L'ultimo Lanthimos è - per me che ho amato ogni sua opera - una piccola delusione.
Un ritorno alle origini, vero, almeno nelle tematiche, nella reticenza, nello stile.
Eppure un'opera interessantissima che, però, ho fatto fatica a vedere fino in fondo, per una questione di ritmo (percepito) davvero sbagliato.
Film a episodi con tematiche molto suggestive (principalmente la dipendenza, la manipolazione e l'idolatria) in cui si muovono personaggi manichini pronti sempre a fare di tutto per il proprio amato manipolatore.
Di cose da dire ce ne sono tantissime, in questo Kinds of kindness è un film perfettamente riuscito.
Ma forse l'eccessiva ironia che stempera e depotenzia alcuni inquietanti accadimenti, la durata eccessiva di ogni singolo episodio e la ridondanza di alcuni aspetti non me l'hanno fatto amare quanto avrei voluto.
In ogni caso mi ha stimolato molto scriverne, ed è sempre la cosa più bella che si può chiedere a un film.
Essermi ritrovato 15 volte a guardare l'ora in un film di Lanthimos è qualcosa che non posso non ignorare.
Sapevo che all'incirca ogni episodio doveva durare sui 50 minuti, eppure mi ritrovavo anche nel singolo episodio a controllare quanto potesse mancare per concludersi.
Figuriamoci "l'intero" film, due ore e 40 per me veramente faticose.
E chi l'avrebbe mai detto che Lanthimos tornasse il vecchio Lanthimos e io ne potessi rimaner deluso.
Intendiamoci, Kinds of kindness è un bel film, interessantissimo nelle tematiche che espone, abbastanza reticente come i primi film di Lanthimos, pieno di soggetti assurdi e surreali tipici del regista greco (la cosa che adoro più di lui, forse perchè mi ricorda Saramago) e uno di quei film che obbliga lo spettatore (o almeno quello non pigro che si va a leggere cose su internet ancora prima di stare giorni a pensarci da solo) a fare un grandissimo "lavoro" per provare a capirlo e decifrarlo tutto.
Insomma, tutto quello che volevo da un film di Lanthimos (anzi, dai film in generale) c'era.
Eppure il film mi ha preso abbastanza poco, come dicevo.
Perchè?
Provo(iamo) a capirlo.
Innanzitutto per me c'è un grande problema di ritmo.
Come diciamo sempre il ritmo non è la velocità "oggettiva" di un film, di una narrazione o di un montaggio, ma quello che lo spettatore percepisce.
Per capirsi se guardo 5 minuti di Formula 1, vista magari anche da "dentro" la pista, con quei bolidi che sfrecciano a 300 all'ora, io mi annoio dopo 10 secondi.
E anche un montaggio serratissimo può annoiare.
Il ritmo è quindi la capacità del film di tenerti con sè, di cullarti, di non farti mai "fermare", di tenerti sveglio, e questo può farlo un'inquadratura ferma di 5 minuti senza che accada nulla e può non farlo un film dove in quei 5 minuti accadono 10 cose alla velocità della luce.
Il ritmo, insomma, è stimolo.
In Kinds of kindness non riesco a contare le volte in cui la mia testa, invece, si "staccava" dal film, percependo la noia.
I motivi possono essere tanti, come l'eccessiva lunghezza di ogni episodio, come l'incapacità in alcuni momenti di "andare avanti", come la banalità di alcune scelte (anche questo conta nel ritmo percepito, la qualità delle cose).
E dire che trovo il film a livello psicologico davvero bello, una fucina di stimoli e suggestioni.
Erano quelle, infatti, a tenermi sveglio, era il pensare "cosa significa questo?" "cosa rappresenta questo rapporto?", tutte queste domande che ho trovato molto più interessanti delle immagini in movimento che vedevo.
Il problema, però, è che più pensavo alle tematiche del film, più le percepivo "pesanti", più ne intravedevo l'inquietudine più il film me le faceva crollare, con quel suo essere (troppo) ironico, col suo avere personaggi non troppo complessi, con alcune sue scelte banalissime.
