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28.4.19

Recensione: "Mug - Un'altra vita"

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Un film polacco che sembra raccontare la tragedia di un ragazzo a cui cambia la vita da un giorno all'altro.
Ma, in realtà, Mug è una spietata condanna di una comunità, e forse di un Paese intero, un Paese che costruisce la statua del Cristo più alta del mondo (tutto vero, è in Polonia) ma che non sa mostrare affetto per un loro figlio, un ragazzo meraviglioso la cui tragedia, fosse per lui, non l'avrebbe cambiato.
Ma senza amore degli altri niente ha più senso.
Vi innamorerete di Jacek, della sua forza, del suo sguardo


è al cinema!

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Ancora un film diretto da una donna.
Siamo in Polonia, in una piccola comunità rurale.
Jacek è un ragazzo dal cuore grandissimo, lunghi capelli al vento, giacchetto di jeans, musica heavy metal, un lavoro da operaio (oltre a quello da contadino a casa) e l'amore per una bella ragazza.
Jacek ha lo sguardo buono, ha progetti, ha tanta voglia di vivere addosso.
Nel suo paesotto stanno costruendo la statua del Cristo più alta del mondo, ancora più di quella di Rio de Janeiro (e, attenzione, è tutto VERO).
Anche lui partecipa alla costruzione, lavora al cantiere.

Questo gran bel film polacco comincia con un prologo bellissimo, apparentemente scollegato dal resto del film ma, invece, assolutamente coerente.
Iniziano i saldi natalizi, una moltitudine di persone si apposta fuori dal negozio.
Già la cosa è deprimente di suo ma lo diventa ancora di più perchè questo saldo ha una regola, ovvero entrare nel negozio in intimo, quasi nudi.
Vedi questi uomini in mutande e queste donne in mutande e reggiseno lottare per dei televisori al Led.
La scena è grottesca, girata benissimo.
Poi vediamo il nostro protagonista, col suo bel televisore, tornarsene a casa, prima con l'automobile, poi con il traghetto.
Per buona metà del film ti ricordi questo prologo e non capisci cosa voglia dire.
Poi, man mano che il film prosegue, ti accorgi che più che la storia intima di Jacek questo film racconta un paese, la Polonia, e lo fa in un modo spietatissimo.
Questa corsa umiliante, nudi per un televisore, questa corsa alla futilità, sarà solo la prima pennellata della regista ad un quadro fosco, foschissimo, di un popolo senza umanità.

Ma torniamo a Jacek.
E' buffo come dopo solo una decina di secondi che l'abbiamo visto con la sua ragazza io abbia provato più empatia per questa coppia che nelle due ore intere di quel pezzo di ghiaccio di Cold War (sempre polacco).
A questi due ragazzi così strani, buoni e spensierati vuoi bene da subito, anche perchè Mug è un film dalla magistrale delicatezza, mai retorica.
Poi avviene l'incidente e comincia il vero film.
E lo fa con una serie di soggettive di Jacek veramente ansiogene e forti (che bella ad esempio quella telefonata della sorella da dietro quel vetro).
Fatto sta che, lo scopriremo poco dopo, Jacek ha avuto danni giganteschi al volto (solo lì, nel resto del corpo niente, molto strano, ma il film è abbastanza metaforico, sempre), talmente gravi che ha dovuto subire un trapianto di faccia.
Jacek è un ragazzo magnifico, uno che anche davanti a questa cosa devastante sa reagire con forza, speranza e serenità.
Fosse per lui la vita, anche se con un viso non suo e pure deturpato, andrebbe avanti lo stesso come sempre, lui e la sua famiglia, lui e la sua ragazza, lui e le sue cose.
Il problema di Jacek, però, non è Jacek e la sua anima, ma gli altri.

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Ed ecco che Mug diventa qualcos'altro, apparentemente un film che racconta una storia privata ma, in verità, è una storia privata che racconta un paese.
In questo senso la costruzione della statua del Cristo diventa decisiva.
Ci troviamo in un povero paesino che spenderà un milione e mezzo di euro (mi pare) per questo progetto megalomane.
Cosa racconta quindi il film?

26.4.19

Recensione: "I Famelici" (Les Affamès) - Su Netflix

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Un virus movie sopra la media del genere che ha senz'altro il merito di essere molto bello da vedere e di possedere un ottimo ritmo.
Un buon prologo, un perfetto finale che chiude il cerchio, più di una scena suggestiva, in un film che, però, difetti ne ha tanti, specie di coerenza e di mancata empatia coi protagonisti.
Non consigliabile a tutti ma di certo agli appassionati sì

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Scrivo questa recensione a non so quanti giorni dalla visione (più di una settimana). Potrei lasciar perdere perchè i ricordi sono annebbiati, il periodo è particolare e avrei altri due film più importanti da recensire. 
Come se non bastasse mi è capitata poi una cosa mai successa prima in 10 anni, ovvero scrivere la recensione e poi accorgermi che Blogger non me l'ha salvata. 
L'ho scritta, poi pubblicata senza rete (si era sconnesso intenet), sono tornato indietro tranquillamente (tanto salva automaticamente)  e invece non c'era più niente.
Immaginate con che forza e voglia la riscrivo adesso...
Ma magari può far comodo a qualcuno per conoscere il film.

