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29.9.18

Il Mattino ha "loro" in bocca - 35 registi recenti che hanno debuttato con opere prime eccezionali - Parte Seconda 16 - 35

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Sul significato di questo post e sulle linee guida seguite vi rimando al post di ieri.

Ah, invece dei 15 previsti ho allungato a 20 recuperando 3 esclusioni dolorose che avevo fatto e aggiungendo 2 titoli che mi hanno fatto tornare in mente dei lettori


KAILI BUES - BI GAN



Impressionante.
Uno dei film di quest'anno con più cinema dentro, uno dei più geniali, simbolici, tecnicamente e semanticamente interessanti.
E un piano sequenza da lacrime.
Abbiamo un fenomenale nuovo autore

BEYOND THE BLACK RAINBOW - PANOS COSMATOS



Vale un pò il discorso fatto ieri per Amer, ovvero quello di trovarci davanti ad un'opera esteticamente pazzesca che quasi se ne frega del resto.
Atmosfere incredibili, un uso di luci e fotografia unico.
Cosmatos ha da pochissimo fatto il suo secondo film, mi dicono sia un delirio simile

BABADOOK - JENNIFER KENT


Questi anni ne abbiamo parlato tantissimo. E questi ultimi giorni, visto quello che è successo a Venezia col secondo film della Kent e a qualche passaggio televisivo, se ne è parlato ancora di più.
Poco da aggiungere, un debutto straordinario, un horror che per me è già epocale

L'ARTE DELLA FELICITA' - ALESSANDRO RAK

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Un cartone napoletano che tenta di parlare di tutto, che mira altissimo.
Un'opera profonda che ha anche momenti divertentissimi e altri spettacolari.
Rak non solo si confermerà, ma arriverà ancora più in alto con Gatta Cenerentola

LE VITE DEGLI ALTRI - FLORIAN HENCKEL VON DONNERSMARCK


Non ci si crede che uno dei massimi film degli anni 2000 sia opera prima. Ma si crede ancora meno che poi lo stesso regista abbia girato The Tourist

MOON - DUNCAN JONES

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Uno dei debutti più fragorosi tra tutti.
Anche se ci si chiede che film sarebbe stato Moon senza Dio Rockwell dentro.
Jones, figlio di David Bowie, si è poi abbastanza confermato in seguito, tra alti e bassi. Ma Moon resta il suo più grande film

EL CUERPO - ORIOL PAULO

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Tra i migliori 5 thriller europei della decade.
Ed è un debutto.
 Di un regista che poi si confermerà alla grandissima con Contratiempo.
Difficile trovare due film su due di questo livello come inizio di carriera

IN BRUGES - MARTIN MCDONAGH


Bellissimo.
Dialoghi eccelsi, divertimento, ironia, azione, commozione.
Uno dei film più completi e brillanti di questi nostri anni.
McDonagh si confermerà, e alla grande, con Tre Manifesti

RE DELLA TERRA SELVAGGIA - BENH ZEITLIN

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Hushpuppy, una bimba della quale è impossibile non innamorarsi, è la protagonista di questa opera prima. Un film unico, difficile da catalogare, sempre ai confini tra il drammatico e il magico, il reale e il metaforico racconto di formazione.
Con una scena, questa qua sopra, che è storia recente 

THE WITCH - ROBERT EGGERS

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Che devo dire? E' forse uno dei 3-4 film di cui ho più parlato questi anni.
Ecco, per chi non lo sapesse è opera prima.

WHIPLASH - DAMIEN CHAZELLE

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Ho rimandato la visione tanto tempo.
Credevo non fosse adatto a me.
E invece che dire, stupendo.
Chazelle si confermerà poi e stupirà il mondo con La La Land (che no, non vedrò)

INTERRUPTION - YORGOS ZOIS

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Il film più sorprendente che ho visto quest'anno al cinema.
Un'opera prima che è pura esperienza, sperimentale, incredibile.
E che l'abbia girata un giovane è bellissimo

KRISHA - TREY EDWARD SHULTS


E poi ci sono quelle opere prime che più che voglia di entrare nel mondo del cinema assomigliano a un bisogno assoluto di sublimare un proprio dolore, una propria storia.
E questo è Krisha, uno dei film più vissuti e personali qua dentro.
Shults manterrà lo stesso grande livello all'opera seconda, It Comes at Night

TIRANNOSAURO - PADDY CONSIDINE

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Considine è il protagonista di uno dei miei film preferiti, Dead Man's Shoes.
Pochissimo tempo dopo decide di mettersi dietro la telecamera.
E ci regala un superbo film, sul solco della grande tradizione inglese, quella dei losers

LITTLE MISS SUNSHINE - JONATHAN DAYTON, VALERIE FARIS

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Un gioiello.
Uno dei film più divertenti e dolci di questi anni 2000.
E la coppia Dayotn - Faris non andrà tanto lontano a livello col film successivo, Ruby Sparks

