesi che si aprono e chiudono, senza divagazioni, senza perdersi.
Un gesto di umiltà, un (apparente) passo indietro artistico che Sorrentino fa per non camuffare la realtà, per non rendere manipolata la verità, per non rendere sorrentiniana la sua vera vita.
Perchè è questo il paradosso de sto film, ovvero di come questo autore spesso odiato come uomo e artista quando poi fa un film in cui fonde le due cose tra loro, quando oltre a Sorrentino riesce a raccontare tanto anche del Paolo, si ritrova davanti l'amore sconfinato di tutti."
Finale de La Grande Bellezza.
Una bellissima ragazza bionda si gira verso quello che sappiamo essere il giovane protagonista.
Una bellissima ragazza bionda si gira verso quello che sappiamo essere il giovane protagonista.
Un'istantanea.
E' lei probabilmente quella grande bellezza che Jep poi ricercherà per tutta la vita, è lei quell'attimo cristallizzato per sempre nella sua testa.
E' stata la mano di Dio.
L'avvenente e problematica zia di Fabio ad un certo punto si ferma lungo il vialetto.
Fabio la guarda, la vede scostarsi i capelli.
Un'altra istantanea.
Un altro attimo cristallizzato nel tempo, un attimo che accompagnerà per sempre Fabietto.
Due scene minime, di quelle che se provi a raccontarle sono già finite, identiche.
E tutte e due mostrate da Sorrentino in modo tale che siano LA scena, che siano il momento in cui qualcosa che era prima adesso più non è e qualcosa che verrà dopo deve ancora arrivare.
La vita di due diciassettenni (sia ne La Grande Bellezza che qua), anzi, di un solo diciassettenne (perchè in quella scena a questo punto è facile immaginare che Jep fosse Paolo), la vita di due diciassettenni che hanno come momento di crocevia quello in cui una donna li guarda, un momento eterno in cui ci sono solo loro, solo lui e "lei".
E' stata la mano di Dio, per me, non è grande come Le Conseguenze dell'amore o La Grande Bellezza.
Perchè il primo è un film piccolo e perfetto e il secondo un film immenso e imperfetto (e nell'immensità ci deve essere l'imperfezione, non si può dare un limite all'immensità).
Questo non è nè piccolo nè immenso, nè perfetto nè imperfetto, questo è un film vero, verissimo, che ambisce ad essere tanto (quasi tutto) ma senza l'arroganza e la magniloquenza de LGB.
Sorrentino abbandona le sue non narrazioni, le sue non trame per tornare ad un cinema lineare, dritto come una spada, senza flash back, senza deviazioni, senza sottostorie.
Ed è commovente come per raccontare la sua vita Sorrentino abbia appunto abbandonato la quella che ormai è riconosciuta come la "sorrentinità".
E' commovente se pensiamo specialmente ad una delle scene più belle del film, quella dove Capuano urla a Fabietto:
"Non ti disunire!!"
"Non ti disunire!!"
E cosa è stato il cinema del secondo Sorrentino, quello più famoso, se non un cinema disunito?
Ed ecco allora che, invece, per raccontare sè stesso, Sorrentino ascolta quel vecchio consiglio, "non ti disunire". E lui allora non si disunisce, racconta un anno della sua vita in modo "intero", senza parzialmente scremarsi, senza orpelli, senza rapsodie, senza parentesi che si aprono e chiudono, senza divagazioni, senza perdersi.
Un gesto di umiltà, un (apparente) passo indietro artistico che Sorrentino fa per non camuffare la realtà, per non rendere manipolata la verità, per non rendere sorrentiniana la sua vera vita.
Perchè è questo il paradosso de sto film, ovvero di come questo autore spesso odiato come uomo e artista quando poi fa un film in cui fonde le due cose tra loro, quando oltre a Sorrentino riesce a raccontare tanto anche del Paolo, si ritrova davanti l'amore sconfinato di tutti.
Forse anche perchè questo è un film coraggioso, un film dove ci viene mostrato un ragazzo debole (anche se sembra forte quando non piange,) senza una strada anche se convinto di quale dovrà essere la sua, timido, spaesato, completamente fuori dal consesso femminile, costretto a diventare uomo aiutato da una vecchia (scena che parte ridicola e finisce lirica, con quel "Voglio solo darti una mano a guardare il futuro" che è frase di una bellezza e verità infinite, è la frase che ogni depresso (come sono stato anche io), che ogni persona "ferma" vorrebbe sentirsi dire, questa è la verità, trovare persone che sanno darti e dirti che ci sarà un futuro, e che magari ti danno le armi per farlo).