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19.3.21

Recensione: "Rams" - Passeggiate, il cinema della poesia - 15 - di Roberto Flauto

 

E' un caso quasi unico questo.
Mai, o forse solo una volta, ho pubblicato nel Buio in Sala un pezzo esterno (ossia di una rubrica di altri) già recensito in precedenza da me.
La motivazione è molto semplice, le rubriche (o anche i pezzi singoli)  di amici devono colmare tante delle mie lacune, che siano tematiche (generi che non vedo), stilistiche (modo di scrivere diverso) o anche, semplicemente, recensire bei film che io non ho visto.
In questo caso Roberto (al suo sedicesimo appuntamento) ha "per sbaglio" scritto di un film già presente in archivio.
Non posso però non pubblicarlo, per  due motivi.
Il primo è che Rams è un film bellissimo (con uno dei 10 finali più emozionanti che ho visto in questi anni, sicuro), il secondo perchè la recensione di Roberto (finalmente dato che il film l'ho vistoho potuto leggerti!) è molto meglio della mia.
Vi lascio a lui.

P.S. : il film lo trovate su Prime
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 In una valle islandese,
immersa in un tempo sospeso,
due fratelli lottano contro l’estinzione.

Se la nostra pecora è felice,
il sole tutti riscalda e benedice.
Se la nostra pecora è infelice,
la notte è oscura e traditrice.


Il vento accarezza l’erba.
La città è lontana, siamo nell’entroterra, le montagne abbracciano ogni cosa.
Il cielo è così vicino che stordisce. Il respiro della terra è unità di misura dei giorni.
Eternità e attimo si confondono, fino a prendere l’una il significato dell’altro.
Islanda. Terra di ghiaccio e di fuoco.
Ghiaccio: perché siamo a pochi passi dal Circolo Polare Artico, perché la neve appartiene a tutte le stagioni, perché c’è qualcosa di unico nel processo di condensazione dei desideri apparentemente inesprimibili.
Fuoco: i vulcani, i geyser, le sorgenti termali, vene incandescenti che scorrono ovunque, perché il battito di ciglia della natura non conosce pietà, perché c’è qualcosa di unico nel processo di esplosione dei desideri lasciati ad asciugare al sole.
L’erba si piega sotto le carezze del vento. Chilometri e chilometri di pura assenza. Il rumore del silenzio pervade ogni suono, ogni ambiente, ogni colore. Le estati sono tiepidi e brevi, gli inverni sono gelidi e lunghissimi. In una valle immensa e dalla bellezza selvaggia, circondata da vette imperiose, lontana da anni luce dalla luce degli anni di tutti noi, ci sono due case, distanti poche decine di metri l’una dall’altra. Appartengono a due fratelli, entrambi allevatori di pecore, che conducono la stessa vita, hanno gli stessi ritmi, consumano gli stessi cibi, sono della stessa natura, ma si odiano e non si parlano da quarant’anni.
Gummi e Kiddi.
Si odiano, come solo due fratelli possono odiarsi.
Ormai vecchi, entrambi soli, non si sono mai sposati, non hanno figli, non hanno niente, eccetto le loro amate pecore. Il rapporto che hanno con questi animali è davvero unico, speciale, prezioso. Sono due allevatori induriti dal freddo e da una vita di sfiancante e continuo lavoro, condividono la stessa terra, le loro pecore appartengono alla stessa, antichissima, pregiata razza: Bolstad. Sono le migliori, e loro due sono i migliori allevatori di tutta la valle.
Eppure non vanno d’accordo, non si sopportano, non si rivolgono la parola da quaranta, lunghissimi, gelidi anni.
Il vento disegna destini inafferrabili tra i fili d’erba.

Seguiamo la vicenda dalla prospettiva di Gummi.
Un lungo abbraccio carico di un affetto che non si può capire. Gummi abbraccia le sue pecore, le coccola, le stringe a sé, «ti voglio bene» dice a ognuno di loro. Sorride.
Il film si apre così. Con un abbraccio. Sincero, affettuoso, dolce, ma anche (e per questo) primitivo, viscerale, fuori da ogni logica.
Il cielo si colora di ghiaccio.