THE ORPHANAGE - JUAN ANTONIO BAYONA

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Sì, i miei film horror preferiti degli anni 2000 sono praticamente tutte opere prime, incredibile.
E lo è anche quello che per me in assoluto è il più grande di tutti, l'unico horror che mi abbia emotivamente ucciso, devastato, come e più dei drammatici più potenti

SWISS ARMY MAN - THE DANIELS

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Se dovessi dare il premio all'opera prima più assurda e coraggiosa del millennio vincerebbe lui.
Non si può descrivere Swiss Army Man, si può solo vivere

CLASS ENEMY - ROK BICEK

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Come per il film appena sotto risulta quasi incredibile che questa sia l'opera prima di un under 30.
Forse il film sulla scuola più bello degli anni 2000. Di sicuro, per me, il più interessante, il meno retorico, il più vero

L'INFANZIA DI UN CAPO - BRADY CORBET

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Lo votai miglior film dello scorso anno. 
Un'esperienza al cinema straordinaria.
Un prologo e un epilogo maestosi.
Ci si chiede come possa essere un debutto

SYNECDOCHE NEW YORK - CHARLIE KAUFMAN

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Un giorno il più grande sceneggiatore del secolo americano si stufò di essere solo il più grande sceneggiatore del secolo americano.
E decise di realizzare il suo primo film.
E decise che come primo film doveva fare direttamente il film Definitivo.
Ci riuscì


28.9.18

Il mattino ha "loro" in bocca - 30 registi recenti che hanno debuttato con opere prime eccezionali - PARTE PRIMA 1-15 -


L'opera prima.
Il tuo debutto ufficiale nel mondo del cinema.
Chè prima magari hai girato tanti corti, ti sei fatto le ossa con gli sceneggiati televisivi, hai girato anche dei mediometraggi, hai fatto l'aiutante di grandi registi, hai buttato nel cassetto tante sceneggiature che avevano la consistenza del sogno.
Però, un giorno, il tuo primo lungo riesci a realizzarlo.
E a volte ti riesce talmente bene che non ci si crede.
Poi arriverà la cosa più difficile, l'opera seconda, quella della conferma. Qualcuno ce la farà, altri no, altri ancora dopo quel primo, folgorante, debutto non hanno più fatto nulla.
Non è stato facile creare questa lista, perchè oltre a rovinarmi vista e neuroni per trovare o ricordare film ho dovuto anche controllare la filmografia di ogni singolo regista.
E alcuni avevano girato in precedenza corti, altri medi, altri episodi di serie tv, altri brevi documentari. Altri ancora invece li ho dovuto scartare perchè avevano un solo stronzissimo film (magari di un'ora scarsa) prima di quello che avrei voluto premiare.
Ho tenuto fuori tutte le grandissime opere prime di registi già troppo famosi, come Il Settimo Continente, Fuga, Un 32 aout sur terre e altri. 

Chiedo anche a voi di citarne alcuni, controllando prima su Imdb come ho fatto io.
Ricordo però che questa è la prima puntata, alcuni che non vedete oggi molto probabilmente ci saranno domani.
Proviamoci.

(ah, il titolo che ho scelto non è un errore eh, ma un gioco di parole)

LA ZONA - RODRIGO PLA'

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La metto per primo perchè l'opera prima di Plà è anche l' "opera prima" de Il Buio in Sala, il primo film recensito.
La terribile storia di un ragazzino povero andato a rubare nella zona dei ricchi.
Non si può più uscire, è una caccia all'uomo.
Plà si confermerà poi più volte

ANOTHER EARTH - MIKE CAHILL

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Una Terra identica alla nostra.
Magari con dei nostri doppioni.
Un'altro pianeta dove quello che abbiamo commesso qua, nella nostra di Terra, forse non è avvenuto.
E un senso di colpa che non se ne va via e che per essere espiato ha solo un'ultima folle possibilità.
Cahill debutta con un'opera dolce, profonda e dolorosa.
E farà ancora di meglio alla seconda prova, con I Origins

EX MACHINA - ALEX GARLAND

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Gran film di quello che era già un grande sceneggiatore.
Garland punta subito in alto, con un film capace di affrontare tematiche moto attuali e delicatissime.
Un film apparentemente "sovrumano" che in realtà racconta l'essenza dell'essere umano.
Per me giudizio confermato da Annientamento

THE CHASER - NA HONG-JIN

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Anche se ultimamente più di un amico me l'ha smontato un pochino continuo a pensare che questo sia un grande film, un thriller anomalo, teso e cattivo.
Di sicuro è il debutto di un grandissimo regista che poi arriverà al suo apice col capolavoro The Wailing

GOODNIGHT MOMMY - VERONIKA FRANZ


La moglie di quel pazzo malato di Seidl debutta alla macchina da presa (nei lungometraggi di fiction) con un film che, forse, non è poi tanto lontano dalle opere del marito.
Thriller psicologico morboso, inquietante, freddo e malvagio.
Un grande film

