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8.4.22

Recensione: "Spencer"

 

Spencer è un capolavoro.
Spencer non è il racconto della vita di Diana.
Spencer è il racconto di un'apnea di 48 ore, 48 ore che simboleggiano e hanno dentro un'intera vita, una vita anfibia, metà reale e metà Reale.
Un thriller psicologico annichilente per bellezza.

£Eppure abitavo lì.
Eppure abitavo lì, lì ho i ricordi più belli, ma non ricordo la strada, vi prego aiutatemi, ditemi dove devo andare.
Sì, sono Diana e sono in un fast food a chiedervi dove devo andare.
Sono sola, senza scorta, libera, anche se tra poco non lo sarò più"

La fotografia, magnifica, leggermente sporca a ricordare l'epoca passata. Questi immensi prati, questi spazi così larghi che sono l'ultima boccata d'aria prima di entrare in apnea.
E il non ricordare il luogo dove si è cresciuti, confinante addirittura con quello dove adesso si deve andare, è la prima perla di una sceneggiatura impressionante, una delle più grandi in epoca recente. Diana ha talmente perduto la sua "parte Spencer" che tutta la sua infanzia è come sparita, fagocitata da quello che è adesso e da quello che adesso deve essere.
Un'impossibile dimenticanza che è, in nuce, quella pazzia che sta sopraggiungendo, pazzia che, in realtà, è solo voglia di vivere, di uscire da tutto, di tornare un semplice essere umano

"Quello è il nostro spaventapasseri, ha ancora addosso la giacca di mio padre.
Lasciatemi passare, lasciatemi correre.
Lasciatemi."

E quella giacca diventa il primo passo verso una lenta riappropriazione di sè, un difficilissimo ma salvifico ritorno alle origini, ai ricordi, ricordi che saranno l'unica presa d'aria nella camera stagna soffocante, spersonalizzante, assassina nel quale è costretta a vivere ora.
E Larrain ci regala un titolo di testa da infarto, con quello "Spencer" che appare proprio quando Diana, in una magnifica inquadratura, entra nella prigione dove deve vivere, in quel luogo dove il suo cognome cessa di esistere.

"Ecco, sono arrivata, so di essere in tremendo ritardo ma non mi interessa.
Non voglio fare questa stupida prova del peso, non mi interessa se la fate solo per divertimento, divertirsi, per me, significa altro"

Diana entra dentro e piomba subito in questo "non tempo", un tempo in cui il futuro non esiste e il passato e il presente sono sempre coincidenti.
Ogni azione è un'azione già fatta da centinaia di anni e che si ripete adesso, ogni frase è stata detta milioni di volte e si dice ancora, ogni movimento è stato già compiuto, ogni rito già vissuto.
Ogni singola cosa è già successa 100 anni fa, succede adesso e succederà tra 100 anni.
Ed è normale che questa non-vita sia caratterizzata dal freddo, da quei riscaldamenti che non vengono accesi perchè tutto è morto, glaciale, un rito rinchiuso in una cella frigorifera

"Non sto bene e sto vomitando.
Sono anoressica, o sono bulimica, quel che sono sono ma se sono questo lo sono diventata per colpa vostra.
E quindi adesso vomito su questo bagno regale, e non me ne frega niente se sapete che lo sto facendo, vomito perchè sto male, vomito perchè ho una malattia alimentare ma vomito anche perchè io qui questo provo, solo un sentimento di disgusto, di malessere, di finzione.
Vomito perchè tutto qui mi fa vomitare."

Un'altra perla di sceneggiatura.
Diana col suo disturbo alimentare e un film dove continuamente, ogni 5 minuti, ci vengono descritti piatti, presentati piatti, mostrati piatti. Un film dove siamo spesso in cucina o in sala da pranzo, un film pieno di cibo, un cibo "inutile" per Diana che rende il suo malessere, il suo sentirsi fuori posto, ancora più grande, ancora più insopportabile, con quei due giorni che sono solo un continuo:

"Tra poco serviamo la colazione"
"Tra poco serviamo il pranzo"
"Tra poco serviamo la cena"
"Tra poco serviamo il dessert"
"La stiamo aspettando principessa"
"Bastaaaaa"

ha appena detto Diana ma bastaaa viene da dire anche a noi, noi che sin dal primo minuto coincidiamo con lei, in questo film che proprio per questo è un grandioso thriller psicologico, perfetto, da manuale, straordinario, un film dove ogni frase che le viene detta opprime Diana e opprime noi, ogni difficoltà è sua e nostra, ogni ossessione è sua e nostra, ogni piccolo momento distensivo lo è anche per noi.
E quei continui richiami ad andare a mangiare diventano terribili, diventano una cappa che non la fa respirare e non ci fa respirare.
E diventano il simbolo di un'istituzione che non ha niente di umano e che non rispetta chi, umano, ha ancora la fragilità e la voglia d'esserlo


"Questa collana l'ha regalata anche a lei, io non la metto"

E quella collana diventa il simbolo ultimo di una storia ormai finita, diventa l'umiliazione finale, diventa la conferma definitiva di quanto Diana sia ormai solo una marionetta nelle mani di alcuni dei grandi burattinai del pianeta. 
Ti diremo ogni minuto come dovrai vestire, ti diremo ogni minuto dove dovrai essere, ti diremo ogni volta cosa dovrai indossare. E ora indossi questa collana.
E questi due simboli terribili di oppressione, il cibo e la collana, confluiscono nella prima delle tre scene capolavoro del film, quella della cena-incubo.
Incubo reale, per la condizione psicologica di Diana (quante ragazze colpite da disturbi alimentari si immedesimeranno in quella scena? in quella difficoltà a mangiare acuita ancora da tutti quegli sguardi che, invece, vogliono solo che tu lo faccia) ma anche incubo onirico e mostruoso, con lei che si strappa di dosso la collana e poi comincia a mangiarla nella zuppa, con quell'orchestrina che suona (musica diegetica) in un continuo climax ascendente. Una scena horror magistrale, in un film che, in teoria, doveva "solo" raccontarci Diana Spencer.
Già, Diana SPENCER e Spencer è il titolo del film.
Come già successo con Jackie Larrain sceglie di eradicare queste due figure straordinarie di donne dal regale terreno dove sono state piantate. Non si parla di Kennedy, non si parla della famiglia reale inglese, qui si raccontano pochi giorni (Spencer prende 48 ore spaccate) di due donne "normali" inserite in contesti straordinari.
Per quanto riguarda Diana, però, Larrain userà il cognome perchè tutto il film è un continuo e disperato cercar ritorno alle proprie origini, ai propri ricordi, alla propria famiglia. Famiglia ormai simbolicamente sepolta in quella reggia fatiscente accanto a quella sfarzosa dei Reali.

"E guarda dove festeggio il Natale io, guarda dove mi coglie la mezzanotte di questo gran giorno, in questa cella frigorifera dove voglio abbuffarmi, dove vorrei star sola a sfogare nel cibo tutto quello che sto vivendo. 
Mi avete regalato una vita fredda e rituale e, così, soltanto in una cella frigorifera potevo ritrovarmi.
E tu sei qui, sei lì, sei ovunque ad osservarmi, a spiarmi, a fare finta di proteggermi quando, in realtà, siete voi che avete paura di me, voi che vi state proteggendo da quello che sono, voi che pensate io sia pazza e possa rovinarvi tutto.
Lasciami sola, ti prego, almeno qui."



Poi avremo la seconda scena indimenticabile, la notte passata con i figli.
Sono i primi dialoghi veramente umani, senza clichè e tradizione, che si scambia qualcuno in questo film.
Ma Diana, un pò per presa in giro un pò perchè è impossibile liberarsi del tutto da quel mondo, camuffa il gioco in un gioco militare, consono a quel luogo.
 Ma la verità è troppo forte, e troppa la voglia di dirsela tra loro.

"Il momento più bello di questi giorni è quando sei arrivata te mamma"

"Lei vuole diventare Regina soldato?"
"Sarò vostra madre"

L'ennesimo dialogo da brividi del film, appena prima di quello, l'unico, con suo marito Carlo, divisi da un tavolo da biliardo in cui le palle sono perfettamente disposte, quasi intoccabili, a parte quella biglia nera, quanto mai simbolica, che Carlo maneggia tra le mani - senza avere mai il coraggio di guardare in faccia Diana - per poi passargliela alla fine.

