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3.5.24

Recensione: "Civil War" - Al Cinema 2024

 

Eravamo in 4 a vedere il film, è piaciuto solo a me.
Questo mi ha portato a riflettere.
Credo che film come Civil War non siano oggettivamente belli o brutti o oggettivamente riusciti o mal riusciti ma tutto dipenda non tanto dal gusto di chi guarda (questo avviene sempre, ovviamente) ma dal punto di vista da dove lo si guarda.
Perchè quest'ultimo film di Garland (autore che amo molto, sia come sceneggiatore che come regista) se lo si giudica per quello che mostra ha tante falle, tante forzature, tante scene poco credibili, una grande prevedibilità di fondo, un senso di "reale" lontanissimo.
Eppure, secondo me, questo è un film da prendere in senso simbolico, un film che lancia un messaggio, e che lo fa nel modo più estremo che può, per farlo arrivare più potente possibile quel messaggio.
E allora tutto è un autentico parossismo, un portare tutto al limite, per raccontare un mondo già morto, ormai freddo e cinico, ormai assuefatto dalla violenza, un mondo senza più pietà ed empatia, in cui vedere e fotografare l'orrore è una semplice abitudine.
E lo fa soprattutto mettendo a specchio i due personaggi femminili, uno che, ormai "svezzato", perde sempre più umanità e l'altro che finalmente si sta svegliando, andando "indietro" rispetto alla disumanità raggiunta nei decenni.
Questa recensione è il mio punto di vista, semplicemente.


Al solito scrivo più di una settimana dopo averlo visto, mannaggia.
(tra l'altro mi sono accorto, guardando il blocchetto, che questi ultimi due anni ho visto ben 15 film di cui poi non ho parlato per niente qui nel blog. Almeno 5-6 di questi ci tengo davvero a rivederli per poterne parlare).
In realtà alla fine tutto questo tempo passato e questi ricordi offuscati - nel caso di Civil War - fanno meno "danni" del solito visto che più che una recensione dettagliata per me parlare di questo film vale soprattutto per un discorso di "approccio" al cinema.
O meglio, per un discorso di "punti di vista" diversi dai quali si può vedere uno stesso film.
Casualmente mi ritrovo a scrivere il giorno dopo aver rivisto il bellissimo Speak no evil, un film diversissimo da Civil War ma che, nel senso espresso qua sopra, gli somiglia moltissimo.
Ovvero un altro film, come questo di Garland, che può essere visto da due "macro-lati", uno quello che mostra, l'altro quello che rappresenta.
Entrambi hanno grandi pecche di realismo, entrambi fanno storcere il naso, entrambi sembrano assurdi e non credibili ma entrambi, a loro modo, vogliono raccontare qualcosa di estremamente simbolico portando al parossismo delle tematiche.
Un parossismo che se ne frega dell'estremo realismo, perchè quando si vuole portare un concetto al suo limite massimo quello che conta è altro, ovvero far arrivare quel concetto, nel modo più "potente" e definitivo possibile.
E così come in Speak no Evil anche con Civil War io ho preferito di gran lunga vedere questo lato delle cose piuttosto dell'altro.
Perchè, diciamocelo, se prendiamo questo film di Garland come qualcosa a cui dobbiamo "credere" nelle cose che mostra il film non regge.
Troppe situazioni forzate, troppe esagerazioni, troppe vicende che ci danno la sensazione non potrebbero mai accadere nel caso - inopinato - di reale guerra civile americana.
Attenzione, ammetto che anche qui - come per Speak no Evil - ci sono almeno un paio di cose che - anche io che preferisco vedere i due film in senso metaforico - faccio davvero fatica ad accettare, ma restano per me comunque nascoste o depotenziate dalla...potenza del film.
Che poi, ora che ci penso, Garland già nei suoi precedenti film aveva raccontato concetti portati all'estremo limite.
In Ex Machina la costruzione di un androide che poi diventa più umano degli umani, in Men una condizione psicologica-esistenziale portata alle estreme conseguenze, e anche Annientamento era un film profondamente metaforico che portava un simbolo - quello del cancro - a dimensioni gigantesche.
Qui secondo me l'ha fregato il soggetto che, a differenza dei 3 precedenti film, urlava grande realismo. 
E invece no, Civil War è "esattamente" Garland, ovvero l'opera di un autore che va sempre "oltre" la realtà (anche nei film che aveva solo scritto, senza regia).



