Il cinema della Fargeat è esagerato, esteticamente incredibile, sguaiato e pop.
Un piacere per gli occhi, come fu già per Revenge.
The Substance è un body horror dal grande soggetto e, a tratti, veramente magnifico.
La paura di invecchiare, di non piacere più, di essere diventati inutili.
E la possibilità di tornare ad essere desiderati, amati, importanti.
Un conflitto interiore che la Fargeat trasforma magistralmente in un body horror.
Eppure in uno scheletro di sceneggiatura davvero notevole si aggiunge della polpa a tratti terribile, sbagliata, senza alcun senso.
E un film potenzialmente immenso (almeno nel suo genere) finisce per autosabotarsi.
Un piacere per gli occhi, come fu già per Revenge.
The Substance è un body horror dal grande soggetto e, a tratti, veramente magnifico.
La paura di invecchiare, di non piacere più, di essere diventati inutili.
E la possibilità di tornare ad essere desiderati, amati, importanti.
Un conflitto interiore che la Fargeat trasforma magistralmente in un body horror.
Eppure in uno scheletro di sceneggiatura davvero notevole si aggiunge della polpa a tratti terribile, sbagliata, senza alcun senso.
E un film potenzialmente immenso (almeno nel suo genere) finisce per autosabotarsi.
"Were"
"Are going to"
In queste due forme verbali scritte nei biglietti di auguri delle due "diverse" Elizabeth c'è gran parte del film, o almeno gran parte della sua tematica.
Il passato, ciò che eravamo e ormai non siamo più.
Il futuro radioso.
Se Revenge, il primo (bellissimo) film della Fargeat era un grido femminile d'accusa e di dolore (film sul femminicidio, sull'amore malato e su come il salvarsi da certi uomini sia o impossibile o debba comunque passare prima da una propria "morte") The Substance, a mio parere, è più trasversale.
Questo perchè qualsiasi essere umano, chi più chi meno e di qualsiasi genere, ha una terribile paura di invecchiare, di non piacere più, di guardarsi allo specchio e andare in tremenda crisi.
Il dolore, la paura, l'angoscia che prova Elizabeth è quella di tutti noi, esseri umani che più che essere angosciati dal proprio futuro lo siamo del proprio passato, arrivando quasi ad odiare quella versione di noi che eravamo e che adesso, ahimè, non possiamo essere più.
Trovo infatti che la parte più bella, interessante, profonda e vera di questo film - a tratti bellissimo ma che fa di tutto per sabotarsi - sia l'odio che prova Elizabeth per Sue, la sua versione giovane.
E' un meccanismo psicologico pazzesco, quello di "amare" quel nostro passato esser stati giovani e odiarlo allo stesso tempo, perchè non più reversibile.
L' Elizabeth che potrebbe da un momento all'altro "eliminare" Sue ma, pur odiandola, non riesce a farlo è veramente specchio di questo conflitto dentro noi stessi, ovvero quello di avere l'illusione di poter rivivere la nostra giovinezza ma, in realtà, essere quelli di adesso (non a caso Sue viene percepita come "altro da sè" ma psicologicamente e subdolamente è invece legatissimo a sè).
Davvero concetti molto molto interessanti.
In più, in questa cornice esistenziale "generale" dalla quale tra poco è comunque giusto uscire (perchè The Substance rimane principalmente un body horror visivo, plastico ed estetico) non possiamo dimenticare come per le donne ci sia (generalmente) un ulteriore aspetto, ovvero quello che la perdita di bellezza (o giovinezza in senso lato) sia a volte un problema sociale e molto spesso anche lavorativo.
Se è vero infatti che anche noi maschi siamo travolti dalla tematica principale del film (l'angoscia dell'invecchiare e il sentirci sempre meno attraenti) è anche vero che però poi noi, invecchiando, perdiamo generalmente molto poco (anzi, in alcuni campi quasi guadagniamo) mentre le donne, in tanti contesti, diventano sempre più penalizzate.
Figuriamoci nell'aerobica, il contesto del film.
Elizabeth da decenni cerca di mantenersi "bella" e seducente, perchè quello gli viene richiesto.
Ma inevitabilmente si arriva ad un punto in cui non sei più il "prodotto" giusto.
E quel corridoio pieno dei tuoi manifesti sarà smantellato degli stessi, per far posto al nuovo che avanza (ma che nel film sei te stesso, indubbiamente la perla di sceneggiatura del film).
Ora, The Substance ha un grande soggetto e persino un grande scheletro di sceneggiatura (i vari passaggi principali del film, le vicende portanti) quasi del tutto distrutto, ahimè, dalla "ciccia" che, a questo scheletro, viene aggiunta.
Ritorneremo sulle grandi problematicità del film (ovviamente problematicità per me, inutile dirlo), non prima però di averne decantato alcune meraviglie.
Innanzitutto è incredibile come la Fargeat con soli due film sia riconoscibile, qualcosa di rarissimo nel cinema.
Vedi 10 minuti di The Substance e capisci di trovarti davanti alla regista di Revenge.
Stessa mano, stesse ossessioni, stesse inquadrature.
Già il dettaglio iniziale dell'uovo che si duplica, così "nitido", perfetto, instagrammoso, richiama il film precedente, in cui più di una volta la Fargeat mostrava, in primissimo piano, del cibo (ad esempio quella mela che marciva sempre di più, tra l'altro anche in quel caso con una mosca mi pare).
Restando al cibo l'inquietante e quasi rivoltante scena del manager che mangia i gamberetti (qui oltre alla ristrettezza del campo visivo abbiamo anche un effetto sonoro quasi simile a un disturbante Asmr) è identica a quella, altrettanto impattante, di quello che si mangiava il Mars guardando lo stupro in Revenge.
Per non parlare dell'ossessione della Fargeat per il fondoschiena delle sue protagoniste che se in Revenge era già notevole (sia l'ossessione che il fondoschiena intendo) qui arriva a livelli di parossismo (ci torneremo)
( per inciso negli ultimi 5 anni la Fargeat occupa due posti sul podio nella classifica di sederi al cinema. Poi magari nella vita reale il primo per me è un altro ma qui si parla di film.
Comunque:
1 Il Sabba
2 Revenge
3 The Substance )
Addirittura ad un certo punto ho visto che Sue indossa gli stessi identici - ed iconici - orecchini che aveva la Lutz.
Per non parlare delle scene di lotta e sangue, anche qui identiche in entrambi i film sia visivamente che come movimenti.
E mi sto limitando solo agli aspetti più evidenti.
Insomma, la Fargeat è riconoscibile, e questo è un grandissimo merito perchè fa già di lei un'autrice.
Direi addirittura che a livello di dettagli, intesi proprio come inquadrature, nessuno arrivi alla sua perfezione e ossessione.
Peccato che sia talmente eccezionale nei dettagli visivi quanto debole in quelli di scrittura.
L'incipit è eccezionale, con quegli operai che costruiscono la stella di Elizabeth nella Walk of fame.
Una costruzione che celebra sì un traguardo gigantesco ma che, in modo subdolo ed implicito, suggella anche un punto di arrivo "finale", come se quell'artista ormai debba solo essere ricordato e non vissuto.
E quelle persone che passando dicono "ti ricordi di lei?" o fanno cadere il loro unto hamburger sopra la stella sono una metafora plastica e spietata del tempo che passa, un Tempo che a volte più che eternizzare (come "una stella" dovrebbe teoricamente fare) sembra piuttosto ammantare tutto dalla nerissima nuvola dell'oblio.
Andiamo avanti e il film continua a confermare il suo folgorante avvio.