C’è una staccionata.
Una lunga sequenza di paletti, recinti e sbarre di legno: è il confine tra la terra di Gummi e quella di suo fratello Kiddi.
Sono identici, perché condividono lo stesso stile di vita e conducono la medesima esistenza, eppure profondamente diversi: Gummi è calmo, serafico, attento, mentre Kiddi è più estroverso, più istintivo e impulsivo.
Il film ci dà piccole e disordinate informazioni (le mie preferite), grazie alle quali possiamo capire che i loro defunti genitori aveva preso due decisioni differenti. Il padre, come probabilmente ogni uomo razionale avrebbe fatto, aveva deciso di affidare la sua terra e le sue pecore al suo primogenito Gummi, il più saggio e affidabile. Ma la madre gli strappa una promessa: lasciare che anche suo fratello minore avesse una parte della terra e delle pecore da allevare.
Ma non sappiamo altro. Non sappiamo cosa abbia davvero portato a quarant’anni di silenzio. Le poche comunicazioni che intrattengono avvengono tramite lo scambio di messaggi scritti su fogli di carta, che il fedele cane pastore di Kiddi consegna ogni volta all’uno e all’altro.
Cosa può esserci di più gelido di un cuore che rifiuta di battere e di battersi?
Chissà quante parole sono sepolte nei loro cuori. Chissà quante carezze morte, in quelle mani.
Quanti sospiri trattenuti, quante carezze abortite, quanto freddo, quanti giorni, quanti sbagli.
Quaranta anni. Senza dialogo, senza sorrisi. In completa solitudine, vivendo l’uno accanto all’altro.
Gummi, Kiddi, le loro pecore.
Il cielo in frantumi si disperde nel vento.

Rams: “arieti”.
L’ariete – o montone – è il maschio della pecora. Ma è anche la metafora perfetta per descrivere i nostri protagonisti. E non solo perché sono vecchi, pelosi e con la barba lunga e disordinata, come il vello delle loro pecore, ma anche perché appartengono entrambi a una razza in estinzione, di cui sono gli ultimi due esemplari, almeno in quella valle: allevatori dotati di una sensibilità unica, profondi conoscitori di ogni palpito della natura, amanti appassionati e passionali del proprio mestiere, che in realtà è tutta la loro vita, perché loro amano prendersi cura delle pecore, non sanno fare altro, sono i migliori. E stanno per estinguersi.
Rams è quindi una storia di resistenza, un racconto di ghiaccio e di fuoco.
Ghiaccio: perché siamo a pochi passi dal baratro della fine, perché quarant’anni di silenzioso morire non lasciano scampo, perché lo strato di gelo che avvolge il cuore degli uomini può non sciogliersi mai.
Fuoco: perché malgrado e grazie a ogni sguardo, perché nonostante e a causa di ogni silenzio, perché sebbene l’assenza, benché l’antagonismo, il sangue, la famiglia, l’amore avuto e quello sepolto dentro raffiche su raffiche di entropia, c’è un cuore che pulsa e continua a bruciare.

In una piccola comunità, per quanto sia esteso il territorio che la contiene, ci si conosce praticamente tutti. È una cosa bella, rassicurante, ma che può risultare asfissiante (non è un caso, per esempio, che i rapimenti alieni avvengano sempre in piccole comunità sperdute, ma questo è un altro discorso). A Gummi e Kiddi, però, non interessa nulla, tranne il benessere delle loro pecore.
Arriva il giorno del concorso annuale per il miglior montone. Tutti gli allevatori portano il proprio esemplare migliore. I due fratelli sono tra i partecipanti, come ogni anno. E come ogni anno sono i favoriti. Gummi è secondo, Kiddi è il vincitore. Vince “per un muscolo”. Tutti festeggiano, ridono, brindano, bevono, tranne Gummi.
Rams, film in cui si parla pochissimo, una storia con dialoghi rari ed essenziali, è un racconto fatto di sguardi bellissimi, profondi, significativi. Gli occhi di Gummi persi nel vuoto sono perfetti.
Il suo sguardo e quello di Kiddi non si incrociano mai, eppure pesano l’uno sull’altro. Si guardano senza guardarsi. Come i quarant’anni di silenzio che li separano e li tengono insieme in una danza immobile.
(Alcuni degli sguardi presenti in questo film sono tra i più belli che abbia mai visto, tra i più penetranti e significativi che abbia mai vissuto).