Come detto siamo in piena Guerra Civile americana, quella tra alcuni stati secessionisti e quelli ancora ancorati agli United States.
Il film - cosa che io amo molto mentre altri non sopportano - non ti fa capire come si è arrivati a questo punto, le reali motivazioni, i precisi passaggi, le dinamiche.
No, ormai gli Usa sono in ginocchio, ad una finale resa dei conti.
Questo "non sapere", questa incredibile confusione non sono un vulnus del film ma, anzi, un suo pregio. Lo spettatore è confuso, non riesce quasi a capire nulla, molto spesso non capisce nemmeno se i militari che seguono i nostri reporter sono di uno schieramento o di un altro.
Questo è un film che racconta il Caos (penso anche al meraviglioso Athena),  non ci interessa capire le ragioni politiche, non ci interessa capire le dinamiche militari, siamo semplicemente persone dentro quel caos che si ritrovano sballottate da una parte all'altra e cercano in tutti i modi di sopravvivere e documentare.
Per capirsi noi spettatori siamo nella stessa situazione dei reporter, esseri umani che devono solo fotografare (nel nostro caso vedere) e documentare, anche senza capire.
Incendi, fumo, città distrutte, cecchini ovunque, barricate, Civil War è una specie di videogame di sopravvivenza con tanti diversi livelli (anche come struttura del racconto, ci ritroviamo tanti piccoli "blocchi").
L'atmosfera c'è, la colonna sonora è a tratti bellissima (spesso contrasta con le immagini che vediamo, a creare un effetto straniante), le location perfette.
Si capisce che ormai regna la completa anarchia (non vi sembra che Civil War sia una specie di "The Purge" formato gigante? a me l'ha ricordato tutto il tempo), la linea da seguire è sì dritta (il film è un road movie con un tragitto molto preciso, quello che porta alla Casa Bianca) ma non per questo chiara e razionale, come se esistesse un percorso inesorabile e stabilito che attraversa però il caos.
E in questo caos assisteremo a violenze indicibili.
Ecco, l'ennesimo aspetto che può essere visto da due lati diversi.
Perchè Civil War mostra uomini bruciati vivi, esecuzioni, torture, omicidi efferati, violenze, senza misura, senza filtri.
Da un lato della medaglia potremmo definire tutto questo pornografia della violenza, dall'altro (e anche in questo caso io "sto" con il film) come l'ennesimo parossismo, ovvero portare il senso di disumanità e cinismo a livelli così alti da rendere tutto "normale".
E la sceneggiatura secondo me ci riesce alla grande perchè questo vuole raccontare, un mondo di esseri umani senza più valori, senza più pietà, senza più empatia, senza più shock.
I nostri fotografi sono così assuefatti dalle violenze che hanno visto e vissuto (i flash back della Dunst servono a questo) da aver completamente perduto la loro umanità, come se in un certo senso fossero "già morti" e quindi niente di quello che vedono li turba più, anzi, viene "adrenalinicamente" ricercato (penso a Joel che vede le bombe nel cielo stellato e inizia già ad emozionarsi immaginando di andar là).
Garland racconta perfettamente questa condizione di assuefazione, sia come la si vive, sia come la si raggiunge sia, rarissimamente, come la si può perdere.
E per questo usa due personaggi a specchio, quello della Dunst e la giovanissima Jessie.
Sono come due vasi comunicanti, più acqua sale in uno e più scende nell'altro.
Jessie all'inizio è impauritissima, perchè inizia questo lavoro essendo ancora nella sua dimensione "umana".
La Dunst invece dono decenni è ormai un automa, niente la turba più, niente la colpisce, niente le provoca pietà, è solo una macchina di una freddezza e cinismo unici, una macchina che deve far foto, le più cruente possibili (fotograferebbe anche la stessa Jessie se muore, le dice).


Ed ecco che più scorre il film più è Jessie che diventa cinica e fredda, come se tutto quello che sta vedendo abbia ucciso ormai quello che era prima e la porti in questa nuova dimensione dove un uomo giustiziato, torturato o ucciso davanti a lei siano una cosa "normale", anzi, qualcosa da ricercare.
E più lei "sale" più Lee (la Dunst) "scende" come se avesse ormai raggiunto l'Everest del cinismo e una volta arrivata in cima si fosse finalmente resa conto di quanto fa freddo, di quanto quella vetta le crei disagio e la impaurisca.
E così inizia a star male (può ricordare anche il rigetto fisico che ha il gerarca nel finale de La Zona di interesse o quello di The Act of killing), la morte del suo amico Sammy l'ha probabilmente risvegliata.
Lee sta tornando la ragazza che probabilmente è stata un tempo, una persona che non riesce più a sostenere tutto questo. E ormai, come un cambio di testimone, la condizione che adesso lei sta finalmente perdendo la sta invece raggiungendo Jessie (e non è un caso che sarà la ragazzina a fotografare la morte dell'amica).
Ho trovato questo racconto del confronto tra i due personaggi davvero stupendo, perfetto.
Penso alla scena della foto dei due uomini appesi, foto che Jessie non riesce a fare mentre Lee fa serenamente, anzi, anche "costruendola" come una messinscena.
Da quella sequenza in poi una diventerà sempre più cinica, l'altra comincerà a fare dei piccolissimi, ma giganteschi concettualmente, passi indietro (in questo senso, come accennato, sono importantissimi i rari ma incisivi flash back di Lee, come se finalmente adesso riuscisse a rivedere tutta la propria "carriera" con occhi diversi, quelli di chi si rende conto dell'orrore).
C'è però una scena molto importante e simbolica, quella della cittadina "normale", che prova a vivere serenamente facendo finta che tutta quell'Apocalisse non stia accadendo.
Ecco, come lo stesso luogo, un luogo "altro" , sospeso nel tempo, quasi irreale e "finto", anche Jessie e Lee vivono quei minuti dimenticandosi chi sono, la prima una ragazzina che ormai ha intrapreso una strada senza ritorno di perdita di sè, l'altra una reporter cinica che invece sta cominciando a tornare indietro.
No, lì sono semplicemente una ragazzina e una donna "normali", due versioni di sè che non esistono più ma che per 10 minuti tornano reali in quel posto al tempo stesso così reale e fittizio.
Una scena che, se vogliamo, è fatta della materia dei sogni, perchè solo nei sogni possiamo (ri)vivere parti di noi che vorremmo (tornare a) essere ma che poi quando ci svegliamo ci rendiamo conto non rappresentino la realtà.
Ma è così che dovrebbe secondo me esser visto e letto Civil War, come un continuo "rullino" (per stare in tema) di simboli.
Pensiamo anche a quando Lee lava il sangue di Sammy sulla macchina.
Quel lavare il sangue è il simbolo finale di quello che sta accadendo, il cercare di ripulirsi una coscienza, tornare umana, lavare e cancellare tutti gli orrori che fotografa da 20 anni.
E il non plus ultra è cancellare quell'unica foto del suo amico morto, una foto "importantissima", da Pulitzer, ma che ormai quello che sta diventando la nuova Lee (anzi, quello che sta tornando ad essere) non accetta più.
E, tornando a sopra, non credo che questa sia pornografia della violenza ma una perfetta rappresentazione di quello che Garland vuole raccontare nel film, ovvero di una completa assuefazione al Male, alla violenza, alla disumanità, diventata così normale nel mondo che sta raccontando.
Civil War lo vedo in questo senso come un grido d'allarme, un "stiamo veramente diventando questi?" che mi ha davvero colpito.

