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31.12.11

Le classifiche de Il Buio in Sala 2011: le 10 interpretazioni migliori

Eccoci alla nostra seconda classifica, in verità anche questa non una vera e propria classifica ma soltanto un'elenco. Il cinema, anche se più si va avanti più sembra volerne farne a meno, ha bisogno degli attori, alcune volte veri e propri agenti "salvapellicola". Questa rassegna presenta quelle che sono a mio parere le 10 interpretazioni migliori tra i film visti quest'anno (chissà quante ne ho dimenticato...).

1 TONI SERVILLO IN UNA VITA TRANQUILLA


Ho una missione. Trovare ogni anno il modo di inserire Servillo tra i migliori attori. Intendiamoci, nessuna forzatura, basta soltanto vederne almeno un film l'anno. Splendido come sempre (in un grande film peraltro), miglior attore italiano per dispersione.

2 MICHAEL SHEEN IN IL MALEDETTO UNITED


Interpetazione allucinante. E' vero, Brian Clough è un personaggio così bello e cazzuto che un bravo attore può andarci a nozze ma Michael Sheen ci ha fatto anche la luna di miele di un mese.

3 JAVIER BARDEM IN BIUTIFUL


In un film meraviglioso come questo c'era bisogno di un attore meraviglioso come questo. Poco altro da aggiungere.

4 MO'NIQUE IN PRECIOUS


Grande film, grande e grosso come le sue protagoniste (ottima anche la ragazza che interpreta Precious, Gabourey Sidibe). Vedere in lingua originale Mo'nique (la madre) è qualcosa di impressionante, mette i brividi addosso.

5 ANGELA BETTIS IN MAY


In un film che mi ha un pochino deluso spicca comunque l'interpretazione allucinante di questa giovane attrice, vero valore aggiunto e architrave dell'intera pellicola. Questa è un fenomeno, davvero.

6 LUCA CAPRIOTTI IN ROSSO COME IL CIELO


Rosso come il cielo è un gioiello italiano quasi sconosciuto (ma ne parleremo in un'altra classifica...). Il suo giovane protagonista affronta una prova difficilissima, quella della cecità. Con bravura, dolcezza e un viso che non può essere dimenticato, Luca Capriotti è per me il nuovo Salvatore Cascio.

7 CAREY MULLIGAN IN DRIVE E NON LASCIARMI


Dai bookmakers la voce "possibilità di innamorarsi di Carey Mulligan" è quotata 2 a 1. Vado a puntare 10.000 euro tanto so già di aver vinto.

8 KELLY REILLY E MICHAEL FASSBENDER IN EDEN LAKE


Nel film che è probabilmente la mia sorpresa dell'anno spiccano due giovani attori. La prima, Kelly Reilly interpreta forse il personaggio con cui sono entrato più in empatia nell'intero anno. Ho sofferto così tanto per lei da augurargli la morte. Il secondo, Fassbender, già segnalato qui nel blog in Fish Tank, pochi mesi dopo vinceva la Coppa Volpi a Venezia. E, timidamente, bussa alla stalla di Oh dae-soo dove alloggiano i suoi due cavalli di razza, l'immenso Seymour Hoffman e Sam Rockwell. Credo gli apriranno.

9 ASHLEY BELL IN L'ULTIMO ESORCISMO


In un film massacrato da tutti tranne che dal sottoscritto, spicca la prova mostruosa della sua giovane protagonista. Vederla recitare è davvero impressionante e non solo nelle scene demoniache (l'inarcata di schiena) o in quelle sopra le righe ma anche in quelle sobrie e misurate . Un vero animale della recitazione,
complimenti.

10 YOLANDE MOREAU IN SERAPHINE


Ed eccolo un altro animale da cinema. Quello che fa la Moreau interpretando la straordinaria vicenda della pittrice sguattera Seraphine è qualcosa di memorabile. Se parliamo di recitazione a 360°, una recitazione che  abbraccia gesti, movenze, voce, sguardi ed espressività, forse è lei la vincitrice dell'anno.

30.12.11

Le Classifiche de Il Buio in Sala 2011: 10 gioielli nascosti

Come ogni blog che si rispetti a fine anno c'è il piacevolissimo obbligo di cercare di convogliare tutto il meglio e il peggio dell'appena conclusa stagione cinematografica nelle attesissime (??) classifiche.
In ognuna di queste cercherò di fornire delle piccole linee guida atte a capire il criterio di selezione adottato.
La prima che propongo è una carrellata di piccoli film, praticamente nessuno mainstream, che per un motivo o per l'altro meritano a mio parere almeno un'occhiata. Sono film di cui alcuni soltanto che per un pelo non sono entrati nei fantastici 15. Come avviene sempre per le mie classifiche io me ne frego dell'anno di produzione, sono le MIE visioni 2011.
Ah, dimenticavo, qua non c'è classifica, solo una normale rassegna. Rassegna di cui sono abbastanza orgoglioso perchè abbraccia tanti generi e stili.
Come sarà in tutte le altre classifiche, i link rimandano alle mie recensioni.



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  Visto il 1° gennaio 2011, non poteva farmi cominciare meglio un anno di straordinarie visioni.
Gioiello nerissimo, piccola produzione belga, un film allucinato e allucinante, coraggioso, fastidioso e di un'originalità incredibile.
Un pò Psycho un pò Rebecca la prima moglie ambientati nel desolante scenario della campagna belga. Psicologicamente fortissimo presenta una delle scene più assurde che abbia mai visto in vita mia, quella della danza nel bar.



 


 Una settimana dopo Calvaire mi imbatto in questa miniserie televisiva inglese assimilabile in tutto e per tutto a un lungo film. Credo fortemente che sia quanto di meglio il cinema e il piccolo schermo abbiano offerto in questi ultimi anni in fatto di morti viventi. Qui l'epidemia scoppia fuori dagli studi del Grande Fratello inglese. I ragazzi della Casa, inizialmente ignari di tutto, piano piano saranno coinvolti nell'apocalisse. Grande originalità, gran ritmo, grandi effetti, grandi attori e una cattiveria, un cinismo, che probabilmente dall'altra parte dell' Oceano non avrebbe portato a quello splendido finale.



  

 Probabilmente è il film più conosciuto presentato in questa rassegna. Questo non significa che consigliarlo una volta in più faccia male...
Cartone tanto stilizzato e semplice nel tratto quanto grande e profondo nelle tematiche trattate sa regalare momenti di divertimento assoluto, altri di pura poesia (i petali della nonna), altri ancora di profonda riflessione. Biopic assolutamente sui generis, è un omaggio alla memoria e all'attaccamento, malgrado tutto, alle proprie radici che ha pochi eguali nella cinematografia moderna.



 


 Questo chiamarlo piccola produzione è anche troppo. Location racchiuse in pochi km quadrati, 4 attori di cui uno è lo stesso regista e soltanto una piccola grande idea. Uno dei film più intelligenti visti quest'anno, un viaggio attraverso il tempo e all'ineluttabilità del proprio destino. Si resta affascinati e allo stesso tempo kafkaniamente turbati. Piccolo esempio di come si possa far qualcosa di grande senza avere una lira in tasca. Per chi amava tanto i telefilm della serie "Ai confini della realtà".




Uno Stand by me più secco ed asciutto. Un piccolo gruppo di ragazzini con tutta l'immaturità, la dolcezza, l'istintualità e la cattiveria che solo quei difficilissimi anni dell'adolescenza possono nascondere. Poi, d'improvviso, il vis a vis con la morte e col senso di colpa. Diventare adulti in un giorno e scoprire che tornare indietro in certi casi non è possibile.
Quei ragazzini seduti ognuno diviso dall'altro sulla spiaggia hanno lasciato la propria innocenza nella barchetta in mezzo al lago.



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Finalmente un pò di leggerezza!
Il mondo degli adulti visto dai bambini, una pellicola così spensierata, dolce e divertente che sarebbe un delitto non vedere almeno una volta. Nicolas e i suoi amici sono spettacolari, alcune gag irresistibili. Si vede la matrice francese, sembra di assistere, fin dai titoli di testa, ad un Amelie sul mondo dei bambini.
Commedia degli equivoci rivista in una chiave completamente nuova e divertente.
Per una famiglia non c'è niente di più adatto.



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Mi sono attirato dietro un pò di critiche per la recensione forse troppo entusiastica a questo prodotto italiano. Il problema è che l'essermi ritrovato in sala un film di questo livello proprio non me l'aspettavo. Componenti tecniche di altissimo livello, location perfette, una colonna sonora coi controcazzi e un ritmo che non cala mai. L'unico problema del film di Alemà è l'essere italiano perchè altrimenti lo considereremmo al livello di tante produzioni horror-survival europee. Storia cruda e cattivissima, da vedere assolutamente.



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Una casa, una telecamera e quattro ultraottantenni (minimo...), questo è bastato a Gianni Di Gregorio per tirar fuori una perla di semplicità acclamata sì da tutta la nostra critica ma colpevolmente dimenticata dal pubblico. Film che nella sua semplicità nasconde un coraggio incredibile, nella sua genuinità una (quasi) spietata critica al nostro mondo che più va avanti più vuole fare a meno dei vecchi.
Guardatele ste 4 vecchiette perchè almeno due di loro sono qualcosa di irresistibile.
E Gianni è sì un bamboccione di 60 anni, ma con un cuore grande così.



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In questo elenco ho parlato tanto di semplicità, dolcezza, leggerezza. Beh, tutte qualità riscontrabili anche in questo piccolo grande film egiziano. Probabilmente esagero, ma il personaggio del Generale è uno di quelli in assoluto che più ho amato in questa stagione cinematografica, talmente dolce e misurato, dignitoso ed orgoglioso che ti entra nel cuore senza che faccia praticamente nulla. Lasciamo perdere la cornice del film, la questione israeliana, prendiamo il film per quello che è, un piccolo racconto fatto di uomini, solidarietà, amori mancati, musica e sensi di colpa.
E un concerto da fare.
Per ridere malinconicamente.




Qualcosa che non si era mai visto prima. Un film d'avventura, un soft horror che per la prima volta nel cinema mette in primissimo piano i troll, la leggendaria e affascinantissima creatura che imperversa nei bochi nordici. Un'idea geniale di sottofondo (la partecipazione del governo norvegese), creature una diversa dall'altra realizzate in maniera strepitosa, alcune scene incredibili ed anche una piccola valenza culturale, raccontare a tutto il mondo credenze, miti e tradizioni che sono patrimonio di un popolo.

Divertente, avventuroso, a volte anche inquietante. Un cult.

28.12.11

Recensione: "Il figlio di Babbo Natale"


 A Natale, giorno meraviglioso ma di certo uno tra i più banali ed abitudinari dell'intero anno (sempre le stesse frasi, sempre le stesse assurde "magnate", sempre gli stessi spostamenti, sempre, ops, spesso, gli stessi regali) mi sono chiesto: in un giorno così bello ma banale ed abitudinario cosa posso fare di ancor più banale ed abitudinario? Semplice! Prendere la famiglia e andare al cinema di pomeriggio a vedere un film per bambini sul Natale. Detto fatto. Quello che non mi aspettavo, e che ha tolto l'alone di banalità all'intera giornata, era di trovarmi di fronte a un cartone quasi con i controcannoli, la cui recensione mi spiace di dover affrontare con tutto questo ritardo perchè inevitabilmente la memoria si porterà via qualcosa (è vero, ho sempre i miei appunti che prendo anche al cinema nel buio più completo ma stavolta avrò scritto 4,5 parole in tutto...).


Il Figlio di Babbo Natale è un delizioso cartoon ovviamente perfetto per questo periodo ma capace secondo me di funzionare a prescindere.
I Babbi Natale sono una famiglia che da generazioni porta avanti il gravoso compito che tutti voi sapete. Una volta usavano slitte e renne, ora c'è in dotazione una meravigliosa astronave capace di viaggiare a velocità supersonica e lanciare nelle case migliaia di piccoli elfi capaci di consegnare regali in pochi secondi (splendido il prologo). Si verifica però un intoppo, UN regalo rimane nella base al Polo, una bambina si sveglierà e non troverà nulla sotto l'albero. Babbo Natale ha due eredi, il supergenerale Steve che guida l'astronave e Arthur, il ragazzino goffo e timido che risponde a mano alle letterine. Al primo l'unica bambina rimasta non interessa, ha completato la missione al 99,99999999999998%. Arthur la pensa diversamente. Prende suo nonno (il babbo del Babbo Natale in carica), una vecchia slitta e parte.
Cavolo, di solito le trame nemmeno le scrivo, qui mi ha fatto fuori mezza recensione...

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Perchè mi è piaciuto così tanto?
Innanzitutto perchè visivamente è potentissimo, le scene di massa nella base artica sono incredibili, gli scenari eccezionali, la cura dei dettagli elevatissima (centinaia di elfi con visi diversi, chapeau!).
Poi è divertentissimo. Ci sono sequenze geniali (come l'"operazione" fatta dall'elfo attraverso la scatola o il doppio errore sul nome della città) e personaggi strepitosi come il Nonno o l'elfo incartatutto.
C'è ritmo, c'è avventura, c'è originalità (anche se i rimandi a Monster and Co sono evidenti, come ad esempio la catena di montaggio per i regali e l'unico errore che dà spunto al film, là la bimba che entra a Mostropoli, qui il regalo mancato). Personalmente non ho trovato un solo momento di stanca, le trovate sono a getto continuo, il protagonista, Arthur, ti entra da subito nel cuore.
La tematica affrontata, la contrapposizione tra le freddezza del progresso e l'anima, il cuore, della tradizione è gestita in maniera meravigliosa, niente scene toccanti o costruite ad hoc ma tutte contraddistinte da tanto divertimento.
Poi si arriva al finale e là l'emozione arriva di botto.
La corsa frenetica in bicicletta (con tanto di incartamento in movimento, spettacolare), il geniale arrivo in contemporanea dei 4 "babbi natale", la bimba che si alza e trova il regalo.

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Gli ultimi 10 minuti sprizzavano Pixar da tuti i pori, l'emozione arriva naturalmente, non ci sono giochetti.
Poi la bimba esce, quella barba finta che si crea al volo in modo estemporaneo è qualcosa di magico, una piccola trovata che vale da sola la pellicola, un secondo, niente più, che nasconde dentro tante cose.
E' il suggello a un film che, purtroppo, non avrà quello che merita.

( voto 8 )

25.12.11

Fammi tornare ad avere 4 anni, te ne prego Bambino Gesù, anche 6 non mi sembrano tanti, son passati e non tornano più.

Stamattina in casa Oh dae-soo.


- "Bibi, ma lo sai che stanotte ho sentito dei rumori in casa?"
- (tutta emozionata) "Davvero?"
- "Sì, e mi sono pure impaurito. Ho provato anche a svegliarti ma te niente, ronfavi beata"
- (faccia a furbetta) "Io lo so chi era"
- "Lo so anch'io, saranno stati sicuramente i ladri"

- (sconcertata di avere un babbo così coglione)"Babbo, te non capisci niente, non erano i ladri, era Babbo Natale! I ladri non esistono"






E, come nei più bei film, può capitare di piangere e ridere allo stesso tempo.



24.12.11

Recensione: "Il vento fa il suo giro"



Quando capiremo che nei licei italiani oltre ad imparare seni e coseni, quartine a memoria e sbarchi dei Mille ci sarebbe anche la necessità di affrontare profondamente e non superficialmente la vita vera e tutte le su problematiche, e quando ci accorgeremo che per far questo non c'è niente di più stimolante ed intelligente del Cinema, allora Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti dovrebbe divenire uno dei "testi" obbligatori da inserire in programma.
L'accettazione del diverso, del forestiero, la capacità di adattamento, l'importanza delle tradizioni e delle radici e la necessità, a volte dovuta ad una costrizione, altre ad una vera e propria volontà, di accontentarsi delle piccole cose della vita, sono solo alcune tra le tematiche affrontate dal film.
Philippe è un pastore francese che decide di trasferirsi a vivere con la famiglia in un piccolissimo borgo di montagna, praticamente disabitato 11 mesi all'anno, della Val Maira, nel cuneese. Philippe è di un'altra nazionalità, Philippe parla un'altra lingua, Philippe fa un lavoro che nessuno nel borgo ama più fare, Philippe è intelligente, Philippe ha una bella famiglia e una bellissima moglie, Philippe non ha niente in comune con i pochi abitanti del luogo. Per lui tutto questo è soltanto uno stimolo, per i paesani un ostacolo insormontabile.



Certo che ancora una volta il piccolo paese, la piccola comunità, esce completamente distrutta alla prova cinematografica. Impossibile non tornare al Dogville trieriano o allo splendido Cane di Paglia (durante la visione ho pensato continuamente, sbagliando, che la vicenda sarebbe andata a finire come nel film di Peckinpah) ma mi piace anche ricordare quel nero gioiello di Calvaire (e il suo bar, che per un istante ho rivisto nel film di Diritti) o per restare ad un film che ho visto molto di recente, l'ottimo Regreso a Moira
Il piccolo paese chiuso su se stesso, nelle proprie tradizioni o nelle proprie credenze ma anche, particolare da non trascurare, nelle proprie facce, non accetta un figura diversa da se oppure, al contrario, ne è profondamente attratto. Luogo ristretto, mentalità ristretta, sembra una semplificazione troppo netta o un'accusa troppo superficiale ma è inutile nasconderselo, il più delle volte è così. Non è un caso che Diritti  veda nel clarinettista di "città" la persona più coscienziosa ma anche che lo "scemo del villaggio", un ragazzo affetto da gravi problemi mentali, sia l'unico a integrarsi perfettamente con la nuova famiglia, anzi,lo faccia in modo così forte da arrivare persino ad averne bisogno.
Tra paesaggi mozzafiato, luoghi e facce che riportano tanto alla bellissima letteratura di Mauro Corona, Diritti racconta con calma ed accuratezza le invidie, le pulsioni sessuali, l'odio e i tentativi di "boicottaggio" che la famiglia di Philippe è costretta a subire per esser mandata via. Qui alal fine non c'è il padre di Grace a bruciare tutto, il paese avrà la sua vittoria. Vittoria effimera però perchè in un finale che è l'insieme di 4 finali, uno più bello dell'altro, anche il paese dovrà pagare lo scotto di quello che ha fatto.
La ragazza più giovane se ne va, proprio mentre torna nel borgo il più vecchio abitante.


Il ragazzo malato di mente appena saputo della partenza di Philippe e della sua famiglia si uccide. Questo suicidio, il suicidio di un proprio figlio, del sangue del proprio sangue, è per il paese la consapevolezza del l'errore commesso perchè, indubbiamente, sono stati loro ad averlo ucciso. Quel ragazzo che non c'è più rappresenta la reificazione di un senso di colpa che deve venir fuori, di una coscienza collettiva che in qualche modo ha bisogno di essere risvegliata. Non è un caso che la vicenda, dall'arrivo di Philippe alla sua partenza, sia racchiusa in 9 mesi, 9 mesi, quanti ne servono affinchè nasca qualcosa di nuovo.
E il racconto che lo splendido sindaco legge in chiesa, un racconto che mi ha messo i brividi addosso per bellezza e profondità, è soltanto il passo successivo di questo bisogno di nuova vita. Tutti gli uomini hanno bisogno di sentirsi uguali, tutti, nessuno escluso, per poter far qualcosa di grande insieme.
E nell'ultima immagine, nel mio personale 4° finale, un ragazzo decide forse di tornare ad abitare là nel borgo, proprio dove è vissuto Philippe, e  provare a ricominciare.



Perchè alla fine tutto torna al proprio principio, il vento fa il suo giro e torna indietro.
E se Philippe è stato l'uomo che è venuto a ricordarlo ai paesani, con un ritorno anche materiale alla vita di un tempo, forse quel ragazzo è l' Uomo che Verrà a ribadirlo ancora.
Il vento fa il suo giro, tutto ritorna prima o poi.
Magari tornerà anche Philippe.
E, magari, sarà tutto diverso.

( voto 8,5 )

23.12.11

Recensione: "Henry pioggia di sangue"

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Henry Lee Lucas è probabilmente il killer più sanguinario e "prolifico" della storia moderna. Malgrado gli siano stati attribuiti ufficialmente "solo" 11 omicidi è possibile, come lui stesso afferma, che siano stati molti di più, forse centinaia (anche se la mitomania è una delle tante derive della sua mente malata ).
Henry Lee Lucas era uno psicopatico divenuto tale a causa di un'infanzia terribile, veramente terribile.
"Henry pioggia di sangue" ripercorre con molte licenze la sua storia, facendo fede in particolar modo alle sue devastanti confessioni. Se da un lato può essere interessante ricercare quali siano le analogie tra il film e la vera storia di Lucas (senz'altro l'omicidio della madre, la presenza del suo complice Otis, "l'amore" per una ragazza e parecchi aspetti del suo modus operandi) è forse giusto analizzare questo grande film in quanto tale, come opera di fiction.




Dov'è la grandezza del film di McNaughton?
In una freddezza, una crudeltà, un'apparente ma assoluta mancanza di morale che conferiscono all'opera un'aura raggelante senza però raggiungere le pietose derive di opere come Murder Set Pieces o della serie August Underground in cui l'amoralità e l'efferatezza sembrano andar di pari passo con l' autocompiacimento del regista.
Qua c'è comunque un senso della misura sia in quello che ci viene mostrato che nel complessissimo profilo di Henry. Addirittura, in più di un'occasione, sembra quasi balenare in Henry un senso "etico" e di (barbara) giustizia come nell'efferato omicidio dello schifoso Otis, persona lui sì in nessun modo giustificabile o assolvibile. Intendiamoci, Henry è un mostro nel vero senso del termine e niente può in alcun modo farcelo dimenticare ma il film porta ad una stranissima empatia col suo personaggio. E' strano perchè la sceneggiatura non è niente di che ma forse a causa della magistrale interpretazione di Rooker, forse per la contrapposizione con Otis, forse per vicinanza ad  una persona che almeno per 20 minuti ci sembra poter credere nell'amore, in quell'amore che pare una piccola oasi in mezzo a un deserto di squallore e violenza, non riusciamo ad odiare Henry.

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 Il finale, magnifico nella sua coerenza, ci riporterà nei giusti binari. E' incredibile, ma per la guida notturna, per la colonna sonora, per quell'amore impossibile, per quella violenza insita nella sua natura che non sa contenere, per quel destino che alla fine lo vedrà sempre solo, Henry pioggia di sangue mi ha ricordato tanto lo strepitoso Drive di Refn, malgrado i film siano diversissimi tra loro, neanche paragonabili.
La regia, solo apparentemente povera e scarna,  racchiude invece delle perle non indifferenti come l'assurdo montaggio dei primi 10 minuti, la panoramica a 360° sulla ragazza uccisa sul divano, quell'inquadratura fugace sulle mani intrecciate di Henry e Becky prima che Otis entri sulla stanza (scelta strepitosa, non ce le ha fatte vedere prima ma solo un attimo prima che le abbandonassero), tutte le scene di violenza, girate magistralmente per uso dei tempi e degli spazi.


A proposito, vedere questo film nella versione censurata è un delitto pari a quelli del protagonista. Su tutte si perderebbe la terribile scena, tanto clockwork orange, del triplice omicidio della famiglia borghese. L'uso della telecamerina ( telecamerina presa in un modo altrettanto terribile, anche questo censurato...), il respiro di sottofondo di Henry, quell'unica inquadratura in piano sequenza nella quale quasi contemporaneamente si consumano i tre delitti, rendono davvero la scena indimenticabile per il genere. Altrettanto forte sarà poi il brutale omicidio, tanto atteso dallo spettatore, di Otis.
Film imprescindibile per gli amanti del genere.

( voto 8 )

21.12.11

Recensione: "Nonhosonno"



Le Olimpiadi di una vita in un unico tuffo.
Piattaforma 10 metri.
L'atleta sale le scalette, più sale più si avvicina il momento in cui sarà lassù, davanti agli occhi di  tutti, sulla piattaforma.
Quattro, cinque passi sul cemento, magari correndo, e poi giù, in picchiata verso la gloria o il disastro assoluto.
Il Nostro Atleta si chiama Dario Argento.
Ha salito quelle scalette, le scalette delle piume di cristallo, del velluto grigio, del profondo rosso, di suspiria, la sua fama è andata sempre più in crescendo fino a farlo diventare, a ragione o no, il Maestro dell'horror moderno. Poi, arrivato in cima, ha fatto quei 4 passi sul cemento, non si sale più, anzi la sensazione che si stia per precipitare è forte. Opera, Trauma, Stendhal, e poi si salta dal bordo e si va giù verso il disastro più assoluto, si tentano 4,5 carpiati ma li si falliscono completamente tra cartai, terze madri, Jenifer fino a piombare di pancia in un'acqua che di azzurro non ha più niente, soltanto Giallo.
Nonhosonno è il 4° passo sulla piattaforma, è il bordo della stessa, è l'ultima volta che il Darione nazionale ha tentato disperatamente di star lassù prima di abbandonarsi alla forza di gravità, a quella forza verticale che non risparmia nessuno.
A meno che non vai nella Luna.

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Ricordo ancora che lo vidi al cinema. Avevo 24 anni ma restai profondamente scosso e terribilmente impaurito da quei primi fulminanti 10 minuti, da quella vocina poi fattasi vocione, da quel corpo nascosto sotto le coperte, dalla caduta della prostituta e dalle bellissime sequenze nel treno terminate con quel magistrale urlo della ragazza tutta insanguinata reso vano dalla pioggia, dal vetro e dal rumore del treno.
Il film poi cala notevolmente di livello ma è comunque un film degno, l'ultimo del Nostro. E' incredibile come nei film di Argento abbiamo sempre, SEMPRE, le stesse caratteristiche.
- personaggi macchietta (qui ad esempio il custode e l'immancabile barbone)
- doppiaggio italiano aberrante (non ai livelli de Il Cartaio ma siamo lì)
- i personaggi che parlano da soli in qualsiasi situazione (ad esempio come fa continuamente quello interpretato dal grande Von Sydow)
- le armi da taglio protagoniste
- il killer con i guanti neri
- una scrittura dei dialoghi davvero improponibile (in Nonhosonno su tutti quello tra le tre ragazze con in mezzo la "coniglietta). Non è un caso che quasi in tutti i film le migliori scene siano  mute o "sotto" le indimenticabili colonne sonore
- piccolo indizio che poi si rivela importante (più d'uno anche qua, tipo l'aggeggino per l'asma)

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In mezzo a personaggi odiosi, scelte assurde ( perchè Giacomo doveva lavorare in un ristorante cinese vestito in quel modo? boh), autoreferenzialità che raggiunge livelli di un narcisimo incredibile (tutto il film è basato su una filastrocca, peraltro davvero banale, scritta da piccola da Asia Argento) il film rimane comunque abbastanza gustoso, merito di una sceneggiatura piena di errori e forzature ma "complessa", non scritta in 3 giorni, di una buona un'atmosfera (mirabile come Argento sa raccontare le città dove gira) e di omicidi fatti davvero ad arte. La donna uccisa a clarinettate, la ragazza sbattuta al muro o il custode che per la prima volta vede una penna entrare a far parte della propria vita, sono sequenze notevoli per il genere.
Ed anche l'idea di fondo, quella del Nano che nano non è, quella di seguire uno schema delle uccisioni. quella che giustifica la pausa di 17 anni in un modo assolutamente plausibile, sono tutti piccoli meriti di un film   che ricordavo con piacere e che ho rivisto con altrettanto piacere.
Niente di trascendentale ovviamente, si avverte lontano un miglio che si sta per spiccare il balzo.
E qua, non siamo sulla Luna.

( voto 6,5 )

19.12.11

Recensione: "Seraphine"



Seraphine ha le mani tozze e profondamente segnate.
Segnate da anni di lavoro duro ed umiliante.
Seraphine ha lo sguardo quasi inebetito, senza alcun barlume di intelligenza.
Seraphine si arrampica sugli alberi.
Seraphine è grassa e sgraziata.
Seraphine pare quasi un animale, è brutta, sporca, stupida e l'unico habitat nel quale si sente a suo agio è quello della natura libera e incontaminata.
Però Seraphine dipinge.
E lo fa meravigliosamente.

Questa è la vera storia di Seraphine de Senlis, una povera donna vissuta all'inizio del secolo scorso. Donna di pulizie di giorno, pittrice nella sua stanzetta la notte. Un giorno, per caso, un famoso collezionista d'arte dell'epoca arrivato a Senlis in villeggiatura, William Uhde, vede un suo piccolo dipinto abbandonato nella casa di un suo vicino. Scopre essere opera della sua donna delle pulizie, Seraphine. Uhde diventerà il suo mecenate ma la Grande Guerra prima e la Depressione dei primi anni 30 poi faranno sì che Uhde dovrà abbandonare Senlis più volte. Seraphine morirà sola in un istituto psichiatrico.
Questo è uno di quei classici film in cui del film ci importa poco o niente. Quello che conta è la meravigliosa storia che racconta, il privilegio di venire a conoscenza di una vicenda straordinaria e umanamente bellissima.

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Ci racconta di una donna sola e povera con un'unica passione, la pittura. E' una pittura istintiva, primitiva ( chiamata naive nel settore), nessuna scuola, nessuna conoscenza, soltanto il desiderio di mettere su legno, tela, o qualsiasi altro materiale possibile qualcosa di sè, un esprimersi attraverso colori e forme. Seraphine usa di tutto, cera di candela, sangue di animali, fango e terra. Seraphine disegna soltanto fiori e piante, l'amore per la natura, così puro e atavico sostituisce quello per i suoi simili, gli uomini, dai quali Seraphine non ha mai ricevuto niente se non ordini ed umiliazioni. E' un' arte non destinata a vendere (anche se un pò di civetteria vendute le prime opere colpisce anche lei), non commissionata (se non dalla sua fede religiosa, come diceva Seraphine), è la vera arte, quella personale, quella che si sprigiona naturalmente dalle mani dell'artista come bisogno, come sfogo, come unico e vero momento di vita in un'esistenza che di vitale non ha niente. E' l'arte per sè.
L'interpretazione di Yolande Moreau è quanto di più grande il cinema moderno ci possa offrire. Una vera simbiosi con il personaggio, dallo sguardo, assente ma al tempo stesso dagli occhi chiari e svegli, fino alle movenze, goffe e sgraziate, a differenza delle mani, loro sì piene di grazia, che si muovono veloci sopra le tele. Il suo corpo massiccio, la sua personalità, la tragedia che sembra esserle scritta sul volto, sono tutto il film, il resto è contorno.

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La pazzia finale, dovuta anche in parte alla delusione della partenza di Uhde, quel vagare tra i vicoli in abito da sposa, rimangono forse il momento migliore a livello cinematografico.
Anche se quel finale, quella sedia offerta per la seconda volta da Uhde, quella sedia che Seraphine porta lassù fino a quell'albero per poi sedervisi sopra è davvero un finale magnifico.
Non solo del film.
Anche per Seraphine.

( voto 7,5 )

7.12.11

Peliculas para no dormir (4/6) : Regreso a Moira

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Credo sinceramente che questo possa essere il miglior episodio del progetto.
Fughiamo subito ogni dubbio. Regreso a Moira non è un horror. Gioca sì con molti clichè del genere come i fantasmi, la casa abbandonata, gli incubi etc..., ma è da vedere più che altro come un film dal forte impianto psicologico, un film che basa tutto sul ricordo, sulla memoria, sul rimpianto. Chi si aspettava qualcosa di terrificante o anche soltanto minimamente inquietante rimarrà deluso, chi invece si dimenticherà di trovarsi in una pelicula para no dormir e considererà Regreso a Moira come una favola, un racconto d'amore e di dolore, allora potrà apprezzarlo al massimo. Del resto alla regia c'è Matteo Gil, lo sceneggiatore di tutti i più grandi capolavori di Amenabar, uno che quindi le storie le sa scrivere e raccontare.
Tomas, ormai 60enne, riceve a casa una carta dei tarocchi. La mente lo riporta subito a un'estate di 45 anni prima, quando 16enne si innamorò di una donna che viveva isolata nel suo paese, Moira. Tomas decide di tornare nel piccolo paese perchè in realtà il ricordo di quella donna non l'ha mai abbandonato.
Il film parte molto lento. Il taglio televisivo (del resto il progetto generale era per il piccolo schermo) si vede e si "sente". Però Gil è bravo a portarci subito nella dimensione del racconto, della leggenda. La figura di questa donna che vive in una casa isolata dal resto del paese, un paese popolato da cristiani bigotti che vivono soltanto di credenze popolari e che la considerano una strega, è sì qualcosa di stravisto, ma sempre argomento interessante a mio parere.
Tomas, come tanti 16enni, è affascinato da questa leggenda. Va quindi a spiare con degli amici la donna in casa. Loro scappano, lui cade, lei lo soccorre. Il vero film parte praticamente da qui e più si va avanti più ci sembrerà di assistere a qualcosa di profondamente intelligente.
Il rapporto tra l'adolescente Tomas e la donna è il fulcro di tutto, non solo narrativamente ma anche per il fascino e il mistero che regala allo spettatore. Tali rapporti, vedi ad esempio lo splendido e recente The Reader, sono sempre molto affascinanti perchè raccontano una metà oscura di noi che bene o male tutti abbiamo vissuto, l'infatuazione adolescenziale, nel 95% dei casi rimasta platonica, per una donna o un uomo maturi.

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Si crea un legame fortissimo tra i due. Lei è davvero una strega? O soltanto una donna sola ed emarginata? Le voci nel paese continuano a correre, c'è carestia ed è colpa della donna, la notte, si dice, tutti hanno rapporti sessuali con lei. Ma è lo stesso Tomas a condannarla. Sentitosi da lei tradito inventa di esser stato molestato. Il paese insorge, Moira è bruciata viva.
Il senso di colpa quindi ma anche il ricordo di una amore breve e intensissimo mai dimenticato riportano Tomas indietro, è un regreso (ritorno) a Moira non solo fisico ma anche mentale. E tra qualche immagine d'effetto (la vasca) e un puzzle che va sempre più a comporsi arriviamo al finale (o meglio, il pre-finale) che io ho trovato meraviglioso, vero punto di forza della pellicola.
E' un finale raffinato, colto, intelligente e allo stesso tempo struggente.
Certi amori ci legano per sempre tanto da annullare lo stesso concetto di tempo.
Certi amori nascono e si autodistruggono da soli.
Certi amori, forse, si hanno paura da affrontare e siamo noi stessi, inconsciamente, a farli finire.
Chi era quell'uomo con Moira quella notte?
Chi era Tomas?
Sembra un paradosso ma forse l'amore è durato pochi attimi perchè si è protratto per una vita intera.

 ( voto 7,5 )