Pagine

13.1.21

Recensione: "Piercing" - Su Prime

 

Sfiorato ma non visto alla Notte Horror del TFF 2018, ho recuperato Piercing per puro caso, "inseguendo" altri film da protagonista di uno dei miei nuovi attori preferiti, l'Abbott di Possessor.
Oltre ad aver avuto conferma della grandezza di Abbott (in un ruolo quasi identico a quello di Possessor) mi sono ritrovato davanti un piccolo film (un'ora e un quarto) ma interessantissimo.
Un uomo progetta di uccidere una prostituta.
La fa venire in una stanza d'albergo.
Le cose prenderanno una piega completamente inaspettata.
Sempre in bilico tra una possibile deriva ironica e una molto pesante, Piercing è un film "da camera" (in tutti i sensi) che affronta finezze psicologiche davvero molto interessanti.
Da vedere assolutamente

Sfiorai "Piercing" al Torino Film Festival del 2018.
Faceva parte della Notte Horror, una serie di 4 film di genere che parte la sera e arriva quasi a mattina.
Decidemmo di andar via prima di Piercing (era l'ultimo film) e posso dire con certezza che, anche nel caso ci fossero stati Synecdoche New York e Old Boy con registi presenti in sala, la scelta di andar via sarebbe comunque stata migliore, in quello che è uno dei giorni più belli di questi ultimi anni.
In ogni caso se fossi rimasto avrei probabilmente considerato Piercing il film più bello dei 4 proposti perchè il primo, Mandy, aveva una prima parte straordinaria ma non amai la deriva trash che prendeva poi, il secondo, Ghostland, era un buonissimo film horror ma del quale riscontrai parecchi difetti (non me ricordo adesso quali) mentre il terzo, L'occhio che uccide (sì, quello storico) dormii per più di metà (oh, era tardissimo eh, non è un'accusa al film, tranquilli cinefili).
Piercing rispetto a Mandy e Ghostland è sicuramente più piccolino, in tutto, nel budget, nel cast, nella ambizioni, nella durata. Però, ecco, in questo suo esser piccolo è sicuramente un film che mi ha convinto di più, al quale faccio fatica a trovare tanti difetti.
In realtà ci sono arrivato per caso, non per completare quella nottata mai completata al cinema, ma perchè mi sono "innamorato" di Christopher Abbott in Possessor e un amico mi ha segnalato quest'altro film dove era protagonista.
Non solo confermo l'innamoramento ma dico ufficialmente che se un giorno dovessi reincarnarmi voglio diventare gli occhi di Christopher Abbott.
Tra l'altro è molto particolare quanto il suo ruolo in Piercing somigli da morire a quello in Possessor. Ancora una volta un uomo in grandissima difficoltà, ancora una volta un uomo in qualche modo "posseduto", ancora una volta un killer che commette o deve commettere omicidi a causa di qualcosa più forte di lui che lo comanda.



Se in Possessor quel qualcosa era un'altra persona entrata dentro di lui, qui le cose sono diverse, i demoni del protagonista sembrano più personali. Ma, come in Possessor potevamo vedere la figura di Tasya come metaforica (di una parte nascosta di sè), così in Piercing a quella parte nascosta di sè possiamo abbinare presenze reali (tipo la madre) che hanno portato il protagonista ad avere una psiche completamente devastata, e una ricerca del male che non gli appartiene ma è solo reificazione di dolori troppo grandi.
Avrete capito che anche stavolta ci troviamo davanti ad un thriller psicologico (intendiamoci, siamo una spanna e mezzo sotto Possessor per me) anche se l'atmosfera dei due film è molto diversa.
Se in Possessor lo spettatore entrava in un mood di profondissimo disagio (anche dovuto al particolare uso della regia) qua siamo in un'atmosfera molto più reale e più volte flirtante con l'ironia, anche se questa rimane sempre latente e non esplode mai (uno dei meriti del film è proprio non farti mai capire che deriva prenderà, se leggera o pesantissima).