STILL LIFE - UBERTO PASOLINI

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C'è gente che muore sola, senza nessuno a cui la cosa interessi.
Il funzionario John, uomo spento e metodico, decide di dedicare la sua vita a rintracciare le persone più vicine a chi non c'è più.
Opera tenerissima, a tratti struggente, insieme a Departures una delle più belle e dolci riflessioni sull'andarsene degli anni 2000

SNOWTOWN - JUSTIN KURZEL

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Definirlo sottovalutato è dir poco.
Snowtown ha tutto, è un drammatico, è un film di formazione, è un thriller, ha sequenze agghiaccianti.
Una vera storia australiana che si dipanerà sotto i vostri occhi a poco a poco.
Dispiace molto che poi Kurzel sia finito a fare Assassin's creed

LUCKY - JOHN CARROLL LYNCH

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Visto da pochissimo, uno dei film che si lotteranno i primi posti a fine anno.
Ed è il film di debutto di un grandissimo attore caratterista. Che ha deciso di fare un'opera cucita addosso ad un altro grandissimo caratterista, al suo ultimo film poco prima di morire.
L'indifferenza di morire, la paura di morire, la serenità di morire. Tra una risata e una lacrima

GET OUT - JORDAN PEELE

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Formidabile debutto nel cinema di un attore comico nero famosissimo negli Usa.
Grande sceneggiatura in un "horror" al tempo stesso derivativo e diverso da tutti.
Nel genere una delle 3-4 più grandi sorprese recenti

A GIRL WALKS HOME ALONE IN THE NIGHT- ANA LILY AMIRPOUR

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Non sarà l'unica regista donna presente.
Ma che classe, ma che occhio, ma che capacità di descrivere atmosfere.
E una protagonista indimenticabile.
Della sua opera seconda ho sentito di tutto, da gente entusiasta ad altra delusissima

IL FIGLIO DI SAUL - LASZLO NEMES

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Senza nemmeno pensarci tra le 4-5 più grandi opere prime degli anni 2000.
Un film enorme di cui è difficile vedere i limiti.
L'opera seconda di Nemes è stata appena presentata a Venezia, amata e odiata dalla critica e dal pubblico

LAKE MUNGO - JOEL ANDERSON

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Il miglior mockumentary degli anni 2000 non solo è opera prima (di un regista dal cognome che nel cinema è una garanzia) ma è addirittura rimasta opera unica dello stesso, malgrado abbia ormai 10 anni.
Che dire, lo sapete, un finto documentario perfetto, costruito in maniera impressionante. E capace di spaventare. E con tantissimo dolore dentro

MINE - FABIO GUAGLIONE, FABIO RESINARO

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Mettiamo dentro anche un pochino d'Italia (anche se il film ha produzione estera).
Mettiamolo dentro perchè Mine ha un'ultima mezz'ora che mi ha emozionato come poche altre al cinema in questi anni.
E perchè è un film-progetto coraggiosissimo, come del resto lo è il secondo dei due Fabio, Ride (inferiore sì, ma molto interessante)

AMER - HELENE CATTET, BRUNO FORZANI

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Visivamente una delle cose più belle viste questi anni.
Un delirio di colori, rumori, suoni, sensi. Un'opera destrutturata ma di enorme fascino.
La coppia (anche nella vita) dei due registi ha poi girato altri due film, molto simili ad Amer a quanto so, e si sono confermati alla grande.
Spero di vedere il loro ultimo al Torino Horror Film Festival, tra pochi giorni

LA MIA VITA DA ZUCCHINA - CLAUDE BARRAS

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Dopo tantissimi corti Barras debutta nel lungo (al limite, un'ora appena) in maniera straordinaria.
E ci regala un cartone in stop motion di una tenerezza infinita, su una tematica molto delicata.
Barras evita la facile retorica e le facili accuse o soluzioni.
Il suo è un racconto vero, divertente e commovente, con dei personaggi che ti restano dentro


24.9.18

Recensione: "Spider" ( 2002 )




Spider è l'ennesimo film gioiello di un regista immenso.
Apparentemente pare un drammatico poverissimo, dallo svolgimento, anche se in due temporalità, molto lineare ed inequivocabile.
In realtà questo è un thriller psicologico di finezza unica, un lento rimettere insieme i pezzi, un lento ricostruire, un lento risalire alla genesi di quelle ragnatele, di quelle trame, che "spider" Dennis ha sempre costruito.
E la verità, quando finalmente appare, è ancora più terribile dei terribili ricordi che l'avevano sostituita.

Presenti numerosi spoiler e interpretazioni del film alla luce del finale, si invita a leggere previa visione

Quando il piccolo Dennis Cleg si affaccia dalla finestra vede il padre mettere la madre al muro e amoreggiarci.
E' una scena piccola, apparentemente inutile, di un film che, invece, di scene che sembran importantissime ne ha davvero tante.
Eppure Spider, tutto Spider, è là dentro, se quel bambino non avesse guardato fuori dalla finestra la sua vita sarebbe stata completamente diversa.