Intendiamoci, il film non mi ha coinvolto in maniera straordinaria, il cinismo che mostra, giocoforza, rende freddi anche noi.
E non mancano le scene a mio parere mal riuscite.
Ad esempio quella delle due macchine affiancate l'ho trovata davvero brutta, abbastanza inverosimile e terribilmente strumentale (serve a far andare Jessie nell'altra macchina, si potevano trovare mille modi migliori).
Anche la scena dell'agguato a Winter Park ha lati molto belli (la location, così calma ma minacciosa) ma si fa fatica a capirla (due militari contro un cecchino, a che pro? forse ci vuole far capire che ormai, a prescindere dalla missione generale, ci troviamo davanti a comportamenti irrazionali dei singoli).
E il finale è sì "perfetto" (nel senso che apoteosi di tutto quello che il film racconta) ma quasi inaccettabile nelle dinamiche (il Presidente che non è già scappato e se ne sta lì senza motivo, ad esempio, o le dinamiche dell'attacco - anche se visivamente la guerriglia raccontata è splendida - e altre piccole cose).
Non manca anche un grave errore di sceneggiatura (i fotografi che appena entrati nella Casa Bianca dicono "ma non c'è nessuno!" quando ancora mancavano 500 metri quadri da vedere).
E, diciamocelo, il film è prevedibile, dal minuto 20 praticamente sappiamo a grandi linee tutto quello che accadrà (ecco, questo non da Garland, vero).
Però, l'avrete capito, per me è un film potente sia nel lato visivo sia nei concetti che esprime.


Ho amato molto la scena con Plemons, a mio parere la più tesa del film (che buffo, la più tesa è quella meno "di azione") e anche molto interessante (come dicevo prima ormai ci sono militari che se ne fregano della causa principale e agiscono per conto loro, un pò come The Purge, si è detto).
Davvero magnifica, anche nei dialoghi.
Peccato che anche questa venga chiusa in un modo WTF, con un macchinone che i due militari (nel silenzio assoluto) non vedono arrivare, che colpisce solo loro, che li fa fuori etc...
Ma quella fossa comune e quei corpi di immigrati gettati dentro sono tanta roba.

Insomma, questa recensione non vuole certo far cambiare idea a chi il film non è piaciuto (noi ad esempio eravamo in 4 e solo io ho apprezzato) ma è sempre bello provare a dare un altro punto di vista sul come può essere guardata un'opera.

7/7.5

36 commenti:

  1. Con l'ambizione e speranza di andare a vedere un grande film (ho fiducia e apprezzo il regista), l'ho visto quasi in anteprima, in quel della sala culto (Energia dell'Arcadia di Melzo). La sensazione iniziale con poco pubblico, mi ha riportato a terra, ma sono bastate le prime sequenze e il taglio dato alla narrazione a farmi nuovamente volare.
    Ok, una scena è costruita malissimo (ma possibile che nessuno sia intervenuto nella sceneggiatura? era semplice aggiustarla) e nella strepitosa sequenza finale c'è un'altra scena da "mani in faccia" (ma che rabbia, che fastidio), per il resto mi è piaciuto una cifra.
    Benchè sia abbastanza telefonato negli eventi, racconta, con un punto di vista originale, un possibile prossimo futuro (un giorno diremmo, era già stato previsto?). La sua forza non è nel messaggio (che comunque è efficace ed è dichiarato in modo esplicito), ma nella messa in scena e la sala cinematografica, in tal senso, ha fatto il suo (gran tensione e coinvolgimento).
    Fotografia Top (forse quasi troppo curata, ma i fotografi di guerra sono i protagonisti), interpretazioni Top (in particolare Wagner Moura in versione Pedro Pascal), montaggio e regia molto validi (muscolare, ma attenta, calibrata, capace di cambiare registro ad ogni scena), buona colonna sonora (fondamentale a dare respiro a sequenze altrimenti poco sostenibili).
    Un film che potrebbe avere un'onda lunga di consenso o essere riscoperto tra qualche mese/anno. poco spiegabile il probabile flop al box-office (vero che con "Annientamento" Alex Garland fu forse il primo a cedere alle piattaforme tv a discapito della visione cinematografica).

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    1. aggiungo alla tua riflessione "...che proprio per non schierarsi (perchè poco importa chi sia la causa),
      l'opposizione al Governo del Presidente degli Stati Uniti è promosso dall'alleanza della California (notoriamente progressista e democratica) e Texas (notoriamente conservatrice e repubblicana).

      una delle genialate del film è la simbiosi tra reporter e militari: one shot (proiettile) per one shot (fotografia)
      con i reporter che non si schierano, ma scendono in campo.

      Sì, la scena che proprio non riesco a digerire è quella dove gli amici fotografi (non bianchi) arrivano ad minchiam giusto per poi essere sacrificati.
      Bastava farli arrivare la sera prima, dargli un po’ di spazio e giustificare con un qualsiasi pretesto (meglio una discussione) il passaggio della ragazza con l’altra auto.

      Ugualmente il sacrificio della Dunst (giocato a 0.00 alla Snai) DOVEVA essere gestito in modo completamente diverso. Che scena stupida e gratuita

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    2. Vedo che a livello di sceneggiatura concordiamo alla grande, i momenti più deboli sono quelli dello "scambio" con i due amici orientali e il finale.
      Sì sì, concordo su tutto anche se forse per me il messaggio e le tematiche sono arrivate forti quasi quanto il comparto tecnico.
      Sì, non ho fatto alcun accenno politico proprio per completa ignoranza mia, ma ho amato moltissimo questa confusione di non sapere quasi chi sta combattendo chi o comunque nelle varie scene non saper riconoscere chi sono gli uni e chi gli altri

      cazzo, non avevo pensato la cosa degli shot !