Poi arriva l’imprevedibile.
Gummi si accorge che il montone del fratello ha qualcosa che non va, sembra malato.
Intuisce subito cosa possa essere, e ne resta terrorizzato.
Potrebbe essere la scrapie, un virus micidiale che colpisce gli ovini, una malattia infettiva neurodegenerativa che attacca il cervello e il midollo spinale, è letale e incurabile.
Quando i veterinari andranno a prelevare l’ariete di Kiddi non potranno che confermare il timore di Gummi. Questo significa una sola cosa per i due fratelli, e per tutti gli allevatori della valle: l’apocalisse.
Tutte le pecore della valle devono essere abbattute. Tutti gli attrezzi, i fienili, il cibo e tutto ciò che è entrato in contatto con gli animali deve essere sterilizzato o bruciato. Forse ci vorranno almeno due anni perché alcune pecore possano essere riportate nella valle.
È la fine. Non si sopravvive a una cosa del genere.

«Tu hai sterminato la razza dei Bolstadir!».
È Kiddi che urla in faccia al fratello tutto il suo risentimento, la sua rabbia, la sua frustrazione.
Le loro sono le uniche pecore Bolstad dell’intera Islanda, il ceppo più antico, più forte, più puro.
Finiranno per sempre, e loro finiranno insieme alle loro pecore.
Quando tutti gli allevatori, riuniti, decideranno che è la scelta più saggia da fare, per poter avere la speranza di poter un giorno risorgere (anche se alcuni di loro decideranno di abbandonare l’allevamento e cambiare vita), Gummi e Kiddi reagiranno in maniera diversa.
Ma come si sopravvive a una catastrofe di tale portata?
Come si può pensare a un possibile domani quando tutto ciò che ami sta morendo?
Le cose finiscono, di solito all’improvviso.
Questo vale un po’ per tutto. Il futuro arriva sempre senza avvertire.
Il suo invito a cena non si può rifiutare.
Spesso, però, il pasto siamo noi.
Quasi sempre, siamo ancora vivi quando inizia a mangiarci.
No, non si sopravvive a una cosa del genere.
Perché non è la morte, alla quale si può dare un senso, persino un significato comprensibile e accettabile. Questa è l’estinzione: cioè la morte della morte.
L’orizzonte sparisce dentro un vortice di nulla.
Kiddi si rifiuta di collaborare, si ribella. Una notte, ubriaco, spara alla finestra della casa di Gummi, urlando insulti e vomitando rabbia.
Gummi (ancora quel suo sguardo) si alza dal letto e corre in cantina, adora questa sequenza.
Kiddi continua a lasciarsi andare alla disperazione e al rancore.
La squadra allestita dal comune, guidata da Katrin, la veterinaria della valle, ha il compito di abbattere tutti i capi di bestiame del territorio. Kiddi si oppone e viene portato via dalla polizia. Gli altri allevatori acconsentono all’operazione.
Gummi fa qualcosa di completamente diverso.
In una scena struggente e bellissima, vediamo quest’uomo silenzioso e dallo sguardo carico di dolore entrare nella sua stalla, è solo circondato dalle sue pecore. Le abbraccia, le accarezza.
Poi, con la morte nel cuore, lo fa. Le uccide.

Trema. Piange. Si lava via il sangue delle sue amate pecore dalle mani.
(Quanto coraggio ci vuole per compiere un gesto del genere?).
(Come ci si può sentire dopo aver ucciso tutto ciò che ami, sapendo che è l’unica, dannata, cosa giusta da fare?).
(Come si può continuare a vivere dopo che la tua vita muore?).
Kristin e la gli altri aprono le porte della stalla e non credono ai loro occhi.
«Le ammazzo io, le mie pecore», dice Gummi.