Prima la scena del bagno, bagno praticamente identico a quello di Shining in cui si incontrarono Jack e Mr Grady (e che buffo, i due riferimenti più grandi a Shining che penso di aver notato sono entrambi riferibili ad un bagno, questo qua e quello del ragazzo palestrato che vede la sua bellissima ragazza diventare un mostro, scena quasi spiccicata a quella indimenticabile della Room 237 - ad un certo punto la Fargeat mostra i fianchi della donna-mostro, veramente identici).
Dicevamo la scena del bagno e poi quella, leggermente sopracitata prima, del pranzo col manager, una sequenza che mostra la capacità della Fargeat di giocare col grottesco e con il fastidioso. E non parlo solo dei dettagli della masticazione e dell'audio "sovraesposto" cacofonico, ma anche di inquadrature estreme, con primissimi piani ai limiti della distorsione, con angolature particolarissime.
In questo tipo di inquadrature (e anche in altre, vedi quella del manager con tutti i vecchi dietro di lui e con davanti Sue che non può sorridere) c'ho visto tanto di Lynch, ovvero quel tipo di estetica inquietante, deformante ed onirica.
In queste due forme verbali scritte nei biglietti di auguri delle due "diverse" Elizabeth c'è gran parte del film, o almeno gran parte della sua tematica.
Il passato, ciò che eravamo e ormai non siamo più.
Il futuro radioso.
Se Revenge, il primo (bellissimo) film della Fargeat era un grido femminile d'accusa e di dolore (film sul femminicidio, sull'amore malato e su come il salvarsi da certi uomini sia o impossibile o debba comunque passare prima da una propria "morte") The Substance, a mio parere, è più trasversale.
Questo perchè qualsiasi essere umano, chi più chi meno e di qualsiasi genere, ha una terribile paura di invecchiare, di non piacere più, di guardarsi allo specchio e andare in tremenda crisi.
Il dolore, la paura, l'angoscia che prova Elizabeth è quella di tutti noi, esseri umani che più che essere angosciati dal proprio futuro lo siamo del proprio passato, arrivando quasi ad odiare quella versione di noi che eravamo e che adesso, ahimè, non possiamo essere più.
Trovo infatti che la parte più bella, interessante, profonda e vera di questo film - a tratti bellissimo ma che fa di tutto per sabotarsi - sia l'odio che prova Elizabeth per Sue, la sua versione giovane.
E' un meccanismo psicologico pazzesco, quello di "amare" quel nostro passato esser stati giovani e odiarlo allo stesso tempo, perchè non più reversibile.
L' Elizabeth che potrebbe da un momento all'altro "eliminare" Sue ma, pur odiandola, non riesce a farlo è veramente specchio di questo conflitto dentro noi stessi, ovvero quello di avere l'illusione di poter rivivere la nostra giovinezza ma, in realtà, essere quelli di adesso (non a caso Sue viene percepita come "altro da sè" ma psicologicamente e subdolamente è invece legatissimo a sè).
Davvero concetti molto molto interessanti.
In più, in questa cornice esistenziale "generale" dalla quale tra poco è comunque giusto uscire (perchè The Substance rimane principalmente un body horror visivo, plastico ed estetico) non possiamo dimenticare come per le donne ci sia (generalmente) un ulteriore aspetto, ovvero quello che la perdita di bellezza (o giovinezza in senso lato) sia a volte un problema sociale e molto spesso anche lavorativo.
Se è vero infatti che anche noi maschi siamo travolti dalla tematica principale del film (l'angoscia dell'invecchiare e il sentirci sempre meno attraenti) è anche vero che però poi noi, invecchiando, perdiamo generalmente molto poco (anzi, in alcuni campi quasi guadagniamo) mentre le donne, in tanti contesti, diventano sempre più penalizzate.
Figuriamoci nell'aerobica, il contesto del film.
Elizabeth da decenni cerca di mantenersi "bella" e seducente, perchè quello gli viene richiesto.
Ma inevitabilmente si arriva ad un punto in cui non sei più il "prodotto" giusto.
E quel corridoio pieno dei tuoi manifesti sarà smantellato degli stessi, per far posto al nuovo che avanza (ma che nel film sei te stesso, indubbiamente la perla di sceneggiatura del film).
Ora, The Substance ha un grande soggetto e persino un grande scheletro di sceneggiatura (i vari passaggi principali del film, le vicende portanti) quasi del tutto distrutto, ahimè, dalla "ciccia" che, a questo scheletro, viene aggiunta.
Ritorneremo sulle grandi problematicità del film (ovviamente problematicità per me, inutile dirlo), non prima però di averne decantato alcune meraviglie.
Innanzitutto è incredibile come la Fargeat con soli due film sia riconoscibile, qualcosa di rarissimo nel cinema.
Vedi 10 minuti di The Substance e capisci di trovarti davanti alla regista di Revenge.
Stessa mano, stesse ossessioni, stesse inquadrature.
Già il dettaglio iniziale dell'uovo che si duplica, così "nitido", perfetto, instagrammoso, richiama il film precedente, in cui più di una volta la Fargeat mostrava, in primissimo piano, del cibo (ad esempio quella mela che marciva sempre di più, tra l'altro anche in quel caso con una mosca mi pare).
Restando al cibo l'inquietante e quasi rivoltante scena del manager che mangia i gamberetti (qui oltre alla ristrettezza del campo visivo abbiamo anche un effetto sonoro quasi simile a un disturbante Asmr) è identica a quella, altrettanto impattante, di quello che si mangiava il Mars guardando lo stupro in Revenge.
Per non parlare dell'ossessione della Fargeat per il fondoschiena delle sue protagoniste che se in Revenge era già notevole (sia l'ossessione che il fondoschiena intendo) qui arriva a livelli di parossismo (ci torneremo)
( per inciso negli ultimi 5 anni la Fargeat occupa due posti sul podio nella classifica di sederi al cinema. Poi magari nella vita reale il primo per me è un altro ma qui si parla di film.
Comunque:
1 Il Sabba
2 Revenge
3 The Substance )
Addirittura ad un certo punto ho visto che Sue indossa gli stessi identici - ed iconici - orecchini che aveva la Lutz.
Per non parlare delle scene di lotta e sangue, anche qui identiche in entrambi i film sia visivamente che come movimenti.
E mi sto limitando solo agli aspetti più evidenti.
Insomma, la Fargeat è riconoscibile, e questo è un grandissimo merito perchè fa già di lei un'autrice.
Direi addirittura che a livello di dettagli, intesi proprio come inquadrature, nessuno arrivi alla sua perfezione e ossessione.
Peccato che sia talmente eccezionale nei dettagli visivi quanto debole in quelli di scrittura.
L'incipit è eccezionale, con quegli operai che costruiscono la stella di Elizabeth nella Walk of fame.
Una costruzione che celebra sì un traguardo gigantesco ma che, in modo subdolo ed implicito, suggella anche un punto di arrivo "finale", come se quell'artista ormai debba solo essere ricordato e non vissuto.
E quelle persone che passando dicono "ti ricordi di lei?" o fanno cadere il loro unto hamburger sopra la stella sono una metafora plastica e spietata del tempo che passa, un Tempo che a volte più che eternizzare (come "una stella" dovrebbe teoricamente fare) sembra piuttosto ammantare tutto dalla nerissima nuvola dell'oblio.
Andiamo avanti e il film continua a confermare il suo folgorante avvio.
Prima la scena del bagno, bagno praticamente identico a quello di Shining in cui si incontrarono Jack e Mr Grady (e che buffo, i due riferimenti più grandi a Shining che penso di aver notato sono entrambi riferibili ad un bagno, questo qua e quello del ragazzo palestrato che vede la sua bellissima ragazza diventare un mostro, scena quasi spiccicata a quella indimenticabile della Room 237 - ad un certo punto la Fargeat mostra i fianchi della donna-mostro, veramente identici).
