Proprio quando mi stavo gonfiando le palle come dei sommergibili (di solito si dice come delle mongolfiere, ma in quel caso volerebbero, le mie invece stavano andando a fondo) per un primo quarto d'ora così colmo di già visto che il mio unico obbiettivo stava diventando quello di contare le espressioni di Sfarznegher (ero arrivato a 1) ecco che Maggie non solo si mostra per quello che è, ovvero un film quasi esistenziale, ma riesce addirittura a farmi arrivare alla fine con la sensazione che questo sia un'opera "importante", una di quelle che andrebbero viste per riempirci cuore ed anima.
Più andava avanti più si toglieva di dosso le croste del solito film apocalittico per mostrarci la sua vera pelle, ovvero la storia di un meraviglioso rapporto padre-figlia che cercava di andare al di là dell'ineluttabile.
A mio parere capire veramente Maggie (a proposito, da esecuzione Isisiana i titolisti italiani, non solo per la banalità del titolo, Contagious, e dell'aberrante sotto titolo, Epidemia Mortale, solito specchietto delle allodole per spettatori bifolchi, non tanto per tutto quello che di penoso hanno "inventato", ma proprio per quello che hanno tolto, "Maggie", ossia il nome di lei, ossia tutto quello che il film è in realtà, ossia l'anima di tutto), dicevamo che per capirlo veramente dovremmo uscire completamente dal genere.
Ma completamente proprio eh.
Maggie non è un post apocalittico, non è un horror, non c'entrano niente gli zombie, le epidemie, gli spari in testa o i morsi contagiosi.
Maggie è un film prettamente umano, molto molto delicato, che ha indossato le lacere e sporche vesti del post apocalisse per mostrarsi.