Un uomo progetta di uccidere una prostituta. Lo progetta in modo talmente perfetto da avere un quadernino d'appunti e da simulare - nella stanza d'albergo dove la ucciderà - l'omicidio, passaggio per passaggio (scena molto bella e anche interessante perchè mi sono sempre chiesto se i serial killer facciano queste simulazioni).
La prostituta, una giovane ragazza problematica ed esperta di sadomaso, arriverà.
Per l'uomo le cose non andranno per niente come si aspettava...

Nicolas Pesce è un regista giovanissimo di cui si dice sia molto bella anche l'opera prima, The Eyes of my mother. Di sicuro questa seconda assomiglia tantissimo ad una prima, per la durata del film, per la stringatezza del soggetto, per la sobrietà.
Piercing è il classico breve film che sembra palestra di un futuro regista, un punto di partenza.
Pesce (di chiare origini italiane) conosce sicuramente il nostro cinema di genere degli anni 70, e lo omaggia più volte, sia nelle inquadrature da slasher sia, in maniera emblematica, mettendo dentro ad una scena l'indimenticabile colonna sonora di Profondo Rosso.
Il film, però, non è altro che un sottile gioco psicologico a due, e non solo quello tra i due protagonisti ma anche quello tra lo stesso film e lo spettatore.
Per tutta la durata, infatti, non si riesce a capire dove il film andrà a parare, cosa pensa realmente un personaggio e cosa pensa l'altro, chi domina chi, chi ha veramente intenzione di uccidere, chi ha più "bisogno" di tutto quello che sta accadendo.
Ci tengo a consigliare un piccolo ma bellissimo film italiano, In a Lonely Place, che per certi versi ricorda molto queste dinamiche.
Ho amato moltissimo questa sensazione.
Sensazione che porta a considerazioni però molto delicate, ovvero cosa sta alla base del sadomasochismo, dell'autolesionismo, del punirsi o dell'amare essere puniti.
Di lei sapremo poco mentre di lui, in quella parte "allucinata" che ad un certo punto prende il film, capiremo che c'è dietro un'infanzia terribile, un rapporto con la madre tragico e un omicidio.
Ecco così che Abbott diventa prigioniero di quei ricordi e, come in Possessor, sente delle voci che lo costringono a far cose (quella del suo figlio appena nato, quella della reception e, secondo me, anche quella della moglie nella telefonata fuori dall'ospedale, telefonata secondo me immaginata).



Non so se la cosa è voluta ma Piercing racconta molto bene quello che avviene quasi sempre nella testa dei serial killer, ovvero questa spersonalizzazione e questa necessità di uccidere per sublimare profondissimi dolori del passato, a volte per ricalcarli, come una mimesi, altre volte per osteggiarli (ad esempio immaginando di uccidere la madre che nel passato tanto si odiava).
Questo accade a Reed e Abbott è bravissimo a farcelo capire.
Solo che quando si troverà davanti una ragazza che il dolore sembra amarlo, anche quello estremo e quasi mortale, Reed si troverà spaesato, quasi a non poter più vedere come vittima una che vittima vuole essere già di suo.
Ne nascerà un rapporto molto particolare, che per tutto il film ci sembrerà mutare, dal dolce, all'odio, all'affetto alla volontà di uccidere, in un continuo mutare di stati d'animo e d'azione.
Incredibile come ancora una volta Abbott riesca a farci empatizzare così tanto col suo personaggio, personaggio che ci sembra profondamente buono anche quando pensa di fare o fa cose terribili (davvero, sembra lo stesso identico personaggio di Possessor).
Anche la Wasikowska è bravissima e perfetta, per volto, ad interpretare quel ruolo.
Ne nasce un film strano, capace di mutare più volte, con piccoli colpi di scena e girato davvero molto bene.
E quella battuta finale che lui farà è la perfetta chiusura per farci venire ancora più dubbi, per farci pensare che forse tutto quello che abbiamo visto è sempre stato soltanto un gioco, un terribile gioco.
Questo, se possibile, rende ancora più tragico il film, pensando a due solitudini così forti, a due persone così traumatizzate, che solo nella ricerca del dolore e della punizione riescono a trovare soddisfazione e, anche se inconcepibile, una malata, ma pura, sensazione di felicità

