12.11.24

Recensione: "The Substance" - Al Cinema 2024

 

Il cinema della Fargeat è esagerato, esteticamente incredibile, sguaiato e pop.
Un piacere per gli occhi, come fu già per Revenge.
The Substance è un body horror dal grande soggetto e, a tratti, veramente magnifico.
La paura di invecchiare, di non piacere più, di essere diventati inutili.
E la possibilità di tornare ad essere desiderati, amati, importanti.
Un conflitto interiore che la Fargeat trasforma magistralmente in un body horror.
Eppure in uno scheletro di sceneggiatura davvero notevole si aggiunge della polpa a tratti terribile, sbagliata, senza alcun senso.
E un film potenzialmente immenso (almeno nel suo genere) finisce per autosabotarsi.

"Were"
"Are going to"
In queste due forme verbali scritte nei biglietti di auguri delle due "diverse" Elizabeth c'è gran parte del film, o almeno gran parte della sua tematica.
Il passato, ciò che eravamo e ormai non siamo più.
Il futuro radioso.
Se Revenge, il primo (bellissimo) film della Fargeat era un grido femminile d'accusa e di dolore (film sul femminicidio, sull'amore malato e su come il salvarsi da certi uomini sia o impossibile o debba comunque passare prima da una propria "morte") The Substance, a mio parere, è più trasversale.
Questo perchè qualsiasi essere umano, chi più chi meno e di qualsiasi genere, ha una terribile paura di invecchiare, di non piacere più, di guardarsi allo specchio e andare in tremenda crisi.
Il dolore, la paura, l'angoscia che prova Elizabeth è quella di tutti noi, esseri umani che più che essere angosciati dal proprio futuro lo siamo del proprio passato, arrivando quasi ad odiare quella versione di noi che eravamo e che adesso, ahimè, non possiamo essere più.
Trovo infatti che la parte più bella, interessante, profonda e vera di questo film - a tratti bellissimo ma che fa di tutto per sabotarsi - sia l'odio che prova Elizabeth per Sue, la sua versione giovane.
E' un meccanismo psicologico pazzesco, quello di "amare" quel nostro passato esser stati giovani e odiarlo allo stesso tempo, perchè non più reversibile.
L' Elizabeth che potrebbe da un momento all'altro "eliminare" Sue ma, pur odiandola, non riesce a farlo è veramente specchio di questo conflitto dentro noi stessi, ovvero quello di avere l'illusione di poter rivivere la nostra giovinezza ma, in realtà, essere quelli di adesso (non a caso Sue viene percepita come "altro da sè" ma psicologicamente e subdolamente è invece legatissimo a sè).
Davvero concetti molto molto interessanti.
In più, in questa cornice esistenziale "generale" dalla quale tra poco è comunque giusto uscire (perchè The Substance rimane principalmente un body horror visivo, plastico ed estetico) non possiamo dimenticare come per le donne ci sia (generalmente) un ulteriore aspetto, ovvero quello che la perdita di bellezza (o giovinezza in senso lato) sia a volte un problema sociale e molto spesso anche lavorativo.
Se è vero infatti che anche noi maschi siamo travolti dalla tematica principale del film (l'angoscia dell'invecchiare e il sentirci sempre meno attraenti) è anche vero che però poi noi, invecchiando, perdiamo generalmente molto poco (anzi, in alcuni campi quasi guadagniamo) mentre le donne, in tanti contesti, diventano sempre più penalizzate.

Figuriamoci nell'aerobica, il contesto del film.
Elizabeth da decenni cerca di mantenersi "bella" e seducente, perchè quello gli viene richiesto.
Ma inevitabilmente si arriva ad un punto in cui non sei più il "prodotto" giusto.
E quel corridoio pieno dei tuoi manifesti sarà smantellato degli stessi, per far posto al nuovo che avanza (ma che nel film sei te stesso, indubbiamente la perla di sceneggiatura del film).
Ora, The Substance ha un grande soggetto e persino un grande scheletro di sceneggiatura (i vari passaggi principali del film, le vicende portanti) quasi del tutto distrutto, ahimè, dalla "ciccia" che, a questo scheletro, viene aggiunta.
Ritorneremo sulle grandi problematicità del film (ovviamente problematicità per me, inutile dirlo), non prima però di averne decantato alcune meraviglie.
Innanzitutto è incredibile come la Fargeat con soli due film sia riconoscibile, qualcosa di rarissimo nel cinema.
Vedi 10 minuti di The Substance e capisci di trovarti davanti alla regista di Revenge.
Stessa mano, stesse ossessioni, stesse inquadrature.



Già il dettaglio iniziale dell'uovo che si duplica, così "nitido", perfetto, instagrammoso, richiama il film precedente, in cui più di una volta la Fargeat mostrava, in primissimo piano, del cibo (ad esempio quella mela che marciva sempre di più, tra l'altro anche in quel caso con una mosca mi pare).
Restando al cibo l'inquietante e quasi rivoltante scena del manager che mangia i gamberetti (qui oltre alla ristrettezza del campo visivo abbiamo anche un effetto sonoro quasi simile a un disturbante Asmr) è identica a quella, altrettanto impattante, di quello che si mangiava il Mars guardando lo stupro in Revenge.
Per non parlare dell'ossessione della Fargeat per il fondoschiena delle sue protagoniste che se in Revenge era già notevole (sia l'ossessione che il fondoschiena intendo) qui arriva a livelli di parossismo (ci torneremo)

 ( per inciso negli ultimi 5 anni la Fargeat occupa due posti sul podio nella classifica di sederi al cinema. Poi magari nella vita reale il primo per me è un altro ma qui si parla di film.

Comunque:
1 Il Sabba
2 Revenge
3 The Substance )

Addirittura ad un certo punto ho visto che Sue indossa gli stessi identici - ed iconici - orecchini che aveva la Lutz.
Per non parlare delle scene di lotta e sangue, anche qui identiche in entrambi i film sia visivamente che come movimenti.
E mi sto limitando solo agli aspetti più evidenti.
Insomma, la Fargeat è riconoscibile, e questo è un grandissimo merito perchè fa già di lei un'autrice.
Direi addirittura che a livello di dettagli, intesi proprio come inquadrature, nessuno arrivi alla sua perfezione e ossessione.
Peccato che sia talmente eccezionale nei dettagli visivi quanto debole in quelli di scrittura.

L'incipit è eccezionale, con quegli operai che costruiscono la stella di Elizabeth nella Walk of fame.
Una costruzione che celebra sì un traguardo gigantesco ma che, in modo subdolo ed implicito, suggella anche un punto di arrivo "finale", come se quell'artista ormai debba solo essere ricordato e non vissuto.
E quelle persone che passando dicono "ti ricordi di lei?" o fanno cadere il loro unto hamburger sopra la stella sono una metafora plastica e spietata del tempo che passa, un Tempo che a volte più che eternizzare (come "una stella" dovrebbe teoricamente fare) sembra piuttosto ammantare tutto dalla nerissima nuvola dell'oblio.
Andiamo avanti e il film continua a confermare il suo folgorante avvio.
Prima la scena del bagno, bagno praticamente identico a quello di Shining in cui si incontrarono Jack e Mr Grady (e che buffo, i due riferimenti più grandi a Shining che penso di aver notato sono entrambi riferibili ad un bagno, questo qua e quello del ragazzo palestrato che vede la sua bellissima ragazza diventare un mostro, scena quasi spiccicata a quella indimenticabile della Room 237 - ad un certo punto la Fargeat mostra i fianchi della donna-mostro, veramente identici).
Dicevamo la scena del bagno e poi quella, leggermente sopracitata prima, del pranzo col manager, una sequenza che mostra la capacità della Fargeat di giocare col grottesco e con il fastidioso. E non parlo solo dei dettagli della masticazione e dell'audio "sovraesposto" cacofonico, ma anche di inquadrature estreme, con primissimi piani ai limiti della distorsione, con angolature particolarissime.
In questo tipo di inquadrature (e anche in altre, vedi quella del manager con tutti i vecchi dietro di lui e con davanti Sue che non può sorridere) c'ho visto tanto di Lynch, ovvero quel tipo di estetica inquietante, deformante ed onirica.



E niente, il livello non si abbassa mai.
L'incidente, perfetto.
La visita dal dottore misteriosa.
Lei che cede a sè stessa e decide di chiamare quel numero.
La location dove riceve il suo kit, con quel contrasto, che io amo da morire, della tecnologia più avanzata nascosta in ambientazioni terribili, vecchie e malmesse (e lei che per entrare dentro all'edificio deve abbassarsi, quasi simbolica come scena).
E poi tutte le istruzioni, così essenziali, nitide, grafiche.
E quel "ricordati che sei una", frase potente che nasconde tutto il conflitto di cui abbiamo parlato abbondantemente a inizio recensione.
E poi la straordinaria scena della trasformazione (aka "nascita di Sue"), una delle più belle nel body horror che io ricordi (anche se nessuna per riuscita, emozione e "dolore" fisico batterà mai quella di "Un lupo mannaro americano a Londra").
I due occhi, la schiena che si apre, Sue che esce, tanta tanta roba.
Comincia praticamente adesso The Substance, dopo questo lungo, perfetto e notevolissimo incipit.
E cominciano anche i problemi.

4.11.24

Recensione" "Longlegs" - Al Cinema 2024

 

Il quarto film di Perkins è la sua ennesima conferma.
Quattro film uno completamente diverso dall'altro per plot e appartenenza a sottogeneri differenti ma in realtà tutti accomunati da più di un elemento, elementi che non spoilero in questa piccola introduzione.
Longlegs sembra un thriller "classico" che somiglia a quelli anni 90 ma poi si rivela prima psicologico e poi beep, non posso dirlo.
Un villain straordinario interpretato da un Cage quasi irriconoscibile.
Una cura estetica eccezionale, un'atmosfera malata e malefica.
Forse non perfetto nella narrazione e con troppi up and down.
Ma questo è uno di quei film che firmerei per vedere ogni singolo giorno.

C'è la neve, c'è una casa e c'è una bambina.
Non è la didascalia della locandina appena qua sopra, ma l'incipit del film.
Ora, a parte le vicende che accadono in questo incipit accade un'altra cosa, ovvero la bellezza della regia di Perkins.
C'è gente che non sa fare campi e controcampi durante un dialogo, Perkins in questi primi 2 minuti li maneggia con un'ampiezza di campo di circa 30 metri, perfetti.
Poi arriva Longlegs, e noi non ne vediamo il volto (ci sarà precluso, con inquadrature ad hoc, per gran parte del film).
O meglio, ne vediamo solo metà, tagliato dall'inquadratura.
"Scusa, ho montato le mie gambe lunghe (longlegs), forse è meglio così"
E dicendo questo il "mostro" si abbassa per entrare (nemmeno mezzo secondo) nel nostro campo visivo.
Folgorante, geniale, inquietante.



Longlegs è il quarto film di quello che ormai posso considerare uno dei fuoriclasse del genere, Oz Perkins.
Li ho visti tutti e amati tutti.
Cominciai con quella ghost story (una di quelle dove "non succede niente") che risponde allo stranissimo titolo di "Sono la bella creatura che vive in questa casa" (non preparate i forconi per i nostri titolisti, è solo traduzione dell'originale).
Rimasi folgorato.
Non tanto dal film - che è bello - e nemmeno dalla storia - che è abbastanza già vista - ma da un'eleganza di regia rara e da una grande capacità di introspezione psicologica.
Poi recuperai February (opera prima di Perkins), ancora più bello dell'altro.
Un thriller psicologico con sfumature demoniache, doloroso e cattivo.
E poi il film che l'ha lanciato nel cinema emerso, Gretel & Hansel, una superba rappresentazione sulla scoperta di sè e sull'incredibile potenza del femminile o dell'esser donna (già che ci sono su questa scia vi consiglio un altro gran film, Il Sabba).
Non a caso abbiamo questo titolo dove Gretel, rispetto all'originale, si scambia di posto con Hansel.

E ora Longlegs.
La cosa più bella di Perkins è l'aver fatto 4 film uno completamente diverso dall'altro ma che si toccano comunque in tantissimi punti.
Innanzitutto sono TUTTI film al femminile, non solo per quanto riguarda la protagonista principale ma anche nelle coprotagoniste (solo in Longlegs abbiamo un personaggio maschile forte).
Poi tutti, chi più chi meno e chi in maniera diretta chi laterale, raccontano di disturbi mentali, di cose che "accadono nella testa".
Oppure il tema della "luccicanza" (alla Shining), ossia la capacità di vedere oltre, presente almeno in G&H e Longlegs (ma anche negli altri le protagoniste percepiscono qualcosa in maniera sovrumana).
Ma la cosa più emozionante che lega i film è, per quanto mi riguarda, l'elemento in cui Perkins è veramente superbo, ovvero saper raccontare il Male, un Male quasi sempre nascosto, o i modo assoluto o dentro oggetti comuni (in February nella caldaia - qualcuno ha detto Shining anche se, in questo caso, libro? - in Longlegs nelle bambole).
Un Male veramente infido, serpeggiante e manipolatorio (la strega in G&H, il Diavolo in February e Longlegs, uno spirito senza pace in SLBCCVIQC (non è un numero romano ma l'acronimo del primo film che vi ho citato).
Ecco, io adoro nei film di Perkins, oltre l'eccezionale cura della regia, l'eleganza, la componente psicologica e la violenza poi efferata, questa sensazione che ci sia sempre il Male da qualche parte, mai manifesto o grossolano come gli horror da jumpscares che tanti di voi amano, ma "nascosto".
E capace di manipolare chiunque.

Longlegs è riuscito poi in due "miracoli", ovvero lo sconfessare due mie leggi non scritte.
La prima è quella del "se possibile, vi prego, no paranormale", avendo quasi sempre poco sopportato nei film "verosimili" o comunque con possibile spiegazioni solo realistiche l'andare poi nel sovrumano e nel paranormale, elemento che quasi sempre li indebolisce.

La seconda legge è "vi prego, niente spiegoni", adorando quei film che lasciano tanti dubbi e pochissime risposte. O comunque, anche nel caso le risposte ci siano, non spiattellarle.

In Longlegs mi è successo esattamente l'opposto.
Lo spiegone finale l'ho trovato perfetto perchè benissimo raccontato, evocativo, inquietante e persino necessario visto che di cose che si faceva fatica a mettere in fila ce n'erano parecchie.
E lo scoprire che no, non c'era un "semplice" serial killer e le cose avvenute non potevano essere spiegate in maniera solo razionale e/o scientifica rende il film ancora più bello.
Proprio per il discorso di cui sopra, ovvero quello che Perkins sa raccontare il malefico, il soprannaturale in maniera perfetta. L'atmosfera dei suoi film ha "bisogno" di questa componente per cui c'è sempre un qualcosa più grande di noi, un Male assoluto, che ci rende semplicemente suoi manichini.
E quindi sì, che ci sia stato il "Signore del piano di sotto" l'ho adorato, specie perchè noi non lo vediamo mai (come in tutti gli horror standard) o in "persona" o attraverso i mostri (fisici) che genera, ma soltanto per le azioni che questo ci costringe a compiere.


In questo senso ne approfitto per dire che se è vero che Longlegs non è sicuramente uno di quegli horror "da tematiche" io - sarà colpa della mia trentennale esperienza col true crime e coi massacri famigliari - ho trovato davvero suggestiva questa lettura (metafora?) per cui ogni strage in famiglia abbia dietro una "possessione", come se l'autore della strage, in quei momenti, non sia più un essere umano cosciente ma uno che compie atrocità per conto o in nome di Qualcuno (se ci pensate l'assurda strage di Altavilla ha questa matrice).
In realtà no, l'essere umano uccide perchè è imperfetto, cattivo, guasto, non per cause sovrumane.
Ma, ecco, è una bella suggestione.