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  2. il film non è un saggio storico, per questo ci sono i documentari, è solo uno sguardo in un futuro possibile, e ogni giorno può essere l'ultimo.
    è un film estremo, forse estremista, ma così va il mondo, tutti i giorni, dappertutto, The Times They Are a-Changin, canta Bob Dylan

    curioso che per le foto si dice immortalare (morte e immortalità insieme)

    https://markx7.blogspot.com/2024/04/civil-war-alex-garland.html

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    1. Direi che la tua mini-recensione è perfettamente in linea con la mia, concordo con tutto quello che hai scritto da te :)

      sta cosa di immortalare non l'avevo mai pensata, fantastica

      sarà per questo che non mi faccio fotografare? ahah

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  3. Quando leggi "La strada" di McCarthy o ne guardi la versione filmica di Hillcoat non ti frega assolutamente niente di come si è arrivati fino a quel punto della vicenda, non hai alcun bisogno di saperlo, anzi non saperlo è già un'informazione, ti trovi in un mondo in cui il perché è ormai inservibile. Qui però è diverso, si parla di reporter, reporter talmente incuranti delle cause e talmente autocensurati che manco fossero giornalisti della Rai. 😬 È una guerra civile quasi senza civili, manca il racconto delle vittime, non ci sono storie personali, non ci sono affetti, solo un paio di vecchi padri lasciati all'ovile, e allora ci credo che non empatizzi e che ti sembra di assistere a un videogame e ti viene voglia di strappare il joystick all'amico che sta giocando vicino a te e di dirgli "dai a me che stai facendo un casino". 😂 Le troppe prevedibilità e gli espedienti manualistici ( la ragazzina che non muore per puro plot armor, ma suvvia) si perdonano a un esordiente non a un professionista, perché da parte di un professionista denotano poca stima verso il pubblico, specie se si considera che qui il regista è il quinto reporter della storia. "Speak no evil" avrà i suoi difettacci ma ha un messaggio dirompente, arriva zitto zitto ad avvisarti "guarda che i tuoi valori non sono universali, guarda che se non sei pronto a metterli in discussione possono diventare letali". Sbam! Con "Civil War" nessuno sbam, solo un gran sbattimento. Ho preferito "Vincent deve morire" che magari è trecentoquarantremillesima declinazione della minaccia zombie ma parla davvero di noi, della nostra pericolosità, della nostra violenza endemica, ci suggerisce cosa stiamo diventando con molta meno pretenziosità ma con più partecipazione e sgomento.

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    1. Concordo pienamente. Io di cinema capisco zero, qui ci sono persone molto qualificate, ma come semplice spettatore mi sono sentito , come dici tu, sminuito. E non è statonpossibile empatizzare, anzi speravo ( sapendo di farlo vanamente) in qualche giravolta della trama. Mi piacerebbe ad esempio che mi dipingessi una situzione come questa, da “so dove va a parare” per metà film, e poi, quando mi hai rassicurato che è tutto a posto, stravolgere ruoli e personaggi, rivoltare il punto di vista, vanificare tutta la logica seguita fino a quel punto… una roba così, vedi, è un bel cazzotto. E quella si che ti fa pensare, perché se mi fai concordare su una posizione, per quanto non totalmente assumibile, e poi menla rivolti verso il vero senso, mi costringi a pensare sul “come ho fatto a vederla cosi, prima”? Ed è forte, ed esco dalla sala con la testabpiena di riflessioni, magari…

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    2. Vedi Cristina, ieri ti dicevo "assurdo" perchè io nel mio blocchetto ho scritto ben due volte "The Road" per poi, incredibilmente, non citarlo mai in recensione.
      La prima volta l'ho scritto che il film non era cominciato nemmeno da 5 minuti. Ho visto quella distruziuone, ho capito che nessuno ci avrebbe spiegato niente e sono andato subito lì con la mente (tra l'altro ho letto anche il libro)

      Molto vero che mancano i civili ma non lo vedo affatto come un difetto. Seguiamo dei reporter di guerra affiancati all'esercito, in un filmche poi racconta pochissime giorni (2? 3?), non c'era veramente modo che questi si "staccassero" dal loro lavoro e obiettivo per andare a ricercare altro (tra l'altro arrivano comunque pelo pelo alla Casa Bianca, immagina se si fossero distratti).
      Insomma, secondo me fa benissimo ad essere radicale così (ci sono comunque un paio di momenti di stacco, come quello della cittadina serena)

      Per il resto tutto il difetto del "non messaggio" che citi dopo è scritto perfettamente e perfettamente comprensibile.
      Ma, come avrai letto, non lo condivido, a me il film è sembrato potentissimo e potentissimo il messaggio che arriva.
      Però, ecco, gran bel commento impossibile da contestare, come dicevo è un film veramente che dipende dal punto di vista, ancora prima dle gusto

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    3. Quello che dice Antonio è vero, il film, a prescindere che a me sia piaciuto e a noi no, poteva assolutamente mettere in sceneggiatura qualcosa che lo rendesse meno prevedibile, sia in trama che, magari, nelle dinamiche emotive dei personaggi

      però, e non lo dico per difenderlo ad oltranza, apprezzo anche questo suo esser "dritto", spietato, scontato, come una linea che arriva perfettamente dove deve arrivare, anche se in mezzo al Caos

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    4. Ah vedi! Abbiamo acciuffato uno stesso filo! ❤️ Insieme a quello de "La strada", a cui anche io ho pensato prima di subito, c'è stato un secondo richiamo che ha bussato dalla mia memoria più di altri e ha bussato davvero forte, perché a differenza del primo questo stava messo parecchio lontano. Confesso che ho dovuto cercare il titolo del film scrivendo su internet quello che ricordavo della trama, perché chissà quanti anni avevo quando lo vidi, eppure stava ancora lì. È vero che quel che ti coinvolge quando sei molto giovane resta più impresso perché avevi la mente più sgombra, ma cosa vuoi pensare del finale di "Civil War" quando da bambina hai visto "Gli angeli con la faccia sporca"? Ho risentito le grida della scena finale, enfatizzate dal riverbero tipico delle vecchie pellicole, ho sentito tutta la miseria e la codardia del potere che si sgretola all'improvviso davanti alla paura. Sino all'ultimo secondo non sapevo se tutta quella prepotenza ostinata sarebbe crollata e se ci penso sento ancora la tensione. Come lo vuoi prendere allora un finale già avvistato fin dall'inizio, in cui il potere che crolla è rappresentato da un improbabile presidente delle Stati Uniti dimenticato da solo e senza difese come un salame scaduto in soffitta?
      Comunque hai ragione tu, il gradimento o meno dipende dal gusto, dai punti di vista e anche, credo, da quanto spazio d'interferenza concedi a ciò che hai già assimilato. Io non ho visto tutto questo granché ma mi rendo conto che permetto a quello che mi ha colpito di diventare ingombrante, forse troppo.

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    5. Antonio, guarda, sinceramente anche io capisco meno di zero ma alla fine la resistenza di un film nella storia del cinema la fa lo spettatore comune, almeno credo.

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    6. Ecco, l'altro non poteva venirmi in mente perchè non l'ho mai visto ;)

      Però, vedi, non mi è sembrato un film "contro il potere"

      cioè, è una guerra civile, sono sempre stati americani, si lotta per l'indipendenza, sei "alla pari", non l'ho proprio visto il messaggio di lotta al potere, o almeno non la vedo per niente simbolica, semplicemente il Presidente era il capo degli "altri"

      sì sì, ma guarda che sto film io non lo sto difendendo eh, anche perchè ha mille motivi per essere attaccato

      infatti ogni vostro dubbio lo capisco e, anzi, molto spesso le vostre critiche combaciano con le mie

      è che secondo me, però, l'80% del materiale di chi critica (ovvero le esagerazioni del film) io nemmeno le considero, perchè lo vedo come una pellicola che porta volutamente tutto al limite, sapendo di farlo, sapendo di andare oltre, per far passare il suo messaggio (che, con me, arriva)

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  4. Io lo trovo pornografico. L'eccesso che attira pubblico, ormai a caccia solo di horror, devastazione, violenza, splatter in una girandola adrenalitica che eccita i lati peggiori. Secondo voi questa roba educa a poterne fare a meno? A mio avviso no.

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    1. Mah guarda, per me lo splatter ha il suo perché , ma devi contestualizzarlo correttamente. Qui ci sono degli inutili utilizzi, che non sembrano davvero utili allo storytelling, ma questo fa parte del taglio che si è voluto dare. Strizzare l’occhio un po’ a casaccio in varie direzioni senza, alla fine, colpirne nessuna come si deve. Carver lo definirebbe in questo caso un “trucchetto da quattro soldi”.

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    2. Quello che te hai trovato come negativo io l'ho invece visto come grande pregio del film, un film che sa raccontare perfettamente questa depravazione

      Eliminerei la parola splatter, perchè è altro (il film, tecnicamente, non ha una sola scena splatter)

      andando da Antonio non sono d'accordo, la violenza e l'eccesso visivo è perfettamente contestualizzato, dove più che in guerre e guerriglie possiamo ritrovare nel nostor mondo quelle scene?
      nelle guerre e guerriglie vere si vede molto di peggio, anche se per fortuna non ce lo mostrano mai

      ma è contestualizzatissimo ;)

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    3. Caden, capisco. Sono punti di vista e splatter non è il termine giusto, l’ho replicato perché era stato usato. Quindi era per capirci. Parlo di decontestualizzazione parlando del tipo di ordito su cui muove la trama. Certo che la guerra è il luogo del sangue, ma nella rappresentazione si può inscenare tranquillamente fisicamente esplicitarlo. Puoi parlare d’amore senza mai mostrarlo, se sei bravo…

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    4. prima cosa so giuseppe, non me chiamà Caden, ahah

      ma la mia risposta a "splatter" più che altro era a franco, non a te

      invece sì, la cosa della contestualizzazione rispondevo a te e continuo a pensare che in una trama simile e in un soggetto simile la violenza e le immagini forti che vediamo erano necessarie, altrimenti sarebbe stato un film davvero debole (vedere reporter di guerra in mezzo a guerre, guerriglie e massacri etnici e non avere immagini forti secondo me faceva di questo un film inutile)

      in ogni caso opinioni, ovviamente, ci sta alla grande anche la tua

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    5. Ma costretti una settimanella a Gaza, dopo (ammesso che torniate), andreste ancora a cercarvi di questi film? Mi viene davvero arduo, leggendovi, capire cosa andiate cercando di emozionale in queste finte rappresentazioni di realtà purtroppo autentiche. Che tipo di adrenalina, di brivido, di risposte? Ho parlato di splatter che mi dite non c'era, ma se ci fosse stato non credo, a questo punto, vi sarebbe dispiaciuto?

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    6. Oddio Franco, ma sto commento è assurdo eh, anche "pericoloso"

      1 non ho cercato il film (o questo tipo di film), semplicemente sono andato a vederlo, come te. Altrimenti dovrei dire che anche te sei andato a cercarlo no?

      2 A leggerti sembra che il cinema non possa raccontare la realtà, qualsiasi essa sia. Anche con esagerazioni. E' cinema no? Non capisco

      3 Lo splatter è un genere ben definito che, quasi sempre, appartiene o al gioco (vedi i primi film di Jackson) o all'horror. Ma qui io di budella, arti strappati, sangue che schizza come fontane e via dicendo non ne ho viste. Anzi, semmai, c'è da applaudire che un film che racconta cose così si sia trattenuto da non andare mai nello splatter (sarebbe bastata la prima bomba per mettercelo dentro, non ce l'hanno messo)

      quindi no, se ci fosse stato lo splatter, inteso come lo intendo io, sarebbe stato terribile e fuori luogo