Il silenzio si fa ancora più assordante.
L’estinzione è arrivata. La morte è morta.
L’aria è immobile. Il cielo è crollato in un milione di pezzi.

Ma arriva la notte.
Vediamo Gummi che entra nella cascina a prendere della paglia e del fieno. Furtivamente li porta in casa, poi scende in cantina. E allora capiamo tutto.
Gummi ha salvato otto pecore. Le ha lasciate vivere. Non poteva lasciar estinguere i Bolstadir, la sua vita. Sette pecore e un ariete. Perché la vita deve continuare, perché la scrapie non vincerà, perché nessuno può venire qui a dirmi che la mia vita deve finire.


Arriva l’inverno.
Bianco, freddo, ghiaccio, neve, solitudine, ricordi, assenza, domande, possibilità, silenzio, buio, lacrime, ubriacarsi di luna, pensare a quella volta in cui, i giorni tutti uguali, la ripetizione de gesti, rituali d’animo, distruggere l’altare dedicato al dio del futuro a ogni costo, fare a meno di tutti, spegnere il cuore, continuare a esistere, diventare invisibili, come un agnello in mezzo alla neve.

Kiddi è sempre più alla deriva.
Un signore lo trova svenuto tra la neve, bussa alla porta di Gummi, e insieme lo soccorrono.
(L’inverno è così freddo).
Siamo nei giorni di Natale.
Kiddi è nudo nella vasca piena d’acqua, privo di sensi.
(Il freddo penetra ogni cosa).
Gummi parla con questo signore, e scopre che è un agente addetto alla disinfestazione degli ovili.
Ancora una volta, il suo sguardo. Sta pensando alle pecore in cantina. Se lui lo scopre sarà finita, le verranno a prendere, le uccideranno. No, non può accadere.
Lo congeda frettolosamente.
Kiddi si sveglia e si butta sul divano.
Gummi lo copre con una coperta.
(Il ghiaccio avvolge il sole, ma quello più impenetrabile ricopre il cuor e degli uomini).

E poi c’è quella scena bellissima.
È mattino presto, Gummi esce di casa, tra la neve trova suo fratello privo di sensi, svenuto dopo un’altra notte passata a bere.
Lo raccoglie con la scavatrice e lo porta in ospedale.
Non una sola parola. Amo questo genere di silenzio, così gravido di significati.

Ora Gummi è solo, va a casa di Kiddi per pulirla, dato che suo fratello è l’unico allevatore di tutta la valle a non aver sistemato e ripulito dopo la scoperta della scrapie.
Accarezza il cane, osserva qualche foto.
È la casa in cui è cresciuto. Probabilmente ci mancava da quarant’anni. Dall’inizio di questa guerra muta. Il fuoco dei ricordi dentro il ghiaccio della vita.

Kiddi ritorna in taxi. Spia suo fratello.
Lo vede armeggiare, entrare in cantina.
Allora, senza farsi notare, si intrufola in casa.
E qui abbiamo un altro splendido, meraviglioso sguardo.
Per la prima volta è di Kiddi.
È fermo sulla porta della cantina, noi sappiamo cosa sta guardando.
I suoi occhi. Quello sguardo.
I Bolstadir sono ancora vivi.
Noi siamo ancora vivi.
Che cosa si prova quando qualcosa di totalmente inatteso, impensabile, praticamente impossibile, fa brillare una scintilla di speranza nell’oscurità della disperazione?
Il fuoco dentro il ghiaccio.
Il vento gelido dell’inverno promette all’erba che il sole arriverà presto.