Dicevamo la scena del bagno e poi quella, leggermente sopracitata prima, del pranzo col manager, una sequenza che mostra la capacità della Fargeat di giocare col grottesco e con il fastidioso. E non parlo solo dei dettagli della masticazione e dell'audio "sovraesposto" cacofonico, ma anche di inquadrature estreme, con primissimi piani ai limiti della distorsione, con angolature particolarissime.
In questo tipo di inquadrature (e anche in altre, vedi quella del manager con tutti i vecchi dietro di lui e con davanti Sue che non può sorridere) c'ho visto tanto di Lynch, ovvero quel tipo di estetica inquietante, deformante ed onirica.
E niente, il livello non si abbassa mai.
L'incidente, perfetto.
La visita dal dottore misteriosa.
Lei che cede a sè stessa e decide di chiamare quel numero.
La location dove riceve il suo kit, con quel contrasto, che io amo da morire, della tecnologia più avanzata nascosta in ambientazioni terribili, vecchie e malmesse (e lei che per entrare dentro all'edificio deve abbassarsi, quasi simbolica come scena).
E poi tutte le istruzioni, così essenziali, nitide, grafiche.
L'incidente, perfetto.
La visita dal dottore misteriosa.
Lei che cede a sè stessa e decide di chiamare quel numero.
La location dove riceve il suo kit, con quel contrasto, che io amo da morire, della tecnologia più avanzata nascosta in ambientazioni terribili, vecchie e malmesse (e lei che per entrare dentro all'edificio deve abbassarsi, quasi simbolica come scena).
E poi tutte le istruzioni, così essenziali, nitide, grafiche.
E quel "ricordati che sei una", frase potente che nasconde tutto il conflitto di cui abbiamo parlato abbondantemente a inizio recensione.
E poi la straordinaria scena della trasformazione (aka "nascita di Sue"), una delle più belle nel body horror che io ricordi (anche se nessuna per riuscita, emozione e "dolore" fisico batterà mai quella di "Un lupo mannaro americano a Londra").
I due occhi, la schiena che si apre, Sue che esce, tanta tanta roba.
Comincia praticamente adesso The Substance, dopo questo lungo, perfetto e notevolissimo incipit.
E cominciano anche i problemi.
E non parlo di plot eh, che alla fine mettendo in fila ti vari passaggi narrativi del film tutto è coerente e funziona (magari è prevedibile ma, insomma, The Substance non è nè un giallo nè un thriller).
E poi la straordinaria scena della trasformazione (aka "nascita di Sue"), una delle più belle nel body horror che io ricordi (anche se nessuna per riuscita, emozione e "dolore" fisico batterà mai quella di "Un lupo mannaro americano a Londra").
I due occhi, la schiena che si apre, Sue che esce, tanta tanta roba.
Comincia praticamente adesso The Substance, dopo questo lungo, perfetto e notevolissimo incipit.
E cominciano anche i problemi.
E non parlo di plot eh, che alla fine mettendo in fila ti vari passaggi narrativi del film tutto è coerente e funziona (magari è prevedibile ma, insomma, The Substance non è nè un giallo nè un thriller).
Molto interessante il discorso dell'equilibrio tra le due versioni di sè.
E la faccenda per cui il tempo "rubato" dalla giovane danneggia irreversibilmente il nostro Io autentico.
E' che tornare giovani è bello ma, essendo una cosa contro natura, dobbiamo avere la forza di controllare.
Sue che vuole vivere la sua giovinezza fatta di fama, gente che gli sbava dietro e sesso oltre i limiti temporali che gli hanno imposto non è altro che la stessa Elizabeth che, avuto questo privilegio, non riesce più a farne a meno.
Noi la vediamo odiare quella sua versione giovane ma in realtà, metaforicamente, è una parte del suo cervello che sta rivivendo tutte le meraviglie di un tempo e, per questo, non accetta di tornare alla realtà.
lo "scontro finale" che avranno le due, a ben pensarci, sembra tanto quello che noi chiamiamo "consapevolezza" o "lucidità", ovvero l'accettazione della realtà delle cose in contrasto con le idee, i sogni, le aspirazioni, i desideri illogici, irreali e innaturali.
E il mostro finale (grande omaggio a La Cosa, spero esplicito) non è altro che l'unione di due dna diversi che sono uno - appunto - la realtà delle cose, l'altro quello che vorremmo le coso fossero, o tornassero.
E quest'unione genera quasi sempre mostri o quantomeno esseri umani ibridi che vivono in un costante dolore, un dolore bulimico di diversi stati d'animo, contraddizioni, una specie di bipolarismo che in The Substance si reifica in un essere mostruoso in cui tutto si è fuso, i sogni e la felicità che non possono esser più tali a causa della presa di coscienza e la presa di coscienza ormai definitivamente devastata e martoriata dall'aver veramente creduto a quei sogni.
Malgrado io cancellerei tutti gli ultimi 20 minuti (il film poteva finire, e molto meglio, prima) ho trovato bellissimo e terribile quel volto di Elizabeth - praticamente integro - infilato in quella santabarbara di dna e corpi.
L'ho trovato il momento più doloroso ed emozionante del film, specie quando, come una poltiglia, in un'immagine che sembra una Medusa, se ne torna a morire sopra la propria stella, sulla propria vita.
Una recensione praticamente entusiasta, mi direte.
Purtroppo no, purtroppo il problema di The Substance è l'essermi ritrovato, da un certo punto in poi, una sceneggiatura in cui praticamente non c'era nulla che funzionava, davvero terribile.
E non parlo, come già precisato, di macrosceneggiatura, di plot, ma di "polpa", di tante piccole cose, scene o tecniche, che ho trovato disastrose.
Purtroppo sono costretto, contro la mia volontà (io non amo parlar male dei film, specie di film come questi che ho trovato a tratti bellissimi e potenzialmente eccezionali) a fare una specie di triste elenco di tanti problemi.
E ho la sensazione, fortissima, di ritrovarci davanti a scene o scelte disastrose che però vengono "offuscate" (e qui la Fargeat è furba, in senso buono) da un film visivamente così bello e potente da obnubilare il gusto dello spettatore.
Perchè, veramente, alcune cose dentro a The Substance non solo in altri film verrebbero giudicate disastrose dal medesimo spettatore che qui non le considera importanti o non le vede proprio, ma in alcuni casi sono da cinema di livello davvero molto basso.
Con la morte nel cuore (citando Iosonouncane) mi limito ad alcune osservazioni.
Scrivo tutto in corsivo, chi non vuole leggere critiche aspetti che torni il font normale :)
Il culo della Qualley è bellissimo, ok (cioè, per me è l'attrice più bella tout court ma sticazzi).
E la faccenda per cui il tempo "rubato" dalla giovane danneggia irreversibilmente il nostro Io autentico.
E' che tornare giovani è bello ma, essendo una cosa contro natura, dobbiamo avere la forza di controllare.
Sue che vuole vivere la sua giovinezza fatta di fama, gente che gli sbava dietro e sesso oltre i limiti temporali che gli hanno imposto non è altro che la stessa Elizabeth che, avuto questo privilegio, non riesce più a farne a meno.
Noi la vediamo odiare quella sua versione giovane ma in realtà, metaforicamente, è una parte del suo cervello che sta rivivendo tutte le meraviglie di un tempo e, per questo, non accetta di tornare alla realtà.
lo "scontro finale" che avranno le due, a ben pensarci, sembra tanto quello che noi chiamiamo "consapevolezza" o "lucidità", ovvero l'accettazione della realtà delle cose in contrasto con le idee, i sogni, le aspirazioni, i desideri illogici, irreali e innaturali.
