Cominciavo la recensione di The Road film così:"La Speranza è un diritto di tutti, del migliore e peggior uomo, del più felice e del più disperato. Non si può vivere senza speranza, quasi ossimoricamente non si può. The Road ha lo straordinario coraggio di farci credere che, al contrario, ce la si può fare"
Ecco, dopo aver letto il libro posso solo confermare.
La Strada di Cormac McCarthy è uno dei libri più spietati che mi sia capitano di leggere.
Uno dei più terribili.
E non lo è tanto per quello che racconta (che di libri in cui accadono cose orrende ne ho letti) me proprio per quello che ho scritto sopra, ovvero un libro in cui non esiste un domani, in cui non c'è speranza, in cui non siamo dentro "dentro" la Fine di tutto ma siamo oltre la Fine, dopo di essa.
L'atmosfera che si respira non è tanto quella di un mondo che sta morendo e non ha più speranze ma quella di un mondo morto da tempo in cui i nostri personaggi non sono altro che stanchi e disperati fantasmi che provano a sopravvivere maledicendo in molti casi di non essere già morti.
Un uomo e suo figlio, una "strada" che li porta verso Sud, verso il mare.
Tutto il mondo che conoscevamo non esiste più, e McCarthy (così come accadrà nel film) non ci spiega nulla, non ci fornisce nè le cause nè i motivi, quasi saramaganiamente.
Ogni tanto veniamo a sapere di incendi devastanti (uno, anche se in modo molto evocativo, lo vivono anche i protagonisti), di terremoti, di epidemie di colera e poco altro.
Sta di fatto che un giorno la terra ha iniziato a morire e noi, ovviamente, con essa.
Non c'è più niente di morente, tutto è già morto.
"Forse, guardandone la distruzione, finalmente sarebbero riusciti a vedere come era fatto il mondo. I mari, le montagne. Il poderoso controspettacolo delle cose che cessano di esistere"
E' impressionante - e forse questo è uno dei maggiori pregi del libro - quante immagini di morte McCarthy riesca a tirar fuori, quante figure, quante parole.
Ogni riga è morte, ogni oggetto, ogni pianta, ogni fenomeno naturale, ogni essere vivente, ogni edificio, ogni oggetto, ogni animale.
Paradossalmente anche il cielo, questa cosa così grande sopra di noi ma al contempo anche così lontana, è morto.
Non esiste più il blu, tutto è grigio (madonna il film che fotografia meravigliosa aveva in questo senso), tutto è senza vita, solo i sogni sono a colori.
Purtroppo senza vita lo sarà anche quel mare che nel finale i due raggiungeranno.
Non c'è una piantina di Wall-E dalla quale ricominciare, non c'è niente.
E c'è una cenere sopra tutto, una cenere che fluttua nell'aria.
La cenere già, non le braci, la cenere, qualcosa di già morto.
"Quando ce ne saremo andati tutti qui resterà solo la morte, e anche lei avrà i giorni contati. Vagherà per la strada senza niente da fare e nessuno a cui farlo"
E così anche la scrittura di McCarthy è pari alla materia che racconta, una scrittura spoglia di tutto, ossi de seppia.
Non avremo nemmeno le virgolette per i dialoghi, tutto è al grado zero, non ci sono abbellimenti, periodi lunghi dove la mente e la prosa possono arricchirsi, orpelli inutili.
Una scrittura sincopata che, alla lunga, può anche infastidire, mostrarsi ripetitiva, meccanica.
Però in quella brevità McCarthy, come dicevo, mostra un vocabolario incredibile, mostra di "conoscere le cose" (libro pieno di tecnicismi da "fai da te" ad esempio), rende ricca la secchezza.
Quasi che, come i due protagonisti della storia, è nel rendere vitali e piene di significato le piccole cose che si può ancora trovare un senso a tutto, provare a sopravvivere.