Gummi apre la porta della stalla di Kiddi e con sorpresa se lo ritrova davanti.
«So cosa nascondi in cantina».
Gummi spalanca gli occhi e fugge a casa sua.
Ha paura, teme che suo fratello possa rubargli le pecore, possa compiere qualche pazzia,
Ma non c’è niente di più folle e imprevedibile della vita (soprattutto quando la pianifichi e la progetti): bussano alla sua porta. È di nuovo l’agente della disinfestazione. Chiede di poter usare il bagno. Gummi acconsente. La vita non è d’accordo.
L’ariete giù in cantina rompe il piccolo recinto e il belato delle pecore risuona in tutta la casa.
Gummi (ancora quei suoi occhi che urlano) vede uscire di casa l’agente.
È chiaro che ha sentito, che ha capito tutto. Basta, è davvero finita adesso.
Sta andando a chiamare la squadra, arriveranno e uccideranno gli ultimi esemplari dei Bolstad.
L’estinzione. La neve. La mia vita sepolta.

E poi il quarto d’ora finale.
Una meraviglia.



Gummi è disperato e bussa alla porta di Kiddi.
«Kiddi aiutami, stanno arrivando».
Si guardano negli occhi.
Non lo facevano da una vita, non così.
È un attimo infinito, è l’eternità che si fa istante.
È il raggio di sole che scioglie ogni coltre di ghiaccio.
Il cuore torna a battere e a battersi.
In quell’istante senza fine, in quella fugacità interminabile, in quello sguardo così sincero, disperato, che attraversa il muro di marmo eretto negli anni: è tutto finito.
È tutto finito, dimenticato, perdonato.
Quaranta lunghi, stupidi anni di silenzio.
Siamo fratelli, e siamo soli contro il mondo.
E allora bisogna inventarsi un cielo per questi castelli in rovina, perché hanno ancora voglia di sognare. Bisogna inventarsi una luce per questo buio accecante. Bisogna costruire una luminosa oscurità per questa luce che sa di cecità. Andiamo via verso l’altrove, prendiamo per mano l’amore che ci brucia dentro e andiamo. Fuoco e ghiaccio camminate con noi. Queste mani venate di nebbia, perdonami ti prego. Questi occhi velati di neve, perdonali ti credo. Avrei voluto. Avrei dovuto. E quel giorno. Io non pensavo che. E se invece. Cosa sarebbe stato. Cosa siamo diventati. Quando è cominciato tutto questo. Bisogna riempire di castelli, questo cielo che abbiamo nel cuore.

Non dicono una parola.
Questa scena dura un secondo, pochissimi fotogrammi.
Ma non finisce mai.
Devono salvare le pecore. Devono salvare la razza di Bolstad.
Devono salvare loro stessi.
Loro stanno arrivando.
Continuano la loro personalissima lotta contro l’entropia dei sentimenti, ma stavolta sono insieme. Noi. Noi due. Noi due soli. Noi due: soli. Stelle che bruciano in questo pianeta spento. La loro è una feroce resistenza all’estinzione, al tempo insaziabile, al nulla che cancella l’identità, a quella tormenta di ricordi, sogni, angosce, speranze e desideri che è la vita.
Fuggono sugli altipiani.
Se portano il gregge lì su, gli animali potrebbero sopravvivere all’inverno e continuare a vivere, i Bolstadir non finiranno.
Sulla stessa motoslitta, guidano le sette pecore e l’ariete su per i sentieri della montagna.
Sempre più in alto. Per ore. La neve cade furibonda.
Una tempesta tremenda. Arriva la notte. Sono immersi nel buio e nella neve.
Gli ultimi minuti sono da brividi.
La motoslitta si ferma. Le pecore ormai hanno trovato la loro strada.
Il vento graffia ogni cosa.
Gummi si perde, Kiddi lo ritrova svenuto.
Scava un tunnel nella neve.
Spoglia il fratello e si toglie i vestiti.
Ha bisogno di tenerlo al caldo.
Lo abbraccia fortissimo.
Si amano come solo due fratelli possono amarsi.
«Andrà tutto bene, mio caro Gummi».

Uno degli abbracci più potenti che abbia mai visto.
Dolcissimo, disperato, sincero, indimenticabile.
Due fratelli che si stringono forte nel grembo ghiacciato della terra.
Fuori incessante cade la neve.