7.5


10 commenti:

  1. Visto stamattina ed ovviamente apprezzato. Davvero un gioiello nascosto, riesce a mantenere un'ottima tensione ed ha il merito, sottolineato anche da te, di confondere lo spettatore in un continuo alternarsi di ruoli e dinamiche psicologiche. Anche secondo me ---spoiler---- l'ultima telefonata con la moglie era frutto della sua immaginazione. Particolare e personalmente molto bello il viso dell'attrice, ricorda vagamente l'attrice di Nancy. Ora sotto con In a Lonely Place ;))

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ovviamente concordo con tutto

      La Wasikowska è eccezionale qui, me la sono ritrovata "grande", credo di averla vista solo nei suoi film da bambina o adolescente

      In a lonely place è di un amico, lo fece vedere in anteprima ad un raduno de il buio in sala. Ma poi ha fatto meritatamente successo ed è uscito non so in quanti paesi

      e, ti dirò, secondo me ha anche più classe di Piercing sia in regia che nella finezza psicologica

      e due attori sconosciuti al grande pubblico ma, specie lui, davvero eccezionale

      Elimina
  2. I primi fotogrammi. Quei palazzi quasi sovrapposti, con quelle finestre illuminate, quei colori pastello, tutto dentro al colore/calore della notte. Mi sono bastati tre secondi per capire che mi sarebbe piaciuto. E poi quel punteruolo rompighiaccio. L' "arma" che uccise Fritz il gatto. E quel "voglio capire le sue parole di terrore". Insomma, primi minuti folgoranti.
    Prima di Possessor, non sapevo chi fosse Cristopher Abbott, e dopo Piercing devo concordare con te sulla potenza dei suoi occhi, del suo sguardo. Per la Wasikowska ho sempre avuto un debole, una bellezza quasi preraffaellita, che mischia candore e imperfezione al punto giusto (splendida in Stoker e The Double, per esempio). Per questo ruolo ci voleva proprio una come lei, anche secondo me. E poi il dolore come modo di sublimare le emozioni, come mezzo per assegnare un significato agli eventi e alle relazioni. Come lei che si perfora il capezzolo perché "così avrò un tuo ricordo"; o quell'insetto mostruoso che, nella scena allucinata, sorge dalle fogne e si arrampica sul viso di lui, fino a entrargli dentro (una plausibile metafora di quel "male" che lo ha segnato durante l'infanzia, a causa della madre, ormai radicato in lui).
    Splendida la scena di preparazione, in cui lui simula ciò che vorrà fare. E splendida la telefonata alla moglie, che anche io credo non sia mai avvenuta - oppure sì, ma non in quei termini (perché lui ha bisogno di "giustificare" e dare un senso al pensiero omicida che lo tormenta, e l'appoggio della moglie - colei che agli occhi del mondo gli dà un senso - è per lui fondamentale. Ha bisogno di sentirselo dire da lei che è necessario che lui uccida, stando sempre molto attento, "perché se ti ammali anche la bambina si ammala").
    Un film sulla ricerca del dolore, reiterato e voluto, inflitto e autoinflitto, in quanto interfaccia con la vita. Un film da 8 con un finale da 7, quindi condivido il tuo voto. Ma dopo quel folgorante incipit, dopo quella scena di simulazione nella stanza d'albergo, mi aspettavo un capolavoro. Non lo è stato. Ma è stato molto bello. Mi resteranno i colori, gli occhi di Abbott, le scritte gialle dei titoli di coda, quei palazzi e quelle finestre, il senso del dolore come "possibilità", la follia di essere se stessi.
    :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. per favore commenta tutti i film che ho recensito, te pago

      e poi fo un libro con i tuoi commenti

      Elimina
  3. PARTE 1
    Similmente a te decido di vedere questo film per un suo interprete, non si tratta però di Abbott ma di Mia Wasikowska.
    Mi è piaciuto parecchio, anche se non posso dire di averlo compreso al 100% e ciò mi urta.