E il mostro finale (grande omaggio a La Cosa, spero esplicito) non è altro che l'unione di due dna diversi che sono uno - appunto - la realtà delle cose, l'altro quello che vorremmo le coso fossero, o tornassero.
E quest'unione genera quasi sempre mostri o quantomeno esseri umani ibridi che vivono in un costante dolore, un dolore bulimico di diversi stati d'animo, contraddizioni, una specie di bipolarismo che in The Substance si reifica in un essere mostruoso in cui tutto si è fuso, i sogni e la felicità che non possono esser più tali a causa della presa di coscienza e la presa di coscienza ormai definitivamente devastata e martoriata dall'aver veramente creduto a quei sogni.
Malgrado io cancellerei tutti gli ultimi 20 minuti (il film poteva finire, e molto meglio, prima) ho trovato bellissimo e terribile quel volto di Elizabeth - praticamente integro - infilato in quella santabarbara di dna e corpi.
L'ho trovato il momento più doloroso ed emozionante del film, specie quando, come una poltiglia, in un'immagine che sembra una Medusa, se ne torna a morire sopra la propria stella, sulla propria vita.
Una recensione praticamente entusiasta, mi direte.
Purtroppo no, purtroppo il problema di The Substance è l'essermi ritrovato, da un certo punto in poi, una sceneggiatura in cui praticamente non c'era nulla che funzionava, davvero terribile.
E non parlo, come già precisato, di macrosceneggiatura, di plot, ma di "polpa", di tante piccole cose, scene o tecniche, che ho trovato disastrose.
Purtroppo sono costretto, contro la mia volontà (io non amo parlar male dei film, specie di film come questi che ho trovato a tratti bellissimi e potenzialmente eccezionali) a fare una specie di triste elenco di tanti problemi.
E ho la sensazione, fortissima, di ritrovarci davanti a scene o scelte disastrose che però vengono "offuscate" (e qui la Fargeat è furba, in senso buono) da un film visivamente così bello e potente da obnubilare il gusto dello spettatore.
Perchè, veramente, alcune cose dentro a The Substance non solo in altri film verrebbero giudicate disastrose dal medesimo spettatore che qui non le considera importanti o non le vede proprio, ma in alcuni casi sono da cinema di livello davvero molto basso.
Con la morte nel cuore (citando Iosonouncane) mi limito ad alcune osservazioni.
Scrivo tutto in corsivo, chi non vuole leggere critiche aspetti che torni il font normale :)
Il culo della Qualley è bellissimo, ok (cioè, per me è l'attrice più bella tout court ma sticazzi).
Mostrarcelo continuamente nel dettaglio, insieme anche al Monte di Venere, è molto piacevole.
E anche funzionale alla trama perchè abbiamo necessità che questo concetto di bellezza, seduzione ed eccitazione passi allo spettatore.
E ok, fammi anche due scene su questo, va bene, reiterare a volte aiuta ancora di più quella tematica.
Ma alla terza, quarta, quinta, sesta e settima volta in cui la macchina da presa gigioneggia sul sedere della Qualley non è più questione di tematica e concetto, ma di ossessione.
E tutto si depotenzia, nemmeno risulta più seducente o significativo, semplicemente ripetitivo e stancante.
Del resto questo problema della (non)sintesi c'è per quasi tutto il film. I manifesti pubblicitari visti 10 volte, le frasi sul restar giovani ripetute all'infinito, quel "sorridi" lo stesso, tutto quello che anche lo spettatore più scemo aveva capito dal minuto 10 viene ripetuto e spiattellato ogni 5 minuti. E' un tipo di scrittura che sopporto poco e che secondo me denota tante insicurezze in chi la fa.
The Substance è uno sci-fi horror. E ogni scena sci-fi horror o anche quelle solo sci-fi o anche quelle solo horror funzionano alla grande. Quindi no, tutte le scene "irreali" che hanno alla base il genere non sono criticabili, che piacciano o meno.
Il problema sono tante altre.
La scena del ragazzo palestrato che fugge di casa nudo con i vestiti in braccio perchè ha sentito una voce gracchiante che gli dice "vai via" è una scena scritta da cani e ridicola.
Vedere quella portentosa e dolorosa sequenza di lei che ci mette 5 minuti ad alzare una gamba, ormai necrofizzata, ma poi, PEGGIORANDO, vederla correre come Bolt per la città è qualcosa di parimenti scritto da cani, inaccettabile e che uccide qualsiasi coerenza (prendendoci in giro).
La scena di lei che distrugge casa e crea una nuova parete perfetta (dove ha preso 200 mattonelle integre?) con tanto di porta semovente interna è inaccettabile.
E non solo perchè non c'entra niente col focus del film ("diventerai una versione migliore di te stessa" non significa generare piastrelle nuove, saper usare trapani, cacciaviti, martelli, o possedere e montare una porta semovibile) ma perchè è scena assolutamente inutile e facilmente sostituibile. Bastava che chiamasse un muratore o, ancor più facile, che chiudesse Elizabeth in un'altra stanza a chiave. Tra l'altro che dietro un muro ci sia un'intera grande stanza è ancora più grottesco.
Nel finale quando lei comincia a trasformarsi (i denti persi, l'orecchio, tutto perfetto) le dicono di prepararsi perchè sta per cominciare lo spettacolo.
E che succede?
Lei corre a casa e abbiamo la lunga - e notevole - scena del disperato tentativo di tornare di nuovo indietro.
Con tanto di definitiva e nuova mostruosa trasformazione, trucco e parrucco.
E niente, la Fargeat furbescamente non ci mostra lei in giro per la città ma tratta (l'aveva fatto anche prima) la distanza Studi - Casa di Elizabeth come non esistesse.
In ogni caso Sue completamente mostruosa arriva agli studi e?
Deve ancora entrare in scena...
Qualcosa che doveva fare entro pochi minuti e invece sono passate ore.
No ragazzi, questo significa veramente non avere la minima cura di scrittura e coerenza.
Ma tanto accettiamo tutto, ok
Per arrivare alla scena più tremenda, talmente tremenda che vorrei tanto dimenticarmela.
La Moore (grande e coraggiosissima prova la sua) tutta coi capelli sconvolti trova un libro di ricette francesi, regalatole dal manager (boh, vabbeh, ok).
E che succede? in una sequenza degna di mai dimenticati film italiani sotto Natale inizia a cucinare piatti francesi.
Avendo TUTTI gli ingredienti con sè, anche introvabili come foie gras e sanguinaccio.
Una scena non solo non possibile, grottesca e inaccettabile ma anche, ahimè, ridicola, con quella mano sul culo del tacchino poi.
E che per l'ennesima volta uccide e non rende merito al film.
E magari a voi questa vena trash è piaciuta eh, ma a me sembrava un film che meritasse di più.
Paradossalmente sento di voler più bene io al film disperandomi di tutte queste cose che quasi lo distruggono di chi lo accetta tout court.
E anche funzionale alla trama perchè abbiamo necessità che questo concetto di bellezza, seduzione ed eccitazione passi allo spettatore.
E ok, fammi anche due scene su questo, va bene, reiterare a volte aiuta ancora di più quella tematica.
Ma alla terza, quarta, quinta, sesta e settima volta in cui la macchina da presa gigioneggia sul sedere della Qualley non è più questione di tematica e concetto, ma di ossessione.
E tutto si depotenzia, nemmeno risulta più seducente o significativo, semplicemente ripetitivo e stancante.
Del resto questo problema della (non)sintesi c'è per quasi tutto il film. I manifesti pubblicitari visti 10 volte, le frasi sul restar giovani ripetute all'infinito, quel "sorridi" lo stesso, tutto quello che anche lo spettatore più scemo aveva capito dal minuto 10 viene ripetuto e spiattellato ogni 5 minuti. E' un tipo di scrittura che sopporto poco e che secondo me denota tante insicurezze in chi la fa.