Ne nasce una scrittura di puri dettagli, descrittiva, quasi scientifica. Perchè quando non hai più niente solo l'osservare al microscopio quel niente può avere un senso.
E quel niente sono anche i luoghi che attraversano l'Uomo e il Bambino e anche loro in quel niente devono osservare i dettagli per poter sopravvivere.
Ogni cm deve essere perlustrato, ogni luogo setacciato, perchè anche una mela rancida può essere la differenza tra la vita e la morte.
Questo ho amato de La Strada, questo pazzesca osservazione del Nulla per trovare qualcosa che ci faccia arrivare al giorno successivo.
Il tutto in una cornice di freddo assoluto (ciò che è morto è sempre freddo).
Prima di addentrarmi di più nel libro devo dire che a tratti ho faticato.
Questo scenario così spoglio e privo di cose porta ad una inevitabile ripetizione degli atti, anche se, come detto, McCarthy ha un ricchissimo vocabolario.
Forse questa leggera stasi rendeva però ancora più grandi le "scene" più potenti, quelle dove comparivano altri uomini.
Quasi tutte le scene più coinvolgenti de La Strada sono quelle in cui i nostri due protagonisti incontrano altri esseri (in)umani, e forse questa sensazione dipende proprio da quanto sono rari.
Il primo uomo morente colpito da un fulmine, il gruppo dei "cattivi" sul camion, il vecchio, l'uomo che uccideranno, quello che nel finale ruba loro il carrello.
E, specialmente, la terribile sequenza degli uomini ciechi e carne da macello che stanno in quella cantina.
Anche nel film questa era la scena più potente, incredibile che nel libro prenda nemmeno 10 righe.
Un mondo senza più abitanti in cui allora trovarne ancora qualcuno diventa la cosa più straordinaria.
Ed è proprio nel rapporto con questi altri esseri umani che sta forse uno degli aspetti più belli del libro, ovvero l'analisi psicologica del Bambino.
Il Bambino (ah, nessuno ha un nome) è nato in un mondo che era già finito.
Un pò come il bimbo di Room anche lui deve scoprire il mondo di un tempo (per quello di Room era quello di fuori) attraverso le parole e i ricordi del padre.
Ma la cosa che preme di più al bimbo sono gli uomini.
Ha imparato a distinguerli tra buoni e cattivi, nessuna via di mezzo. I primi sono quelli che uccidono gli altri, i secondi quelli che provano disperatamente a sopravvivere senza crimini.
Ma è incredibile quanto il bimbo ami l'umanità, quanto anche il gesto più stupido che compie (mangiare una cosa trovata in una casa) gli metta sensi di colpa sul fatto che, quel gesto, possa aver danneggiato qualcun altro.
Il suo è un amore universale, struggente, che va anche oltre i suoi bisogni.
E' un essere vivente di una purezza impressionante, e forse è in questa sua figura (quasi religiosa, quasi un Gesù, tanto che a un certo punto l'autore scrive "Aveva un alone di luce tutto intorno") che McCarthy inserisce l'unico motivo di speranza di questo terribile libro.
Magari non speranza di un futuro, ma di salvaguardia, fino alla fine, della nostra bontà, della nostra umanità.
Un bimbo che non si lamenta mai, che stinge i denti e prosegue (anche grazie a un padre eccezionale), un bimbo che ha una paura impressionante della case e che vivrà una vita in cui gli sono state negate tutte le possibili gioie.
Veramente struggente in tal caso il suo bagnoinl mare e quel suo pianto successivo.
"Cosa c'è?"
"Niente"
"No, dimmi"
"Niente, non è niente"
Quel niente era stata una impressionante e quasi colpevole sensazione di felicità. Un bagno orribile, in un mare morto e freddo, eppure qualcosa lo aveva fatto piangere, una sensazione nuova che, per un momento, gli ha fatto probabilmente pensare al mondo che non ha mai vissuto.