    Secondo te ed altri, lui ha solo immaginato di aver ucciso la madre, però nella scena precedente (lui che si immagina di telefonare alla moglie) viene mostrata la sequenza di una donna trafitta, ma questa ha lo stesso corpo della madre. Ora, possono aver fatto ciò per risparmiare sul budget, però anche verso la fine del film, quando lui è sotto droga, viene mostrata la madre con la ferita a lei inferta (sotto forma di fantasma/immaginazione) e inoltre prima di mangiare lui dice di aver già fatto una cosa del genere (riferito all'uccidere una persona) quando era adolescente e di voler riprovare di nuovo... In ogni caso, non penso sia importate il fatto che sia viva o morta, quanto lo è invece il gesto di infilzarla, di farle del male: da piccolo ha visto sua madre avere piacere nel torturarlo e nel presente è arrivato a desiderare di (ri)provare quel piacere e portarlo ai massimi livelli, ossia uccidere una persona.
    La vita quotidiana lo sfinisce, viene fatto vedere mentre traccia con precisione a matita dei tratteggi, ciò richiede molta attenzione e pazienza che necessitano ogni tanto di essere ricaricati, ma non con un sonno ristoratore bensì con la fatica fisica o con lo sport oppure con la violenza. Quest'ultima talmente estrema che è capace di ricaricare completamente la "barra del mana" e in maniera più efficace, la stessa violenza subita da giovane e a lui dunque famigliare; "lo sai che devi fare" gli suggerisce suo figlio neonato.

    Una cosa che è male interpretata da molti è il fatto che alla ragazza piaccia provare dolore. Secondo me è quanto di più sbagliato si possa pensare: lei è una dominatrice, non viene mai mostrata contenta nel soffrire o dopo essersi fatta male.
    Mi spiego andando con ordine, all'inizio, dopo essersi masturbata e aver notato che lui non era interessato (addirittura ridendo di ciò), ha capito di essere in pericolo, che lui poteva farle del male serio o addirittura ucciderla, ma era preparata a questa inconvenienza: una volta arrivata in stanza ha infatti chiamato il suo capo dicendo che il cliente era a posto, sbagliando così una prima valutazione. Una volta però compresa la situazione in cui si è ritrovata ha chiesto di andare subito in bagno; è agitata, si è anche struccata perché sa che non si farà più niente, prende una pastiglia di qualche droga per ALLIEVARE ciò che sta per fare (per SENTIRE MENO DOLORE) e con la puntata di una forbice inizia a infilzarsi. Piange, il volto è quello di una persona sofferente che sta combattendo, perché sa questo è l'unico modo in cui possa riuscire a scamparla: agire in maniera estrema e rapida, cogliendo di sorpresa il potenziale carnefice prima che si metta all'opera ed anche spaventarlo con il proprio coraggio (ricordiamo che lui non voleva tapparle completamente la bocca per sentire le sue urla di dolore e paura); in questo momento Jackie è un leone, ruggisce/urla ma non per paura propria, quanto per infonderla nell'avversario e il colpo finale è chiedere a Reed di portarla in ospedale, a lui che voleva farle del male.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ciao!

      leggo e rispondo a punti, scusa quindi se la risposta non sarà armonica e magari anche ripetitiva

      1 attenzione, io non ho mai scritto che penso che l'omicidio della madre non sia reale. Anzi, rileggendomi ho scritto proprio il contrario (un rapporto con la madre tragico e un omicidio, ovviamente l'ho scritto così per evitare spoiler diretti).
      Ti confondi con sotto quando dico che i serial killer spesso nei loro omicidi uccidono simbolicamente la figura della madre. Ma lì parlavo in generale, non di Piercing

      2 esattamente, tutti gli omicidi seriali da piccoli o hanno subito dolore, o lo hanno visto infliggere o hanno avuto a che fare con immagini di morte (ad esempio un buon 20% ha visto morire persone carissime a loro, tipo un fratellino, e da quel momento l'immagine della morte li affascina talmente tanto da doverla andare a conoscere, causare)