The Substance è uno sci-fi horror. E ogni scena sci-fi horror o anche quelle solo sci-fi o anche quelle solo horror funzionano alla grande. Quindi no, tutte le scene "irreali" che hanno alla base il genere non sono criticabili, che piacciano o meno.
Il problema sono tante altre.
La scena del ragazzo palestrato che fugge di casa nudo con i vestiti in braccio perchè ha sentito una voce gracchiante che gli dice "vai via" è una scena scritta da cani e ridicola.
Vedere quella portentosa e dolorosa sequenza di lei che ci mette 5 minuti ad alzare una gamba, ormai necrofizzata, ma poi, PEGGIORANDO, vederla correre come Bolt per la città è qualcosa di parimenti scritto da cani, inaccettabile e che uccide qualsiasi coerenza (prendendoci in giro).
La scena di lei che distrugge casa e crea una nuova parete perfetta (dove ha preso 200 mattonelle integre?) con tanto di porta semovente interna è inaccettabile.
E non solo perchè non c'entra niente col focus del film ("diventerai una versione migliore di te stessa" non significa generare piastrelle nuove, saper usare trapani, cacciaviti, martelli, o possedere e montare una porta semovibile) ma perchè è scena assolutamente inutile e facilmente sostituibile. Bastava che chiamasse un muratore o, ancor più facile, che chiudesse Elizabeth in un'altra stanza a chiave. Tra l'altro che dietro un muro ci sia un'intera grande stanza è ancora più grottesco.
Nel finale quando lei comincia a trasformarsi (i denti persi, l'orecchio, tutto perfetto) le dicono di prepararsi perchè sta per cominciare lo spettacolo.
E che succede?
Lei corre a casa e abbiamo la lunga - e notevole - scena del disperato tentativo di tornare di nuovo indietro.
Con tanto di definitiva e nuova mostruosa trasformazione, trucco e parrucco.
E niente, la Fargeat furbescamente non ci mostra lei in giro per la città ma tratta (l'aveva fatto anche prima) la distanza Studi - Casa di Elizabeth come non esistesse.
In ogni caso Sue completamente mostruosa arriva agli studi e?
Deve ancora entrare in scena...
Qualcosa che doveva fare entro pochi minuti e invece sono passate ore.
No ragazzi, questo significa veramente non avere la minima cura di scrittura e coerenza.
Ma tanto accettiamo tutto, ok
Per arrivare alla scena più tremenda, talmente tremenda che vorrei tanto dimenticarmela.
La Moore (grande e coraggiosissima prova la sua) tutta coi capelli sconvolti trova un libro di ricette francesi, regalatole dal manager (boh, vabbeh, ok).
E che succede? in una sequenza degna di mai dimenticati film italiani sotto Natale inizia a cucinare piatti francesi.
Avendo TUTTI gli ingredienti con sè, anche introvabili come foie gras e sanguinaccio.
Una scena non solo non possibile, grottesca e inaccettabile ma anche, ahimè, ridicola, con quella mano sul culo del tacchino poi.
E che per l'ennesima volta uccide e non rende merito al film.
E magari a voi questa vena trash è piaciuta eh, ma a me sembrava un film che meritasse di più.
Paradossalmente sento di voler più bene io al film disperandomi di tutte queste cose che quasi lo distruggono di chi lo accetta tout court.
La scena del calcio alla Supereroe Marvel è veramente brutta e, ancora una volta, lo spettatore si chiede "ma ce n'era bisogno?". Questa in realtà è una scelta ibrida perchè qualcuno mi potrebbe dire "sì, ma la versione migliore di te magari ha una forza sovrumana". Eh, peggio ancora a quel punto perchè se in un film di 2 ore e 20 tu mi scrivi un solo secondo in cui mostri questa caratteristica così importante è pure peggio.
Secondo me poi manca un pezzo.
Va bene che quel "servizio" (The Substance) fosse gratuito, siamo comunque dentro una metafora.
Eppure chi offre quel servizio cosa ha in cambio?
Ecco, secondo me manca questa componente faustiana, questo do ut des.
A tal proposito vi consiglio un film che ha tematiche quasi identiche a The Substance e passaggi narrativi speculari, Starry Eyes.
Più piccolo ma anche più compiuto, meno sbracato.
Secondo me poi manca un pezzo.
Va bene che quel "servizio" (The Substance) fosse gratuito, siamo comunque dentro una metafora.
Eppure chi offre quel servizio cosa ha in cambio?
Ecco, secondo me manca questa componente faustiana, questo do ut des.
A tal proposito vi consiglio un film che ha tematiche quasi identiche a The Substance e passaggi narrativi speculari, Starry Eyes.
Più piccolo ma anche più compiuto, meno sbracato.
Ora, come avrete letto (per chi l'ha fatto) non c'è alcuna di queste scene o scelte che ha come alibi "ma è un horror sci-fi".
No, sono semplicemente scene terribili, o incoerenti, o impossibili o mal scritte.
No, sono semplicemente scene terribili, o incoerenti, o impossibili o mal scritte.
Roba che se non fossero dentro al film o semplicemente (e ci voleva niente) fossero state scritte meglio io ero ancora lì esaltato.
Tanti l'hanno sopportate, io purtroppo no. E dire che ero super predisposto a farlo, visto quanto potenzialmente stavo amando il film.
Nello sci-fi horror rientra invece la trasformazione, la fusione finale dei dna, addirittura il bagno di sangue finale nel teatro (che può piacere o non piacere ma è un'esagerazione dovuta al genere, semplicemente), la scena del pollo dentro la pancia e tante altre.
Lì siamo dentro al genere, che piaccia o non piaccia (e, sinceramente, io l'ho trovate tutte grandi scene, alcune grandissime).
Mi tengo tantissime cose comunque, tipo la Moore che si vede nel pomello della porta quando sta provando ad accettarsi per quel che è ma si vede deforme.
E allora prova a truccarsi e ritruccarsi, ma non ce la fa.
O lo schifoso personaggio del manager, riuscito come pochi.
O la Qualley, sempre straordinaria.
E la colonna sonora con quei bassi, magnifica.
E tante tante altre cose di cui ho scritto qua sopra.
Ma bastava veramente poco, più maturità o attenzione, per salvare una decine di scene o scelte inconcepibili.
E ritrovarci davanti un film, nel suo piccolo, epocale.
Nello sci-fi horror rientra invece la trasformazione, la fusione finale dei dna, addirittura il bagno di sangue finale nel teatro (che può piacere o non piacere ma è un'esagerazione dovuta al genere, semplicemente), la scena del pollo dentro la pancia e tante altre.
Lì siamo dentro al genere, che piaccia o non piaccia (e, sinceramente, io l'ho trovate tutte grandi scene, alcune grandissime).
Mi tengo tantissime cose comunque, tipo la Moore che si vede nel pomello della porta quando sta provando ad accettarsi per quel che è ma si vede deforme.
E allora prova a truccarsi e ritruccarsi, ma non ce la fa.
O lo schifoso personaggio del manager, riuscito come pochi.
O la Qualley, sempre straordinaria.
E la colonna sonora con quei bassi, magnifica.
E tante tante altre cose di cui ho scritto qua sopra.
Ma bastava veramente poco, più maturità o attenzione, per salvare una decine di scene o scelte inconcepibili.
E ritrovarci davanti un film, nel suo piccolo, epocale.
