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25.2.14

Recensione: "Antisocial"



presenti spoiler

Internet fa male.
Le chat fanno male.
In alcuni casi possono fare molto male.
Ormai è stato creato un nuovo sottogenere horror, definibile come l'horror 2.0, ossia quell'horror che ha di base o sullo sfondo l'incredibile evoluzione della tecnologia.
Probabilmente questo Antisocial è per ora l'esempio più distopico al riguardo.
In un futuro molto prossimo tramite una chat in cui praticamente tutto il mondo è iscritto (e qui più che distopia siamo molto vicini alla realtà) viene lanciato un impulso per restar collegati e dipendere dalla chat, un impulso leggermente troppo potente... In un solo giorno miliardi di persone, tutti quelli che si sono collegati alla chat lo stesso giorno (che poi è l'ultimo dell'anno, figuriamoci, una sbirciatina la danno tutti), vengono colpiti dal virus. La testa parte, si diventa una specie di zombie violentissimi.
L'idea è carina, perchè tratta un nuovo tipo di virus che a differenza degli altri può diffondersi in un solo giorno e in tutto il mondo, senza bisogno di "esportare" il germe.
Interessanti soprattutto due cose.
L'idea di un'apocalisse, una fine del mondo così repentina, così incontrollabile, così "originale" (non è il web in sè che infetta ma solo quella chat).

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E seconda qualità è il concentrare questa fine del mondo nel microcosmo di un'unica casa dove si sono rifugiati 5 ragazzi. (struttura similissima a La Notte del Giudizio). Il problema è che non serve a niente rifugiarsi., il virus è nel pc. Ma sarà troppo tardi per scoprirlo.
La tematica di quanto possa essere dannosa la vita virtuale delle chat è ovviamente alla base di tutto. Non è un caso che l'unica a sopravvivere sia la ragazza che si era cancellata dalla suddetta chat. Tutto un pò facile ma un minimo di riflessione questo Antisocial lo porta.
Possiamo dire ciò che vogliamo ma siamo tutti abbastanza dipendenti dalla Rete, io per primo.
Ma non tutti fortunatamente sono incastrati nella "non vita" delle chat, quella sì davvero pericolosa.
I ragazzi del film hanno sempre il pc, lo controllano ogni due secondi, sia prima dell'apocalisse sia dopo per avere notizie. Qualche filmato amatoriale colpisce, il film è un continuo cambio di prospettiva dalla regia normale, agli schermi del pc, ai cellulari etc... .



E' molto interessante la reificazione del virus in una specie di cavo-serpentello (una cosa molto cronembergheriana) che viene generato dallo stesso cervello.
In realtà di idee interessanti, come dicevo in precedenza, ce n'è più d'una. Rimane un filmetto abbastanza inoffensivo che tende a sprecare un pò l'ottima tematica in delle dinamiche standard che potevano essere evitate. Penso agli zombie, ai ragazzi che muoiono uno ad uno, alla final girl finale e alla scena conclusiva. Insomma tutto già visto ma con qualcosina di originale dentro.
Gli effetti sono pochi ma ben centellinati.
Oh, anche il link per la cura è una buona idea, anche il fatto che dopo morti gli infetti diventino una specie di pc umani che continuano a trasmettere, più scrivo più mi pare che ci sia roba interessante dentro.
Ma il finale, bah, niente di che.
Ottimo per gli amanti dell'horror 2.0, passabile per gli altri.

( voto 6 )

18.2.14

Su Hoffman, su Saramago e sulla morte ladra dell'Arte del condizionale, con la l


Stamattina pensavo che in soli 3 anni e mezzo se ne sono andati i miei due punti di riferimento nelle due arti che hanno accompagnato tutta la mia vita, almeno a partire dai miei 8 anni.
Ovviamente sto parlando di Philip Seymour Hoffman per il cinema e di Jose Saramago per la letteratura.
O.k, in realtà non stavo pensando tanto a questo, ossia a essermi ritrovato in pochi anni solo, senza loro.
No, pensavo che uno se ne è andato a 46 anni e l'altro a quasi il doppio, 89.
O.k, in realtà non stavo pensando nemmeno tanto a questo ma ad una diretta conseguenza di questo.
Saramago ha iniziato a scrivere i suoi capolavori, almeno quelli più indimenticabili, a 70 anni, settanta, ossia 24 in più di quando Philip ha sfidato per l'ultima volta la vita e si è ritrovato definitivamente sconfitto sul pavimento.