      3 No, anche qui c'è stata una mal interpretazione, probabilmente per colpa mia. Queste persone (io purtroppo le conosco abbastanza bene per una abbastanza devastante esperienza diretta) non godono a farsi male, non è che provino piacere, ma ne hanno assolutamente bisogno. Anzi, è proprio una sorta di auto-punizione che in qualche modo le "rasserena". Un pò come quello che accadeva nel magnifico Swallow, sono piccoli gesti, molto pericolosi e anche dolorosi, di cui si ha bisogno per compensare della mancanze incredibili (di solito d'affetto) che hanno avuto nel passato o hanno nel presente o entrambi i casi. Ferirsi è in qualche modo "provare qualcosa", sentirsi realizzate, sublimare o reificare angosce (contingenti o esistenziali). La protagonista del film non si ferisce per scamparla (o almeno amico secondo me e la mia esperienza eh) ma quel gesto "fa parte di lei", non è un colpo di teatro deciso al momento. Pensare che lei insceni quella cosa solo per salvarsi banalizza molto sia il film sia la complessissima psicologia di Jackie (attenzione, non ho detto che la tua ottima osservazione sia banale, ma che se vera banalizza il film e il personaggio).
      Se non sbaglio tra l'altro veniamo a sapere o vedimao nel suo corpo che l'infliggersi dolore fa parte di lei da sempre. E tutto il film è basato su questo perverso, drammatico e apparentemente ossimorico provare dolore per avere "piacere", sentirsi vivi e realizzati

      Elimina
  4. PARTE 2
    A questo punto pensa che Reed scappi e vuole sfruttare l'occasione per chiedere aiuto per le ferite... ma lui resta e l'accompagna all'ospedale. Questo non era mai successo. NON ERA MAI successo. Sì perché lei ha già avuto esperienze simili a questa: quando sono a casa di lei, ella gli fa vedere le cicatrici sull'altra gamba, che "casualmente" sono uguali alle stesse ferite che si è fatta. Ecco perché dico che non prova piacere nel subire dolore (lo ha fatto solo per difendersi), ecco perché agisce in quella maniera all'hotel ed ecco perché si innamora di lui: l'unico che è restato. "Quando ti ho visto mi sono emozionata, mi sembrava di essere in un film, di essere l'attrice protagonista di una scena romantica". "Dopo intendi lasciarmi?" gli chiede dopo a casa sua.
    Altre prove che dimostrano come a Jackie non piaccia subire dolore, si trovano nelle scene a casa sua: quando Reed decide di farle ciò che voleva fin dall'inizio (vorrei far notare che a questo punto lui PENSA di trovarsi nella prima delle tre possibilità suggerite dalla moglie/subconscio/ragione al telefono, ovvero lei sa che lui la vuole uccidere ed è disposta a ciò [in realtà non vuole proprio morire né soffrire]) lei cerca di ritardare/evitare questo chiedendogli di mangiare prima e sfruttando questa occasione per capovolgere le carte prima ancora che scendano in campo (pensa comunque che lui la voglia solo picchiare NON che la voglia uccidere). A questo punto Jackie mostra di essere la dominatrice e di provare piacere in ciò, contenta anche del fatto che secondo lei a Reed piaccia essere sottomesso (a questo si riferiva quando nel taxi gli disse di averlo capito [ed effettivamente è così]) e di aver trovato quindi qualcuno complementare a lei, la dominatrice e il sottomesso, due anime gemelle.
    Inizia quindi a picchiarlo e lui ammette che la cosa gli piace, ma vuole comunque provare quel brivido/piacere che idealizza come superiore di essere il carnefice e non la vittima. Prova dunque a legarla e a ferirla (arrivato a questo punto non sono sicuro che abbia ancora intenzione di ucciderla: non la vuole più sentire urlare di paura/dolare tant'è che le ripete ciò che gli diceva la madre, cioè di convincersi del fatto che quello che sta per subire non le farà del male), ma a lei non piace ciò e appare visibilmente sconvolta e contrariata. Approfitta dello svenimento di lui, per allontanarsi e leggere la sua agenda, controllando continuamente che non si rialzi per non dovere a essere la sottomessa. Mentre studia il diario scopre quello che voleva veramente farle e per questo inizialmente piange: si sente tradita, ingannata, ma a fine lettura in qualche modo deve aver compreso la sua vera natura ed averla toccato al punta tale da decidere di volerlo ricordare per sempre mediante il piercing.
    La scena finale, viene da sé se avete letto tutto fino adesso (complimenti, io mi sarei arreso prima), non è per niente aperta, ma rappresenta l'accettazione del protagonista della propria natura, portata alla luce da Jackie, cioè quella del sottomesso (le sue lacrime durante torture sono dovute alla felicità, alla gioia; contrariamente a quelle di Jackie dovute dalla paura di soffrire o dal male stesso [ved. quando si infilza la gamba, quando lui ha intenzione di torturarla o la sta per ferire, quando legge di ciò che voleva farle]), chiedendo di mangiare prima, e quindi di assumere la droga (termine molto generale, lo so, ma tale è), corrisponde al chiedere di vivere l'esperienza completa.

