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29.6.19

10 anni de Il Buio in Sala, un traguardo (per me) incredibile che merita qualche riflessione



Non so come ma ce l'ho fatta.
Il 29 giugno 2009, dopo aver visto il film La Zona, decisi di scrivere le mie impressioni online, stufo com'ero di farlo in quaderni che poi, sistematicamente, perdevo.
Nacque Il Buio in Sala.
Oggi 29 giugno 2019 sono passati esattamente 10 anni, traguardo che nemmeno nelle speranze (o incubi...) più grandi avrei mai pensato di raggiungere.
Potrei approfittare di questo post per raccontare in modo definitivo e dettagliato tutte le cose successe in questi 10 anni nel blog, dai suoi primi tre anni senza lettori al piccolo successo venuto poi, dalle numerosissime iniziative che ho portato avanti (il film del millennio su tutte) agli aneddoti più curiosi, dai lettori storici ai risultati raggiunti.
E invece no, non ho voglia, sarebbe troppo lungo ;)
Però ci tengo a dire solo una cosa, la più importante.
Il Buio in Sala non è mai stato un blog, o almeno non solo.
Il Buio in Sala è Giuseppe Armellini, lo è stato sin dal primo giorno.
Ho spesso "usato" questo spazio per parlare di me, e l'ho fatto sfruttando furbescamente una delle mie passioni più grandi, i film.
Se io adesso mi prendessi 500 ore per rileggere tante mie recensioni molto probabilmente nemmeno mi accorgerei dei film di cui parlavo ma riconoscerei me stesso in quello che scrivevo.
Riconoscerei la mia serenità quando ce n'era pure troppa o tutte le volte che è tornata.
Riconoscerei tutte le volte che mi volevo divertire come un pazzo e fare divertire chi mi leggeva.
Riconoscerei tutte le mie speranze andate in fumo.
Riconoscerei i miei fallimenti e i periodi in cui, invece, mi sentivo realizzato.
Riconoscerei tutti i miei amori, quelli lunghi di una vita, quelli corti e devastanti, quelli non vissuti, quelli aspettati, quelli che mi hanno portato su e quelli che mi hanno affossato.
Riconoscerei il mio anno di vera Depressione e tutti gli altri mesi di (non)depressioni in senso lato, il più delle volte ipocrite e autoinflitte.
Riconoscerei il mio esser diventato padre e il cominciare a vedere i film in tutta un'altra ottica, quella che solo i padri possono capire.
Riconoscerei ogni mese della mia vita da giugno 2009 a giugno 2019.
E lo riconoscerei camuffato da film.
So che anche voi, in mezzo a tutti quei fiumi di parole che parlavano di film, scorgevate un pò chi ero.
Certo, potevate vedere, capire e intuire solo una piccola parte di me, delle mie paure, dei mie pensieri, delle mie gioie e dei miei dolori.
Sono orgoglioso che questo mio falso diario sia stato letto da voi, un "pubblico" straordinario che ho sempre sentito molto simile a me (e non è un caso che i raduni mi hanno manifestato questa sensazione).
Un pubblico scelto che io non ho scelto.

Sono un pò stanchino con il blog in questo periodo, lo dico davvero e non per piangermi addosso.
Questo è l'anno con meno post in assoluto (in compenso sono molto attivo nella pagina fb che, però, esiste solo perchè esiste il blog), ogni nuovo film ci metto 5 giorni prima di scriverlo.
Sono stanco ma forse solo perchè sono tanto stanco mentalmente anche nella vita, soffocato da una parte di "non vita" che spero si tolga via di mezzo presto per far esplodere in realtà tutte le speranze che sotto sotto sento di avere.
Sono stanco ma vado ancora avanti, adesso c'è finalmente il logo, tra poco ci sarà una sorpresa molto grande che spero funzioni, a settembre un raduno che - ne parlerò prestissimo - si prospetta come il più bello di sempre (a parte il primo).

Quindi sono ancora qua, 10 anni dopo, a provare a resistere sapendo che posso crollare da un momento all'altro come ricominciare con un piglio mai avuto prima (capire quale delle due sia una minaccia sta a voi deciderlo).

E forse il buio in sala, quello reale, è anche la perfetta immagine di tutto questo, noi esseri viventi in cui il buio e la luce si alternano continuamente.
Ma anche nei periodi peggiori, quando il buio è completo, ricordatevi che quello è anche il momento in cui la luce si vede meglio e più intensa.
 Come nelle sale del cinema quello è il momento migliore per poter poi godersi sto strano, meraviglioso, contorto e difficilissimo film chiamato vita

in alto i calici quindi
ai prossimi 10 anni, ehm, mesi

28.6.19

Recensione: "Styx"


Un film che non potevo vedere in un momento più opportuno.
Consiglio di farlo anche a voi.
Una donna, medico, una mattina parte per un viaggio in mare in solitaria verso un'isola remota, in mezzo all'Atlantico.
Sembra di ritrovarci in uno di quei film sulla fuga dal mondo per ritrovare sè stessi.
Poi, però, accadrà qualcosa che modificherà completamente il viaggio della donna e il film con essa.
Styx, lo Stige, è il fiume dell'odio, un fiume che diventa mare, un mare che diventa oceano, un oceano che diventa simbolo di vita e di morte, di scelte umane e di altre incomprensibili

pesanti spoiler dopo la metà


Davvero incredibile che io, senza sapere nemmeno di che parlasse, abbia visto Styx questi giorni.
Per favore, cercate di vederlo anche voi, questo sarebbe proprio il periodo migliore.