Per prima cosa, visto che non l'ho mai fatto, sarebbe carino definire leggermente la differenza tra virus movie e zombie movie.
Noto che troppe volte si usa la seconda definizione - zombie movie - per film che in realtà, a mio parere, non vi appartengono.
Lo zombie è un morto vivente, qualcuno letteralmente tornato in vita.
In realtà nelle varie culture del mondo potrete trovare anche altre definizioni ma, almeno in ambito cinematografico - grazie a Romero - possiamo senza problemi identificare lo zombie con il morto vivente.
Ci sono invece dei film dove abbiamo sì delle specie di zombie (in senso lato) ma che in realtà sono semplicemente degli infetti, ovvero persone che attraverso un qualche contagio hanno subito il processo di mostrizzazione, in molti casi senza passare dalla morte fisica.
Ecco, al di là di molti esempi ibridi e difficili da classificare direi che la morte sia la conditio sine qua non per il genere zombie e il discrimine più grande per tutti gli altri film dove, principalmente, è avvenuto un contagio "in vita".

Sempre più spesso poi i virus movies o gli zombie movies sono inseriti in scenari post-apocalittici.
Certo, c'è anche una forte componente biblica in tutto questo (i morti torneranno a camminare sulla terra...) ma il cinema sembra sempre di più voler affiancare quello scenario a quei generi quando in realtà sia virus movie che zombie movies potrebbero tranquillamente fregarsene della cosa e circoscrivere le loro vicende nel tempo e nello spazio.

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Les Affamès, in tutto questo discorso che ho fatto, sta in posizioni molto ibride (siamo in Quebec e non sappiamo se il contagio sia mondiale; sono infetti ma comunque a volte sembrano passare dalla morte) e di sicuro non inventa niente di nuovo.
Ma niente niente eh.

14.4.19

Recensione: "Cafarnao - Caos e Miracoli"




Se non fosse per Trier avremmo un altro possibile candidato a miglior film dell'anno.
Cafarnao è un film di adulti e bambini, genitori e figli, in una Beirut povera, poverissima, dove le ragazzine vanno in sposa a 11 anni, dove altri ragazzini devono sopravvivere per strada, dove un'intera città, ma forse un intero paese, ma forse un intero mondo, sembra indifferente a tutto.
Emozionante ma mai esagerato, secco ma sempre con un filo di speranza dentro, Cafarnao è la storia di Zain, un bambino eccezionale che non cerca l'aiuto di nessuno ma tutti aiuta.
E del suo grido d'accusa.
A noi.

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Straordinario.
Vado a vedere quasi per caso questo film e mi ritrovo davanti uno dei possibili candidati a miglior film dell'anno, sempre se Trier non esistesse ovviamente (ma esiste, eccome se esiste).
Il pregio più grande di questo potentissimo film libanese credo risieda in una cosa che non capita così spesso - o almeno non in maniera così bilanciata e perfetta - ovvero nello scrivere un'opera allo stesso tempo tremendamente radicata nel territorio di cui racconta ma anche capace di essere straordinariamente universale.
Cafarnao racconta di una terra, il Libano (e Beirut specialmente), inutile negarlo.
Ma il grido d'accusa che genera, il grido d'accusa del suo magnifico protagonista, Zain, potrebbe riecheggiare ovunque, anche nel nostro stesso paese.

"Per avermi messo al mondo"

risponde Zain alla domanda sul perchè citi in giudizio i suoi genitori.

Una frase forte, troppo forte, quasi ingrata, pensa lo spettatore.
Ma siamo solo nel prologo, avremo un intero film, un intero e unico flash back, per capire la forza, la pertinenza e il dolore che ci sono dietro la frase del bambino.
Parte con delle splendide inquadrature aeree Cafarnao, quasi tutte in god view (e io adoro la verticalità in queste situazioni), a mostrarci una città vecchia e sgarruppata.
Poi andiamo in strada, bambini che corrono tra polvere e cemento, chè se non vedessimo quei visi così diversi da noi, la prenderemmo per una Scampia qualsiasi, bimbi di strada che giocano con finti fucili, abbandonati.
Poi entriamo dentro casa e il livello di degrado e povertà, se possibile, sale ancora. Famiglie con troppi figli (ricordatevi della cosa), bambini vestiti alla bell'e meglio, tanta sporcizia, le fogne che si aprono nel bagno, pasti che non bastano per tutti, camerate uniche in cui i figli sentono far sesso i genitori, un inferno.
E anche qui sarebbe un grande errore pensare che quelle immagini siano immagini solo di un Terzo Mondo. 
No, non lo sono, ne troveremmo migliaia anche da noi.