Spider è l'ennesimo, grandissimo, film di un regista impressionante, quel Cronenberg di cui -accidenti a me- ho visto solo metà filmografia, quanto basta per trovarci dentro capolavori come Videodrome e La Mosca e altri grandissimi film come Existenz, La Zona Morta, A History of Violence e Il Pasto Nudo.
Cronenberg, regista delle mutazioni, dei cancri (intellettivi o materici) porta al cinema uno dei romanzi dello scrittore della malattia psichica per eccellenza, quel McGrath di cui vent'anni fa lessi due suoi bellissimi romanzi (consiglio a tutti Follia).
Sarà lo stesso McGrath a scrivere l'intera sceneggiatura del film, e menomale, perchè questo qua è un testo molto difficile, tutto giocato sui simboli, sui ricordi e sulle sfumature psicologiche, se l'avesse scritta qualcun altro avremmo rischiato il disastro.
E invece no, e invece ne viene fuori uno script perfetto che sarà base di un film stupendo, un drammatico dal vestito poverissimo che ha dentro le stimmate del thriller psicologico urlante e debordante.
Un film in cui funziona praticamente tutto.
 Per prima cosa impossibile non citare le due interpretazioni principali, quella del talentuosissimo Ralph Fiennes e quella della straordinaria Miranda Richardson che in Spider si sdoppierà (anzi, ad un certo punto si triplicherà) in due ruoli opposti tra loro.
Altro punto di forza sono i luoghi.
Lo sgarruppato, fatiscente, scrostato e smorto albergo di quart'ordine dove Dennis viene ospitato dopo il manicomio è talmente iconico e così ben restituito da Cronenberg che dopo 15 anni dalla prima visione me lo ricordavo ancora perfettamente.
E poi la strada lungo il canale, e poi il grandissimo silos, e poi gli "orti", la Londra raccontata da Spider è una città ambigua, infida, sporca, ferrosa e industriale, a suo modo bellissima.
Guardate il prologo con quelle finestre "finte" disegnate nei muri, c'è già tanto della scenografia del film e del suo significato, quello dell'impossibilità di avere una via di fuga, quello di una prigione fisica e mentale dalla quale è impossibile uscire.
Ma la più grande metafora sta forse proprio nelle ragnatele che Dennis (sia da bambino che da adulto) costruisce, questi ghirigori di spaghi e funi, queste trame di fili che altro non sono se non il suo disperato tentativo di trovarlo davvero il filo, quello della ragione, quello del ricordo, quello di sè stesso.
Spider è una grandissima ragnatela mentale di cui solo nello splendido finale riusciremo a trovare genesi e direzione.

22.9.18

Recensione: "Un affare di famiglia"

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Il primo film che vedo di Kore'eda è un'opera molto più importante di quello che potrebbe all'inizio sembrare.
Una profonda, coraggiosa e non banale riflessione sulla famiglia, sul senso di essa, sulla differenza tra l'avere persone a fianco per legami di sangue oppure poterle scegliere le persone che vuoi vicino a te.
Potere sceglierle per stare meglio.
La piccola Yuri è una bimba che, tempo di una notte, si ritrova in una nuova famiglia.
Quasi un rapimento, è vero, ma la stranissima famiglia Shibata, a modo suo, sa darle affetto.
Un film sui diversi punti di vista, sulle diverse prospettive, sui giudizi affrettati, sulla capacità, che a volte non è pura ma comunque efficace, di saper dare amore

Era il mio primo Kore'eda, regista di culto di tanti tanti amici, stimatissimo.
Tra l'altro un regista che più volte (almeno una decina) mi era stato consigliato, anche perchè nei suoi film ci sono tematiche  - e sensibilità nel trattare quelle tematiche - molto adatte a me.
Finalmente un film è stato distribuito (ha vinto Cannes, vorrei vedere) e ci siamo fiondati al cinema.
E ho trovato un film bello, bellissimo, ma che, con non poca sorpresa, ho trovato più potente nel suo lato "impegnato" che in quello emozionale.
Intendiamoci, di scene da brividi a livello emotivo ce ne sono eh, ma sarebbe un gravissimo errore farsi accecare da quelle e non rendersi conto di quanto "Un affare di famiglia" sia film molto coraggioso, quasi ambiguo, politicamente non corretto.
Di sicuro questo film porta a riflessioni sul significato di famiglia e su quello degli affetti davvero importanti (a proposito, devo vedere Captain Fantastic non so da quanto, me l'appunto).
Osamu e suo figlio (dopo ne parleremo...) sono una buffa coppia criminale dedita a piccolissimi furtarelli nei supermercati. 
Qualche zuppa, spaghetti, shampoo, niente di più.
Il fatto è che vivono in un nucleo famigliare di 5 persone, strampalatissimo, e di soldi in casa ne entrano pochi.
Lui, il "capofamiglia", tanta voglia di lavorare non ce l'ha, fa l'operaio a chiamata e se si può far male al lavoro meglio ancora.
La sorella della moglie lavora in una specie di bordello in cui - solite perversioni giapponesi - i clienti guardano le ragazze masturbarsi da dietro un vetro.
La moglie di Osamu non lavora, il figlio, come detto, lo aiuta a rubicchiare e poi, per ultima, c'è la nonna, nonna che ha una pensione ma non è tanto propensa a metterla in comune.
Di ritorno dall'ennesimo furto Osamu e il figlio notano una bimba piccolissima - sui 5 anni - che se ne sta sul balcone di casa al freddo.
Le dicono se c'è la mamma, lei risponde di no, poi la invitano a casa loro.