Ecco, se poi ripenso al Cervo Sacro allora sì che capisco quanto disagio e inquietudine possa nascondersi dentro un film.
Vero, Kinds of kindness è più scanzonato del Cervo Sacro ma a differenza anche di altri film di Lanthimos, vedi The Lobster, in cui l'ironia è presente, non è un'ironia che rende il film più complesso e straniante ma che lo banalizza e depotenzia.
Ma di che parla Kinds of kindness?
Di tantissime cose ma è evidente che principalmente racconta di dipendenze affettive, di manipolazione e di idolatria.
In tutti e 3 gli episodi c'è la presenza di un "guru", di qualcuno che vuole essere idolatrato.
Nel primo episodio è il personaggio di Dafoe, un ricchissimo uomo che si circonda di persone che lo amano e che, per questo, vivono una "falsa" vita completamente "scritta" da lui.
Una specie di Truman Show a pensarci bene dove il Creatore scrive una vita per la propria creatura.
E' molto interessante notare subito una cosa.
Questo personaggio di Dafoe, pur in circostanze diversissime, è lo stesso personaggio che Dafoe interpreta nel terzo episodio, ovvero una specie di capo culto con tutti i sui adepti.
Tutti i personaggi del primo episodio, alla fine, sono identici a quelli del terzo, ovvero seguaci di Dafoe pronti a fare di tutto per lui.
Ma, in questo bell'incrocio di episodi (la cosa migliore del film) è invece il personaggio di Plemons del secondo episodio (il poliziotto cui ritorna a casa la moglie) ad essere il più simile al primo Dafoe, ovvero un uomo che costringe chi lo ama a fare cose incredibili per lui.
Alla fine i foglietti con le "cose da fare" del primo Dafoe sono esattamente le cose che Plemons nel secondo episodio dice di fare alla Stone.
Potremmo FORSE intravedere in queste "cose da fare" i "kinds of kindness" del titolo, ovvero le "gentilezze", le "carinerie" che alcuni personaggi fanno per ingraziarsi il proprio guru/amato/manipolatore o per tornare da lui.
Nel primo si arriva addirittura ad uccidere per "lui" (ci prova la Stone, ci riesce alla fine Plemons), nel secondo ci si suicida per lui, nel terzo si causa la morta di addirittura due sorelle, sempre per "lui".
Sono "favori" che i manipolatori richiedono e che i manipolati, vuoi per idolatria vuoi per amore vuoi per altro, si sentono in dovere di fare.
E' anche interessante notare come queste "gentilezze", queste atrocità fatte per accondiscendere il proprio manipolatore, hanno effetti diversi, sempre più negativi.
Nel primo episodio la cosa riesce, Plemons - uccidendo l'omino fil rouge - riesce finalmente a riconquistare il suo amato, in quell'ultima immagine di grandissima serenità a letto.
Nel secondo episodio (psicologicamente di gran lunga il più interessante) la situazione e l'esito sono più ibridi.
La Stone, per grandissimo amore verso suo marito, arriva addirittura ad uccidersi per lui.
Per poi "riapparire" un secondo dopo alla porta.
Come se fosse sì riuscita a riconquistarlo ma solo "uccidendo" quello che era adesso, per tornare quella che lui ha sempre voluto.
Nel terzo episodio, invece, c'è un fallimento totale, la Stone dopo lunghissime ricerche trova davvero "LEI" ma quando sta per portarla dal guru (e avremmo così avuto il terzo ricongiungimento in tre episodi) fa un incidente in cui la ragazza muore.
La Stone sarà così "per sempre" sola, con anche la beffa che colei che riporta in vita i morti è morta lei stessa.
Quindi, un favore che funziona, uno che funziona a metà, uno fallimentare.
Tre personaggi (il primo Plemons, la seconda Stone, la terza Stone) pronte a tutto per non perdere la loro (malata) luce (Dafoe, Plemons, Dafoe).
Tre personaggi quindi completamente dipendenti affettivamente e/o psicologicamente da altri.