Una delle tipologie di film che amo di più.
Quella dei film fatti col nulla, pieni di assordanti silenzi, in cui le cose accadono ma non c'è bisogno ogni volta di spiegarle, quella dei film a effetto farfalla, e non per il significato che gli date voi, no, per quello che intendo io, ovvero quella dei film che nascono in un modo e poi si trasformano in altro.
Ci sono davvero quasi tutte le cose che cerco nei piccoli film in questo bellissimo Styx, opera talmente attuale che mi porta a definirla necessaria e io, se mi leggete da tempo, sapete che sto aggettivo non lo uso praticamente mai (anche se abuso di altri).

Siamo a Gibilterra, terra se ce n'è una simbolo di confine e approdo.
Nella prima scena vediamo una scimmia aggirarsi per muri e tetti (forse a significare come ogni terra è alla fine di tutti e anche a richiamare quello che invece andrà a ricercare lei, ovvero un'isola incontaminata di soli animali).
Poi un incidente stradale.
Poi i soccorsi.
E poi siamo dentro l'autoambulanza, un medico, un infermiere, la situazione che si stabilizza.
Stacco.
Adesso c'è quel medico, quella donna, pronta a partire in barca a vela.
La vediamo caricare la barca di provviste ed acqua, poi partire.
Non sappiamo se quella fosse una "vacanza" programmata, non sappiamo se sia una decisione improvvisa, non sappiamo se lei ha mollato il lavoro o si assenta solo un pò, non sappiamo nemmeno se quello che vediamo è il giorno dopo l'incidente o giorni (o mesi) dopo.
Non sappiamo nulla, solo che un giorno quella donna ha deciso di partire.
La sua meta è l'Isola di Ascensione, un'isoletta persa nell'Oceano Atlantico a metà tra l'Africa e il Sud America.
La donna calcola con una mappa e un compasso la distanza da fare.
L'isola è lontana, si parte.
Si dice che sia un luogo incontaminato di cui ha parlato Darwin, la donna ne è tremendamente affascinata tanto che spesso legge il libro in cui se ne parla.
Un medico abituato a salvare persone e vivere lo stress degli "altri" che decide di staccare da tutto e da tutti, prendere tempo solo per sè stessa, da sola, in un viaggio in solitaria molto duro e difficile, roba per gente esperta.
Ero pronto per vedermi questo film sulla fuga dal mondo, sulla riscoperta di sè stessi, sul dare un senso alla propria vita.
No, Styx sarà un film che parlerà di tutt'altro, anche se, forse, la riscoperta di sè stessi e il dare un senso - o un non senso - alla propria vita restano lì, immutati, solo che ci si arriva attraverso un percorso diverso.

La donna gestisce la barca alla perfezione, comunica con la Guardia Costiera, si fa un tuffo in pieno oceano, ha una serenità interiore pazzesca.
Ed è il caso di parlare allora di Susanne Wolff, l'attrice che interpreta quella che, sempre che io non ci abbia fatto caso, è la donna senza nome del film.
Una prova pazzesca quella dell'attrice tedesca, e non solo a livello recitativo (sguardi stupendi, forza, dignità, coraggio) ma anche fisico.
Faccio fatica a pensare che la Wolff non abbia esperienza "nautica" vista la destrezza e la forza con cui affronta ogni scena.
Una prova massacrante che in almeno un paio di scene raggiunge davvero il limite che si può chiedere a un attore.
Straordinaria.


Arriva una tempesta perchè, si sa, non esiste nella storia alcun film di mare senza tempesta.
C'è un'inquadratura magnifica laterale in cui sembra che ogni volta la barca sia stata completamente inghiottita dalle onde, per poi riemergere.
La donna passa la tempesta, ma quella atmosferica era molto meno pericolosa di un'altra tempesta, molto più umana, che la sta per colpire.
E qui il film cambia, totalmente.
E da film intimo ed esistenziale diventa opera attualissima e di denuncia.
La donna vede un peschereccio.
Prova a contattarlo via radio, nessuna risposta.
Poi col binocolo si accorge che in quel barcone ci sono tante persone, e in chiarissima difficoltà.
Sono migranti, l'imbarcazione è ferma, in avaria, e loro non possono far nulla.
Anche loro, però, si sono accorti della barca a vela della donna.
Le chiedono aiuto, qualcuno si butta in mare, un ragazzino riesce a raggiungerla.
Tra l'altro la scena in cui la donna riesce a tirar dentro la barca Kingsley, il giovane migrante, è forse la più bella del film, nonchè scena madre.
La viviamo completamente, in tutta la sua fatica, senza stacchi, una donna che cerca disperatamente di tirar su un corpo "morto", esanime, rischiando seriamente di non farcela per lo sforzo.