"Perchè, se sei tu a tradirmi, sono io quella con gli occhi addosso di tutti?"
"Perchè io so tenere chiuse le mie tende"

Probabilmente una delle tre frasi più belle, importanti e simboliche dell'intero film.
Diana che non chiude quelle tende, che vuole la luce, che vuole una vita normale e lui che invece può permettersi più cose perchè ha un sistema che aiuta a celargliele.
Diana è una Spencer, non può godere delle stesse protezioni.
Ma tanto nemmeno le vorrebbe, lei vorrebbe soltanto alzarsi da un letto e poter guardare il mondo fuori dalla finestra.
Poi, per la prima volta, abbiamo una piccola scena con la Regina Madre. Un dialogo brevissimo ma dal quale percepiamo come Elisabetta, molto probabilmente, riesca a capire quella ragazza e abbia per lei un'empatia maggiore di tutte le altre persone lì presenti.
Sensazione che viene confermata dal finale, quando Diana prende i due figli dalla caccia al fagiano e la Regina sembra avere uno sguardo di approvazione.
Del resto è una donna prima ancora che una Regina, e per questo può capire.

"Che fortuna poter indossare sempre lo stesso abito"

dice Diana a un fagiano. Altra frase meravigliosa, che ha dentro un mondo intero.
Quel fagiano è, semplicemente, un fagiano, sè stesso.
Quello che Diana vorrebbe essere.
E invece la principessa deve indossare ogni volta la pelle che altri vogliano indossi, e non serve a niente scambiare i giorni tra loro, cercare di non sottostare alle regole, perchè comunque quelli sono gli abiti da indossare, e non li hai scelti te.
E qui impossibile non ricordare Maggie, la guardarobiera di Diana, l'unico essere umano, insieme ai figli, con il quale la principessa riesce ad avere un rapporto intimo, vero, empatico.
Non è un caso che Maggie sia l'unica a chiamarla

"Diana, posso entrare?"

l'unica a chiamarla col suo nome, l'unica a considerarla non una pedina, non un burattino, non un ruolo, ma una persona.
L'unica che saprà darle "shock e risate", due cose così piccole ma così, se ci pensate, opposte al Rito, al già conosciuto, al programmato.
Quel mare, quella spiaggia, quell'aria respirata sono il miliordesimo simbolo di un film che non sbaglia un minuto (tranne, per me, nella figura di Anna Bolena, evitabile e didascalica), non sbaglia un dialogo, non sbaglia un sottotesto, ha delle musiche magnifiche e una resa visiva da infarto.
Straordinaria, per restare a Maggie, la prova di Sally Hawkins che così, dopo La forma dell'acqua, si ritrova dentro ad un altro amore impossibile, forse ancora più impossibile di quello per una creatura anfibia.
Del resto anfibia è anche Diana se è vero che anfibio si dice di quelle creature capaci di vivere in due condizioni ambientali diverse.
E Diana questo è, una donna capace di vivere in due mondi, quello vero ed autentico, quello dove puoi prendere strade sbagliate, entrare in un fast food, accarezzare un bimbo in Africa, giocare con i figli, e quello finto e programmato della vita Reale.
La vita reale e la vita Reale, che buffo che una stessa parola possa avere significati così opposti.
Ma Diana sta cominciando a sentire che questo suo essere anfibio è sempre più difficile, che uno dei due mondi dove vive è sempre più insidioso, sempre più "non suo", sempre più opprimente.

"E allora vado via, e allora scappo di notte per uscire da questa apnea e per poter respirare.
Ho bisogno della mia casa, ho bisogno dei miei ricordi.
E non importa se la casa è fatiscente, decadente, marcia, polverosa, distrutta.
Perchè in questa polvere, in questo marcio, in questa distruzione io sento comunque calore, sento comunque vita, sento comunque gioia, e non il freddo della vostra casa perfetta."