    Adesso che sono arrivato alla fine mi accordo di non avere più dubbi riguardo i film. Mi piace pensare che il flusso di pensieri abbia risolto ogni domanda che mi ero posto all'inizio del commento, ma è molto più probabile invece che me le sia dimenticate e si siano perse nel tragitto. E va beh

    P.S.
    Non me lo fa neanche pubblicare per intero lol

    RispondiElimina
    Risposte
    1. 4 ah, ecco, ne parlavi nella seconda parte di come lei quella cosa l'abbia già fatta. E' buffo che te usi questa cosa, GIUSTAMENTE, per suffragare la tua tesi ma è esattamente la prova più evidente che anche io ho per sostenere la mia, ahah.

      Ma in una cosa siamo d'accordo, che il suo sia stato un disperato colpo di teatro e di salvezza (come pensi te) o che invece sia semplicemente un suo grandissimo problema psicologico che ha radici molto profonde (come penso io. Per capirsi, secondo me Jackie quelle cose le fa spesso anche da sola) siamo d'accordo sul fatto che per la ragazza vedere che lui ha "accettato" quella cosa, non sia scappato ma, anzi, abbia mostrato empatia, vicinanza e aiuto sia straordinario. E trovare un uomo capace di vedere "oltre", capire quello che le sta succedendo e trattarla da essere umano sì, la fa innamorare

      5 Ma assolutamente, lei NON vuole essere uccisa da lui e probabilmente nemmeno che lui le provochi dolore. In quel tipo di patologie il dolore è quasi sempre auto-inflitto, sono personalità "dominanti" (e in questo siamo d'accordo, il dominus è lei) che gestiscono la propria vita e il proprio corpo in un modo perverso ma assolutamente personale. Loro decidono quando volersi far male, loro decidono se gli altri possono fargli male, loro decidono ogni cosa. L'altro è solo un burattino che non può permettersi di fargli male per decisione sua, semmai può farlo solo se lei lo vuole. Gli altri in patologie del genere diventano solo un mezzo, l'ennesimo, per infliggersi dolore. Il problema è che in questo caso Jackie sente anche qualcosa per quell'uomo e quindi a volte i due mondi, quella della dominatrice che sceglie le regole del gioco, e quello della ragazza "normale" che può accettare di vivere esperienze non controllate, si mischiano

      6 Lei, come dicevo, deve avere il dominio di tutto, di lui e di quello che accade. Quando piange a piangere in qualche modo è quelal parte di lei ancora pura, quella che la vita purtroppo non le ha regalato, quella che magari ha visto per un secondo una scappatoia da tutto quel dolore e ha pensato di poter vivere un rapporto normale. Quello che scopre invece è che di normale non c'era niente, che lui è molto simile a lei, che questo rapporto è malato. Comuqnue un rapporto dal quale può trarre soddisfazione, entrambi possono farlo, accettando però di unire due anime profondamente malate e "sbagliate"