23.6.19

Recensione: "Il Traditore"


Bellocchio a quasi 80 anni tira fuori un film notevole, su una storia che prima o poi doveva essere raccontata, ovvero quella di Tommaso Buscetta, il primo e più importante collaboratore di giustizia (leggi pentito) della nostra storia italiana.
Un Favino straordinario, tante altre interpretazioni notevoli, la capacità di raccontare senza perdere mai il filo o confondere lo spettatore.
E una cura maniacale nel riportare al dettaglio fatti realmente accaduti, specialmente tutti i confronti del Maxi Processo di Palermo.
Eppure non un film perfetto, debole ad esempio quando Bellocchio vuole fare un pò il Sorrentino de Il Divo.
Ma resta un'opera da vedere, per ricordare chi siamo e da dove veniamo.
Anche se tutto è riassunto nelle parole di quella straordinaria donna che risponde al nome di Rosaria Schifani

Davvero molto particolare che abbia visto Il Traditore appena un giorno dopo aver finito quel capolavoro di Chernobyl (a proposito, è passata una settimana dalla visione in sala di questo film, sarà una recensione molto rimaneggiata, anche perchè non è la mia tipologia di film).
Particolare perchè in entrambi i casi la caratteristica principale delle due opere è una e solo una, ovvero la cura che è stata messa nell'operazione.
Finire il film e il giorno dopo vedermi tutte le interviste a Buscetta e tutte le immagini del Mega Processo alla Mafia è stata un'emozione molto forte.
Bellocchio ha riportato tutto fedelmente, ci sono dei dialoghi al processo identici alla realtà.
Ed è bello notare le piccole differenze, come ad esempio quell' "ipocrita" detto da Buscetta nei confronti di Calò, epiteto nella realtà detto due volte e nella finzione cinematografica almeno 5. Sono queste le affascinanti piccole correzioni in sceneggiatura, quelle lievissime esagerazioni che servono nel cinema ma che, però, non tradiscono la realtà.
La carriera di Bellocchio è una delle più longeve del cinema europeo, 54 anni al 2019.
Tutto partì con un'opera prima che, incredibilmente, resterà poi uno dei 3,4 capolavori indiscussi del regista, "I pugni in tasca" del 1965 (mi fa pensare ad Haneke e a quel suo impressionante esordio con "Il settimo continente", alla fine per certi versi film non lontanissimo dall'opera prima di Bellocchio).
Io  - che lo sapete non sono un cinefilo - ho visto solo 4 film del maestro, Il Traditore compreso.
Quindi non farò nessun excursus sulla filmografia nè parlerò più di tanto di quello di cui racconta il film, non essendo di certo il mio campo.
Andiamo al film quindi.

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Ecco, devo dire subito una cosa.
Il Traditore è un film davvero potente, curatissimo, solido, ben raccontato.
L'unico problema è che Bellocchio (per fortuna o purtroppo) non è Sorrentino e quando fa il Sorrentino, quando gioca con il grottesco, cade quasi malamente.
Il suo è un cinema secco, classico, certo non solo realistico (come dimenticare ad esempio la splendida scena della fuga di Moro in Buongiorno Notte?), ma in questo film ho trovato più di una scena "a là Il Divo" francamente poco riuscita.

19.6.19

Recensione" "Chernobyl" - Le Serie Tv de Il Buio in Sala - 18 -




1986
Ho 9 anni e sono un bambino felice.
Per capire com'ero fisicamente e com'ero felice c'è questo video, di appena 4 mesi prima del disastro di Chernobyl.
Quattro fratelli, un nonno che riprende. 
E poi arriva mia nonna, andata via da questo mondo due mesi fa, con tutta la sua quasi indisponente bellezza.


(Ah, io sono quello che somiglia a me)


Quattro mesi dopo questo Natale scoppia un reattore in Russia.
Noi siamo piccoli e italiani, frega una sega.
Ma ad un certo punto cominciano a dirci di non mangiare l'insalata.
E siamo a migliaia di km dal disastro, pensate voi chi sta là.
Quell'estate, quella del 1986, nel mio paesino arriva una piccola bambina bionda, quasi nostra coetanea.
Dicono arrivi dalla Russia, dicono che tante sono scappate da là per essere date in affidamento in paesi lontani.
Ecco, il mio Chernobyl è un'insalata da non mangiare e una bambina troppo bionda per essere una di noi.
Poi son cresciuto, sono passati 33 anni da allora e io di quel disastro ho visto tanto e ho saputo tanto, chè, sapete, io quando ci sono robe di catastrofi naturali, tragedie e cronaca nera divento un'aquila in picchiata sulla preda.
Mi han detto in tanti che era uscita una serie bellissima, straordinaria persino, su Chernobyl.
Una serie che non strumentalizzava nulla, di una cura pazzesca.
Dura solo 5 puntate giusè, vedila.
E siccome eran davvero solo 5 puntate, e siccome era Chernobyl, la mia Chernobyl di insalate, bambine e di tanti documentari visti, ecco, per una volta ho trovato la forza di iniziare e finire una serie.
Mi aspettavo una cosa bellissima, non è stato così.
Perchè Chernobyl è un capolavoro.


Non so da dove iniziare.
Ok sì.
Siamo tutti esseri umani e quindi, in una visione cristiana, tutti portatori di un peccato originale.
Ecco, a prescindere dal credere o no, il concetto di peccato originale è interessante. Perchè per quanto una cosa possa essere perfetta, per quanto anche una vita lo possa essere, se c'è un peccato originale state sicuri che quello, laggiù in fondo, ci aspetta sempre.
Chernobyl, questa serie che flirta con la perfezione continuamente portandosela anche più volte a letto, il suo original sin ce l'ha.
Siamo in Russia, sono tutti russi, quasi ogni fottuto personaggio è realmente esistito, tutto è documentato, insomma, siamo dalle parti della mimesi documentaristica.
Eppure sti russi parlano tutti in inglese.
Ecco, dobbiamo dimenticarci sta cosa, far finta che non esiste.
Ho pensato che ci fossero solo due strade, quella di usare attori che parlassero russo (ma dove ne trovi decine di notevoli?) o quella di avere un cast della madonna e di dio ma rinunciare alla lingua.
La strada ibrida, quella di far parlare russo il cast della madonna e di dio sarebbe stata grottesca.
Io credo che si sia scelta la soluzione migliore, o la meno peggio.
Siete disposti a dimenticare sto peccato originale?
Ecco, fatelo.
Perchè tolto questo io non sono riuscito a trovare un solo difetto, uno.

La regia meravigliosa, la ricostruzione delle location, dei costumi e delle tecnologie, la fotografia, la colonna sonora (in cui oltre alle musiche vorrei segnalare i rumori), gli attori, la perfezione dei dialoghi (miodio), il saper quasi affrontare in un simil documentario tutti i generi cinematografici, c'è di tutto.
Ma la cosa più commovente è una cosa nascosta, non sono le emozioni di ciò che vedi ma un'altra cosa.
E' la cura.

14.6.19

Oltre l'Immagine, viaggio nel significato nascosto dei film (9) - Waking Life - di Edoardo Romanella

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Nono appuntamento con la rubrica di Edoardo



IL SOGNO E’ IL DESTINO



Questa è una delle prime frasi del film, ed è una frase che dice tutto su questo straordinario capolavoro: Waking Life, di Richard Linklater.
Stavolta non c’è bisogno di particolari spiegazioni che ne facilitino la comprensione, perchè ciò che vediamo dall’inizio alla fine altri non è che un sogno, un sogno rappresentato come meglio non si poteva fare, facendo uso della cosiddetta tecnica del Rotoscope (già utilizzata per “Il signore degli anelli” del 1978): dapprima utilizzando il digitale per le riprese, poi una squadra di disegnatori per creare ogni fotogramma con linee e colori, in un lavoro di quasi un anno, servendosi degli artisti più svariati, al fine di dare al film un effetto costantemente mutevole, surreale e onirico. Il risultato incredibile, che non ha precedenti.
Assistiamo a un susseguirsi di riflessioni sull’esistenza, di situazioni bizzarre, di strani personaggi e di immagini tremendamente potenti, vissute da un protagonista fisso, che altri non è che un ragazzo, e vive tutto ciò nell’istante prima di morire (un incidente come probabile causa).



Quello che più sorprende, oltre alla potenza delle immagini e all’associazione delle stesse (come se fossimo davvero all’interno di un sogno) sono i dialoghi del film, le cose che vengono dette, scandalosamente profonde, filosofiche, surreali e al tempo stesso logiche, in una sceneggiatura unica e irripetibile, scritta interamente da Richard Linklater, con citazioni anche a filosofi, scrittori e scienziati contemporanei, tra i quali a un certo punto, alla fine del film, spicca la mente di uno dei più grandi scrittori del nostro tempo, il grande Philip K. Dick.

SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO


E poi quelle musiche: straordinarie, incredibili, perfette.
Quando l’ho visto sono rimasto incredulo davanti a un risultato del genere, sembrava di sognare anche a me. Sognare ed essere consapevoli di stare sognando, così è all’interno del film, e così anche a tutti voi probabilmente sarà capitato qualche volta, l’unica differenza è che ognuno di noi si risveglia la mattina successiva, il protagonista invece, come mostrato nel finale, non più soggetto alla forza di gravità (anche questo comune effetto del sogno), viene attratto verso il cielo, che sta a significare la fine della sua vita (cosa ci sia oltre non potremo mai saperlo).



Basta, non occorre che dica più nulla riguardo quest’opera, ogni parola sarebbe superflua. Solo un consiglio obiettivo e spassionato: dovete guardarlo, c’è l’Universo in questo film.
Forse il più grande nella storia del cinema.

11.6.19

Recensione "Vampire Princess Miyu (OAV) " - Anime e Core, la grande passione per l'animazione giapponese - 2 - di Enrico G.



Torna il giovanissimo Enrico con la sua rubrica sull'animazione giapponese.
A differenza della prima puntata ( 5 cm al secondo ) qua si entra in territori più di nicchia e da veri appassionati.
Enrico si prende il suo tempo e mette anima e corpo nel parlare di questo OAV.
Vi lascio a lui

Cominciamo sfatando un mito, ovvero che la serialità animata in tv piuttosto che in dvd sia sinonimo di bassa qualità. Ormai le serie sono sdoganate tra gli alti ranghi dell’intrattenimento, tanto che stanno quasi prendendo il posto del cinema (non nascondo quanto la cosa mi spaventi), amate dalla massa che le ha strappate al consumo esclusivo dei nerd, e vi viene investito tempo e denaro appropriato. Eppure l’animazione, specie quella non americana e destinata all’home video, fatica a scrollarsi di dosso tali stereotipi.
  Ancora oggi, normalmente, qualcosa che arriva direttamente in dvd è per noi italiani uno di quei film stranieri un po’ di nicchia o indipendenti che non sono stati fatti passare sul grande schermo, oppure, secondo una logica americana, prodotti di scarso valore/budget destinati a riempire i cestoni dei negozi. 
In Giappone invece, tutta un’altra politica. L’home video era spesso un banco di prova dove testare il consenso del pubblico per determinate storie o generi, portando alla creazione di altri film o serie animate. Queste animazioni sperimentali chiamate OVA (acronimo di Original Animation Video) erano prodotti curati, sovvenzionati e spesso anche gestiti con totale libertà creativa, una possibilità insomma per nuovi autori di emergere, raccontando le loro storie indipendentemente dal successo che avrebbero potuto avere. Grandissimi artisti hanno usato questa espressione (Cyber City di Yoshiaki Kawajiri), anche per rattoppare gli errori di serie tv pessime e infedeli verso il manga (Hellsing Ultimate).
Per questo vi invito alla miniera di diamanti dimenticata, di cui oggi proverò a rispolverare una gemma.


Questa lunghissima premessa per contestualizzare Vampire Princess Miyu, strambo esperimento in animazione tradizionale, simbolo di un periodo incerto, con i primi vacillamenti nella produzione OAV dopo un boom negli anni appena successivi.
Il 1988, anno di produzione, serpeggia all’interno di tutti e quattro gli episodi: si sente la sottile paura che preannuncia la fine degli eccessi degli ‘80, gonfi di una nausea satura di capitalismo. E senza nemmeno più una filosofia alternativa, visto che il comunismo sta collassando, come farà il Muro di Berlino l’anno dopo. Nel primo episodio c’è una scena a suo modo profetica: la protagonista umana, la sensitiva Himiko, arriva all’aeroporto, adocchia un taxi, ma un breve sguardo al suo portamonete le fa capire che dovrà andare a piedi. Non è un periodo florido, neanche per il ricco Giappone, patria della produttività.

10.6.19

Recensione "Upgrade" + Recensione "Target" (Su Netflix, Gli Abomini di Serie Z - 30 - ) - La Doppietta di Vieri - 1 -

Ormai io e il mio grande amico Vieri (che - anche se il titolo della rubrica vuole fuorviarvi - è il nome e non il cognome) abbiamo preso l'abitudine di vedersi una volta al mese e fare una cosa, ossia vedere un film bellissimo (leggasi "vedere un film che si spera bellissimo") e un altro bruttissimo (leggasi "e un altro che si spera bruttissimo").
Consecutivamente intendo, la stessa notte.
Gli altri film visti insieme le volte scorse sono finiti nel blog in modo singolo.
Adesso, anche per costringerlo a venirmi a trovare più spesso, di questo appuntamento voglio farne una rubrica e siccome sono intelligentissimo, siccome Vieri è famoso anche per essere il cognome di un calciatore e siccome vediamo due film alla volta, eccovi come titolo La doppietta di Vieri.
Intendiamoci, potrebbero anche esserci sorprese a volte, come che il film che speravamo bello sia invece bruttino o che quello che speravamo fosse bruttino ci sorprenda.
Stavolta no, nessuna sorpresa, il bello era bello e il brutto era molto brutto.
Tra umani-robot e enigmisti indonesiani andiamo a scrivere due righe di entrambi

 


presenti notevoli spoiler

Il  motivo per cui l'ho visto è principalmente uno, ovvero la presenza di Logan Marshall-Green, troppissimo amato in The Invitation (rivisto settimana scorsa, ancora più bello).
Poi ricordavo pareri di amici molto positivi e, insomma, era un buon candidato.
Per la mia solita talebaneria del cercar di non saper nulla non ero nemmeno a conoscenza che fosse fantascienza.
Bene così, questo tipo di fantascienza "umana" sapete che l'adoro.
Per dare un'idea a chi non vuole inoltrarsi nella recensione diciamo subito che siamo dalla parte di Ex Machina, ovvero di quei film che raccontano hardware in grado di diventare "troppo umani". Ovviamente potrei citare altri mille casi, da 2001 a Her ma ci siamo capiti, siamo in quella fantascienza dove robot o dispositivi fantascientifici somigliano sempre di più a noi.
In realtà il film che potrebbe avere più punti in comune con Upgrade potrebbe essere il bel The Guest, opera che gli somiglia per 3-4 aspetti quasi identici ma anche per gli stessi difetti.
Quello che ho più amato del film è la sua capacità di far pensare lo spettatore, senza dimenticare un colpo di scena di ottimo livello, non solo narrativo ma anche tematico.

(cavolo, mi stavo dimenticando che in questa rubrica devo fare mezze recensioni, stringere, stringere!)

Siamo in un mondo abbastanza lontano, ma non così tanto. La scienza è andata molto avanti (per questo la categoria di fantascienza è perfetta per il film), niente di incredibile o completamente nuovo ma "solo" delle notevoli migliorie tecnologiche (droni di grande livello, software di assistenza personale straordinari, comfort miglioratissimi, etc...).
Grey e sua moglie Asha (lui umile e quasi disoccupato meccanico vecchio stampo, lei ricchissima manager) hanno un incidente e una susseguente "rapina" che finisce in tragedia.
Grey sopravvive ma rimane tetraplegico.
Un suo amico-genio gli impianta allora nel corpo la nuova frontiera della scienza, un minuscolo aggeggino che può "affiancare" o addirittura sostituirsi al cervello di Grey, non solo restituendogli la capacità di camminare (che, si sa, la tetraplegia è principalmente danno cerebrale) ma anche dandogli una specie di super potere, similissimo a quello che succede nel film Limitless, ovvero una capacità cerebrale enormemente più grande di quella usata dall'essere umano.
Grey, come fossimo in un Dead Man's Shoes o un Death Sentence, vuole vendicarsi di tutti quelli che parteciparono all'omicidio della moglie.
Film molto bello da vedere, con uno scenario futuro notevolissimo, al tempo stesso molto simile al mondo di adesso ma anche tanto più avanti.
La regia è di ottimo livello, le inquadrature e la fotografia quasi sempre di gran classe, le location che te lo dico a fa, il mondo misto "vecchio-nuovo" fa sempre la sua porca figura.
Ovviamente non mancano immagini forti, come l'operazione chirurgica o il massacro del nero, ma il film non è quasi mai eccessivo.
Ma l'aspetto più interessante - almeno per me - è una sceneggiatura capace sia di sorprenderti che di scatenare tante suggestioni.
Intanto vorrei dire che a me STEM, il chip-brain che installano a Grey,ha ricordato molto il gioco degli scacchi.
Si sa che una delle prime applicazioni di intelligenza artificiale avvenne proprio negli scacchi (oh, mi scuso con i nerd o gli scienziati se non uso dei termini perfetti eh).
Ecco, negli scacchi quello che si voleva raggiungere era la certezza di poter fare sempre la mossa migliore. E a me questo sembra STEM, ovvero un software capace di farti fare sempre la cosa migliore. Nelle scene di lotta, ad esempio (oh, poi ci torno) quello che fa il corpo di Grey non è sovrumano, è solo che ogni movimento è sempre quello migliore, sia come velocità che come scelta. E' come un perfetto robot scacchista, appunto.
Questo mi è piaciuto molto perchè ha mantenuto Upgrade in una dimensione sì "oltre l'umano" ma non extraumana. Del resto proprio il titolo suggerisce un "miglioramento", un passo in avanti, uno sfruttare di più qualcosa di già presente.
Un altro aspetto interessantissimo è questa compresenza dei due cervelli, umano e artificiale. Tanto che una delle possibili metafore del film potrebbe anche essere quella della schizofrenia (Grey parla con STEM ma è come se parlasse a sè stesso). Una schizofrenia tra la propria parte "canonica" e una più potente, ma sempre dentro di noi. Qualcosa che avevamo in parte visto in Split.

7.6.19

Recensione: "The Perfection" - Su Netflix


The Perfection è, per me, la... perfetta dimostrazione di come dovrebbe essere il nuovo horror mainstream (che poi nemmeno horror è sto film, ma ci siamo capiti).
Perchè non possiamo pretendere di vivere in un mondo di soli film d'autore destinati alla nicchia.
Esagerato, magari a tratti pacchiano, patinato, che scopiazza qua e là, tutto quello che volete, ma comunque un film che ha una sua anima, che ha un suo messaggio, che declina in modo superbo una metafora, che non si avvale mai di un jumpscare e che ha una storia da raccontare.
Probabilmente a molti non sarà piaciuto ma se avrete voglia di leggere magari capirete perchè a me sì e, non si sa mai, alla fine potremmo essere anche più vicini di quello che pensate

It's just a rape

PRESENTI SPOILER

Ecco come dev'essere, per me, l'horror mainstream...
Che poi The Perfection horror forse non lo è nemmeno, più un thriller psicologico.
Ma ecco come si devon fare queste operazioni.
Esagerate sì, pacchiane a tratti sì, patinate sì, scopiazzate qua e là sì, in The Perfection i problemi del cinema di massa ci son tutti.
Eppure io lo considero il...perfetto compromesso tra il cinema d'autore e quello di cassetta.
Perchè questo è un film che ne copia tanti altri ma ha una sua anima peculiare, perchè è patinato ma ha classe, perchè non si affida manco una volta al cancro dell'horror 2.0 (il jumpscare) ma soprattutto perchè sa mettere dentro tematiche, e lo fa anche in modo notevole, non urlato.
Ecco, a tanti sto film non è piaciuto e io, lo sapete, sono uno che pensa che ognuno debba avere la propria idea e tenersela stretta.
Ma sono anche convinto che tanti la vera anima del film, il suo vero significato, la sua metafora, non l'abbiano colta.
Perchè questo è un film che c'entra poco con musica e perfezione, parla d'altro.

Charlotte è un'ex bambina prodigio della musica, un fenomeno del violoncello che ancora adolescente dovette abbandonare tutto per star vicino, addirittura per 10 anni, alla madre morente.
Adesso il nuovo pupillo della prestigiosa scuola di musica che frequentava è Lizzie, una giovane di colore.
Muore la madre di Charlotte (incipit davvero bello) e la ragazza in qualche modo si sente finalmente libera.
Si reca allora in Cina, ad un happening del suo ex conservatorio.
Lì conosce Lizzie, prova invidia per lei anche se questa le dice di aver sempre avuto lei -Charlotte cioè-  come punto di riferimento.
Le due decidono di fare una piccola vacanza insieme.
Sarà l'inizio di un incubo.

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Lo dico da subito, ho trovato la sceneggiatura di The Perfection di altissimo livello.
Perchè è uno script dove quello che vediamo non è mai quello che siamo portati a pensare.
Il film è un insieme di scatole cinesi che apriremo una ad una per scoprire che ogni vicenda aveva dietro motivazioni diverse a quelle apparenti.
Prima di andare all'anima del film parliamo però d'altro.
Intanto, come sempre più spesso accade ormai, The Perfection è bellissimo da vedere.
Il volto della madre morente, l'aereo che arriva al tramonto, il corridoio della hall a Shangai, la straordinaria sequenza del duetto a violoncello tra Charlotte e Lizzie che in montaggio alternato ci mostra quello che le due ragazze vivranno appena dopo la performance (una scena sensuale di sesso e musica che termina in maniera magistrale con quell'ansimare su scena muta di fine concerto, che roba...), il bus lercio, quel luogo non luogo dove le ragazze vengono lasciate, insomma, siamo solo nella prima mezz'ora e The Perfection ci ha già lustrato gli occhi.
E ci ha già dato tanti riferimenti, e forti.
Ad esempio viene subito da pensare al Cigno Nero (anche per la presenza di due ragazze bianche e nere), altro film che, tra l'altro, parlava di ricerca di perfezione nell'arte.
C'è poi una scena che sembrava la firma a questa sensazione, ovvero quella dove la giovane Charlotte abbandona la scuola e incontra sulle scale l'ancor più giovane Lizzie che, invece, sta entrando. In una lettura metaforica di doppia personalità questa scena era perfetta.
Non sarà così.
Impossibile non pensare poi a un altro grandissimo film si musica e perfezione, ovvero Whiplash. In realtà le differenze sono tante e più il film andrà avanti più si discosterà da questo riferimento.
Ecco allora che il film, forse, che potrà più somigliare a The Perfection è lo straordinario - e sempre troppo poco conosciuto - Starry Eyes di cui riprende tantissimo, dall'arte (musica-recitazione) alla ricerca di perfezione, ai provini, alla "malattia", addirittura alla presenza di setta e sesso e non parliamo poi di una delle superbe inquadrature finali, quella di Charlotte seduta nella "cappella" che sembra presa direttamente da quel film (anche acconciature simili).
Eppure questo film pur copiando qua e là riesce ad avere una propria personalità, e fortissima.
Ma non voglio ancora parlarne :)

Ho adorato Allison Williams, già amata moltissimo in Get Out.
E quando a metà film abbiamo il primo colpo di scena (che bello quel rewind...) è incredibile come i due personaggi che interpreta, qui e in Get Out, diventino simili, quasi al limite della copia.
Poi, però, in un altro degli ennesimi colpi di scena del film, capiremo che Charlotte non era una troietta stronza stavolta, tutt'altro...

5.6.19

Recensione: "L'Angelo del crimine" ( El Angel )




Un gran bel film argentino (lo trovate adesso in qualche sala) che sembra somigliare a nessuno.
La vera storia del più famoso serial killer d'Argentina in un film che, però, va lontanissimo da tutte le altre opere di questo stesso filone.
Tutto avviene in maniera talmente naturale e "banale" che sfioriamo addirittura il surreale.
E invece no, non c'è niente di surreale, solo un film che si veste dello stesso abito del suo protagonista, un giovanissimo biondo e riccioluto che sembra sia assolutamente incapace di pensare, immaturo, istintivo, menefreghista, affascinante.
Personaggio incredibile, interpretazione grandissima, in un'opera pop e straniante, tra rapine, omicidi e omosessualità latente.
Da vedere subito, a prescindere dal gusto


Dispiace un sacco parlare di El Angel (al solito banalizzante e didascalico il titolo italiano) a quasi una settimana dalla visione.
Dispiace perchè questo qua non è solo un bel film, ma anche un'opera molto particolare, a suo modo persino complessa, e scriverne così distante nel tempo (almeno per me) lo penalizza un sacco.
Siamo davanti a uno di quei film che ti spiazzano non tanto per quello che mostrano ma per come lo mostrano.


El Angel ha questo merito, confondere lo spettatore raccontando di rapine, omicidi e omosessualità con una naturalezza talmente marcata da sfiorare il surreale.
Basterebbe la prima scena - a suo modo emblematica - per capire.
Carlos entra in un mega villone, giretta per casa, si mette a danzare (strepitosa la scena di ballo che aprirà un cerchio che si chiuderà nel finale), ruba una moto e va via.
Fa tutto così, naturalmente, senza paura di esser scoperto, senza "cattiveria", senza pensare.
E questo accadrà per tutto il film, ovvero questo nostro assistere alle azioni di un ragazzo che sembra essere assolutamente incapace di pensare.
E il film diventa come lui, ossia un film di strabiliante naturalezza in cui il male ci verrà mostrato in maniera talmente banale e leggera da perdere completamente di forza e significato.
Questo, ovviamente, potrebbe essere  anche il grande difetto di El Angel (insieme al rischio di prendere troppo a simpatia un omicida) ma io la trovo invece la sua forza più grande.
Attenzione, non ci troviamo davanti a un'opera alla Coen, non è che il crime venga reso più brillante e divertente, semplicemente viene completamente denudato del suo lato più inquietante e sporco per essere restituito a noi completamente nudo.
E molto pop.
Sì, pop, perchè El Angel è bello da vedere, è colorato, ha una colonna sonora formidabile (con molti brani famosissimi nelle loro cover argentine, "Non ho l'età" compresa), ha dei personaggi che catturano lo spettatore, insomma, è un'opera che meno fosca e densa non potrebbe essere.

1.6.19

"I pronipoti dei Lumiere", 20 bellissimi e recenti film francesi che dovreste vedere - PARTE 2 DI 2


Dopo la prima parte dell'altro ieri eccoci alla seconda.
Parliamo, come titolo, di cinema francese recente.
Ripeto le mie linee guida.
Nessun film stra-famoso (famoso sì, ma non film che tutti hanno visto).
Un solo film per regista (di alcuni ne avrei messi 4-5).
Nessun regista "ibrido" (Villeneuve, Dolan etc...).
Nessun film francese ma di regia non francese. Ad esempio anche alcuni Haneke e Fahradi sono quasi del tutto produzioni francesi.



Un grande film francese che in maniera nuova racconta del clima di terrore in cui vive ormai l'Occidente da anni.
Un gruppo di ragazzi e il loro tentativo, a modo loro, di diventare storia.
E poi un Grande Magazzino che diventerà luogo di riparo, di paura e, forse, anche luogo simbolo di ciò che siamo.
Un film che somiglia a pochissimi altri, dallo strano ritmo, quasi sospeso nel tempo.
Una sola notte e tutto cambia.



Ed eccolo il secondo grandissimo noir francese.
Se possibile ancora più bello de l'Ultima Missione questo è un film dove millemila generi e sensazioni si mescolano magnificamente tra loro.
Drammatico, crime, thriller, poetico, sentimentale, "Non dirlo a nessuno" è uno di quei miei film del cuore che non riesco a smettere di rivedere



Uno dei più grandi horror di questo nuovo secolo.
Una lezione di cinema per uso degli spazi, per regia, per gestione della tensione, per cattiveria.
Una pietra miliare del genere per me



Di Audiard avrei potuto metterne altri ma ritengo che Il Profeta sia il suo massimo capolavoro.
Prison movie che è anche romanzo di formazione questo è uno di quei film che sa raccontare una storia senza fretta, con un incedere degli eventi lento e inesorabile.
La storia di Malik, giovane analfabeta entrato in carcere come vittima sacrificale e poi capace di diventare sempre più importante, sempre più carismatico.
Uno dei film europei più importanti di questi ultimi 10 anni




O.k, direte che qui ho "rubato".
Noè è argentino ma sfido chiunque a non considerarlo un francese a tutti gli effetti visto che tutti i suoi lavori, persino i primi, sono stati girati in francia.
Scelgo Seul contre tous perchè, alla fine, resta ancora il suo film più nascosto (anche se tra gli appassionati è un cult).
Io non credo che esista un film più nichilista di questo.
Il mondo è cattivo, siamo tutti soli, non esiste l'amore, non esiste l'amicizia, non esistono gli affetti familiari, gli uomini e le donne sono solo involucri che portano in giro i propri organi genitali.
Odia tutto quest'uomo.. Odia gli uomini, odia il potere, odia le religioni, odia le razze, Seul contre tous, già. Il rapporto con le madri termina con la fine dell'allattamento, quello coi padri è basato solo sul denaro, inizia con i primi soldi prestati e termina con l'eredità. Gli uomini sono tutti froci pronti a prenderlo e metterlo in quel posto. Gli uomini sono tutti opportunisti, menefreghisti e porci. Gli uomini sono tutti tremendamente soli.
Il mondo è cattivo e siccome non c'è un pianeta che verrà a schiantarsi su di noi per salvarci tutti l'uomo che fu macellaio decide di pensarci da solo.
Con un finale DEVASTANTE



Un altro capolavoro dell'animazione dopo La mia vita da zucchina.
Di Chomet avremmo potuto mettere anche Appuntamento a Belleville ma forse questo qua è anche superiore.
Omaggio a Tati (anzi, credo che sia un soggetto suo) è la storia di un illusionista in un mondo, questo nostro moderno, in cui tirare fuori conigli da un cilindro non meraviglia più nessuno.
E la sua tenera amicizia con una ragazza.
E quel biglietto finale che ti spezza in due




L'ho adorato...
Dog è un film magnifico che parte come commedia nera, si trasforma poi un surreale alla Andersson svedese e finisce per diventare infine una struggente storia che ti strappa il cuore.
Jacques (un fantastico Vincent Macaigne, per me best actor del festival) è un uomo irrimediabilmente buono a cui succedono un'infinità di tragedie, una dopo l'altra.
Prima la moglie lo lascia perchè dice che lui è una malattia e la fa grattare (alla luce della mia interpretazione del finale questo è un particolare molto interessante), poi compra un cagnolino che somiglia a Hitler ma questo gli muore dopo 10 secondi (con 1300 euro di spesa), poi perderà il lavoro, poi subirà umiliazioni di ogni tipo, poi subirà violenze.
Ma lui avrà sempre un dolcissimo sorriso stampato in faccia, lui dirà sempre di sì, lui accetterà tutto.



Vincitore (se non sbaglio) della prima edizione del Festival del cinema di Roma, Kill me please poi praticamente scomparve tanto che eravamo davvero in pochi i fortunati ad averlo visto (due anni fa l'ho poi condiviso sul guardaroba e siamo diventati in più).
In un bianco e nero perfetto, rappresentazione anche visiva delle vite senza alcun più colore degli aspiranti suicidi, Kill me please affronta in chiave di commedia grottesca e nerissima l'inossidabile tema del diritto o no a decider di morire.
Divertente, malinconico, davvero bello



Polisse racconta le vicende della polizia di Parigi addetta alla tutela dei minori.
Film frammentario che ha la forza in almeno due particolarità non così evidentissime.
Sì perchè l'evidenza è quella di una pellicola potente, capace di colpire lo spettatore senza mostrar quasi nulla. La forza è tutta nei dialoghi, quasi irreali nella loro violenza verbale. Parliamo di pedofilia, abusi sui minori, menefreghismo, sfruttamento. Più di una volta si arriva a un senso di disgusto raro, specie nel racconto del padre che spiattella tutto quello che fa alla figlia perchè tanto ha protezioni in alto.
Uno di quei film che affronta in maniera secca, non opportunistica, un tema di devastante delicatezza




Chiudiamo col film più complesso di tutti e 20.
Forse, però, anche il più grande.
Chiudiamo con questo perchè - nella per me difficile lettura che provai a darglI - credetti che dentro Holy Motors c'è dentro tutto il Cinema.
Immenso