E meglio non dire niente, tanto in questo mondo ormai "la fortuna è sfortuna", trovare cibo, passare minuscoli momenti di serenità o qualsiasi altra cosa positiva è invece un colpo al cuore, solo la conferma che quelle sono casuali fortune che non cambiano niente alla situazione generale.
Perchè essere felici se tanto non potrà mai più tornare la felicità?
Perchè gioire di arrivare al giorno dopo se tanto il giorno dopo non potrà mai essere un avvicinamento allo star bene?
Ecco così che la felicità diventa pericolosa, perchè può essere solo effimera.
Poi questo è un bimbo che dovrà convivere con immagini terribili, quelle di teschi impilati nei muretti, di neonati fatti allo spiedo, di uomini mutilati, di un mondo che di umano non ha più nulla.
Forse proprio per questo possiede la sua incrollabile bontà, per raccontarsi che tutto ha un senso o, semmai, che ha avuto un senso.
Non meno straordinaria è la figura dell'Uomo, un uomo che, nella vita di un tempo, era probabilmente anche abbastanza debole caratterialmente (un paio di flash back con la moglie lo mostrano come remissivo) ma che poi, per il solo amore del figlio, diventa uno straordinario padre, un lottatore, uno che fino all'ultimo prova a raccontare al figlio che esiste ancora l'amore, che esiste ancora il Fuoco, che fino alla fine si può restare umani.
Un uomo di profondissima dignità, certo non buono e ingenuo come il figlio, ma perchè la bontà e l'ingenuità in questo mondo nuovo significano morte.
La sequenza (se ricordo bene bellissima anche nel film) in cui lascia nudo il ladro è forse una delle più belle dell'intero libro, anche perchè apparentemente troppo forte, troppo violenta.
Ma l'uomo agisce in quella maniera non per semplice scopo punitivo ma perchè ha avuto il terrore che il gesto del ladro avrebbe potuto uccidere il figlio.
Non c'è altro nei pensieri dell'uomo, solo il figlio.
Anche dopo questo episodio il bambino piangerà.
Ma questo è anche un libro sulla dirompente forza delle piccole cose.
Ogni volta che i nostri protagonisti troveranno qualcosa da mangiare, specie quando lo faranno in modo eclatante (il bunker, la grande villa con i barattoli di cibo) la sensazione che si prova è palpabile, quasi commovente.
In quel bunker i due vivranno 2,3 giorni di vita reale, cibo, stoviglie, capelli lavati, brandine sulle quali dormire.
Forse l'unica volta che quel bimbo scoprirà il concetto di casa.
L'ultima parte del libro, quella del mare, della spiaggia, è bellissima, con le ultime pagine poi straordinarie, forse emozionalmente le più grandi.
La sequenza di loro che fuggono nel nero più completo (in un film in cui la notte è sempre di un nero perfetto) è davvero potente.
Così come quella di lui e del sestante, forse l'unica volta in cui l'uomo riesce realmente ad emozionarsi.
Il lettore leggerà in apnea le ultime pagine.
Il dialogo tra il bimbo e l'uomo che lo accoglierà in famiglia, l'ultimo abbraccio del bimbo al corpo del padre, lo straordinario e misteriosissimo ultimo paragrafo, che arriva così, immediato, staccato da tutto.
E' però impossibile dimenticare uno degli ultimi dialoghi tra il padre e il figlio, un pezzo indimenticabile di letteratura del dolore.
Quel padre che dice al figlio che lui, il bimbo, è il migliore tra gli uomini, che deve continuare a portare il Fuoco e che lo rassicura sul fatto che potrà ancora parlare con lui ogni volta che vuole, anche dopo che lascerà questa terra.
Si ha soprattutto in questo ultimo dialogo la sensazione che per il padre quel figlio rappresenti veramente l'ultimo briciolo di speranza che ha l'umanità.
Se tutto deve morire allora che lo faccia con il nostro miglior rappresentante, con il migliore di noi.