19.9.18

Recensione: "Entertainment"


Un comico che non fa ridere nessuno.
Misantropo, misogino.
Se ne va sul palco a dire le sue volgari battute, in un tristissimo tour fatto in un'America desertica che sembra morta, come, del resto, sembra morto lui.
Un film di una malinconia infinita, di una solitudine cosmica, pieno di immagini fortissime di vuoto e abbandono.
Una figlia da chiamare la sera, senza mai ricever risposta.
Grande cinema, forse, tra tutti, quello più vicino a me


A me la figura dell'artista malinconico, solo, magari non di successo, o meglio ancora non più capace di averlo quel successo, ha sempre creato una grandissima empatia.
A cercarli troveremmo almeno una decina di grandi titoli sull'argomento.
Non posso però non menzionare tre capolavori o mezzi capolavori.
Uno è il clown di Chaplin in Luci della Ribalta, Calvero. Un clown che non riceve più applausi, ormai solo, abbandonato, prossimo al suicidio. Tra l'altro in questo che è uno degli ultimi film del Sommo c'è anche l'unica scena nella storia in cui i due più grandi di sempre nel loro campo, Chaplin e Keaton, sono insieme.
Poi, almeno 40 anni dopo, c'è stato il fantastico Man on the Moon in cui un Jim Carrey da pelle d'oca interpreta -in modo mimetico, pauroso- il "comico che non faceva ridere", il geniale Andy Kaufman (evidentemente un cognome ad uso dei geni).
Dieci anni dopo esce invece L'Illusionista, l'enorme film di animazione di Chomet.
Un mago che non sorprende più nessuno, che non meraviglia più nessuno. La sua malinconia, la sua amicizia con una bambina.
E quel "i maghi non esistono" finale che mi fermò il cuore per parecchi minuti.


E adesso, ultimo esponente di questa magnifica famiglia, c'è Entertainment del giovane regista indipendente americano Rick Alverson.
Ancora una volta con un impressionante attore protagonista, Gregg Turkington.
La storia di un comico da cabaret volgare che gira gli Stati Uniti senza far ridere quasi nessuno.
La storia di una solitudine cosmica.

14.9.18

Recensione: "Revenge" (2018)

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Vado al cinema pensando di ritrovarmi davanti un filmetto che oltre all'impressionante fondoschiena della Lutz e un pò di sangue non mi avrebbe dato altro.
E invece mi ritrovo un'opera visivamente magnifica, tesa, disperata, dallo stile pazzesco.
Storia che, però, si basa su un antefatto inverosimile, ingiustificabile.
E Revenge mi dà anche l'occasione di parlare finalmente senza mezzi termini su MeToo e femminismo.

presenti tantissimi spoiler



Approfitto di Revenge per dire la mia su un argomento caldissimo e mai attuale come adesso, quello del MeToo.
Questi anni mi è capitato più di una volta (per fortuna non troppe) di rischiare di esser definito maschilista (io?? rido) per aver espresso delle mie opinioni.
Ora, a parte il fatto che io amo le donne come niente altro al mondo e che mai nella mia vita ho compiuto un atto "maschilista", ma andiamo avanti.
Il mondo purtroppo è diventato binario, siamo tutti dei robot che hanno sempre e solo due funzioni, sposti la levetta e sei o uno o l'altro.
Riguardo quello che penso del mondo scrissi questo post, per chi vuole leggerlo.
E da allora è andata solo peggio.



Come non mai nella faccenda MeToo si sono formati due schieramenti per cui o sei dalla parte delle donne o da quella degli uomini. Nessuna sfumatura, se provi ad affrontare la questione in modo intelligente stai sicuro che ti prendi del maschilista.
Ma io in questi argomenti - non in generale-  mi reputo persona molto intelligente e inattaccabile, per questo vado avanti.
Nel film la regista è talmente più intelligente delle cieche femministe da scrivere un personaggio molto coraggioso, ovvero quello di una bellissima ragazza che, in qualche modo, si struscia con tutti, ha atteggiamenti disinibiti, in qualche caso la sbatte (o lo sbatte, il sedere) proprio in faccia a chi ha davanti.