6.5
Fly, Charrie
RispondiEliminaThe Fly e Carrie. Sorry
EliminaBoh, Carrie non ce lo vedo proprio, La Mosca ovviamente sì ma solo gli ultimi 10 minuti. Anche se con motivazioni completamente diverse ovviamente
Eliminaperò sì, carino sto richiamo a La Mosca, hai ragione ;)
L'ho visto l'altro ieri, e le cose che mi hanno dato più fastidio (tra quelle che hai scritto) sono state lei che costruisce quella stanza dietro la parete del bagno, e il fatto che chi ci sia dietro la sostanza non esista per tutto il film. Cioè mi sono chiesta per tutto il tempo "chi l'ha creata? Perché? Come sostengono i costi se nessuno paga?" 🤣 E poi lo avrei preferito 15/30 minuti in meno, alla fine un poco mi ero annoiata. Detto questo, comunque, non male. Mi è parso che ci fossero anche dei richiami alla sostanza intesa proprio come droga, lei che voleva smettere ma non ci riusciva, pur sapendo che sarebbe morta. Elizabeth secondo me, in questa lettura, simboleggiava la dipendenza, una cosa che ti rovinerà la vita ma di cui non puoi fare a meno.
RispondiEliminacavolo, vero, brava Marilisa!
Eliminaassolutamente, lettura che ci sta alla grande
Scrivi ancora, foto paurose.
RispondiEliminaNon ho capito Vittorio. Nemmeno se scrivi ancora è legato a foto paurose
Eliminaso tonto :)
La più forte esperienza cinematografica dell'anno? credo proprio di Si. Va molto "Oltre" …. alzando l'asticella nel genere. I riferimenti a Cronemberg e Refn, ma anche al "Suspiria" di Guadagnino, sono così spinti da ridimensionarli.
RispondiEliminaHo sudato "assieme" alla platea. Il volume, i rumori, gli effetti hanno reso la visione davvero fastidiosa (in senso positivo).
Messaggio forte e chiaro, centra il bersaglio con cinica crudeltà, brava la regista (cresciuta molto dopo "Revenge").
Da vedere al cinema, ma non è un mio film.
Ecco così ho scritto di getto post visione.
Poi si dibatte, ci si confronta e si evidenziano i piani di lettura, la genialità della rappresentazione di uno "malessere" contemporaneo. E' un film al femminile, che denuncia la società maschilista che impone certi canoni, certi sacrifici, certe false illusioni. Il desiderio di inseguire un mito effimero, estemporaneo, in "the subastance" viene reso come meglio non si poteva e le esagerazioni sono funzionali, non così forzate come potrebbero apparire in superficie.
Accettata questa visione molto carnale, molto sanguigna, pure troppo splatter, deformata, fastidiosa, resta una curata messa in scena, con tante citazioni a Kubrik, Cronenberg, Lynch ...fino a Refn e appunto Guadagnino.
Film che non ho amato, ma che citerò spesso.
questo scrissi più o meno a caldo
oggi sono ancor di più dalla parte di chi lo apprezza.
PS sono curioso di leggere la tua recensione
eh si ... lei muratore, piastrellista e installatrice di porta raso muro (mah)
Eliminaeh si ... chi non ha una stanza vuota dietro alla parete?
eh si ... la scena della cucina francese è proprio brutta
eh si ... se non pieghi la gamba, poi non puoi correre
eh si ... eccetera, eccetera
sono proprio io quello che in altri film per molto meno ha "abbassato" il voto
qui voglio credere che ci sia un senso, una logica, che probabilmente non c'è.
Diciamo che, se accetto che una possa dividersi in 2, ecc.. ecc... forse ho già accettato tutto il resto; così mi sono goduto l'esperienza e di questi difetti ho riso e non hanno alterato l'impatto del film
Mi sembra un commento veramente centrato Stefano, tra l'altro lo condivido praticamente in toto.
EliminaE forse proprio perchè stavo amando (volevo amare) sto film più di chi poi l'ha amato vederlo pieno di cose per me terribilmente scritte mi ha fatto male, tanto
Ti giuro, glielo farei rigirare togliendo tutte le idiozie, sarebbe un capolavoro e probabilmente anche il mio film dell'anno
in ogni caso ripeto, gran bel commento
ah, spetta, credo di essermi spiegato in recensione, a me tutte le scene fantascientifiche e quelle horror, anche le più assurde, mi sono sembrate eccezionali, quelle che cito non c'entrano niente con tutto questo, sono veri e propri errori o trashate (per me)
o, ancor peggio, incoerenze totali
E' un'allegoria, una favola, un racconto di fantasia che nasconde un messaggio. Le incoerenze mi hanno toccata fino a un certo punto, sono state trascinate via da una narrazione potente e da uno stile allucinante. Per me è uno dei film dell'anno, se non addirittura IL.
RispondiEliminaNo aspetta amica mia, mica avrai pensato che l'ho preso come film realistico ;)
EliminaE' evidentemente un'allegoria, tra l'altro riuscitissima.
Tutte le scene che cito sono scene per me scritte terribilmente a prescindere da qualsiasi alibi gli diamo, reali, non reali, di genere, non di genere.
Tutte scene che andavano per me tolte o scritte meglio.
per il resto contentissimo sia il tuo film dell'anno, credo lo sarà per tanti
e bene così!
Ieri sera ho visto The Substance e non potevo non commentare!
RispondiEliminaConcordo perfettamente con tutti gli elogi e le critiche scritte nella tua recensione (sempre molto attenta e stimolante).
Ho assistito ad un film a tratti magnifico, mastodontico che poteva essere un capolavoro ma sfiora "soltanto" l'impresa purtroppo. Le varie incongruenze logistiche e vicende poco credibili influiscono moltissimo sull'esito complessivo. Anche riguardo il finale, salvo pochissimo di quella mezz'ora conclusiva. Non per il modo con cui si è svolto tutto ma per il cosa succede.
Il problema non sono le scene splatter, per il genere sono assolutamente coerenti e giuste. Ottimo l'uso impattante dei colori e indimenticabili alcune inquadrature delle protagoniste. Ho apprezzato pure il bagno di sangue che ha accompagnato e colorato l'ultimo "atto" come omaggio agli horror cult del cinema. Poteva essere un film coraggioso e meraviglioso ma ci riesce in parte. Comunque, voglio andare per ordine...
Le premesse sono talmente attuali da generare curiosità, esaltazione, empatia per gran parte del film.
Mi soffermerò su quello che mi ha lasciato di positivo.
Il tema dell'estetica, il timore di invecchiare è estremamente contemporaneo: vietato ingrassare, cambiare, perfino invecchiare.
Elizabeth Sparkle, cinquant'anni, fama mondiale, carriera realizzata, corpo scolpito, bellissima donna.
Eppure non basta. Non basta alla società, non basta al mondo della tv in particolare, che impone canoni perfezionistici e ti rimpiazza quando anagraficamente non puoi essere considerata avvenente, fresca, desiderabile. Non basta a lei.
Questo è l'aspetto che più mi ha colpito.
Non ho visto soltanto la critica ai canoni estetici, sempre più inarrivabili e l'ossessione per raggiungerli, ma, soprattutto la (non)reazione di lei, l'impatto psicologico devastante su Elizabeth. Si, perché cambia in un istante, radicalmente il modo di percepirsi, di vedersi, di apprezzarsi, il rapporto con lo specchio.
Essere liquidati al lavoro in quel modo è sicuramente ingiusto, succede nella vita di tutti i giorni, non solo nello star system ( e come hai scritto tu le donne sono le più penalizzate);
oggi, per quanto la situazione sia analoga (peggiorata dai social), abbiamo gli strumenti per notare certe criticità, le ingiustizie e combattere determinati meccanismi o almeno provare a tutelarci laddove possibile rispetto a questi;
una donna che appare sicura, matura, esteticamente perfetta come il personaggio della Moore poteva reagire in modo diverso alle parole del manager spietato e spocchioso (ruolo odiosamente riuscito a meraviglia);
invece per insicurezza/debolezza è diventata vittima del sistema e soprattutto di se stessa, la paura di perdere tutto le farà perdere se stessa.