15 commenti:

  1. Speravo di riuscire a fermarmi alle prime righe, un assaggio e invece no, tutto ho letto. Ora come faccio? Bellissima recensione, il film dovrà aspettare. Grazie Roberto!
    France Basil

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    1. Il film è lì che ti aspetta, non vede l'ora di essere visto (e di vederti). Per me è stata un'esperienza meravigliosa. Rams è di una bellezza travolgente.
      Grazie a te, France, davvero :)

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  2. d'accordissimo con Roberto.
    spesso le parole non servono troppo, ci si capisce anche in altri modi, per chi sa come si fa, un istinto che non si può spiegare

    https://markx7.blogspot.com/2021/02/rams-storia-di-due-fratelli-e-otto.html

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    1. Il silenzio di Rams è denso, pienissimo, gravido di una serie infinita di significati. Le parole sono mute, è un film di sguardi, di occhi profondissimi e carichi di potenza evocativa. Sì, dici bene, un istinto primordiale, viscerale, invincibile. Più forte di ogni inverno.

      Grazie Ismaele:)

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  3. Beh..la scena dove porta il fratello all’ospedale con la ruspa vale tutto il film😂
    Altri 28 minuti alla fine de sta tortura ...ma c’è la farò!
    Dai!

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    1. Mi hai fatto sorridere, Max :)
      Ma come una tortura?!?! Rams è una salvezza, altroché!
      E comunque sì, quella scena ha un grande significato: l'amore fraterno che, silenzioso, quasi timido e impalpabile, è più forte dell'ottuso e sciocco orgoglio, più forte dell'odio e della stanchezza di una vita spesa nell'attesa di niente.
      ;)

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    2. Intendevo che quella scena l’ho trovata fantozziana!😂

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  4. Robi dopo questo devo per forza vedermi un film che ho rimandato per tanto tempo Black Sheep -pecore assassine
    😁

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    1. Non conoscevo questa perla cine-ovina, ho visto il trailer (che sembra partorito da Maccio Capatonda) e non ho potuto non pensare a I Simpson e al tomacco:

      https://www.youtube.com/watch?v=mRmkSXR6GHI

      ;)

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    2. uguale

      comunque divertentissimo,lo vidi con amici in dvd tantissimi anni fa (quando uscì insomma)

      vederlo da solo non credo mi avrebbe procurato lo stesso divertimento ;)

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  5. Okay .
    Sono un po’ in imbarazzo...non ho ancora letto la tua recensione, mi son fermato a quando parli della staccionata e poi ho deciso di guardare il film.
    Scrivo pensando a cosa mai ci avrai trovato di così poetico in sto film?
    Dalla tua risposta al mio commento sulla ruspa mi parli di fratellanza.
    Vabbè..non ci trovo niente di così eclatante.
    Sono due fratelli che indubbiamente non hanno mai smesso di esserlo per sangue ( amarsi me par troppo eccessivo come termine) ma che per orgoglio han deciso di tagliare i ponti.
    Adesso che ci bastino otto caproni a riallacciare il loro rapporto me pare abbastanza improbabile.
    Anzi da come l’ho capito io Gummi fino alla fine ha messo al primo posto le capre al fratello.
    Nel senso che il legame di sangue ci sarà sempre ma in un ipotetico gioco della torre ..sai quello dove puoi salvare solo una persona.
    Tra le capre e il fratello per come son stati i loro rapporti non ho dubbi su quale sarebbe stata la sua scelta.
    E allora guardiamo kiddi ..l’altro fratello quello più in carne: ubriacone , frustrato più attaccato al fratello ma troppo zotico per ammetterlo a se stesso.
    Lo vedo un po’ come un simpatico fannullone.
    Ti dirò che l’improvvisa malattia ..la scabbia , la screpi..,come si chiama alle capre , il trovarsi davanti ad una inaspettata crisi economica così dall’oggi al domani , l’abbattimento delle pecore ..i sussidi ( risarcimenti) , le distanze tra i due fratelli il non “ toccarsi” m’ha fatto pensare sempre con le debite distanze perdio a quello che sta succedendo adesso con la pandemia ...e la nostra situazione.
    La scena di Gummi che festeggia il Natale da solo mi ha ricordato Il canto di Natale di Dickens.
    La Ruspa Fantozzi ...dai ha dei risvolti comici tipo la Badilata in faccia al poliziotto o quello che è!
    Speriamo che riesca a salvarlo dall’ assideramento almeno.
    Così il lieto fine è perfetto per questa commovente storia.
    A me resta sempre il dubbio se prima di abbattere le pecore le potevano tosare della lana per farci dei maglioni -:) ma forse no a causa degli acari..che trasmettono il virus ..
    Poi leggo la tua recensione che sarà sicuramente bellissima.
    Ciao

