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1.9.19

Festival del Cinema di Venezia 2019 - Giorno 3 - 1 settembre (Larrain, Polanski e tanto altro)


MADRE

Di Rodrigo Sorogoyen


ORIZZONTI

Filippo Tassinari

Elena è a casa e riceve una telefonata dal figlio: si è perso in una spiaggia in Francia e non trova il padre. Dieci anni dopo lei vive e lavora proprio su quella spiaggia, gestendo un ristorante, quando intravede un ragazzo che le ricorda il figlio.
Basato sull'omonimo corto del 2017, che introduce la prima parte, il film segue la tormentata protagonista con l'idea di mettersi alla ricerca di una verità da scoprire, di un mistero da capire: in realtà è un viaggio nel doloree nel senso di colpa, di una madre che impotentemente ha perso una parte di sè e non si riesce a ritrovare. 

Voto: 7

Riccardo Simoncini

Quante volte in spiaggia sarà capitato di sentire all’altoparlante che un bambino si è perso e sta cercando la madre. Normalità di un’estate al mare, si potrebbe pensare. Ma quando quello stesso bambino si perde d’inverno, in una spiaggia desolata, e un genitore non è rintracciabile e l’altro si trova a miglia di distanza dal figlio, forse non è più normalità. Forse è il caso di preoccuparsi. Perché può succedere che non ci sia niente da fare. 
Così una famiglia spagnola perde letteralmente il figlio di 6 anni in una spiaggia francese, o meglio il padre lo perde e la madre vivrà l’angoscia del non sapere cosa fare e dove cercarlo. La vicenda, però, evita di raccontare in diretta il momento della scomparsa con i tempi di un thriller (approccio già affrancato dal regista in un precedente cortometraggio), preferendo piuttosto il dramma degli effetti a lungo termine di quell’evento doloroso. Sono infatti passati 10 anni da quando Ivan è scomparso e la madre Elena ha scelto di trasferirsi e vivere su quella stessa spiaggia dove il figlio dovrebbe essersi perso. Lavora come direttrice in un bar che si affaccia sul mare. Quella spiaggia diventa un luogo sospeso, senza tempo. Come un limbo esistenziale dove la dimensione temporale del luogo sembra essersi fermata e poi dissolta. Elena è, infatti, intrappolata in quello spazio, essendo ancora legata indissolubilmente ad un passato che si va a concretizzare nell’ultimo luogo in cui è sicura che il figlio si sia trovato prima di scomparire. È il suo tentativo di tenerlo vivo nella memoria, di conservare con esso un legame profondo e non tangibile che riesca a colmare la sua assenza. Non c’è ormai più speranza e per questo Elena sembra essersi rassegnata e, dopo quei 10 anni, vuole forse provare ad immaginare una nuova vita, in un altro luogo, con un altro compagno. Improvvisamente, però, vede un ragazzo che assomiglia profondamente al figlio. Elena sa per certo che non è lui, ma vede in quel ragazzo la possibilità di recuperare il tempo perduto. Così si re-immerge nuovamente in quel limbo dove il suo passato rimane incerto ed indeterminato, ed inizia a stabilire con il giovane un legame ambiguo, poco razionalizzabile e che non necessita di alcuna spiegazione verbale. Elena rimane sempre costantemente ed ostinatamente madre, qualsiasi cosa accada o possa potenzialmente accadere, in un contesto dove amore e paura sono compagni di viaggio. Su una spiaggia deserta.


J'ACCUSE

Di Roman Polanski


CONCORSO

Filippo Tassinari

La storia del caso Dreyfus, capitano dell'esercito francese di origine ebrea, condannato per spionaggio nel 1895. Il vero protagonista è il colonello Picquart che, diventato capo dell'unità di controspionaggio che accusò Dreyfus, scopre quanto possa essere manipolata la verità dal potere.
Un solido romanzo storico, con un coinvolgente ritmo da spy story che evidenzia anche il contesto storico, dove già l'antisemitismo permeava l'europa diversi anni prima dell'avvento del nazismo. 

Voto: 7

MES JOURS DE GLOIRE (my days of glory)

Di Antoine de Bary


ORIZZONTI

Filippo Tassinari

Adrien ha 26 anni, ma totalmente immaturo. Attore in adolescenza, ora disoccupato, nella sua vita non riesce a prendere nulla seriamente e pertanto sarà destinato al fallimento.
Commediola da una decina di risate, con una occasione mancata di approfondire una tematica interessante, buttandola sul ridicola. 