In primis la gabbia, i limiti, i difetti, i mostri sono nella nostra testa, pronti a sbocciare al primo giudizio negativo o difficoltà.
È necessario quindi fermare il tempo, creare una versione di sé ANCORA più bella, perché non saremo mai soddisfatti del nostro corpo, non ci accontenteremo di avere una vita ordinaria magari senza riflettori. Vogliamo di più, ad ogni costo.
Cosi, Elizabeth cede alla tentazione verso la novità, con quel cappotto giallo che mi ha tanto ricordato l'impermeabile iconico in IT, calcando la stessa intenzione, forse, dell'attrazione per il nuovo, il pericolo/mistero che attrae e affascina.
Continua
Arriva Sue, ed è fantastica (come la Qualley).
RispondiEliminaLa vedi più alta, slanciata, sexy, straordinaria solo perché più giovane.
Sue si fa amare e ama essere osannata, idolatrata. Anche lei vuole sempre di più: più spazio, più fan, più foto, più tempo.
Sue, che è Elizabeth, perde di volta in volta il candore per diventare oltremodo, fastidiosamente vanitosa ed egocentrica.
Elizabeth capisce che l'unico modo per vivere è manipolare il tempo, sconvolgere l'equilibrio.
Ma l'equilibrio della Sparkle si era già rotto prima della Sostanza.
Era sola già prima della Sostanza.
Era malinconica, ancorata alla sua versione passata già prima della Sostanza (il guardare di continuo il suo ritratto di vari anni prima ce lo suggerisce).
Era già ingabbiata e scoraggiata, bellissima senza rendersene conto arrivando ad odiare la sua immagine e non accettarsi più: emblematica la scena nel bagno, quando, dopo aver rifatto il trucco spasmodicamente, vi ritorna e sfoga la sua rabbia davanti allo specchio scombinandosi trucco, viso, capelli, tutto... decidendo di non uscire. Di non farsi vedere, di nascondersi.
Sue, incarna la parte più ambiziosa e sfrontata di Elizabeth, il prodotto perfetto che ostenta ossessivamente la sua bellezza.
"Ricordati che sei una", frase pressante, chiave di tutto il film.
Noi, però, vediamo due corpi e due anime:
uno lacerato perché l'altro magnifico, un'anima bella, insicura, sfiorita e infine cupa perché l'altra diventa subdola, egoista, prepotente.
Ecco, la presenza così forte, del "bene" e del "male" nella stessa persona mi ha ricordato Lynch, specie Twin Peaks.
Sarà Sue adesso a manipolare il tempo e di conseguenza Elizabeth, condannandola a vivere nell'ombra: da notare come SOLO ora il corpo è realmente orribile, inguardabile ma lei si sentiva costretta a nascondersi anche prima.
Sue in poche settimane le ha tolto una vita intera, vita che avrebbe potuto vivere al di fuori di quello show malsano in cui era stata rimpiazzata (ironicamente pur sempre da lei, dalla lei più giovane, grande beffa verso il manager).
Sue evolve, prende e pretende...
L'evoluzione espressiva delle due attrici mi resterà dentro per un po'.
Partiamo dalla Moore/Elizabeth insoddisfatta, delusa, arrabbiata, devastata ed impotente e arriviamo alla Qualley/Sue meravigliata, compiaciuta, ostinata e vendicativa. Del resto si dice che gli occhi sono lo specchio dell'anima e qui si vede proprio tutto.
Ancora incisiva la scena nel bagno dello show... tra l'altro quanto importante e non casuale la scelta del bagno/specchio, luogo in cui ci si guarda, ci si ammira, simbolo di vanità e compiacimento per Sue, di autocommiserazione prima per Elizabeth, come sul finale pure per "la creatura".
Tornando alla scena dello specchio di cui avevo accennato sopra...
Cade il primo dente e Sue con lo stesso delirio di Elizabeth (quando furiosa si scombinó il viso), toglie gli altri, come a voler dare un segnale, imporre la sua libertà: "Le belle ragazze devono sorridere sempre", in questo modo, agisce sovvertendo lo schema di cui è artefice e vittima;
come in Dogtooth la libertà ricercata diventa distruzione, morte.
È impossibile uscire dalla gabbia/familiare (Lanthimos) come è impossibile uscire dalla gabbia/mentale (Fargeat).
Tant'è che Sue bara un'altra volta ancora utilizzando la Sostanza avanzata, sperando di vedere allo specchio un'altra se, migliore, ovviamente, ricascando nella trappola come aveva fatto Elizabeth.
E invece, non imparando la lezione e volendo aggirare le regole della Natura e della Sostanza, crea una creatura oscena, speculare al mostro che è nascosto dentro di noi... ora l'anima è troppo corrotta e contaminata per nasconderla, rivisitando in chiave pop Dorian Grey, per certi versi.
Di sicuro è un film che merita attenzione, un'esperienza visiva che sa scuotere e suggestionare.
E quegli ultimi secondi, immensi, sono degni di una risata pirandelliana amarissima.
Un caro saluto:)
Giovanna C.
Sei l'unico che ho letto che ha evidenziato che questo cappero di film è fatto bene a metà. La sospensione dell'incredulità fa si che accetti che la sostanza possa fare quello che fa ma non che non esistano i tempi normali di svolgimento delle cose, tipo che lei arriva su un set senza che mai nessuno si assicuri che stia arrivando, l'abbia istruita sul da farsi, trova tutto pronto, gira e via dicendo. Sull'essere carpentiere e chirurgo e sul fatto che la lotta tra loro sia in stile marvel, stendiamo un velo pietoso. Boh, troppo di già visto e citato, dopo un pò sembra un film scritto con l'AI a cui sia stato detto di usare tanto di Cronenberg, un pò di Yuzna, Lynch, Otomo, Tsukamoto e pure Kubrick che ci sta sempre bene. Peccato perchè l'occhio della regista è meraviglioso
RispondiElimina1/2
RispondiEliminaA me The Substance è piaciuto un sacco, per diverse ragioni. A prescindere da mancanze (scene scritte male, illogicità spaziotemporali, ecc.) ed eccessi (estetici, formali, concettuali) - in ogni caso secondo me in qualche misura "voluti". Nel complesso, dunque, nessuno dei punti che hai evidenziato mi ha particolarmente infastidito, benché ne riconosca la "fondatezza". Il film per me funziona, e mi è piaciuto: amo sempre un'opera che intercetta temi a me molto cari e ne mette in scena i nodi problematici. In primo luogo, l'ho trovato un film molto più maturo di Revenge, un po' da tutti i punti di vista. I temi di The Substance sono, ovviamente, trasversali e inevitabili: l'autopercezione, il senso del sé, l'ineluttabilità del tempo, la centralità del corpo nella definizione del processo identitario, ecc. Ne esce fuori un body horror alla Cronenberg (padre) per la messa in scena della carne - dei corpi, protagonisti assoluti - declinati come Cronenberg (figlio) poiché a mio avviso il tema dominante è l'identità. Infatti, proprio a tal proposito, l'aspetto che più ho amato è la relazione - inestirpabile, primigenia, vitale - tra essere e corpo: due dimensioni che in realtà coincidono, sono la stessa cosa, in un'ottica che ribalta la visione cartesiana, poiché non è nel cogito che si sostanzia e definisce l'essere, ma nel corpo. E' per questo che la Moore "dimentica" di essere uno: perché i corpi sono due (come accadeva in Possessor, altro film meraviglioso). Se fosse stato un avatar virtuale non avrebbe vissuto lo stesso dramma. Ma qui e ora c'è un corpo - vivo, grondante di esistenza, per quanto artificiale e fittizia - che mette in crisi l'io, in quanto incapace di riconoscersi. Insomma, la dialettica essere-corpo, nell'ottica del processo di costruzione identitaria, è l'aspetto più intrigante di questo film.