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    1. Ciao Max. Premetto che, seppur spesso non mi ritrovo sulla tua linea di pensiero, apprezzo sempre moltissimo il tuo metterti in gioco, a prescindere dal contesto.

      Come hai notato, trovo che Rams sia magnifico. Certo, la lettura di un film (così come di qualsiasi altro oggetto artistico) può risultare estremamente personale e magari, entro certi limiti, ne escono fuori visioni completamente diverse ma comunque plausibili.

      Detto questo, quindi, cosa ci ho trovato di poetico in questo film? Tante cose, che magari ho visto solo io. In primis, il modo in cui il tutto viene raccontato (perché il "poetico" è sempre un come e non un cosa), nonché il processo di metaforizzazione che riveste il rapporto tra Gummi e Kiddi. Le pecore, in questo senso, non sono altro che il simbolo - una sorta di correlativo oggettivo - del legame tra questi due fratelli che non si parlano, non si sopportano, ma che non possono rinunciare l'uno all'altro. Amare le pecore significa amare (e amarsi). Quello che a mio avviso viene messo al primo posto da entrambi i fratelli non è il gregge, ma la volontà di resistere, di continuare a essere, il bisogno dell'anima di non soccombere a quella che ho chiamato estinzione. Loro "sono" le pecore, salvarle significa salvare sé stessi. Quello che cercano di mettere in salvo, dunque, è la loro stessa identità, e nessuno può capire Kiddi meglio di Gummi, così come nessuno può capire Gummi meglio di Kiddi. Penso che sull'ipotetica torre entrambi sceglierebbero di buttarsi per salvare le pecore, perché significa lasciare che la vita continui, non finisca, che il loro passaggio su questa terra ha avuto un senso. Del resto, faranno proprio questa scelta, alla fine. Si odiano e si amano come solo i fratelli possono fare. E parlare di amore, secondo me, non è scorretto né avventato. Perché malgrado quarant'anni di ottuso orgoglio e silenzio, nonostante rivalità e competizione, sebbene siano sostanzialmente due "arieti" testardi e intrattabili, sono esattamente come l'Islanda: hanno un fuoco palpitante dentro la corazza di ghiaccio che mostrano al mondo. E quell'abbraccio, caro Max, è per me tanto potente e carico di affetto che lo ritengo uno dei più significativi che abbia mai visto.

      Apprezzabile anche il parallelo che fai tra la condizione dettata dalla malattia e le sue tremende conseguenze con la situazione che stiamo vivendo ormai da poco più di un anno. Ecco, se di fronte all'inedito e al destabilizzante si mette in gioco la vita - perché si può morire, di fronte all'estinzione e all'annichilimento è la morte che viene messa in gioco - perché viene meno qualunque possibilità di resurrezione, di ripartenza. E allora si è disposti a salire sugli altipiani più inaccessibili, ad affrontare le tormente più devastanti, si è disposti a morire pur di non sparire. E queste sono cose che solo chi ti ama e ti conosce profondamente può capire e vivere con te.

      La scena della ruspa, sì ha in sé qualcosa di "fantozziano", anche se io continuo a vederci soprattutto quella che hai definito "fratellanza".

      Non so se quell'abbraccio nel ventre ghiacciato della terra salverà i fratelli dall'assideramento, voglio sperare di sì. Ma il finale è perfetto, secondo me. I Bolstad non si estingueranno, Kiddi e Gummi hanno vinto, e lo hanno fatto da fratelli.