E qui Larrain ci regala dei minuti da storia recente del Cinema, con quel tuffo nei ricordi, con l'immagine di lei bambina, con quei colori caldi, con quelle corse nel prato in varie stagioni della vita, con quei balli.
E il ballo diventa così allo stesso tempo simbolo di vitalità e di follia, la vitalità di un tempo e la follia dove, piano piano, sembra andare adesso Diana.
Ma è una follia sana, una follia salvifica, una follia meno folle delle follia di una vita programmata in ogni suo secondo, in ogni suo gesto, in ogni suo cibo, in ogni suo rapporto.
L'emozione raggiunge picchi altissimi fino a quando, finalmente, Diana non si strappa di dosso, stavolta realmente, quella collana che è simulacro di tutto il mondo dal quale deve scappare, che è il cappio che le stringe il collo e non la fa respirare, che è, perla dopo perla, l'insieme di obblighi ai quali è ormai costretta.
E io vorrei solo vedere e rivedere questa scena milioni di volte.




"Adesso mi sento libera, adesso voglio solo prendere i miei amati figli e andarcene via di qua."

E Diana, in un'altra sequenza da pelle d'oca, va a prendere i suoi figli nella battuta di caccia.
Lo "spaventapasseri Spencer" si mette lì, fermo, fino a che non glieli restituiscono.
E arriveremo ad un finale bellissimo che è come riemergere dalla piscina nella quale stavamo annegando, che è poter fare quello che si vuole e come si vuole, che è urlare, cantare, ridere, mangiare quando ci va e cosa ci va.




E anche un pollo fritto può diventare simbolo di libertà

"Spencer, li prendo a nome Spencer"

dice la Diana che si è riappropriata di sè stessa.
Almeno per quelle ore, almeno per quei giorni.
Perchè no, non potrà mai riappropriarsi del tutto di sè stessa, e passeranno altri anni in una vita anfibia, perchè quello è il suo destino.
Fino a un pilone di un sottopassaggio.

E chissà se Diana fosse viva, fosse qui tra noi, e vedesse questo film cosa penserebbe di Kristen Stewart.
Ho il sospetto che penserebbe quello che ho pensato anche io per tutto il film, ovvero quello di trovarmi davanti qualcosa di talmente gigantesco da commuovere per quanto grande e bello.
E in questa strana recensione, anfibia anch'essa, aggiungo allora un'ultima frase, e l'aggiungo col carattere che ho riservato alle parole di Diana

"Grazie Kristen,

Diana"


9

17 commenti:

  1. Ho amato il film, visto in lingua sotto Natale e rivisto al cinema doppiato lo scorso mercoledì. E, se possibile, ho trovato il tuo post ancora più emozionante. “Spencer” è un grande ritratto di signora, una performance da manuale... Ma a me, per motivi personali, ha ricordato anche la storia della mia famiglia. Mia mamma non l'ho mai ben capita probabilmente, coi suoi capricci, coi suoi silenzi. Ora, grazie a Larraín, mi sembra di averla finalmente vista risolta. Quando ero bambino, aveva tanto di questa principessa in fuga.

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    1. tranquillo, siamo pari con l'emozione di questo tuo commento

      un abbraccio michele

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  2. Concordo sulla dualità come tema centrale del film. Credo sia tutto incentrato nella contrapposizione tra vuoto e pieno: gli spazi pieni di cose ma vuoti di persone, lo stomaco vuoto ma mai abbastanza, perchè noi lei non la vediamo mai mangiare, più che bulimica sembra anoressica (tranne nella scena notturna dell'abbuffata interrotta e smascherata con grande scortesia dal personaggio più irritante del film), le regole onnipresenti (pieno) e il possibile della libertà (vuoto) ma anche il vuoto del silenzio che la segue, nessuno degli adulti le rivolge parola per gran parte del film tranne servitù e bimbi… non so però se sono d'accordo sul percorso di riappropriazione di sè.
    Vedendo il film ho pensato a un corsetto, costantemente nell'atto di stringersi sempre di più, per far perdere la forma del corpo originaria, in un atto di cancellazione delle differenze che alla fine spezza in due il corpo stesso.
    Diana è fragile e sembra una bimba per come si muove e relaziona fino a quasi la fine del film, il suo percorso mi sembra di scivolamento nel baratro, più che di riappropriazione di Spencer. Anche perchè di Spencer gli è rimasto solo un involucro vecchio, ammuffito e cadente, più pericoloso che altro perchè vuoto. Rimanere Spencer sembra più un rischio che una sicurezza. Sembra confusa e sul punto di crollare definitivamente, strozzata dalle regole e dalle falsità che quella vita impongono, ma il cedimento più importante avviene solo ritornando alla casa originaria.
    Rispetto al disturbo alimentare che tu hai visto come un inferno per colpa delle regole propongo un'alternativa: e se invece la scelta del disturbo alimentare non fosse casuale ma obbligata in un luogo in cui il cibo è così incombente? Così diventa un braccio di ferro per il controllo e una dimostrazione di potere: un non mi avrai mai perchè anche se dovrò fare quel che vuoi poi mi libererò di te, non mi resterai dentro, ma ti espellerò. Io aderirò sempre e solo apparentemente e non vincerai mai.
    Inoltre riesce a muovere tutti, ha l'attenzione di tutti, che sono preoccupati per lei, sono quasi ossessionati dal cercare di coinvolgerla (per carità coi loro modi). Scena straziante infatti è stata quando il figlio che bussa alla porta del bagno chiamando Diana perchè è spaventato a vederla stare in quel modo ma lei non ce la fa, neanche per loro.
    Per me è un percorso di dissoluzione di se stessa, in cui i lembi della sua identità sono così lassi che la servitù deve intervenire cucendo le tende per contenerla dal disperdersi totalmente.