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  5. Non l’ho trovato nè particolarmente geniale, nè innovativo. Tecnicamente niente da dire ma manca il cuore, il coraggio, la fantasia e la capacità di dire cose forti. Aggiungo dei dettagli che, in un film dove si é stabilita una linea dovrebbero essere coerenti. Tutto tristemente scontato, dalla domanda della sbarbatella alla reporter scafata, tu mi fotograferesti se…. allo scontato rovesciamento di ruoli sul finale. Non c’è un punto dove si esca dallo scontato “viaggio di cambiamento”. Fino allo scontatissimo scatto finale. Io, dopo tutto quel dover diventare uguale alla vecchia giornalista, quell’ultimo scatto ricercato per tutto il film, glielo avrei fatto clamorosamente mancare, anche per dire che comunque questi fotografi senza cuore che fotografano gente che muore malamente, alla fine é una schifezza, comunque. Dopo tutta questa violenza, la ragazzetta diventa fondamentalmente una donna indurita come l’altra e senza cuore pure lei… bel lavoro! E soprattutto totalmente lineare. Quindi non colpisce, te lo aspetti, e succede. Poi non ho sopportato questi soldati che si affannano, nell’attacco finale di una lunga guerra, mentre rischiano la pellaccia, a salvare giornalisti imbucati, neanche i “loro” ma gente che arriva alla cazzo in momenti tremendi e che si lancia con una idiozia notevole sotto il fuoco per una foto. ….e tutti lì a salvarli in contiuazione, mah! Transeamus sulle scontate citazioni di un viaggio scimmiottante Apocalipse Now in salsa barbecue senza approfondire un solo personaggio secondario. Fastidiosissima la pretesa di ste foto in bianco e nero, totalmente retró e dello sviluppo sul campo come si faceva una volta. L’uso della macchina fotografica in pellicola é forzatissimo, le foto del presidente morto come una foto della morte di Che Guevara anni sessanta… ma che bisogno c‘era? E i cellulari? Inesistenti. I checchini che si posizionano al 72 piano , che poi non vedono un cazzo… o che forse hanno mirini modernissimi mentre i fotografi sono rimasti agli anni sessanta… boh. Il tizio che spara dalla villa (solissimo) e liquidato per offrire una scena che ricorda ben altri film con i vietcong dove i nostri salgono per le scale. Una scena potentissima, con la donna viet che zampilla come un animale…. Una forza che qui manca completamente… va beh mi fermo ma potrei continuare. Peccato.

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    1. Sapevo già del tuo dissenso da Vieri ;)
      No, aspetta, ma che il film non sia nè particolarmente geniale nè innovativo assolutamente, non credo che qualcuno dica il contrario o che il film voleva esserlo ;)

      Mancano "cuore, coraggio, fantasia e capacità di dire cose forti"

      sono d'accordo su quelle dispari, non sulle pari, ahah

      il film è vero ha poco cuore e poca fantasia (molto prevedibile) ma per me è tanto coraggioso e il suo messaggio arriva forte

      Sì sì, molto interessante la tua proposta, ovvero di modificare quel finale, come se il film ci abbia indirizzato in questo scambio di ruoli tra la ragazzetta e la Dunst ma poi, alla morte di quest'ultima, la ragazzetta tornasse in sè. sorprendendoci.
      Concordo che così sarebbe stato meno scontato, eppure questo suo essere radicale e senza speranza, anche nella sua scontatezza, a me è sembrata una carta vincente, un passo indietro forse l'avrebbe indebolito

      " Poi non ho sopportato questi soldati che si affannano, nell’attacco finale di una lunga guerra, mentre rischiano la pellaccia, a salvare giornalisti imbucati, neanche i “loro” ma gente che arriva alla cazzo in momenti tremendi e che si lancia con una idiozia notevole sotto il fuoco per una foto. ….e tutti lì a salvarli in contiuazione, mah!"

      vero, concordo, volevo anche scrivelo in recensione

      "E i cellulari? Inesistenti."

      vero anche questo, e anche questo me ne ero accorto pure io

      "Il tizio che spara dalla villa (solissimo) e liquidato per offrire una scena che ricorda ben altri film con i vietcong dove i nostri salgono per le scale. Una scena potentissima, con la donna viet che zampilla come un animale…"

      quella scena secondo me è bellissima per atmosfera e location, ma si fa fatica a capirla. Sembra quasi a quel punto un gioco a due. Perchè, mi chiedo, quel cecchino lì che utilità aveva? e perchè i due militari dovevano a quel punto per forza star lì e ucciderlo?

      beh, sì, niente a che vedere con la scena di FMJ, capolavoro ;)


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    2. Vieri ha gradito più di me, in effetti. Relativamente al finale non intendevo comunque un ripensamento della ragazza, lei l’avrei lasciata ormai “trasformata” ma avrei fatto in modo che un motivo casuale le avesse sottratto lo scatto , e chiuso il film sulla sua delusione. Della serie, il crimine non paga, e non amo i messaggi ma stavolta avrebbe smontato il castello.

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    3. Ah, ok! sì sì, in questo senso assolutamente, ci sta alla grande

      beh, direi che Vieri ha gradito molto più di te ;)

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  6. Civil War fa parte senza ombra di dubbio di quei film che per estetica e impatto (sonoro su tutto) necessitano di essere vissuti in sala, e di conseguenza ci ricordano perché l’esperienza del cinema rimane difficile da replicare sul divano di casa.

    Garland ci aveva già viziato con la sua cura nell’orchestrare sound design, colonna sonora, immagini e dialoghi nelle opere precedenti (indimenticabile l’incipit del settimo episodio di Devs), e qui raggiunge l’apice con un sound design (pre)potente - anche nell’uso dei silenzi -, una colonna sonora ricercata e un’enfasi sul ritmo perfettamente mixati. L’esperienza uditiva è accompagnata da una cura visiva al limite del maniacale: i colori, i lens flare che forano lo schermo, le aberrazioni cromatiche nelle fasi più concitate, i costumi iconici (gli occhiali rossi di Plemons), i diversi stili di ripresa.