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Quindi fare la ragazza sveglia, farla annusare a tutti giustifica le violenze del maschio?
Questo possono pensarlo solo i maschi malati o le femministe cieche.
Io non toccherei una ragazza, molestandola, nemmeno se questa me lo chiede piangendo.
Piuttosto l'abbraccerei e le darei una carezza se la vedo avere atteggiamenti simili.

Noi persone normali diciamo solamente che una ragazza bellissima, che ama essere guardata, che ama essere adulata, che non ha problemi col proprio corpo, che è disinibita si mette a rischio, c'è poco da fare.
E si mette a rischio proprio perchè il mondo è malato, proprio perchè ci sono uomini che ragionano solo con il cazzo, proprio perchè ci sono persone che hanno solo istinti bestiali e non razionali.
Quando io dico che una ragazza così si mette a rischio non sto dicendo una frase maschilista o la sto privando della sua libertà, AL CONTRARIO, la sto difendendo da un mondo che troppe volte mi fa schifo e da un genere, quello maschile, che troppe volte mi sembra un genere cui io non appartengo.
E invece dire che questi comportamenti disinibiti, queste libertà, queste provocazioni, mettono a rischio le ragazze mi fa del maschilista.

12.9.18

Recensione: "Ride" (2018)

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Il nuovo progetto dei registi di Mine (qui in molte vesti ma non di regia) è a mio parere un passo indietro rispetto all'opera prima, opera prima che per me fu terribilmente emozionante.
Ma Ride è film ancora più difficile e ambizioso, un progetto folle, quasi senza senso ma che deve esser solo premiato.
In un incredibile mix tra Natura e Tecnologia la storia di una misteriosa corsa di downhill, una corsa che più va avanti più si rivelerà qualcos'altro, qualcosa di terribile.

presenti molti spoiler, all'inizio anche su Mine

La visione di Mine - due anni fa quasi spaccati-  fu una delle più sorprendenti dell'intero anno.
Perchè ad una prima parte interessante ma con qualche problema, seguiva una seconda, e in particolare un'ultima mezz'ora, che mi aveva aperto in due specie perchè quello di cui parlava, quell'immobilismo, quella paura di alzare il piede ed andare avanti, rappresentavano perfettamente quello che mi stava accadendo in vita.
In realtà la metafora di Mine, magnifica, è una metafora che coinvolge tutti noi, in più ambiti. Ma con me era perfetta. E andare avanti dopo aver saputo che quella mina non scoppierà non serve a nulla, bisogna avere il coraggio di farlo prima.
Vado quindi a vedere il nuovo progetto di Fabio & Fabio (Guaglione e Resinaro, anche se alla regia c'è Jacopo Rondinelli) carico di attese.
E mi ritrovo davanti un film "alieno", qualcosa di mai visto prima, un progetto coraggiosissimo sia nel soggetto che nella tecnica di realizzazione.
Film con tanti difetti e inverosimiglianze, con troppa carne al fuoco.
Ma, cavolo, un film che rischia da morire e che non premiare sarebbe veramente un suicidio.

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I due Fabio (credo sceneggiatori, consulenti, produttori e forse anche montatori, ma vado a ricordi di facebook) capovolgono completamente la situazione di Mine.
Lì un uomo fermo, impossibilitato a muoversi, qua due atleti lanciati in una folle downhill, per capirsi la disciplina di quei pazzi ciclisti che se ne vanno a duemila l'ora già per montagne e colline.

Appunti veneziani di un giovane appassionato - 2018 - parte 2 - I grandi film in concorso



Ed eccoci alla seconda parte del resoconto veneziano di Riccardo Simoncini.
Questi di cui parlerà sono, a suo parere, i 7 migliori film presentati in concorso.
E ci sono tutti registi che adoro, Lanthimos, Cuaron, Nemes, Reygadas, Corbet, i Coen...
Io, mannaggia, non posso legger nulla.
Voi fatelo ;)
E se commentate Riccardo vi risponderà su tutto.

The Favourite (Concorso)