    La scena finale paradossalmente l'ho letta al contrario, quando interviene a spezzare il rito della caccia al fagiano ho pensato e avuto la sensazione che Carlo (alla luce della loro conversazione sullo sdoppiamento che aveva dovuto far avvenire in se stesso per sopravvivere a quel mondo) fosse felice della sua comparsa, del suo boicottaggio, perchè gli permette di non spezzare in due anche l'identità dei figli (laddove lui chiaramente non riesce a opporsi) e fosse comunque sollevato che qualcuno impedisse che anche loro dovessero vivere già il dualismo della regalità: dove faccia e facciata non potranno coincidere mai…l’intervento di Diana di fatto posticipa l’evento traumatico preservandoli ancora un pò da quella sofferenza.

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    1. ciao! primo commento credo, e che bello

      1 Sì sì, ma infatti se leggi ho scritto sua anoressica che bulimica. Sono cose che conosco, ahimè, bene. Per tutto il film ci viene mostrata come anoressica ma quella scena che citi (anzi, che citiamo) è pura bulimia
      E comunque le vomitate post pasti tipiche della bulimia ci suggeriscono che forse alla fine mangiava (l'incubo è ovviamente un incubo ma credo che abbia mangiato veramente)

      2 I silenzi sono il fil rouge del film, anche se alla fine Diana ha almeno un lungo dialogo con tutti i personaggi del film (tranne la Regina) e sono tutti dialoghi bellissimi per me

      3 Ma è assolutamente come dici, tutto il film è uno scivolamento in un baratro e un cappio che si stringe sempre di più (che sia la collana o il corsetto) ma poi la salvezza viene con il ricordo di sè, di sè Spencer. Solo dopo aver rivissuto tutti quegli anni felici o comunque non ancora completamente "imprigionati" riesce a strappare la collana

      4 No, secondo me invece la parte Spencer è quella forte, quella che la tiene in vita e la roccia cui aggrapparsi. Pensa anche allo stesso finale al KFC. O anche solo al titolo

      5 Le cronache dicono che il disturbo alimentare sia partito da una frase di Carlo (non mi ricordo se addirittura al matrimonio) in cui le dava della "cicciottella". Quindi ho scritto quelle frasi sia per quello che mi suggeriva il film ma anche per questo ricordo che ho. Tanto non ci legge nessuno e allora posso dirti di essere stato con una bulimica. E che la bulimia iniziò quando io, con affetto e divertimento, le disse "che belle cosciotte" che hai fatto. Quella frase (che era addirittura un complimento) la turbò talmente tanto, quasi pirandellianemente, che cominciò a vomitare dal giorno dopo). Quindi se ricordo bene la genesi della malattia alimentare di Diana è IDENTICA alal mia esperienza. Intendiamoci, non è che se a una ragazza dici sta frase rischi che vada in bulimia, i problemi sono pregressi e giganteschi. Ma è la scintilla, può accadere assolutamente
      Ma la tua lettura è ottima e non ti credere, non è in contrapposizione con altre letture, ma semmai una evoluzione o comunque una compresenza. La bulimia può avere mille cause ma poi, a prescindere da cause diverse, può essere vissuta psicologicamente per come l'hai descritta te