    Risalta una ricerca dell’inquadratura perfetta esasperata, che aggiunge un livello metatestuale all’intera opera. Di certo non è un caso, dato che il ruolo dei fotoreporter di guerra protagonisti - i quali mirano a ritrarre i fatti senza prendere posizioni politiche - è ricalcato in modo parallelo nella narrazione di Garland, che decide di non schierarsi e di presentare una situazione di guerra ormai nelle sue fasi finali dove non sono palesati moventi, cause o fazioni politiche (addirittura i separatisti sono due stati politicamente contrapposti, per aggiungere ulteriore opacità).
    Grigi lo sono anche i protagonisti, che sembrano spinti a rischiare la pelle sia per una morale interiore superiore - la volontà di mostrare l’orrore della guerra in modo neutrale ed onesto - sia per una dipendenza da adrenalina e da un desiderio di fama.
    Emerge latente anche un discorso sulla fotografia come arte, l'importanza di catturare non solo il momento, ma una gran bella foto di esso: e, di nuovo, si può dire lo stesso del film, chiudendo l’affermazione all’inizio del paragrafo.

    Restando sui protagonisti la dinamica più rilevante è il rapporto tra Lee (una brava Kristen Dunst), algida veterana fotoreporter al culmine della carriera, e Jessie (Cailee Spaeny, che aveva già collaborato con Garland in Devs), giovane ammiratrice di Lee e aspirante alla medesima carriera. La rispettiva involuzione/evoluzione è narrata con un espediente di montaggio azzeccato, inframezzando le sequenze d’azione con fotografie che raccontano e scandiscono il percorso delle protagoniste, distinguendo gli scatti digitali a colori di Lee da quelli analogici in bianco e nero di Jessie.
    Saranno nuovamente due fotografie ad immortalare i destini contrapposti delle fotoreporter: Lee cancella la foto - bellissima e terribile - del cadavere di Sammy (il vecchio giornalista “mentore” che ha la faccia incredibile di Stephen McKinley Henderson, anche lui reduce di Devs) per rispetto/senso di colpa, Jessie scatta e sviluppa (la vediamo) la foto di Lee in punto di morte, in una perfetta inversione di ruolo con inevitabile passaggio di testimone. “Inevitabile” perché telefonato da un dialogo a inizio film e perché rappresenta la solita dinamica maestro/allievo, che funziona a livello narrativo ma non stupisce (avrei preferito almeno l'inversione di ruolo tra le due, per una risoluzione più cinica).

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    1. Tra le sequenze più notevoli vi è la costruzione dell'incipit, in cui solo attraverso immagini, sonoro e montaggio vengono raccontati l'ambientazione e la protagonista: la situazione attraverso la TV con il discorso del presidente (match cut con i primi frame in cui Nick Offerman, altro protagonista di Devs, prova il discorso), Lee è presentata nel suo ruolo solo dagli oggetti sparsi nella stanza, il suo stato mentale dallo sguardo spento e dalla reazione indifferente alla bomba che esplode sullo sfondo (sequenza da brividi: prima si vede la fiammata, poi si sente il boato, infine arriva l'onda d'urto che fa tremare il riflesso della TV, ora fuori fuoco, sul vetro).
      Civil War probabilmente non resterà nella storia del cinema per i messaggi di fondo o le tematiche affrontate, ma mi sento di affermare che alcune sequenze valgano la pena di essere isolate e studiate per la maestria della costruzione, della messinscena e più in generale per l’armonia con cui tutti le parti sono concertate.

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    2. Su tutta la tua prima parte poco posso aggiungere, quello tecnico tecnico è il tuo campo e sei uno dei pochi che ne parla sempre ;)

      Non ho fatto caso a questa cura estetica quasi "geometrica" che dici, nel senso che ho visto che il film è girato benissimo ma non mi ero accorto in questa ricerca di perfezione che richiama la fotografia

      Tutti i personaggi, sia militari che fotografi, sembrano al tempo stesso pensare per sè (cecchini ad personam, Plemons, reporter che vogliono adrenalina etc) che al loro lavoro, in una zona grigia come dici te per cui non capiamo se quelle azioni hanno un comando superiore (che sia militare o giornalistico) o siano istinti e urgenze personali

      "Saranno nuovamente due fotografie ad immortalare i destini contrapposti delle fotoreporter: Lee cancella la foto - bellissima e terribile - del cadavere di Sammy (il vecchio giornalista “mentore” che ha la faccia incredibile di Stephen McKinley Henderson, anche lui reduce di Devs) per rispetto/senso di colpa, Jessie scatta e sviluppa (la vediamo) la foto di Lee in punto di morte, in una perfetta inversione di ruolo con inevitabile passaggio di testimone."

      ecco, hai spiegato qui benissimo il motivo per cui, pur prevedibilissimo, ho trovato quel finale quasi necessario, il finale travaso dei due vasi comunicanti, uno che si riempie sempre di più e l'altro che si svuota. E, paradossalmente, lo svuotarsi finale (la propria morte) è ciò che fa traboccare l'altro vaso (una foto eccezionale della collega che viene uccisa)

      Quello che dici te secondo me ormai non era più possibile, sarebbe stato sì cinico ma tremendamente incoerente. La Dunst era mezz'ora che stava malissimo per quello che viveva, e aveva anche cancellato la foto di Sammy. Che alla fine fosse morta la ragazzina e lei l'avesse fotografata sarebbe stato sorprendente sì, ma terribile per me in sceneggiatura, una cosa che sconfessava qualsiasi cosa avevamo visto nella precedente ora. Precedente ora che non sarebbe stata più credibile per me

      insomma, ok sorprendere, ma sconfessare del tutto una scrittura di un personaggio e annullare tutto il suo processo non l'avrei sopportato

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    3. Completamente d'accordo con tutto il tuo secondo commento

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  7. Secondo me, dovevano intitolarlo photo war. Con civil war è lecito aspettarsi sulle dinamiche, sui come, sui perché. Il naming mi ha condizionato, lo ammetto, mi aspettavo tutto un altro film

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    1. Ci sta :)
      Io quando non mi spiegano le cose invece sono sempre contento.
      Credo che in ogni caso il nome sia perfetto, però capisco che te avresti voluto un'altra narrazione :)

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  8. No dai, definirlo così mi pare quantomeno riduttivo. Però è vero che siamo lontani dal suo meglio. Dopo aver visto ex machina e soprattutto men (splendido) mi aspettavo di più, decisamente. Regia, montaggio inquadrature di grande fattura, ma purtroppo un film non è solo quello. Trovo - e con questa affermazione mi espongo ad ogni crudele critica - che Garland sia un regista intimo, che dia il meglio di se in contesti raccolti, introspettivi, mentre questo è un film corale, di ampi spazi aperti, e su questo aspetto deve ancora migliorare.

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    1. Ma "definirlo così" ti riferisci a me? alla recensione?

      o al simpatico anonimo sopra di te?

      per il resto mi ritrovo completamente nelle tue parole

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  9. No, non a te, al simpatico anonimo sopra, citatore di Paolo Villaggio....

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    1. Beh, ma quei commenti vanno semplicemente ignorati :)

      Mica perchè ha trovato il film orribile eh, ma perchè uno che ancora usa quell'infantile citazione senza nemmeno aggiungere altro non è una persona interessante, ecco

      (eufemismo)

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  10. Hai ragione, che lo voglia o no questo è un film che va ben al di là di quello che mostra e che in questa chiave qualunque cosa ci si veda vada letto, anche proprio per il “momento” in cui lo stiamo guardando; perché non parla di uno scenario possibile, ma proprio dello scenario presente. Non che l’America sia in guerra civile, con questo intendo però che gli elementi narrativi e i sottotesti che si portano dietro sono davanti ai nostri occhi pur non avendo ancora deflagrato. Ci viene mostrato il potere distruttivo di un ordigno che abbiamo tutto smontato davanti a noi ma le cui parti (al di quà dello schermo) non sono state ancora state assemblate (o almeno non ancora del tutto).
    Civil war nel suo insieme a me ricorda innanzitutto due cose, al netto delle introspezioni dei protagonisti che tu hai colto semplicemente alla perfezione:
    1) la storia la scrivono sempre i popoli (la storia sono loro, parafrasando il poeta); i leader servono innanzitutto a darne una narrazione funzionale ma presi da soli non sono nulla, non esistono. Il Presidente nel film è palesemente questo: un discorso da intonare nel modo giusto e nel quale neanche lui crede; o infine una foto dal valore puramente simbolico per la futura narrazione dei vincitori.
    2) la presa del potere è (quasi) sempre un atto violento (la storia entra dentro le nostre stanze e le brucia…), altrimenti significa che si sta facendo finta (cioè ci si muove in meandri marginali o in dinamiche più o meno di pacifica spartizione); ed è violenta per sua stessa natura, rispondendo ai tratti più infantili dell’essere umano il cui capriccio che riaffora nell’adulto pretende solo il proprio totale e incondizionato riconoscimento attraverso l’annullamento dell’altro, che per i popoli è annessione, colonizzazione, sottomissione.
    Le dinamiche sono sempre quelle, immutate ed immutabili ed è il motivo per cui è superflua qualunque premessa sulle ragioni del conflitto. Le ragioni di una guerra sono qualcosa che assumiamo solo dopo la sua fine, sovrapponendosi in modo perentorio e definitivo a ogni cosa di “prima” (la storia dà torto e dà ragione); e coincidono sempre le ragioni dei vincitori comunque edulcorate anche quando sacrosante. Qui la realtà si offre ai contemporanei senza premesse o didascalie, assuefatti come siamo a dibattiti e informazioni che alla fine si appiattiscono nel silenzio finale. Ma, più di tutto, secondo me è importante che il film ci parli della stanchezza di un’America il cui fallimento della missione universalistica (donare la democrazia a un mondo che non chiede altro che essere liberato) ha profondamente frustrato e diviso. Spaccato. Tanto epico sforzo per essere infine respinti nel disprezzo: il mondo non vuole essere liberato e men che meno dagli americani, non ci pensa proprio! Beh, Ci si perde la testa. Una potenza non può esistere senza una missione da compiere, anzi nella sua narrazione esiste innanzitutto per quella. In virtù di suscita fascinazione. E la gente ci crede davvero, in una potenza. L’assalto a Capitol Hill è in fondo una miniatura della guerra civile di Garland. Una deflagrazione in scala ridotta, ma i componenti della bomba, sebbene in scala, sono quelli.

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  11. Il film sì, racconta “esseri umani senza più valori ed empatia” ma non in senso moralistico o di stigma generalizzato; vuole raccontare e racconta come l’America scivoli sulla sua crisi che già minaccia il declino. E i segni sono per noi (da quest’altra parte) ancor più visibili nella ritrovata baldanza dei suoi antagonisti che se ne sono accorti eccome, nelle numerose crisi apparentemente incomprensibili che additiamo alla follia dei leader piuttosto che alla volontà dei popoli per quello ch sono e al relativo conto che presentano a torto o a ragione. Sì, siamo sul piano più “storico” che morale e a ben vedere le due cose sono antitetiche. A dircelo è proprio l’assenza di qualunque morale proprio in chi “documenta i fatti”, che è una necessità se si vuol fare quel lavoro (e “tornare umani” ne costituisce infatti la via d’uscita).
    E non credo infine che il film racconti dell’assuefazione al male in sé (sebbene ce ne siano gli elementi nel cambiamento simmetrico delle due protagoniste, ma a mio avviso solo per evidenziarne la fluidità che è tale per gli individui quanto per i popoli); credo piuttosto la contestualizzi in ciò che sta diventando o può diventare la più grande potenza del pianeta. Garland ci mostra l’apocalisse “laica” del nostro mondo così come lo conosciamo, convinti che fosse immutabile, definitivo, persino giusto sebbene magari con qualche riserbo. Ma la notizia è che mentre storciamo il naso sul gigante stupido in quell’apocalisse ci siamo anche noi e lui ce lo sbatte in faccia senza dircelo.

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