Corte sfarzosa del 1700.  Una guerra è in corso. Sarah (Rachel Weisz) è la Favorita della regina. Fredda, spregiudicata, assetata di potere, a tal punto da scavalcare spesso la regina e prendere decisioni al suo posto. Arriva poi alla corte una cugina della Favorita, Abigail (Emma Stone), una dama declassata per problemi di famiglia. E se all’inizio suscita pena e compassione, per il suo essere continuamente maltrattata, sfruttata, derisa e picchiata, ben presto si capirà che, dietro quella gentilezza e nobili sentimenti, si nasconde in realtà uno spirito calcolatore e comunque pur sempre spregiudicato. Perché Abigail vuole diventare la nuova Favorita. E così inizierà la lotta tra le due cugine, entrambe spregiudicate, ma dai metodi diversi. Sarah così dura e fredda, ma così spontanea, l’unica che osi dire alla Regina che “assomiglia ad un tasso”. Abigail gentile, intelligente, ma più simulatrice, ingannatrice. 
E queste due donne si scontrano di fronte ad una regina (Olivia Colman) fragile fisicamente e psicologicamente che, dopo aver perso 17 figli, può solo trovare conforto in conigli che portano i loro nomi. È infatti proprio lei il personaggio chiave del film, in questa sua fragilità, che tanto si oppone alla sua carica di regina, che dovrebbe invece rappresentare sicurezza e autorità.
Ed in effetti le sorti di tutta la storia sono affidate a donne, personaggi femminili complessi, intelligenti, capaci di controllare, decidere, governare. La femminilità è il Potere, il controllo. I personaggi maschili sono al contrario incapaci di agire razionalmente, , in preda alle loro pulsioni più primitive e totalmente sotto il controllo delle diverse sfaccettature della Lei. Sono proprio questi personaggi maschili quelli più divertenti. Sì, perché questo nuovo Lanthimos si allontana in parte dalla componente disturbante (forse anche perché cambia lo sceneggiatore), per approdare più concretamente alla commedia: cinica, cattiva e irriverente, riuscendoci perfettamente. 

Roma (Concorso) 

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Il film-esperienza di Venezia75. Dopo essere stato lanciato al grande cinema, Alfonso Cuaron torna con il suo film più personale. Un film fortemente autobiografico, per raccontare una famiglia borghese messicana degli anni ‘70, in particolare le donne che la formano, il vero pilastro di tutto il nucleo familiare. La femminilità qui trascende i rapporti di classe, ponendosi come l’unica in grado di occuparsi della vita quotidiana della famiglia. La famiglia di Cuaron. La sua esperienza. Che diventa anche la nostra. Ed è interessante a tal proposito una frase pronunciata continuamente da un personaggio bambino (Cuaron?) del film:
“Quando ero grande, facevo...” 
“Si dice: quando sarò grande” viene corretto dalle persone che ha intorno 
“Quando ero grande, prima di nascere” puntualizza lui. 
Ed è quello che in effetti fa Cuaron. Un grande regista, famoso, diventato “adulto”  con film dai grandi attori americani, rinasce bambino e ricorda come un bambino. Semplifica la storia e la rende ricordo. Perché, come si è detto, il film è una vera e propria esperienza di immersione ed atmosfera, fatta di suoni, musiche diegetiche, immagini oniriche in bianco e nero. 
Tutto questo è funzionale non solo a raccontare un microcosmo familiare  ma anche per delineare un macrocosmo nazionale: il Messico. Il Messico di Cuaron. Il Messico dei cambiamenti sociali. Il Messico che ha generato un grande regista, che è riuscito a portare il grande cinema anche al di fuori del suo Messico.

The Ballad of Buster Scruggs (Concorso)

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Sei episodi (in questo festival tanti sono i film che sfruttano gli episodi o la divisione in atti per la narrazione). Tutti western. Tutti nello stile tipico dei fratelli Coen. Ma comunque sei episodi autonomi, ognuno con la sua storia, ognuno con i suoi attori. Potremmo quasi definirli come “fiabe americane”. Ognuna esplora in maniera diversa un aspetto di un genere che forse molti potrebbero rilegare al passato. Ma l’approccio dei Coen è come sempre geniale, perché dagli episodi emergono tutte le sfaccettature dell’animo umano, eterne e costanti nell’evoluzione del tempo, così tanto divertenti e grottesche, come da sempre ci hanno abituato. 
Ed in effetti seppur il western faccia da sfondo, i generi si mischiano e permane sempre  quella commedia irriverente, che è ormai un marchio di fabbrica di grande qualità della coppia di registi. 

Sunset (Concorso)

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La degna continuazione de Il Figlio di Saul è a Budapest, all’alba della Grande Guerra. Il volto che la telecamera segue continuamente durante il film è questa volta di una ragazza, Irisz Leiter, che arriva da Trieste cercando lavoro come modista nel negozio di cappelli che una volta apparteneva ai genitori, morti in un incendio. 
Le suggestioni e gli interessi di Nemes sono rimasti, però, invariati da il figlio di Saul. A muovere i personaggi c’è sempre la ricerca continua di un qualcosa. Di misterioso, di nascosto. Un rabbino ne il figlio di Saul. Un fratello inaspettato in questo secondo film. Un fratello che si nasconde. Un fratello che potrebbe avere a che fare con un gruppo di rivoluzionari. Ma pur sempre un fratello. 