E allora ho pensato questo.

La morte non ci priva di quello che siamo stati, di quello che abbiamo fatto.
Perchè quello lo siamo già stati, quelle cose le abbiamo già fatte.
Non si dovrebbe piangere per il ricordo di qualcosa che abbiamo fatto o abbiamo condiviso con una persona che non c'è più.
Lo so, è impossibile, ma del ricordo bisognerebbe riderne. E goderne.
Bisognerebbe piangere, semmai, di quello che ci sarebbe stato tutti i giorni e gli anni seguenti.
La morte ci ruba il Condizionale.

Se Saramago fosse morto, non dico a 46 anni come PSH, ma anche solo a 68, non avremmo avuto Il Vangelo secondo Gesù Cristo, Cecità, L'uomo duplicato, Le intermittenze della morte e decine di altre cose. E magari Pilar non avrebbe avuto le passeggiate con lui, una carezza speciale una sera speciale, la vecchiaia insieme.
Bastava una tranquilla morte a 68 anni e la storia della letteratura sarebbe stata diversa.
Hoffman è morto troppo presto.
E io penso a quanti straordinari film avrebbe fatto i prossimi anni.
Penso quanto sarebbe stato meraviglioso a 60 anni, quando i capelli si fanno bianchi, quando il talento ormai non serve, quando il carisma è massimo. Decine e decine di film persi, di interpretazioni straordinarie perdute per colpa della morte che ci ha tolto la sua Arte del condizionale.
Moltissimi artisti ci hanno lasciato prestissimo, 25, 30, 35, 40 anni.
E' paradossale dirlo ma la maggioranza delle opere d'arte della nostra Storia l'ha portate via la morte con sè senza che noi abbiamo potuto goderne.
Una collezione privata dell'Arte del Condizionale, una collezione che si è comprata lei e nessun altro può vedere.
La immagino lì in fondo al mare, la Morte, in una grotta dove tiene custodite tutte le opere d'arte che quello scrittore avrebbe scritto, quel pittore avrebbe creato, quel regista avrebbe girato, quell'attore avrebbe interpretato.

Le tiene lì insieme a tantissime altre cose che anche noi non artisti perderemo nel furto del nostro condizionale.

Quel bacio che avremmo potuto dare.
Quella frase che avremmo potuto dire.
Quell'abbraccio rimasto inesploso.


Ogni giorno in più che la vita ci regala sono tante cose in meno che la morte tiene nella sua grotta.
E forse la vera felicità in vita sta nell'arrivare da lei a mani vuote.
Non mi puoi rubare nulla, tutto è già stato.
E lasciargli soltanto i nostri ossi di seppia.

17.2.14

Fatti da voi (N°3): Ma7 - Dreary

Terzo appuntamento per questa rubrica nata quasi per caso.
Qui presenterò soltanto i vostri lavori, più o meno belli che siano, più o meno amatoriali.
Questa è la parte "viva" del blog, quella del fare e non solo del dire.

Dopo le prime due puntate (che trovate nella rispettiva categoria qui sopra) è il momento del nostro misterioso "australiano" (ma italiano) Ma7, uno dei lettori più pensanti qua dentro, uno di quelli che più mi hanno dato soddisfazione ma non per i (troppi) complimenti e le (troppe) volte in cui ci troviamo d'accordo ma perchè non segue la cronologia del blog ma ricerca al suo interno i film che vede, li commenta e stimola discussioni.
Un blog questo dovrebbe essere, non dovrebbe contare (solo) l'ultimo film postato ma vederlo come una specie un database dove ripescare i film e confrontarsi.
Veniamo al corto, Dreary ( una sorta di "squallido" italiano ma forse la desolazione e la tristezza sono significati più affini).
Beh, qua siamo quasi a un lavoro professionistico.
Non è piaggeria ma appoggio tutto, la scelta dell'assenza di sonoro d'ambiente, quella della grana fotografica, quella dell'unico ambiente e unico attore, quella della colonna sonora.
C'è un'unica azione, una conversazione tra amici nell'attesa che sia pronto un caffè.
Il corto si prende il suo tempo, e proprio quando rischia di scivolare troppo nell'autorialità fine a sè stessa, quella del mostrare il Nulla senza insegnarci nulla arriva il finale che dà senso al tutto.
E rende questo corto notevole, molto interessante.

Complimenti Ma.


15.2.14

Recensione: "Chained"


Strana la vita...
Ricordo di aver visto il primo film della figlia di Lynch, Jennifer, lo stranissimo Boxing Helena, una pellicola che colpì molto la mia mente da 16enne e di cui, mi dispiace, non saprei dire e ricordare altro se non che c'era la meravigliosa Audrey dello straordinario Twin Peaks, insomma, un'attrice che si sono passata tra padre e figlia.
Strana la vita perchè esattamente 20 anni dopo, e 20 anni non sono pochi, mi vedo quasi per caso il secondo film della figlia d'arte (anche se in mezzoo ne ha messi altri due, forse uno pure buono), questo Chained, una sorta di ibrido tra drammatico, thriller e drammatico, anche se paradossalmente il genere più appropriato è il racconto di formazione.
Sorpresa.
Insomma, niente di straordinario ma siamo comunque davanti a un film complesso, anche un filino coraggioso, moderatamente intelligente e parzialmente lynchiano, ca va sans dire.
Forse punta anche in alto, forse troppo.

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Quello che sorprende è che pur non essendo originalissimo mischia più topoi del genere tra di loro, quello del serial killer, quello del rapito tenuto nascosto per anni (comportamento di solito vero e proprio opposto rispetto al modus operandi dei serial killer), quello dell'educazione e di un coatto coming in age, quello della pazzia e altro ancora. In realtà il film non è affatto un pastrocchio, anzi, funziona abbastanza.
La Lynch ci sa fare, descrive gli interni in modo mirabile, ha senso del racconto senza strafare, sa centellinare i momenti psicologicamente più importanti.
Forse il rischio più grande se lo prende con il clichè (anche se più che clichè è uno studio più che confermato) degli abusi infantili avuti dal serial killer nell'infanzia (killer interpretato da Vincent D'Onofrio, chi si rivede, il Palla di Lardo di quel filmetto che risponde al nome di Full Metal Jacket...).
Anche se la Lynch usa questi ricordi non tanto per giustificare le gesta dell'assassino ma più che altro per trasferirle nel processo educativo che lo stesso farà con il bambino (poi ragazzo) rapito da piccolo e cresciuto con lui.
Bravi gli attori, molto riuscita, sia cinematograficamente che psicologicamente la scena più bella, quella della scoperta del corpo femminile da parte del giovane.
Ed è interessante come da una prevedibile Sindrome di Stoccolma si passi poi alla ribellione.


Ma è forse proprio nel finale che la Lynch esagera.
Il colpo di scena giunge veramente inaspettato come pochi ma oltre alll'effetto sorpresa non sembra regalare niente al film, anzi, forse se ne poteva fare a meno.
E misteriosa è l'ultima sequenza e i rumori sottofondo che si sentono sui titoli di coda.

spoiler---------

E' quasi impossibile che il giovane ricalchi le orme del "padre" killer.
Non è possibile per plot perchè la ragazza gioco forza farà scoprire il luogo delle mattanze e non solo verrà fuori tutto quello che è successo in quella casa, ma anche il ragazzo non credo possa scomparire.
Non è possibile psicologicamente perchè il ragazzo ha dimostrato in più di una scena (quella con lei, l'omicidio di lui e la sequenza con il padre) che sa benissimo dove sta bene e dove il male.
Semplicemente il ragazzo non ha dove andare e anche se in un modo abietto e coatto, riconosce solo quella come casa propria.

Buon film.

( voto 7 )

13.2.14

Recensione: "Machete"

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Alla fine è strano che l'avessi saltato. Voglio dire, Planet Terror lo considerai formidabile e anche di Dal
Tramonto all'Alba ho un ottimo ricordo. Non ho mai seguito Rodriguez, nè agli esordi (penso a El Mariachi e Desperado) nè  nei suoi "capolavori" più recenti (Sin City e C'era una volta in Messico ad esempio, glisso sui millemila kids movie) però, ecco, entrambi i suoi due film sopracitati mi piacquero molto e poi bisogna dire che è pur sempre il compagno di merende di quell'altro pazzo mezzo genio mezzo sopravvalutato di Tarantino.
Non ho mai seguito Rodriguez dicevo ma vedendo Machete mi sembra di aver rivisto gli stessi due film di allora, che il tempo si sia come fermato.
Da un verso è un bene, anche con Machete mi sono divertito e a tratti esaltato.
Dall'altro un pochino mi dà da pensare, insomma, puoi cambiargli anche il vestito ma se la modella che lo veste resta quella è quella.
Trash come pochi, film tremendamente di genere, Machete è l'ennesimo divertissement di un mattacchione citazionista e nostalgico (come l'amico Quentin) "messico-americano" come Rodriguez che ha un grande pregio, non si prende mai sul serio, si diverte e fa divertire..


Vai a vedere che alla fine il pregio più grande del film (come accadde già con Eddie Marsan nel diversissimo Still Life) è quello di aver portato al centro del palco uno che è sempre stato un pò dietro le quinte, un caratterista che con quella faccia più caratterista e caratteristico non ce n'è, quel Danny Trejo che a 60 anni suonati si è trovato protagonista assoluto, e con merito, dopo decine e decine (e decine) di film alle spalle.
Machete è lui, sono le sue cicatrici (vere come poche, frutto di una vita più film di un film), sono le sue frasi, sono il suo carisma, sono quella faccia e quel fisico che sei sicuro che a costo non di fartelo nemico ti tagli lingua e mani.
Grande Machete, niente da dire.
La trama è davvero un pretesto, un'accozzaglia di alleanze, vendette, conti da regolare, politica e scontro razziale, c'è tutto, ma funziona quasi niente.
Il film è puro e volontario trash, dall'intestino fune alla croce di schermi televisivi, dalla pistola versa vodka alle infermiere sexy, dalle auto saltellanti alla Lohan suora (sì sì). Per non parlare di Seagal che sembra Berlusconi col kimono.
Trash, trash, sparatorie, omicidi, Machete che la scampa sempre anche se ha solo un machete contro dieci nemici con dieci pistole, un susseguirsi degli eventi quasi comico, due fic.., ehm, giovani e belle ragazze, a capo della Polizia e dei Rivoluzionari, sì sì, certo.
Ma è questo che funziona, cervello spento ed esaltazione nel vedere Machete che macheta tutti.


Sfugge almeno a 4 agguati, a quello sul tetto, a quello sull'ospedale, a quello a casa della Rodriguez, a quello a casa dell'Alba più e se vogliamo anche a quello a casa di Lapidus di Lost e al massacro finale.
Ogni volta ti chiedi: "ma perchè nessuno gli spara mentre macheta? Va tutto al rallentatore?"
Ma Machete è Machete, Machete che non manda sms ma improvvisa, Machete che non vuole essere un uomo vero perchè a che serve essere un uomo vero se si è già un mito?, Machete che ridendo e scherzando si fa una mezza ripassata di tutte, mamme comprese, Machete che ha un fratello con i coglioni grossi come i suoi.
E tra momenti deliranti, altri esaltanti, altri ridicoli alternati a battute già cult ("Mi licenzio", "Tu sei il suo tipo di ragazza? Perchè, a lui come piacciono? Morte") si arriva alla fine convinti di aver visto un film che resta sempre uguale a sè stesso ma di cui non puoi che restarne innamorato.
Se ne sei appassionato of course.
E alla fine tutto è davvero senza senso.
E alla fine solo una cosa sembra tremendamente vera.
La Lohan drogata.

( voto 7 )

12.2.14

Recensione: "Magnolia"


Piovono rane.
Piovono rane dal cielo a Los Angeles, la città degli angeli.
Piovono rane dal cielo perchè mica è impossibile, è successo, fanculo la spiegazione, è successo.
Piovono rane dal cielo a Los Angeles.
E là sotto a prenderle in testa c'è un poliziotto buono che vede la vita con gli occhi innocenti di un bambino.
C'è una giovane donna distrutta dalle polveri bianche che ha paura di innamorarsi di quel poliziotto buono.
C'è un anchorman malato di cancro che forse è la causa delle polveri bianche di quella giovane donna..
C'è un bambino che vorrebbe soltanto esser tale che partecipa al quiz presentato da quell'anchorman.
C'è un uomo che non ha più niente ma un tempo fu campione al quiz cui partecipa quel bambino.
C'è un ex produttore, anch'esso malato di cancro, che produceva il quiz cui partecipò quell'uomo che ora non ha più niente.
C'è un guru del sesso, macho e cattivo, che si vergogna di esser figlio di quell'ex produttore.
Tutti sono legati a tutti.
Chi più chi meno.

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Prima delle rane c'era la pioggia a Los Angeles e l'aria era densa, torbida, quell'aria che anticipa il collasso.
Collasso, la crisi definitiva.
Il collasso della morte, il collasso finale che con l'aiuto del cancro sta portando via Earl e Jimmy.
Il collasso del passato, quello che sta attanagliando il guru Frank ma anche l'ex peccatrice Linda.
Il collasso della pipì che non si riesce a trattenere, forse la ribellione finale di un corpo a una mente che non vuole più quello schifo.
Il collasso della solitudine, quello che colpisce l'ex bimbo prodigio Donnie svegliandolo da sogni inutili.
Il collasso dell'amore, la crisi in vita per eccellenza, il collasso in vita per eccellenza, quello che colpisce il poliziotto Jim e la ragazza dalla vita rovinata Claudia.
Sono tutti lì, in apnea, collassati, vicini a una svolta, di vita o di morte, quello che sia.

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( e poi ci sarebbe un film meraviglioso dal ritmo incredibile, dalla scrittura impressionante, capace di fermarsi a riflettere e poi partire con dei virtuosismi pazzeschi, con un montaggio di una perfezione impressionante, con quei piani sequenza negli studi televisivi, con quei personaggi prima seguiti e poi lasciati andare per seguirne un altro, con quegli sfoghi pazzeschi, quelli disperati di Julianne Moore e della magnifica Melora Walters, quello del bambino, quello al bar di un superbo William Macy, lo sfogo di tutti, quello che anticipa o cerca la liberazione dal collasso, e poi c'è lui, un impressionante Cruise, un cattivo che a 14 anni stava da solo vicino alla mamma morente di cancro, e poi ci sono dialoghi da pelle d'oca, quelli del poliziotto e di lei su tutti, e poi c'è la lacrima del presentatore prima di crollare, e poi c'è il bambino nella sua postazione che se ci fate caso dietro ha un muro con un'ala perchè è facile confondere i bambini con gli angeli, e poi c'è una figlia che piange quando vede i titoli di coda del quiz perchè quelli sono anche i titoli di coda del padre, e poi c'è la stessa figlia però che come per vendetta mentre il padre trova la morte lei trova l'amore e poi c'è un infermiere buono, l'unico che non si interseca con gli altri, l'unico che sta lì a sentire storie di dolore ed amore, e quell'infermiere è Philip Seymour Hoffman, non te ne dovevi andare così, con quella tua non recitazione, con quella capacità di portare la vita vera dentro il cinema e invece no, hai portato il cinema dentro la vita vera, con quella morte da gangster movie di terza serie, steso e pieno di droga, ma da gangster movie d'autore, di quelli che vicino il corpo trovano le foto dei figli, non te ne dovevi andar così perchè non ci hai fatto capire se non avevi capito niente della vita o ne avevi capito troppo, e poi c'è un infermiere buono che stà lì dietro, e poi c'è un film che ha così tanta vita dentro da far paura e poi...)


e poi smette di piovere

per poi piovere rane

perchè nella vita ci sono tante cose inspiegabili, tante fatalità, tanti fatti che non riusciamo a comprendere

piovono rane, come nella vita

perchè se piovesse pioggia sarebbe tutto così scontato

così banale

( voto 9 )

6.2.14

Recensione: "Tirannosauro"

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Tirannosauro la chiamava lui.
Perchè era grossa, perchè era ingombrante, perchè quando si spostava lei si spostava tutta la casa, perchè se saliva le scale lei c'era il terremoto, perchè era l'opposto della grazia, perchè quando lei si muoveva gli sembrava di essere sull'auto di Jurassic Park con il tirannosauro che gli corre dietro.
Tutum tutum tutum tutum
Sono quei soprannomi che dietro presunti difetti fisici nascondono sentimenti veri.
Tirannosauro la chiamava, e sembra importante questa cosa, questo nome, perchè alla fine è il titolo del film e deve essere importante.
In realtà lei non c'è mai, non c'è più, c'è stata prima del film e alla fine, per quello che vediamo, di importanza mica sembra averne tanta.
Ma poi ancora una volta, così come successe nello splendido Dead Man's Shoes (che dedicò al padre), Considine (qui anche regista, opera prima) aggiunge ancora una dedica finale.
A Pauline.
Che è la moglie morta del protagonista, il Tirannosauro di cui sopra.
Ma è anche la mamma di Considine, non la moglie, la mamma.
Come fece nel film precedente che dedicava al padre, poi alla fine il personaggio che impersonificava tale dedica era il fratello, non il padre.

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In questi due film bisognerebbe saperle ste cose, aspettare quel minuto in più e leggere quelle dediche.
Come quella di Biutiful. Non sono cose dopo il film, sono cose dentro il film, molto dentro.
Perchè sublimare il dolore di una perdita nella scrittura di un film è una cosa grande.
E trasporla in personaggi differenti (padre-fratello) (madre-moglie) è un modo per tenere quel dolore più lontano per quanto è vicino.
Tirannosauro la chiamava lui.
E quel lui è Joseph (un Peter Mullan enorme, enorme), un uomo senza più niente.
Solo le sue birre, i suoi fuck, le sue scazzottate e il suo cane.
Che poi il suo cane muore subito subito a causa delle sue birre, dei suoi fuck e delle sue scazzottate.
Rimane solo, una di quelle solitudini vere, non cercate, la solitudine perfetta.
Ma si ricorda di una donna che gli sorrideva in un negozio.
Va al negozio, gli sorride ancora.
Non è più solo.

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Il fatto è che qui non c'è felicità, ci sono solo volti segnati.
Quello di Joseph dalle rughe di una vita che lo divora con l'alcool e i sensi di colpa.
Quello di Hannah, dai pugni di un marito che le piscia addosso mentre dorme e poi le dice ti amo.
Quello di Samuel, sfigurato da un cane che alla fine è solo simbolo del degrado in cui vive.
Volti segnati, vite segnate.
Puro cinema inglese, puro e meraviglioso cinema inglese, quello della gente cattiva, delle birre, delle persone che si buttano via, dei quartieri lordi, delle facce scure.
E segnate.
"Ti ho visto" dice James (ancora un eccellente Eddie Marsan) ad Hannah mimandogli il taglio del collo.
Agghiacciante, una frase e un gesto che racconta più di qualsiasi documentario sulle violenze domestiche, quelle violenze non solo cieche e spaventose ma anche insensate, prive di logica, gratuite.
"Non è colpa tua" dice Joseph al cane del bullo. Perchè un cane, come un uomo, non diventa cattivo naturalmente, no, la cattiveria non è genetica, la cattiveria è uno dei perfidi regali della vita.
E anche quel cane deve morire perchè le vite segnate è meglio interromperle.
Specie se sei un cane e per fedeltà a un padrone sbagliato non puoi cambiare.
E poi Samuel è un bambino meraviglioso in un mondo molto poco meraviglioso, qualcosa andava fatto.

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Poi c'è qualcuno che si guarda alla fine del film.
"Probabilmente ti amo"
"Probabilmente ti amo anche io"
"Probabilmente in un'altra vita staremmo insieme"
"Probabilmente"
Ma io ormai sono qua con le mie ferite, libero ma ferito, e te sei là, nella tua prigione, da cui non uscirai mai più.
Probabilmente si diranno questo.
O probabilmente se lo sono detti.
Ma non lo sappiamo perchè si guardano soltanto.
E così oltre al tirannosauro c'è qualcun altro per cui piangere.

( voto 8 )



4.2.14

Recensione: "247° F" (con dissertazione sulle Costanti)

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Certo è strano che il giorno dopo la morte del tuo idolo ti metti a vedere un filmetto horror (cosa che poi non
è in realtà).
Sarebbe stato più sensato non veder nulla.
O magari vedersi qualcosa di bello.
Magari qualcosa proprio con PSH.
Il fatto è questo.
Circa una settimana fa spiegavo a un mio amico (che dalla faccia sembrava non capirmi) come per me sia importante vedere i film horror.
Attenzione, io non amo i film horror.
Amo vedere i film horror, è differente.
Gli spiegavo che era una cosa consolidata dentro di me, che ci ero abituato sin da quando da piccolo lo facevo con i miei 3 fratelli. Non sono riuscito a convincerlo mi pare.
Perchè non ho avuto il tempo di spiegargli Le Costanti.
Le Costanti sono quelle cose che non è importante che siano belle o brutte, giuste o sbagliate, divertenti o dolorose, Le Costanti sono quelle cose che ci devono essere, che si sono sempre state.
Perchè se non ci sono tu ti senti meno sicuro, la vita ti si può destabilizzare, c'è qualcosa che non torna, c'è un senso di smarrimento, c'è qualcosa che ti manca.
Può essere anche un piatto tremendo che ti fa tua madre. Ma te l'ha sempre fatto.
Può essere il sorriso di una persona che ogni tanto devi vedere.
Può essere una sbronza che ogni tanto devi prendere.
Può essere andare in un luogo specifico, anche se non ha niente di importante.
Ma se la mamma non ti fa più quel piatto, se quella persona non ti sorride più, se non ti fai più una sbornia o non vai più in quel posto qualcosa ti manca, l'ordine delle cose ti sembra essersi perso.
Vedere i film horror è la mia Costante, la cosa che faccio da anni che mi fa credere che tutto sia sempre lo stesso, che la vita abbia dei suoi punti fermi, un fil rouge emotivo che non si rompe mai.
E allora mi sono visto sto film. Come mi vedo tutti gli altri di questo genere.
Ormai il tempo per la recensione è un pò limitato, peccato perchè 247°F è tutt'altro che brutto.

attenzione, spoiler devastanti

Partirei con una battuta.
Per una volta potevano tradurre il titolo originale in italiano, non avrebbero fatto male.
Invece che 247°F avrebbero potuto chiamarlo 120°C (Celsius), no?
Comunque, come detto, affatto male questo piccolo film.
Che poi horror vero e proprio non è, magari ha il mood dei film del terrore ma le dinamiche sono assolutamente da drammatico puro. Per questo lo apprezzo tanto. E' un film molto umile, che non cerca lo shock o le scene assurde, segue un suo percorso che più di una volta ti fa credere che scivolerà verso il cinema de paura ma che invece resta sempre coerente. Persino nel finale.

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Il titolo si riferisce alla temperatura di una sauna. Dove rimangono rinchiusi 3 ragazzi. Per colpa di un 4° un pò brillo che li chiude dentro per sbaglio.
Funziona un pò tutto.
I 4 attori se la cavano alla grande, molto naturali, specie i due ragazzi.
I dialoghi sono anch'essi naturali, mai sopra le righe nè troppo banali.
La costruzione della vicenda è molto intelligente, con quell'iniziale vai e vieni dalla sauna al lago per poi restare solo poi dentro la prima. Anche tutte le vicende all'interno della sauna bloccata (circa 1 ora dell'ora e 20 del film) sono alquanto verosimili. Si tenta anche una caratterizzazione dei personaggi abbastanza credibile, specie della ragazza timida. Forse si esagera un pò in questo senso ma sempre in maniera affatto pacchiana.
La regia è ovviamente abbastanza "bloccata" ma muove la macchina benissimo, specie in una panoramica della stanza dopo la chiusura sauna e nella ricostruzione di come sia successo il blocco.
Alla fine il film è il "contrario" (freddo-caldo) del discreto Frozen, che se da un lato era forse più "emozionante" dall'altro presentava molte più situazioni inverosimili.

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Ad un certo punto ho creduto al solito giochetto del tutto immaginato, e in un certo senso questo era, ma con un escamotage alla The Descent assolutamente riuscito.
E' indubbio un netto calo di tensione poco dopo la metà e il personaggio del ragazzo brillo dopo un pò rischia di esser esagerato nei suoi (non) comportamenti.
Arriva poi il finale che mi dà la conferma della genuinità dell'operazione (in un film horror sarebbero morti tutti o quasi tutti).
E quella lacrima, misto di sopravvivenza e amicizia ritrovata, è una piccola e bella cosa, la firma a qualcosa di ben fatto.
Per chi ama gli "horror" della gente rinchiusa (vero e proprio sottogenere ormai) credo che ne valga davvero la pena.
Film georgiano, pensa te.
Magari noi...

( voto 6,5 )

3.2.14

Fatti da Voi (N°2):HGW XX/7: Il Cinema come Emozione

Questo è un video che avevo già presentato qua.
Ma fa bene riproporlo ogni tanto perchè merita.
In più c'erano due nuove motivazioni per riproporlo.
La prima era inserirlo in questa piccola rubrica dei corti che adesso è diventata anche uno spazio per i video dei lettori (ne arriverà un altro, forse due).
La seconda è che il giorno dopo la morte di Hoffmann è meglio non interrompere sin da subito la scia d'emozione che la vicenda ci ha lasciato.
La terza (avevo detto due, scusate) è che ci sono tanti nuovi lettori, molti dei quali anche parecchio attivi, che all'epoca in cui postai il video non c'erano.

Il video è fatto da mio fratello, il fu John Locke (adesso si chiama con il nome in codice de Le vite degli altri, cercate voi quale).

E' un collage di qualità incredibile di estratti dai più bei film degli ultimi 10 anni.
Più bei film per lui, ma anche per me.
Ovviamente c'è anche Synecdoche.
Molti altrove si sono divertiti a riconoscerli tutti.
Sono più di 50.
Credo che se questo video fosse passato su Sky o su qualche cinema prima del film non sfigurerebbe.

Eccolo:




Mi chiamo Caden Cotard

Dopo quasi 5 anni Oh Dae-Soo non c'è più.
Gli ho voluto bene e gli hanno voluto bene.
Magari non qua, ma altrove Oh Dae-Soo è più conosciuto, Giuseppe non è mai esistito.
Ma non potevo rinnegare quello che mi dice il cuore.
E il cuore da 2 anni è sempre stato da Synecdoche, malgrado Old Boy rimanga uno dei film della mia vita.
E' il minimo che posso fare per ricordarlo.
Speriamo che sia sempre lo stesso blog, già da domani, con i suoi horror, le sue cazzate e i suoi momenti più riflessivi.
Speriamo che tutto rimanga uguale.
Io per primo.
Ma, in qualche modo, sono nuovo.

2.2.14

Non dovevi


Non era già un bel periodo.
Non era già una bella giornata.
E ora questa notizia.
Non se ne va solo il più grande attore vivente come almeno da 4 anni sostengo in questo blog.
Se ne va uno dei più grandi di sempre.
E uno che andava oltre la recitazione, che si vedeva che era altro, che si vedeva che la vita gli stava stretta.
Se ne va l'attore in cui mi ero impersonificato, quello che mi emozionava solo a vederlo.
Se ne va l'attore principale del più bel film che io abbia mai visto, Synecdoche New York.
Non rivedrò mai più quel film.
Perchè quando lui camminerà in quelle quinte ormai vuote, quando quella voce gli parlerà, quando starà per sussurrare il nome dello spettacolo tra le braccia di lei, semmai dovessi rivedere queste scene, queste scene che già prima erano le più belle scene di una vita dentro il film, queste scene che adesso che lui non c'è più vorranno dire tanto altro e romperanno definitivamente il muro immaginario tra cinema e vita, semmai dovessi rivederle se prima l'impatto fu devastante adesso, specie ora, sarebbe insostenibile.
Mi era successo solo con Saramago.
Ma qui è anche più forte.
Sento un vuoto troppo grande.
Sento che del cinema non me ne frega più nulla.
Ma sento anche che l'unico modo per superare sta cosa sarà proprio il cinema.
Se avessi potuto chiamarlo gli avrei detto di non farlo adesso, di aspettare, di parlare un pò.
Vaffanculo Philip.
Te ne vai così, d'improvviso e mi fai star male.
Vaffanculo Philip.
Ti voglio bene.