      6 E' assolutamente un viaggio verso il baratro e la dissoluzione di sè (o la pazzia). Ma poi Diana nella casa del padre riesce a rimettere insieme i suoi pezzi, ed essere talmente forte da andare alla caccia e fare quello che fa. Non parliamo del finae, di vera felicità
      Insomma, secondo me sono suggerimenti di un finale fortemente positivo, di un risentirsi di nuovo "intera" perchè scollegata a tutto quel mondo

      7 Ah, bella lettura! ma io ho avuto la sensazione (anche adesso a mente fredda) dell'opposto. Carlo lì è nero, ma deve abbozzare una concessione perchè tanto non può far altrro e perchè, credo, capisce che anche la Regina è d'accordo. Ma secondo me è nero ;)

      grazie del bellissimo commento!

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  3. le catene invisibili sono le peggiori e più difficili da spezzare.
    (Diana) Spencer è la vita quando gli altri giacciono da tempo immemore imbalsamati nella tomba di famiglia.

    hai scritto qualche riga più di me, e sono parole giuste e necessarie.

    https://markx7.blogspot.com/2022/03/spencer-pablo-larrain.html pa

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    1. ho scritto solo 3 righe in più dai ;)

      ahah, ci sei andato pesante coi reali...

      non so come ho fatto a non menzionare lo sceneggiatore

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  4. Recensione perfetta. Voglio solo aggiungere una curiosità: il nome che da bambina dava allo spaventapasseri era Bertie; che altro non è il nomignolo del padre di Elisabetta II.

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    1. grazie infinite...

      ma è un caso o voluto?

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    2. Ma sei la stessa persona?

      che il "ma" c'è e anche il 71, ahah

      tra l'altro uno dei due nick (ora non ricordo quale) mi sembra ci "conosciamo" da un bel pò

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    3. Ahah, altrimenti era una bella coincidenza in effetti...

      vabbeh, a prescinde con quale account scrivi ricorderò che se vedo "ma" e 71 sei te

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  5. Recensione molto sentita e molto coinvolgente, grazie per la passione che ci metti, riesce a farti percepire l'essenza del film che dopo questo posto non vedo letteralmente l'ora di vedere.

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  6. Ti ringrazio veramente tanto...

    fammi sapere!

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  7. dopo "Jackie" ecco altro atipico "filmritratto", e prima ci fu quello ancora più atipico su "Neruda".
    Preferivo il Larrain più evocativo, più corale, ma è anche vero che ormai ha una cura del racconto che gli bastano 2-3 giorni per delineare perfettamente un'intera vita.
    Un horror metafisico, di ansie, debolezze, rinunce nello sfarzo, prigioniera senza sbarre.
    Spencer Diana brillantemente inquadrata e fotografata, tra follia e malattia, fugge ai ricordi, tiene stretti i suoi affetti veri e si lascia attraversare dall'assurdo mondo in cui ha accettato di (non) vivere.
    Un pellicola non semplice, quasi un trattato di psicologia, dal taglio quasi documentaristico.
    Gran classe nella messa in scena, dove le note di Greenwood amplificano lo straniamento della protagonista e dello spettatore. Non consigliato a tutti.
    Non c'entra molto, ma ho provato simili sensazioni con "il Cigno Nero"

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    1. Direi che il commento è perfetto

      Io Stefano sto film l'ho adorato, forse sarà il mio top dell'anno. Una vicenda lontanissima da me me l'ha fatta diventare un thirller psicologico straordinario, di grande umanità, tensione e complessità nel capire lei e tutti i rapporti

      Non parliamo poi della confezione....

      "Spencer Diana brillantemente inquadrata e fotografata, tra follia e malattia, fugge ai ricordi, tiene stretti i suoi affetti veri e si lascia attraversare dall'assurdo mondo in cui ha accettato di (non) vivere.
      Un pellicola non semplice, quasi un trattato di psicologia, dal taglio quasi documentaristico.
      Gran classe nella messa in scena, dove le note di Greenwood amplificano lo straniamento della protagonista e dello spettatore. Non consigliato a tutti.
      Non c'entra molto, ma ho provato simili sensazioni con "il Cigno Nero""

      perfetto!

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