Zain, il nostro 12enne protagonista, ha un rapporto speciale con la sorella più grande, quasi sua coetanea. 
Lui è praticamente l'uomo di casa, sia come carisma che come coraggio che come forza che nell'atto pratico, con quella spesa di chili e chili che riporta sempre a casa, con quei contenitori d'acqua che pesano anche più di lui, con quei soldi che prova a racimolare qua e là vendendo succhi.
Zain è talmente grande e maturo che a 12 anni sa tutto della vita, anche che quel sangue che ha perso per la prima volta la sorella significa l'inizio della fine, significa che da da quel momento in poi lei può finire in sposa a qualche orco o a qualcuno che si voglia approfittare di quelle inumani leggi di laggiù, dove una bimba di 11 anni, l'età di mia figlia - e cristo se sto film mi ha fatto soffrire -può finire in sposa a chiunque.
In una scena terribile e bellissima (la prima di tante) prova in tutti i modi a farla andare via. Lotta come un leone insieme a lei, lei che grida "non farmi andare!" ma gli adulti sono più grandi e forti.
Lei se ne va, non la vedrà mai più.

Zain non può più restare in quella casa dove già non è mai stato amato, dove già è stato sempre sfruttato, dove già non ha mai conosciuto l'affetto e ora, adesso, non c'è più nemmeno lei, l'amata sorella.
Zain se ne va, senza praticamente un soldo, con un solo vestito - quella felpa blu che diventerà iconica da quante volte la vedremo (e che porterà all'unico vero errore del film, ovvero il fatto che sia sempre pulitissima) - senza una meta.
Comincia così il vero film, quello del racconto di un bambino, della sua forza e del suo tentativo di sopravvivenza.

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E' difficile individuare in un film così una possibile tematica principale.
Troppe ce ne sono, troppe suggestioni, troppe denunce, troppe prospettive di visione.
Un film sulla famiglia, su padri e figli.

11.4.19

Oltre l'Immagine, viaggio nel significato nascosto dei film (7) - Inland Empire - di Edoardo Romanella

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Settimo appuntamento con Edoardo che ci analizza in modo autoptico, praticamente scena per scena, uno dei film più difficili, complessi e simbolici degli anni 2000, Inland Empire di Lynch, probabilmente il film più estremo del grande regista.
Per l'occasione viene anche battuto di gran lunga il record di immagini inserite in una recensione (15, record precedente 6)


Dunque, come già scritto nell’articolo di Enemy, quando guardo un film appartenente al cosiddetto genere “weird” ci metto molta attenzione, sia per quanto riguarda i dialoghi, sia per quanto riguarda le immagini. Quindi, solitamente, non necessito di più visioni della stessa pellicola per comprenderne il significato.
Detto ciò, vi elenco le cinque fasi che ho attraversato nel vedere l’opera in questione: 1) ho visto il film; 2) ero completamente disorientato e carico d’odio verso l’umanità; 3) ho maledetto David Lynch; 4) il giorno dopo l’ho rivisto; 5) gli elementi chiarificatori c’erano tutti, e mi sono reso conto del capolavoro che aveva realizzato.
In questa pellicola la destrutturazione è qualcosa di ABOMINEVOLE, tocchiamo davvero livelli record, e la durata non aiuta certo a mantenere la concentrazione. 

In rete non c’è praticamente nulla riguardo una spiegazione, eccezion fatta per un testo comico trovato qualche anno fa, che vi incollo qua sotto. Chi dovesse riconoscersi in queste poche righe è pregato di scriverlo, perché l’ho trovata davvero una genialata. 


Finalmente un film piuttosto lineare di David Lynch, direi quasi piatto, con la storia che si dipana senza sbalzi dall’inizio alla fine. Non c’è quasi bisogno di spiegazione, ma la scrivo lo stesso per i più disattenti. Ci sono 4 piani paralleli nella storia, che possono essere così identificati:


• lettura immediata: la protagonista Susan/Nikki/Laura Dern è la rappresentazione del subconscio del cacciavite, risvegliata dallo psicanalista che in realtà è un trafficante di armi che tenta di riciclarsi nei teatrini OFF di Braodway con una coreografia di YMCA realizzata insieme ad un gruppo di 47 prostitute figlie della vecchia dal volto rugoso, che altri non è se non una ex attrice polacca scampata a Birkenau e sposata con la scimmia con una gamba di legno

• lettura sociopolitica: il film è chiaramente un manifesto antiabortista ed a favore della fine dell’embargo a Cuba, schierandosi apertamente per la candidatura di Mitt Romney alle presidenziali del 2008

• lettura cinefila: basta con le riprese in digitale, basta con l’abuso della steadycam, basta con le immagini a fuoco, basta con lo stop-motion, basta con questi flashback pseudo-tarantiniani. il film va girato seguendo prima le pagine dispari e poi quelle pari della sceneggiatura. Basta con il montaggio


• lettura lynchiana: il film è mio e ci metto tutti i conigli che voglio



Battute a parte, prima di analizzarlo parlerò della regia e del cast: è interamente girato in digitale, il che forse gli fa perdere un po’ nella potenza onirica delle immagini rispetto a Mulholland Drive, anche se siamo ugualmente a un livello altissimo. Ci sono spezzoni del film in cui i dialoghi sono davvero dei cult, destinati a rimanere nella storia, e gli attori che recitano danno tutti il meglio di se: Laura Dern, Jeremy Irons, Harry Dean Stanton, Justin Theroux, Grace Zabriskie, Julia Ormond, Terry Crews, ecc… 


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Il film si apre con una ripresa in bianco e nero di un grammofono che suona Axxon N, «la più longeva trasmissione radiofonica della storia». La scena seguente, sempre ripresa in bianco e nero, mostra un uomo e una donna, entrambi col volto censurato, entrare in una lussuosa stanza di un albergo. I due parlano in polacco. La donna è confusa e spaventata mentre l’uomo sembra avere il controllo della situazione e sottomettere la donna (probabilmente una prostituta). Nella scena successiva vediamo una ragazza seduta su un letto che piange guardando alla televisione una sitcom interpretata da tre conigli antropomorfi (la sitcom è la prima puntata della serie Rabbits dello stesso David Lynch). A un certo punto uno di questi esce dalla stanza. 

8.4.19

Recensione: "Us" (Noi)

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La conferma, dopo Get Out, del talento di Jordan Peele, specie in scrittura.
Per me Us è un film "meno perfetto" del primo ma assimilabile come valore perchè vola alto, altissimo.
Parte come thriller psicologico e misterioso, continua come slasher, finisce come grande horror d'autore. Purtroppo la parte centrale ha più di un problema.
Resta una profonda e complessa analisi degli Stati Uniti, della sua storia, della sua società e delle sue contraddizioni.
Ho provato a dare la mia interpretazione, forse sbagliata.
Ma è un film che potrebbe avere tutta la sua potenza in una grande contraddizione, ovvero che la nostra parte migliore, quella più pura, sia quella che sta nel buio, nelle fogne

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"Siamo Americani"

Find Yourself

Geremia 11 11

queste 3 piccole cose, nascoste o comunque non eclatanti dentro al film, potrebbero essere le 3 chiavi per capire, o cercare di farlo, questo grande film.

Tutto quello che scriverò, al solito, viene solo dalla mia capoccia, senza leggere un rigo altrove. Lo specifico perchè mai come in questo caso ho la sensazione che potrei aver cannato l'interpretazione oppure che mi manchi un pezzo.

Parto da due certezze.
La prima è che Jordan Peele si conferma notevolissimo, sia come autore che come regista.
La seconda è che Us è di sicuro "meno perfetto" di Get Out, film del quale non cambierei niente, un'inquadratura, una battuta, una svolta di trama.
Qua, invece, di problemi ne ho visti più d'uno.
Alla fine però i due film si bilanciano per valore perchè, seppur imperfetto, Us vola ancora più in alto di Get Out, è ancora più geniale e ha un potere metaforico ancora maggiore.

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Intanto è un film con una tripla struttura per me, parte come (grande) thriller psicologico e misterioso, continua come slasher, finisce come horror d'autore.
Una coda, un corpo e una testa abbastanza differenti l'uno dall'altro.
E, lo dico da subito, i problemi sono solo nel corpo, al centro.

Jordan Peele è nero.
Ed è un comico.
E in entrambi i suoi film queste due cose ce le ritrovi dentro alla grande, una come denuncia della società o della storia americana, l'altra con quel suo ineliminabile umorismo.
Eppure se in Get Out la parte più leggera e brillante (anzi, quasi comica) secondo me ci stava alla grande qui l'ho davvero maldigerita.
Ora vi dico anche il motivo, credo che molti converranno.
In Get Out tutta la parte comica era affidata a un solo personaggio, l'amico del protagonista.

5.4.19

Volete scrivere di Serie Tv per Il Buio in Sala? leggete qua

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Niente, io ci provo ogni volta ma non ce la faccio a vedere le serie tv.
Ne ho cominciate 5, anche parecchio corte e parecchio belle tra l'altro, ma c'è poco da fare, non riesco a finirle.
Credo di sapere i motivi di tutto ciò ma inutile parlarne qua.
Sta di fatto che un giorno ce la farò, lo sento.
E' innegabile, però, che ormai le serie tv siano diventate un qualcosa di diffusissimo, amatissimo e importantissimo, tanto che - e la cosa mi fa paura - per tanti hanno soppiantato la visione dei film.
Siccome in questo blog di serie se ne parla due volte l'anno mi chiedevo se ci fosse qualcuno interessato a farlo.
Ne il Buio in Sala ci sono già stati più di 140 articoli o post scritti da altri (non da me insomma), quindi nessuna novità.
Ma mi piacerebbe che qualcuno riesca a parlare in maniera abbastanza costante delle serie.

Dico la verità, non vorrei come in passato accettare qualsiasi cosa (anzi, lo faccio ancora, d'ora in poi ci sto più attento) ma cercare qualcosa di qualità, non tirata via solo per farsi pubblicare

solo 3 requisiti

1 Saper scrivere in italiano

2 Avere tanta passione, preferisco recensioni molto personali, originali e sentite a quelle copia incolla che di solito si vedono in giro

3 Non scrivere da nessuna parte, insomma, farlo solo per il Buio in Sala.
E' infatti inutile e anche bruttino che uno che pubblica già altrove, foss'anche in spazi personali, poi copi-incolli qua le sue cose

Insomma, giovani o meno giovani volenterosi, appassionati e un minimo competenti che vogliono usare questo spazio per cimentarsi per la prima volta nella scrittura

bene o male sapete dove contattarmi ma lo riscrivo per chi capitasse qui per sbaglio

qua nei commenti

su facebook Giuseppe Armellini

sulla mail taesu18k@yahoo.it

4.4.19

Recensione: "Border - Creature di confine"

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Un film bellissimo che mi ha emozionato meno di quanto pensassi ma che, paradossalmente, è ancora più importante di quanto potessi sperare.
Border è una favola nera, un genere fantastico che si nasconde nel nostro mondo, quello degli umani, in maniera perfetta.
(Del resto viene dallo stesso autore di Lasciami Entrare)
La storia di due creature ibride, Troll ma ormai quasi umani nelle abitudini.
Ma specialmente la storia di lei, Tina, della scoperta della sua identità, della sua origine, dei suoi istinti, dei suoi bisogni.
Forse un film metafora di come pochi di noi, alla fine, vivono per quello che sono

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Quando per sbaglio vidi - al cinema - il trailer di Border ero sicuro che mi sarei ritrovato davanti uno dei miei film dell'anno, in un anno poi che anche se finisse qua non sarebbe già da buttare.
Dopo che l'ho visto è successa una cosa strana perchè mi ha sorpreso due volte.
La prima per non essermi emozionato quanto mi sarei aspettato.
La seconda, di converso, per averlo trovato ancora più complesso, autoriale e importante di quanto sperassi.
Certo, di solito quando metto le due speranze sulla bilancia spero sempre che ci sia un bilanciamento, e con parecchi kg su ogni piatto poi.
Invece quando accade che la parte interessante sia più forte di quella emotiva posso amare comunque un film, ma non farlo mio completamente.
E questo è accaduto con Border, splendido film svedese con cui, però, non è scattala la scintilla definitiva, quella che mi porta, sovente, a parlare di piccoli capolavori.

E' molto interessante che questo film sia tratto da un libro dello stesso autore di Lasciami Entrare (inutile vi dica quanto sia bello anche il film) perchè è bello notare questa particolare ossessione di Lindqvist per le creature di "confine" (per stare al titolo), questi esseri metà umano e metà no che però si confondono in mezzo a noi, nelle nostre vite.
(e di conseguenza come un genere fantastico possa mimetizzarsi nel drammatico)
Come avemmo l'indimenticabile vampirella dell'altro film (libro), in Border ci sono invece dei Troll, creature con corporature umane ma visi abbastanza ripugnanti e minacciosi.
Ma non è questa l'unica differenza con "noi", anzi...
I Troll nascono con delle code (che poi vengono tagliate), hanno un olfatto straordinario e istinti e bisogni molto più vicini agli animali che a quelli degli uomini.
Proprio per le loro capacità, nella solita concezione antropocentrica, a volte vengono "usati" da noi, come accade alla splendida protagonista del film, Tina, che lavora al porto per individuare, grazie al suo straordinario olfatto, chi porta con sè cose che non dovrebbe portare (droga, etc...).
Ma, e qui si nasconde una delle cose più belle del soggetto, Tina non sente tanto gli odori delle "cose", quelli reali, ma quelli delle emozioni, degli stati d'animo.
La rabbia, la paura, la vergogna, il senso di colpa e tanti altri.
Non è un caso che durante il film scopra anche una coppia di pedofili, proprio attraverso questa sua capacità di fiutare il "male" negli stati d'animo della gente.
Sta di fatto che un giorno incontra Vore, un troll, come lei.
Niente sarà più come prima.


Ad individuare ed analizzare tutte le tematiche dentro Border c'è da scriverci un saggio.
Tematiche etiche, umane, sociali, di tutto.
E' anche difficile individuare quale, tra tutte, sia quella principale tanto che potremmo vedere questo metter dentro tante cose come un piccolo difetto.
Magari vediamone qualcuna.
Prima tra tutte c'è una metafora che potrebbe tranquillamente prescindere dal discorso umano-mostro ma che grazie a questo espediente risulta sicuramente più forte.
Ed è quella di scoprire chi si è.
Ogni persona dovrebbe avere il privilegio di scoprire, o capire, chi sia.
Spesso viviamo in luoghi, abitudini sociali o rapporti umani che sono lontanissimi dalla nostra vera essenza, sono soltanto il nostro adattamento a tutto quello che abbiamo intorno.
Per Tina questo adattamento è totale, lei non è un vero umano, lei non vivrebbe dove vive, lei non avrebbe i rapporti che ha, lei non farebbe quel lavoro, lei non mangerebbe quelle cose e potrei andare avanti non so quanto.
Vore, anche lui Troll, anche lui comunque essere vivente "ibrido" (perchè, seppur meno di Tina partecipa alla vita umana) le farà scoprire il suo lato più nascosto, quello più primordiale, quello più vero.
In questo senso ci sono due scene straordinarie.
La prima, quella più pendant col truffaldino trailer, è quella corsa nudi nei boschi e il bagno nel lago.
Due gesti semplici, paradossalmente "umani", ma che sono invece simbolo di una libertà, un bisogno e una predisposizione molto più naturale ed istintuale della nostra.
La seconda scena, forse la più forte, importante ed emblematica del film, è quella del sesso.
A tal proposito mi piace ricordare anche la celeberrima scena della "non-vagina" in Lasciami Entrare, a ricordare quanto questo sia un autore (parlo dello scrittore) capace di creare profonde riflessioni, anche scioccanti, sul tema dell'identità sessuale e su come sia stupido e limitativo definire degli esseri viventi in base a quello che hanno in mezzo alle gambe.
La scena di sesso è fortissima, abbastanza disturbante, tanto che uno se ne è andato anche via dal cinema (è uscito e rientrato 4 volte sto demente).
Ma in mezzo a quel fastidio, in quel minipene che esce fuori dalla vagina (tipo in The Shape of Water, ma qui con ermafroditismo), in quelle urla belluine, in quei corpi pelosi e in brutti visacci c'è dentro quanto di più bello ci possa essere, ovvero la definitiva scoperta di sè stessi, della gioia, del sesso, di un qualcosa mai provato prima, di un istinto mai conosciuto in precedenza.
Era la prima volta che quel pene usciva da Tina, la prima volta in 30 anni di vita.
Attenzione, non la prima volta che lo usava con piacere, ma la prima volta addirittura che lo vedeva.
La potenza della scena e della metafora è grandiosa.
Già prima, in quei baci sguaiati (che mi hanno ricordato tantissimo quelli di Attenberg) avevamo avuto prodromi di questo ma in quel "preliminare" c'era comunque una "volontà", uno scoprire qualcosa e provare a gestirlo, mentre in quel pene che esce c'è proprio la debordante e incontrollabile uscita al di fuori di qualcosa che si è, che si ha, ma di cui non si sapeva assolutamente nulla.
Quell'incontro di sesso è una epifania esistenziale.


Tra l'altro, sempre restando a quello che dicevo prima, ovvero all'attenzione di Lindqvist per la questione sesso-identità-genere, impossibile non ricordare la precedente scena del parto di lui, con quelle urla veramente strazianti.
Lo spettatore è straniato, quelli meno vogliosi di riflettere col cinema anche schifati forse.
Eppure credo che qua dentro si nasconda il lato più bello del film.
Ovviamente, in questa metafora della scoperta di sè, si affianca e spesso si identifica anche quella della differenza tra umano ed animale, strutturato ed istintivo, sociale e naturale.
E' evidente come il film racconti tutti questi binomi e, attenzione, quello che ci vuole dire, oppure quello che dovremmo far nostro, non è tanto vedere la differenza tra le cose ma il capire quanto sarebbe bello e doveroso far coesistere tutto.
Non lo vedrei quindi come un inno tout court alla nostra parte animale e non sovrastrutturata ma come il cercar di far capire quanto tutti noi dovremmo cercare di essere un pochino meno ossessivamente dentro il mondo sociale delle convenzioni per vivere di più il nostro mondo di dentro e delle cose naturali.
Ma andiamo avanti.
Tina adora gli animali, salva anche i grilli.
Ci sono bellissime scene (quella dell'alce, quelle con le volpi) in cui vediamo questa meravigliosa comunione tra lei e tutti gli altri esseri viventi.
Poi, paradossalmente, conoscendo Vore e quindi scoprendo più di sè stessa, inizia a mangiare vermi e ad avere minori attenzioni in quel punto.
Io qui più che una manichea e abbastanza didascalica divisione umani-animali - con i primi distruttori di tutto il creato e i secondi strenui difensori della natura - ci vedo più un discorso di sensibilità, delicatezza, animo.
Tina è una creatura magnifica, buona, fedele, che si fida di tutti, vuole bene a tutti e non riesce, per l'appunto, a far male ad una mosca.
Non è che dopo cambi, assolutamente, ma lo scoprire di essere un Troll, che il padre gliel'abbia sempre nascosto, che i suoi genitori siano stati cavie e altro, la porta ad affrontare la vita con più forza e meno accondiscendenza, mandando per esempio via di casa quel parassita del biondo (lui sì vero Troll del film). Ma in questa scoperta e affermazione di sè lei capisce anche che ci sono istinti troppo forti che ha represso troppo a lungo.
E non è un caso che mangi i vermi oppure dia il grillo in bocca al piccolo.
Tina rimane sempre splendida, sempre delicata, ma tutte quelle nuove scoperte la portano ad un atteggiamento meno rigido. Ripeto, in questo caso io non parlerei di divisione umani-animali, ma solo di sensibilità ed istinti.
Di sicuro gli umani fanno una pessima figura in un altro aspetto, ovvero quello di "padroni" del pianeta, razza superiore abituata ad eliminare le altre oppure ad usarle ai suoi scopi.
In questo aspetto si infila la "seconda trama" di Border, ovvero quella dello scambio di feti, atta sia a vendicarsi degli uomini sia a calmierare piano piano il loro predominio numerico.
(seconda trama affascinante e anche geniale che però, non so, si lega non benissimo al resto. Tra l'altro che in tutta la città Tina avesse individuato proprio dei pedofili "serviti" da Vore è strano)
Il discorso che fa Vore verso i bambini umani è molto forte, di certo non bello, paradossalmente tanto cattivo proprio perchè Vore per tanti tratti è ormai un umano come noi.
Mentre Tina cerca di convivere nel nostro mondo Vore ci odia, vorrebbe che subissimo quello che i Troll hanno subito e sogna un futuro di predominio sugli uomini.
Molto importante questo aspetto altrimenti il film sarebbe andato in una, francamente eccessiva, direzione di accusa verso l'umanità ed esaltazione della purezza delle altre creature.
No, sta proprio nell'analizzare questo confine (vedi titolo) tra umani ed animali, in questo ibrido che Border è più potente, perchè suscita grandissime riflessioni senza crocifiggere definitivamente nessuno (anche se è ovvia l'accusa al nostro genere).
Ma non finisce qua.
In quello che loro chiamano "difetto genetico" potremmo anche individuare il tema della malattia, specie quelle, come la sindrome di down, che producono evidenti differenze somatiche.
E di come persone quindi diverse, malate, differenti da noi, con una evidente malattia che "deturpa" i rassicuranti e canonici tratti umani, debbano vivere un'esistenza sempre ai margini o costretta a scansare continuamente gli sguardi altrui.
Ma ci sono anche forte letture sociali, che vanno dal racconto del convivere civile alla struttura della società, dall'isolamento al concetto di "famiglia".
Il finale, in questo senso, oltre ad essere veramente bello, può essere visto da più punti.
Secondo me se qualcuno ci vede una Tina che ritorna completamente dentro le dinamiche umane sbaglia perchè l'avere un bambino, l'accudirlo, l'essere famiglia, è una delle poche condizioni che non cambia in nessuno dei due mondi, animale ed umano.
Se poi pensiamo che quello è il figlio di due Troll e che da un Troll le è stato mandato, ecco, questo finale apparentemente manifesto di un essere totalmente nel nostro mondo è forse addirittura il contrario, iniziare a scoprire - come fu per il sesso - un istinto primordiale che appartiene anche alla sua razza.
Tra l'altro poco prima bellissima la scena del cimitero dei Troll, con quelle semplici pietre buttate nel prato.
No, Tina non sarà diventata come Vore ma è comunque una creatura nuova, adesso sì un vero e proprio ibrido, di certo non più quella che provava ad essere completamente umana.
Tina sa chi è, sa da dove viene, sa dei delitti che sono stati perpetrati alla sua gente (in questo senso ovvio anche il richiamo a barbarie umane, specie del ventesimo secolo) e quindi, da ora, sarà una persona completamente diversa.
Per ultimo, ma non per importanza, c'è forte anche il discorso ecologico, tanto mai sentito come in questi nostri giorni tra l'altro.


Ma Border è anche cinema e anche gran bel cinema.
Intanto il trucco dei due protagonisti è straordinario, c'è poco da dire.
Io, paradossalmente, ho amato ancora di più la figura di lui, così inquietante, dal sorriso bestiale sempre pronto a diventar ringhio, bellissimo.
Il regista, Abbasi, è davvero bravo e ci regala un film benissimo girato e fotografato splendidamente.
Non so se il non premere molto sul lato emozionale sia stato deciso a tavolino oppure sia un problema del film.
Ad esempio, ma potrei sbagliarmi, la colonna sonora arriva a più di metà film, proprio sulla scena di loro nudi nel bosco.
Ecco, di queste scene liriche ce ne sono giusto un paio, Border preferisce uno stile molto sobrio e il cercare di raccontare tutte le tematiche che, con difficoltà e confusione, ho provato a scrivere sopra.
Resta un film davvero bello, da parlarci tanto e che probabilmente resta in memoria più di film ancora più belli ma meno originali e caratterizza(n)ti.
E voglio chiudere la recensione con loro due lì, sotto al tavolo, impauriti dai tuoni.
Altra meravigliosa scena di come certi istinti, certi bisogni, certe paure, facciano irrimediabilmente parte di noi

7.5/8

1.4.19

Recensione: "Durante la tormenta" - Su Netflix

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Oriol Paulo, dopo i due precedenti splendidi thriller, fa un notevole passo indietro.
C'è la sensazione che sia in qualche modo prigioniero di sè stesso e del suo dover per forza stupire lo spettatore con i suoi twist.
Stavolta crea una sceneggiatura con maglie troppo larghe (lo stesso genere, fantascienza con loop temporali) e ci si perde dentro regalandoci un giocattolone che funziona e non funziona.
Peccato perchè le tematiche c'erano e il discorso di come i nostri futuri possano differire di piccoli dettagli solo in base ad eventi del passato era molto interessante (anche se abusato).
Un film che parla delle scelte della vita ma che non ha la sobrietà e la verosimiglianza (anche nell'inverosimiglianza) che avremmo voluto

presenti spoiler circa a metà recensione

E così anche quest'anno il film del raduno c'ha deluso.
Alla fine di brutti film non ne abbiamo mai visti eh, ma quasi sempre hanno deluso rispetto alle aspettative.
Va a finire che il migliore resta quello del mio amico Davide Montecchi, visto insieme a lui (regista) nella notte del primo raduno, alle 2.
Mi riferisco a In a lonely place per chi fosse interessato.

Io un pò di puzza di bruciato ce l'avevo.
Intanto dopo El Cuerpo e Contratiempo era quasi filologico un calo. 
In più quando sali ai quartieri più alti (budget e fama) spesso ci rimetti. 
In più il vestito fantascientifico e di loop temporali è sempre affascinante ma anche sempre tanto rischioso.
Resta il fatto che il film di Oriol Paulo è un netto passo indietro rispetto ai suoi due grandiosi thriller d'esordio.
I problemi sono più d'uno, primo tra tutti la sensazione, a mio parere, che Paulo sia in qualche modo vittima di sè stesso. 
Lui, il re del twist, imprigionato in questo...loop mentale di doverne fare sempre di più strabilianti. 
Mentre, però, le sue precedenti sceneggiature erano sì complesse e "mirate" (tanto da perdere in verosimiglianza) verso il twist ma comunque non molto rischiose, qui il bravissimo regista spagnolo ha voluto fare una "paulata" in un contesto troppo grande in cui, mi sembra, si è un pochino perso.

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"Durante la tormenta" ha dentro tanti richiami a opere precedenti sui viaggi nel tempo, per citare una delle più recenti e presenti direi Dark.
Secondo me nell'incipit ci sono due piccolissimi dettagli che potremmo prendere come metafora del film.
Prima quel bimbo che canta "Time after time" di Cindy Lauper.
Pensateci, il tempo dopo il tempo, una specie di eternità che possiamo tranquillamente abbinare al concetto di infinito loop temporale.
Poi quel Tg che parla della caduta del Muro di Berlino e del passaggio dall'Est all'Ovest.
Anche qui, se vogliamo, possiamo già intravedere un'altra metafora del film, ovvero quella del passaggio da un mondo all'altro, l'est-ovest, il passato-il presente.
E come succederà nel film, specie nel finale, questo passaggio coinciderà con la disperata speranza di trovare dall'altra parte un mondo migliore, una vita migliore.