A far da sfondo alla vicenda c’è poi sempre un’epoca storica ben precisa, che in qualche modo conserva un rapporto diretto con la realtà della guerra. Ne Il figlio di Saul gli effetti di questa sono già del tutto evidenti. Perché siamo nel bel mezzo di un campo di concentramento. Nemes ci mostra cioè una caduta e una dissoluzione ormai in atto, forse già quasi conclusa. In Sunset, invece, la guerra deve ancora iniziare. Vediamo insomma le premesse della dissoluzione del tutto. Tristi e inquietanti presagi di una fine imminente, che porterà quella distruzione raccontata nel primo film. Ed in questo senso il titolo “Tramonto” si deve forse intendere: il momento di passaggio tra la fine di qualcosa, l’affievolirsi della luce e l’incombere devastante di un buio che tutto divora e avvolge. Un buio che abbiamo ben conosciuto ne Il figlio di Saul e di cui in questo caso vi è solo presagio. 
Ma come detto a dominare la scena è l’essere umano, che si concretizza in questo film nella figura di Irisz. Le sue ossessioni, le sue paure, le sue ambizioni. E se quindi insomma tutto ciò che le sta intorno sta cambiando, “tramontando”, anche lei sta mutando. E dalla piccola e dolce ragazza piena di luce e di speranza, lentamente emergerà un buio, che conquisterà anche il suo animo, ormai attuazione di quella guerra che prima era solo un triste presagio.


Vox Lux (Concorso)


Dopo il bellissimo “L’infanzia di un capo”, Brady Corbet torna con un film che appare più che legato alla sua opera prima. Cosa porta una persona comune a diventare un leader? In che modo può essere capace di riunire e condizionare intere masse di persone? Se nel primo film questa figura si concretizzava in un futuro dittatore (di cui solo alla fine ne vedevamo il compimento), in questo caso la protagonista è una popstar, in egual modo persuasiva e potente, seppur in maniera diversa, contestualizzata all’interno di un’epoca storica ben precisa. Se ne “L’infanzia di un capo” il tempo era il Novecento dei grandi totalitarismi, ora il tempo è quello presente, tra il 1999 e il 2017, quello delle stragi nelle scuole, delle Torri Gemelle, dei terroristi islamici. Quello in cui proprio quegli stessi terroristi possono indossare maschere ispirate alla nostra popstar. Celeste il suo nome (da ragazzina interpretata da Raffey Cassidy e da adulta da Natalie Portman). Celeste come il cielo. Come un cielo sereno, limpido, puro, privo di preoccupazioni. Celeste e luminoso, come quegli abiti, quelle coreografie, quei video così colorati, allegri, sfarzosi. Ma che nascondono sotto una personalità fragile, spesso cattiva, soprattutto nei confronti delle persone a lei più vicine. La “star”, la stella, una luce, in un cielo celeste, nasconde dentro un grande buio, un grande vuoto.

Nuestro Tiempo (Concorso)

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“Il nostro tempo”. “Nostro” inteso come personale, in prima persona, di una famiglia. Di una coppia. L’occhio di Reygadas (che qui ricopre anche il ruolo di protagonista) si immerge del tutto nella vicenda. Come in tutti i suoi altri film, accediamo ad un nuovo mondo, evanescente, onirico, pieno di emozioni. Il Tempo in questione non è quello narrativo, ma quello interiore dei personaggi. Quello filtrato dalla soggettività. In questo senso è una vera e propria storia personale, dato che nel film ci sono Reygadas, la moglie, i figli. Tutto questo in un ranch, con tori, cavalli, che regalano sequenze magnifiche, dal grande impatto visivo. Quei tori che combattono, quei cavalli che corrono. E che riprendono un po’ quelle figure umane che si destreggiano, scappano, si ritrovano. E non è un caso che ad ostacolare la relazione coniugale sia un addestratore di cavalli, la persona che dovrebbe quasi “umanizzare” gli animali. Tra questo triangolo di persone si sviluppa la vicenda, che ovviamente si allontana dalla narrazione classica, per scegliere invece una messa in scena sempre coinvolgente ed estasiante.

Killing (Concorso)

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Il nuovo film di Shinya Tsukamoto. Una nuova riflessione sulla violenza. Questa volta su un fenomeno radicato nella cultura giapponese: quello dei samurai. In effetti anche noi spettatori abbiamo sempre visto film su samurai, senza porci troppe domande sulla legittimità di quella violenza. Tsukamoto, invece, parte proprio da questo dubbio: come può essere così facile uccidere? Ammazzare persone senza alcuna esitazione? E lo fa prendendo come punto di riferimento un giovane samurai incapace di uccidere. Si sviluppa così non solo una riflessione sul concetto generale di violenza, ma proprio su una tradizione, su una componente ormai del tutto consolidata nell’immaginario collettivo. In questo senso il film nasce dal passato e dalla storia per poi modernizzarla, attualizzarla, ponendo in prima linea un problema più che mai contemporaneo.

Violenza come dimostrazione di forza e coraggio, per diventare eroi, per sentirsi i migliori del villaggio. Come se bastasse uccidere per essere apprezzati e considerati.