2/2
EliminaPoi, naturalmente, si possono fare infiniti rimandi di natura psicanalitica, tutti assolutamente interessanti e forieri di riflessioni sconfinate, a partire dalla necessità (condanna) di elaborare il passato, che è in continua evoluzione, mai domo. Pertanto non lo ritengo, come ho sentito dire un po' ovunque, un film che critica la cosiddetta "civiltà delle immagini" (espressione priva di senso, tra l'altro), in quanto il deterioramento del corpo, il peso del tempo che avanza inesorabile e in ultima istanza la morte, sono mostri che accompagnano sapiens dall'alba dei tempi (esattamente come le immagini, che anzi lo procedono di milioni di anni). Insomma, è un film che parla del tentativo di ingannare la morte (come tutti i film d'amore), attraverso una metafora mostruosa dell'autoinganno a cui spesso ci abbandoniamo pur di non ammettere che da domani sarò di un giorno più vicino alla mia tomba. Ecco, resistere alle derive patologiche di questo meccanismo è la vera sfida, per riuscire a cogliere la meraviglia dello stare al mondo, senza "sostanze" esterne, altre, regalate da chissà chi, ma cercando dentro le mostruose profondità del nostro essere. Ma non voglio divagare (ma il fatto stesso che lo faccia, mi fa pensare che il film è davvero significativo). Si potrebbero poi dire tante cose, e tu sei stato molto bravo a riassumerle tutte, comprese le legittime e condivisibili stroncature. Quella stella che apre e chiude il film; i rumori e i colori che escono dallo schermo; la bellezza di quei corpi che a tratti stordisce; litri di sangue come non se ne vedevano da tempo; quel "mostro" che non sa più chi è e allora si frantuma per, di, con e su sé stesso; ecc. Però adesso mi taccio. Non sarà il mio film dell'anno, forse nella top ten troverà posto, ma in ogni caso mi ha dato da pensare, ed è la sola cosa che chiedo a qualunque prodotto estetico. Cosa sarei disposto a sopportare per avere di nuovo i miei vent'anni? Quanto sarei disposto a soffrire per "un minuto di beatitudine"? Perché il tempo passa, corre velocissimo, e io a volte sento il peso di ogni ora. Dove ho sepolto l'inconfessabile e cosa farò quando riemergerà, magari deforme e mostruoso? Quante versioni di me stesso ho abortito? Sono io ho colui di cui racconto? Ma qui siamo ben al di là di The Substance: siamo qui e ora. E ci siamo tutti. Ognuno da solo, ciascuno con gli altri. Voglio solo continuare a riconoscermi ogni volta che mi specchio. Un abbraccio
Commento di una bellezza e comprensione veramente di alto grado. Volevo commentare anche io dato che ho percepito le tue stesse sensazioni viscerali (e su questo film direi che il termine viscerale risulti più che azzeccato) ma sono perfettamente conscio che non riuscirei a dire niente di più e di meglio di quello che tu hai già espresso con questo tuo commento. Io e mia moglie dopo la visione ci siamo messi a discorrere per un'ora buona sulle tematiche affrontate, mostrate, e alluse da questo film. Al netto di qualche pecca di scrittura già evidenziata, ma che non sminuisce niente di o su ciò che viene mostrato, affrontato e/o metaforicamente alluso, come tu stesso hai detto, non posso chiedere di più o di meglio da un prodotto di intrattenimento.
EliminaIn pratica hai sottolineato tutte le cose che non vanno notate da me, con la differenza che ho trovato arretrata pure la regia.
RispondiEliminaPer assurdo, sto film è Il professore matto col finale di Society. Mi aspettavo decisamente di più...
Hai dato voce a tutto ciò che pensavo durante il film! Perfettamente d'accordo in tutto! Un vero peccato perché certe cose mi sono piaciute tantissimo, poteva essere un capolavoro.
RispondiEliminaCiao Giuseppe, che bello leggere le tue impressioni! hai detto davvero tutto di questo film, comprese le noti dolenti che condivido ma con meno "dolenza".
RispondiEliminaSai, non ricordo un film in cui la bellezza di un corpo giovane, l’ossessione per la sua perfezione e poi la sua transitorietà e caducità, le consistenze, le forme fossero descritti e resi visivamente in modo così perfetto, impietoso e lucido.
A livello visivo/sonoro il film è affascinante, estremo, caotico, invadente e pregnante e ,per non ripetere quanto già scritto, dico solo di due scene: in ospedale, quando il "giovane" medico scorrendo le dita lunga la colonna vertebrale di Elisabeth, che definisce "perfetta", ne disegna il destino; l’altra, quando Elisabeth deve uscire con l’ex compagno di scuola, ultimo suo atto di autodeterminazione positiva che s’infrange sul pomello di una porta! Ma quanto è fatta bene!
Piaciute tantissimo anche le scene body horror: siamo ossa, muscoli e sangue e arrivare a partorire un'altra se stessa, iniettarsi sostanze a gogò, oltraggiare il proprio corpo non può che essere un massacro e un bagno di sangue ma, la genialità è il parto dalla schiena! quella stessa schiena su cui era già stato disegnato un destino, si squarcia per dare alla luce un'altra se stessa, un doppio. Ma niente funziona come previsto e la mancata omologia tra l’identità di Elisabeth/Sue - geneticamente una sola persona - genera un incubo pazzesco:
“Welcome to Hell" ad Elisabeth che invecchia velocemente, mostruosamente e rabbiosamente, a Sue avida di tempo, successo e di tutto e anche a noi sbalzati dal bello al mostruoso, dal perfetto al deforme, dall’attraente all’orrido che alla fine inghiottirà tutto.
Elisabeth/Sue, disposte a tutto pur di mantenere bellezza e gioventù, oggetti e vittime di una cultura ancora profondamente maschilista eppure una sanguisuga, carnefice, aguzzina dell'altra.
Le incongruenze della sceneggiatura si, le ho viste - come si fa a non notarle? ma sono così tante che non riesco a pensare siano accidentali. Boh, forse è un modo per richiamare l’attenzione sul paradossale, sull’improbabile che accade là dove ogni senso del reale è vinto o forse altro. Non lo so, diciamo che preferirei fosse così.
Due citazioni/riferimenti ho amato, tra le tante già dette, quella letteraria a “Il ritratto di Dorian Gray" e quella cinematografica a The Elephant man, sia per la mostruosità della creatura finale - stupefacente! - sia per quella insita nello sguardo di chi guarda senza vedere.
Che poi il punto - e queste sono le riflessioni "oltre il film" - è tutto là: una questione di sguardi (altrui), di percezione (di sé) e di corrispondenze mancate.
Sarà terribile guardarsi allo specchio e non riconoscersi ma il collasso vero arriva quando non si è più riconosciuti, quando non si riesce a far coincidere quello che si sente di essere, con la forma esteriore che rimandiamo agli altri, il sé che si riflette attraverso il corpo - limite, specchio, contenitore - su cui l’Io si appoggia.
C'entrano la vecchiaia e il tempo che passa, si ma penso ci sia anche dell'altro a pesare, come una dimenticanza, qualcosa a cui, distratti, non pensiamo: "non siamo definiti da ciò che siamo o da quel che facciamo ma dal desiderio interiore, noi siamo quello verso cui tendiamo…"
E la finisco qua.
Un abbraccio