      7 Lui, di cui ho parlato pochissimo, è semplicemente il contraltare di lei, ovvero uno che ha capito che solo attraverso il dolore, la paura di morire, il farsi male, può accettare sè stesso e coprire vecchi traumi. Ma a differenza della ragazza probabilmente questo devo accadere nel ruolo di succubo, e non di dominatore

      Ogni mia risposta è figlia e frutto di esperienza diretta e inevitabile "studio" della materia quando mi ci trovai dentro

      quindi, come mi succede sempre, leggo i film in base alla mia vita, a quello che mi ha insegnato e alle mie esperienze

      lungi da me dirti che ho ragione ;)

      un abbraccio (scusa, ricordo sto nick ma non a chi "appartiene", se conosco anche il tuo nome vero - mi pare di sì - )

      P.s: questa tipologia di persone non potranno MAI essere veramente felici, la vita nei loro primi anni ormai l'ha condannate. Potranno però raggiungere una serenità più o meno costante e anche provare bellissimi, ma estemporanei, spruzzi di felicità

      Elimina
    2. Per quanto riguarda la madre, avevo letto delle recensioni da qualche parte secondo le quali non l'avesse uccisa e ho frainteso la tua frase intendendola come un esempio del film stesso xD

      Non conoscevo molto l'argomento (grazie a te un po' di più) e non riuscivo proprio a capacitarmi di come lei cercasse continuamente di evitare tutte quelle situazioni nelle quali lui le poteva far male, al punto tale da trasformare l'autoinflizione in un atto di difesa. Quindi neanche lei si vuole punire ma ne ha bisogno e piuttosto di subire da altri preferisce "fare da sé". Effettivamente così ha più senso ahahah
      Ero quindi vittima (o colpevole di ignoranza) dello stereotipo del genere: "mi piace provare dolore".

      Per il nickname, ho commentato altre volte qui sul blog e anche un po' sul gruppo Telegram ;)

      un tocco di gomito (in questi tempi la sicurezza prima di tutto)

      Elimina
    3. No, ma rileggendo la rece entrambe le incomprensioni erano assolutamente legittime ;)

      sì, purtroppo conosco l'argomento. Non rinnego quell'anno e mezzo, certo è stato devastante e come tutto nella vita mi ha dato esperienza, mi ha fatto capire di più gli uomini e fatto conoscere traumi che non avrei mai conosciuto

      è tutto figlio del concetto "se mi faccio male mi sento vivo" ma ha almeno 6-7 possibili diverse motivazioni

      in generale c'è un'angoscia esistenziale talmente grande che questo insopprimibile peso del mondo porta a sto auto-lesionismo che faccia sentire vivi, che ci punisca per qualcosa, che sfoghi in qualche modo le nostre emozioni, che ci possa far mandare un messaggio

      quasi mai sono gesti rischiosi (da suicidio insomma) perchè il motore non è farla finita ma tutto il resto che ti dicevo

      ovviamente non è qui il luogo per parlarne di più, ho fatto piccoli riassunti, anche confusi, ma potrei parlarne ore

      il problema è che queste persone non rovinano solo la propria vita ma anche quella di chi gli sta vicino. Si crea così un paradosso infernale per cui dici "come si fa a non starle vicino?" e al tempo stesso sai che standoci ti farai male

      quindi lasciarle sole?

      no, l'affetto è la base della vita, è la cosa che a me, ad esempio, mi fa alzare la mattina

      ma l'aiuto vero va dato dai professionisti e da loro stessi/e

      certo è che in mezzo a questa "terapia" se non c'è l'affetto degli amici, dei parenti e dei compagni si va poco avanti

      è un disastro, consideriamoci fortunati noi (o almeno io) che abbiamo passato infanzie più o meno felici, che abbiamo sì qualcosa di irrisolto nel passato (ce l'hanno tutti) ma niente per cui siamo segnati a vita

      un gomito anche a te :)

      Elimina

due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao