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9.11.22

Recensione: "Triangle of sadness"

 

L'ultimo film di Ostlund è, come sempre, qualcosa di molto interessante, come solo i grandi autori sanno ogni volta regalarti.
Uno yacht di lusso pieno di ricconi, magnati, influencer, si ritroverà in una tempesta che li porterà - in tutti i sensi - alla deriva, dove il loro ruolo niente più conta e dove i giochi di potere saranno ribaltati.
Come in The Square siamo dalle parti di un cinema fortemente satirico, anche se in Triangle of Sadness la componente fracassona e banalotta non ha paura di venir fuori, travolgendo forse tutto il resto.
Non del tutto il mio cinema che è più cinema psicologico che sociale, più intimo che macroscopico (non a caso continuo a ritenere Forza Maggiore il mio preferito).
I personaggi di Ostlund non sono mai esseri umani ma simboli, pedine, ruoli.
Eppure la corsa disperata di Carl nel finale ce lo restituisce a dimensione umana.
E di lui, e di lei, mi piace parlare.
Di lei che ci ha lasciato a 32 anni, privandoci dei suoi magnifici occhi

Charlbi Dean è bellissima.
I suoi occhi dolcissimi (tra l'altro occhi - ma anche gran parte del viso - che mi hanno richiamato una persona importante per me), il suo sorriso altrettanto.
Sapere che se ne è andata a soli 32 anni (e non si sa nemmeno bene come) fa davvero stringere il cuore.
Ma la cosa davvero impressionante è un'altra.
Il suo personaggio, la modella Yaya, è anche l'unico che (molto probabilmente) muore nel film, in un finale sospeso e bellissimo.
Ma non solo questo.
Perchè in tutti e 3 i film che ho visto di Ostlund, film molto cerebrali, sarcastici, "freddi" e ironici, il suo è forse l'unico personaggio veramente umano, caldo, tragico, e l'unico che mi abbia dato l'idea che sappia veramente amare.
E ritrovarsi quindi a sapere che se è andata a soli 32 anni l'unica attrice in tutta la filmografia di Ostlund nel cui personaggio ho percepito amore e tragedia e l'unica - anche - che in Triangle of Sadness andrà presumibilmente a morire (tra l'altro nell'ultima inquadratura) mi ha dato una sensazione fortissima, quelle sensazioni in cui ti sembra che cinema e realtà siano impercettibilmente legati e che nei ruoli interpretati ci sia quasi un legame spirituale con la vita reale.
Io ho trovato magnifica Yaya, ne ho colto il dolore, l'empatia, il disagio, il sentimento. Solo con lei ho vissuto questo, e non soltanto in Triangle of Sadness ma in tutti i personaggi della filmografia di Ostlund. Non so se sia un caso.

Ennesimo film del regista svedese che "percepisco" bellissimo ma non riesco ad inquadrare perfettamente e farlo mio.
I suoi film sono satira, sono una straordinaria rappresentazione, fredda ma ironica allo stesso tempo, della società in cui vive, delle ipocrisie, delle differenze tra classi sociali, dei suoi paradossi.


Non è un caso, però, se alla fine il suo film che più mi è rimasto resti Forza Maggiore, il suo film meno "ampio", quello più intimo, quello dove più che uno sguardo allargato su un mondo abbiamo un restringimento su un microcosmo famigliare, e più che parlare di massimi sistemi si dà spazio a delicatissimi e personali meccanismi psicologici.
E' quello del resto il cinema che più amo, quello degli esseri umani e di quello che accade nelle loro teste.
The Square e Triangle of sadness sono pane per altri, sono "saggi" quando invece Forza Maggiore - anche se innegabilmente film a tesi - somiglia più a un romanzo psicologico.
E' per questo che forse la parte che più ho amato di Triangle of Sadness è la prima, quella più intima e psicologica.
Parte che, del resto, somiglia tanto a Forza Maggiore per quella piccola cosa, quel piccolo dettaglio apparentemente insignificante (nel precedente film il padre che pensa a salvare il tablet invece della famiglia, qui la faccenda del conto) che invece non se ne va più dalla testa e apre una voragine nella coppia.
Se però nel vecchio film l'effetto era "strano" e abbastanza gelido qua è sicuramente più comico e divertente anche se, ben analizzato, resta tutt'altro che stupido, anzi, quel continuo tornare da parte di Carl sulla questione del conto tra una risata e l'altra assume contorni abbastanza drammatici e manipolatori.
E se è vero che forse è lei il personaggio che "sulla carta" ci viene mostrato come più superficiale (è un'influencer che basa tutto sull'immagine) unendo tutti i puntini è facile ravvedere in lui invece l'elemento più immaturo, egocentrico e incapace di amare (malgrado nella scena in camera sia lui a dirle ti amo, lei a non corrisponderlo e lui allora a fare la scommessa che prima o poi lo amerà).
E' forse strano - ma conoscendomi anche no - che in un film del genere (a suo modo debordante e sopra le righe) io perda così tanto tempo a parlare e analizzare la parte di Triangle of Sadness più nascosta e intima ma trovo quel rapporto tra Carl e Yaya l'aspetto più interessante.
E probabilmente lo è anche per Ostlund visto che, al di là dell'architettura grandiosa e sociale del film, gli dedica un'intero capitolo e il bellissimo finale, finale in cui quella corsa di lui attraverso la giungla può esser letta in tanti modi ma, forse, è semplicemente il "risveglio" di un ragazzo immaturo che stava ferendo la persona che dice di amare e che probabilmente - lei a lui - ama davvero.
E' vero, il cinema di Ostlund più che di esseri umani è un cinema di ruoli, quasi archetipo, un cinema dove le persone rappresentano strati sociali, pedine, simboli (anche in Forza Maggiore, come detto il film più intimo, alla fine i personaggi questo erano, tipo "cavie", pedine di un gioco di scacchi, simboli di "questo è quello che può succedere se...").
E quindi in questo senso il comportamento di Carl, quell'assurdo prestarsi a far sesso con l'ex donna delle pulizie, va visto nel quadro generale, quello del ribaltamento di ruoli che racconta il film, i capitalisti che non sanno far nulla che, in un'isola dove il capitale non ha più senso, diventano schiavi e la colf che invece, esperta a saper vivere nelle difficoltà, diventa la nuova padrona di quel nuovo microcosmo. 
E Carl quindi assume il ruolo di schiavo sessuale di questa nuova regina.
In un film che è molto incentrato sul Potere la donna delle pulizie ora lo raggiunge e ne acquisisce tutti i privilegi (tanto che nel finale quel suo voler uccidere deriva dal fatto di non voler tornare ad una vita di sottomissioni ora che ha scoperto quella degli agi e del comando).




Dicevamo quindi che pur essendo Carl un "ruolo" e leggendo il suo terribile comportamento come "simbolico", Ostlund in quella corsa finale sembra "riconsegnarcelo" alla dimensione di essere umano, essere umano capace di amare, soffrire e rendersi conto delle cose, malgrado - molto probabilmente - sia ormai troppo tardi.
A ben pensarci quella corsa disperata - tra l'altro ultima inquadratura - è l'unica cosa veramente "autentica" di un film che racconta invece l'opposto, ovvero l'apparire, il mostrarsi, l'ipocrisia del potere, la non autenticità.
Quella corsa sembra arrivare da un altro film, un film drammatico in cui gli esseri umani sono tali e non semplici archetipi o simboli.
E per questo l'ho trovata così bella.

Per il resto è inutile che io - sia per mia incapacità sia perchè su questo film saranno (stati) scritti saggi interi - analizzi il suo valore satirico.
Però mi sento di dire alcune cose.
Intanto l'atmosfera è veramente esilarante, talmente tanto che per lunghi tratti Triangle of Sadness pare quasi una commediaccia con nemmeno troppa profondità sotto.
Non è certo un difetto questo, anzi, io ho riso tanto e, oltre agli occhi di Yaya proprio queste risate saranno la cosa che più mi ricorderò.
Eppure boh, io non ho trovato questo grandissimo script, questa acuta profondità, quanto invece un film abbastanza fracassone che prende in giro tanti stereotipi e lo faccia a tratti in maniera banalissima, forse volutamente banalissima, ma banalissima.
In più ho davvero fatto fatica a capirne la lunghezza.
La parte sulla spiaggia - sicuramente la più debole - racconta in 45 minuti cose che potevano essere esaurite in nemmeno 20.
Il film si porta avanti stancamente riproponendo continuamente sè stesso e medesime scene, con me che mi chiedevo "ok, abbiamo capito, ma perchè non fermarsi adesso?".
Quello che mi è piaciuto davvero tanto (oltre a parecchie cose di cui ho già parlato) è questa metafora di essere "alla deriva". E non mi riferisco solo alla deriva fisica dei naufraghi ma anche a quella sulla nave in tempesta.
Un'intera classe sociale alla deriva, senza più controllo (il vomito e la diarrea diventano simboli di questa ormai definitiva mancanza di controllo, oltre che ossimorico specchio della "bellezza e pulizia dei ricchi"), che viene sbattuta qua e là, non ha più una decenza, un contegno, un decoro. Paradossalmente in questo mondo alla deriva l'unico a restare in piedi e composto è il Capitano, proprio perchè lui. alla deriva, ci vive da sempre.
Mentre il resto sono persone da "etichetta", da immagine, ricchi, influencer, magnati, abituati a contornarsi di perfezione e bellezza. E ora invece sono corpi mobili che emettono schifezze.
Almeno il capitano interpretato da Harrelson è uomo "vero", autentico.
Terribile sì, inaffidabile, immaturo, devastato, "finito", ma autentico.


E quando la nave perde il controllo, quando quindi anche metaforicamente il mondo "normale" non esiste più, è "ribaltato", quando le classi sociali vengono annullate, quando il ruolo sociale che si ha nella terraferma è ormai inutile, ecco che in questo mondo rovesciato e incontrollabile lui, il Capitano, è a suo agio, perchè la sua autentica vita merdosa si adatta bene a quel merdoso momento.
Ecco, nella figura del Capitano ho trovato qualcosa di molto interessante e non banale, a differenza di altre dinamiche.

Film quindi che non riesco a fare completamente mio, che a tratti non ho capito (specie le lungaggini), che mi è sembrato più volte semplificare concetti molto grandi.
Ma resta grande cinema.
Grande cinema è la scena di loro due in macchina, con quel tergicristallo che fa da colonna sonora e quasi da "dissolvenza" tra uno e l'altro.
Grande cinema la scena, comicissima, dell'ascensore che si chiude.
O la cena, tutta la cena, evidentemente "momento" che Ostlund ama particolarmente e in cui la sua satira sociale dà il meglio di sè.
Ho riso tanto per il "vendo merda", per quella povera donna tedesca che sa articolare una sola frase (ho riso ogni volta anche se a freddo la vedo come una cosa terribile e dolorosa), per il dialogo sulle vele che non esistono, per quei produttori di bombe a mano che di "sè stessi" moriranno.
Però mi è mancata la profondità, la concisione, il saper dare il giusto tempo alle cose.
E in un film così divertente e pazzo sarà assurdo, ma io mi porterò dietro quella corsa disperata e consapevole.
E Yaya.
E Charlbi.
Che se ne è andata lassù, sulle nuvole.
In den wolken

7.5

10 commenti:

  1. Che bella recensione .. condivido tutto .. si il “problema “ di questo film rispetto ai precedenti è che risulta fin troppo diretto/didascalico. Anch io degli ultimi 3 film ho preferito Forza maggiore , ma recupera sia Play e Involuntary , stupendi entrambi

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    1. Ciao Davide!

      ma sai che mi sono ritrovato dal veterinario uno dei gestori del Postmodernissimo di Perugia e nell'attesa della gattina ho palrato mezz'ora di bellissimo cinema

      e lui mi ha detto che Play è il suo preferito di Ostlund

      recupero!

      e grazie ;)

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    2. Se lo ritrovo tra gli hardisk te lo invio Play

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  2. Bel finale (il tuo). Ebbene sì, anch'io ho amato Yaya

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    1. grazie amico :)

      sì, è un personaggio (contornato poi dalla tremenda scomparsa di lei) che ti entra nel cuore

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  3. i primi suoi due film mi son piaciuti molto, questo, per me, è una delusione, forse sono troppo anziano.

    Yaya avrà preso l'ascensore di quell'albergo, alla fine.

    https://markx7.blogspot.com/2022/11/triangle-of-sadness-ruben-ostlund.html

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    1. E' una delle poche volte che ti vedo veramente tiepido su un film, anzi, pure sarcastico

      e pur essendomi piaciuto (ma molto meno del previsto) ti capisco bene ;)

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  4. Magistrale come è diretto..ma anche film lagnosissimo..che si trascina dove il regista fa di tutto per renderlo odiosamente scontato..e più odioso di quello che è -. Perdonatemi Licia

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    1. altro che scusarti, anzi, non dico che la penso come te ma non sono nemmeno lontanissimo ;)

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