      Ti ringrazio Max, un abbraccio :)

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  6. Ricambio l’abbraccio pure a te-:)

    Ho letto la recensione molto bella , come pure ho letto quella di Giuseppe .
    Penso sia un arricchimento vedere cose diverse dentro allo stesso film e poter poi metterle su righe.
    Ha ragione lui quando dice che la tua recensione è molto più bella della sua .
    Che sento però più nelle mie corde per certe considerazioni rispetto a quello che hai scritto te.
    Lui se non ho capito male mette il fulcro del film sull’essenzialità te invece sull’estinzione.
    Io mi ci ritrovo poco in entrambi gli aspetti.
    C’è una maniera diversa di scrivere è evidente e una diversa sensibilità.
    Ti faccio un esempio solo su te però: ci hai messo tipo duecento righe per descrivere dieci minuti di film che a me sembrano “insignificanti” quelli prima del concorso di bellezza delle pecore/montoni e ci hai scritto un altro film ..bello eh..! Bellissimo, che aggiunge valore e può pure ingannare.
    Perché ti crea delle aspettative che magari potrebbero restare deluse.
    Penso sia la fondamentale differenza tra poesia letteraria comunque ( la tua rece) e il film ( quello che ti trasmettono le immagini.
    Però il bello della poesia è che puoi interpretare ..viverla , empatizzare e vivrà sempre dentro di te.
    Magari trasformandosi ad ogni nuova lettura.
    Le immagini, il film purtroppo ti castrano.
    Quello è è quello rimane anche se ci passerai una vita a rivederlo per capire quello che te hai scritto nella tua bella recensione o meglio ancora per vederci un pochetto non voglio tanto ma un pochetto di quello che ci hai visto te.
    Ma io non son poeta e posso solo inchinarmi di fronte alla tua capacità visionaria di vedere oltre.
    Ciao

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    1. Sicuramente se ne esce arricchiti dall'incontro con una visione diversa dalla propria, come quasi sempre accade. E concordo sul fatto che leggere due visioni, due interpretazioni, diverse di una stessa storia permetta di conoscere e fare propri nuove riflessioni.
      Di Rams ho amato tutto, ormai è chiaro. Io ci ho visto una grande storia di resistenza all'estinzione, al declino identitario, al tramonto del sé. Ma è anche una grande storia di "sopravvivenza", in cui a farla da padrone è il desiderio/necessità di difendersi a ogni costo dall'entropia dei sentimenti, dallo smarrimento mortale del proprio sé. Gummi e Kiddi, senza pecore, senza le loro pecore, non sono più niente. E quindi si combatte, si resiste, si difende la propria identità, fino alla fine, fin sugli altipiani più inaccessibili. E tutto ciò viene narrato in modo sublime.
      Ricordo la recensione di Giuseppe - che ho scoperto solo dopo avergli inviato la mia - e devo dire che, seppure da un'altra prospettiva, centra pienamente il punto: l'essenziale di cui parla è quello che resta quando ci si guarda allo specchio un attimo prima di andare in battaglia, quella dalla quale non si ritorna. L'essenzialità che c'è nello sguardo di Gummi e Kiddi quando si guardano negli occhi, prima di andare lì sugli altipiani. Insomma, il bello è proprio questo: scoprire nuovi aspetti di sé stessi attraverso gli altri. Ed è quello che facciamo quando leggiamo, ascoltiamo musica, guardiamo un film o qualsiasi altra cosa.
      E poi, sì, diversi modi, differenti approcci, sensibilità diverse e tutto il resto. Questo vale sempre, per ognuno di noi. Quando qui parlo di cinema, non parlo mai del film in sé, ma del film in me. Delle emozioni e delle sensazioni che mi ha dato. E Rams me ne ha date di stupende, e mi perdonerai se "ci ho messo tipo duecento righe per descrivere dieci minuti di film" ;)
      Ti ringrazio Max, a presto :)

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