Voto: 5

Riccardo Simoncini

Sembra di vedere un “coming of age” ritardato, traslato di qualche anno in avanti nel tempo. Adrien (Vincent Lacoste) ha infatti quasi trent’anni ma, nonostante ciò, cova al suo interno un impressionante spirito bambinesco tale da renderlo un moderno Peter Pan. La sua esistenza è fatte di stranezze, così come il suo corpo stesso ci appare sullo schermo sempre buffo e bizzarro. Perché se le difficoltà e i problemi che deve affrontare sono di per sé normali per un adulto, il modo con cui vi si approccia è proprio di chi non è ancora stato in grado di prendersi le proprie responsabilità e vive continuamente con la testa fra le nuvole. Adrien vive infatti in un mondo dove il divertimento e la burla regnano sovrani, dove c’è sempre spazio per lo scherzo, per una risata, ma da cui è impossibile evadere. La madre, psicologa, sembra offrirgli una via di fuga, ma è dalla sua mente che deve scappare e sono gli schemi che la regolano che devono essere abbandonati. Crescere e maturare, infatti, vuol dire innanzitutto cambiare il proprio punto di vista, filtrare la realtà secondo criteri diversi da quelli di un bambino, comprendendo le priorità, la radice degli autentici problemi, il modo di interagire e relazionarsi. Ma affinché ciò avvenga è necessario uno scontro, un momento di frattura con quel mondo fatto di illusioni più che di realtà. 
Il problema principale del film rimane però l’eccessiva leggerezza con cui il tema viene affrontato, come se il punto di vista di Adrien fosse lo stesso a filtrare  la realtà cinematografica. Vengono spesso lanciati spunti di svolta e riflessione, ma manca poi sempre l’intenzione di condurli a termine ed in profondità. E il risultato che ne deriva è alla fine di un’opera che colpisce e diverte solo per il protagonista, un trentenne con una voglia di sognare fanciullesca ma dalle forme corporee di un adulto.


SEBERG

Di Benedict Andrews


FUORI CONCORSO

Filippo Tassinari

Il 30 Agosto di 40 anni fa moriva suicida Jean Seberg, attrice statunitense diventata icona della nouvelle vague francese. Il film racconta gli anni americani in cui l'attrice si avvicinò alle lotte di rivendicazione razziale delle Black Panther. Per questo attivismo politico venne messa sotto controllo dall'FBI, che le rovinò vita e carriera.
La produzione degli Amazon Studios non brilla certo per originalità, nè per particolare talento degli interpreti. 

Voto: 5e ½

QIQIU (balloon)

di Pema Tseden


ORIZZONTI

Filippo Tassinari

Nella campagna tibetana vive una coppia con due figli piccoli ed il nonno: vita semplice tra pecore e preghiere, giochi innocenti con palloncini "speciali".
Il regista tibetano di Tharlo e Jinpa rimane fedele alla propria cifra stilistica con una fotografia emozionante e storie semplici dove il buddismo si intreccia con la vita reale. 

Voto: 6 e ½

EMA

Di Pablo Larrain


CONCORSO

Filippo Tassinari

Ema ha dovuto rinunciare a Polo, figlio adottato col marito Gastòn, che non sono riusciti ad educare. Ema è una ballerina, è fuoco, è sesso, è il male assoluto: Ema non vuole rinunciare a Polo.
L'Ema di Larrain è una pellicola su cui bisogna fare un profondo atto di fede, lasciandosi trascinare fino in fondo, schivando l'annoso quesito "ma cosa sto vedendo?". 

Voto: 7


RARE BEASTS

Di Billie Piper


SETTIMANA DELLA CRITICA

Riccardo Simoncini

Billie Piper è un’artista poliedrica capace di spaziare da successi discografici musicali a ruoli chiave come attrice nel mondo cinematografico (e televisivo) che hanno formato tanti giovani d’oggi. Rare Beasts è il suo debutto alla regia, un’opera rara ed originale (per riprendere il titolo), che delinea con precisione ed irriverenza un ritratto femminile intimamente vero e realistico, che rifugge le convenzioni di una società che le impone regole e morale. La protagonista Mandy è infatti una donna complessa, fuori dagli schemi, ricca di sfumature e sfaccettature, tante quante sono quelle della regista stessa, che la va anche ad interpretare come attrice. Mandy incarna l’idea contemporanea di donna moderna in crisi, in cui lottano perennemente forze contrapposte: gli ideali, le promesse ed i sogni da un lato e la crudele realtà quotidiana dall’altro. Ma la genialità di quest’opera prima non sta tanto nella scelta della materia trattata, quanto più nell’approccio scelto per raccontarla, che con uno stile spesso pazzo e sfrontato, che non ha paura di osare con l’ironia e la battuta scorretta, riesce per questo continuamente a divertire, stupire, spiazzare e giocare con la percezione dello spettatore. Una tale originalità e freschezza nell’uso dello humor inglese si può riscontrare, tra i casi più recenti, nella serie tv Fleabag, con cui Rare Beasts condivide l’attenzione sarcastica verso il mondo femminile e il tentativo di smascherare una società ipocrita, che dalla donna si aspetta solo qualcosa. La vita di Mandy, del suo lavoro come sceneggiatrice, di suo figlio, dei genitori e del compagno Pete vengono a rappresentare le parti di un puzzle, dove solo il montaggio serrato ed incalzante di tutti i pezzi porta unità e completezza all’intero racconto. 

Mandy è nichilista, spesso sfacciata, bestiale e quindi maleducata, ma in questa sua autenticità sfrenata non si può non amarla alla follia.

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