Anche qui con differenze.
Il primo Plemons è un uomo che fuori dalla sceneggiatura di Dafoe è completamente perso.
Imita goffamente i vecchi consigli del suo amato (come quel ridicolo infortunio per abbordare) ma fallisce miseramente fino a quando non incontra la Stone che, guarda caso, era anch'essa un' "attrice" di Dafoe, a rimarcare ancora di più quando anche senza sceneggiatura niente funziona fino a quando la sceneggiatura non ritorna.
Lui non sa cucinare nemmeno un omelette a casa (omelette che torna in tutti e 3 gli episodi, come tante altre cose), tutto gli gira male (il colloquio saltato).
Niente, senza Dafoe è completamente perso.
E per questo uccide, senza pietà poi.
Sembra uno di quei rapporti malati in cui uno (di solito uomini banali e non interessanti) senza l'altro si sente così inutile e perso che a costo di tornare indietro sarebbe capace di qualsiasi cosa.
Meglio una vita fittizia, decisa da altri ma non solitaria e in cui c'è qualcuno a cui interessi che una autentica ma dovendo fare i conti con te stesso.
Nel secondo episodio la manipolata è una persona meno "manichino" di Plemons nel primo, nel senso una donna che comunque (probabilmente) è riuscita a sopravvivere ad un naufragio (mentre Plemons non riusciva a sopravvivere da solo nemmeno alla cucina di casa), una ricercatrice, una persona, insomma, di valore e capace potenzialmente anche di vivere da sola.
Eppure è talmente tanto "l'amore" per il proprio marito o talmente tanta la manipolazione nel passato che, anch'essa, è disposta a tutto.
Qui abbiamo un tipo di amore secondo me diverso, ovvero quello di alcune persone valide e meravigliose che avrebbero tutte le capacità e le forze per stare bene anche da sole (il naufragio) o farsi una nuova vita ma sono comunque ormai troppo dipendenti da una persona sbagliata.
Nel terzo episodio la manipolata (sempre la Stone) è un gradino ancora sopra come indipensenza, ovvero una persona coi controcoglioni, paradossalmente libera, una che guarda tutti dall'alto verso in basso, una dura che, però, davanti al proprio guru diventa comunque la bambina piangente che non accetta di perderlo.
Ancora un altro tipo di persona, quindi, ovvero quelle meno poco empatiche, realizzate, dure, crudeli ma che comunque in un rapporto d'amore diventano debolissime e dipendenti.
Quindi in tre episodi un manichino senza spina dorsale, una persona bellissima, una persona pessima e realizzata ma tutti e 3 accomunati dall'essere "manovrati" dalla persona che amano o idolatrano.
Ci tengo un attimo a tornare al secondo episodio, come detto per me il più interessante.
Ci sono 3 letture possibili.
Quella per cui la prima Stone è un'impostora e quella che entra la reale.
Quella per cui la prima Stone è la reale e quella che entra nel finale l'impostora.
Quella - per me "sicuramente" la più giusta - per cui la prima Stone era davvero quella reale, mentre il finale una metafora (anche perchè non ha alcun senso pensare che la seconda Stone - impostora o no che sia - fosse stata lì pronta sull'uscio).
Plemons "amava" sua moglie per come lui l'aveva "creata".
Ritrovarsi quindi una donna cambiata (a causa del terribile shock e trauma) lo destabilizza.
Non accetta che lei sia diversa, non accetta che non ricordi la sua canzone preferita o che le piaccia il cioccolato, che prima detestava.
E' come se quell'uomo ormai vedesse sua moglie dentro dei binari prestabiliti, un essere umano sempre uguale a sè stesso e alla sua mercè.
Quindi che la moglie ritornata sia una donna amabilissima, dolcissima, innamoratissima, a lui non cambia niente, perchè lui rivuole solo e soltanto quella che lei era.
Come se le dimenticanze di adesso o le abitudini diverse (cioccolato) o i cambiamenti fisici (quella scarpa che non entra può anche rappresentare quei cambiamenti fisici che alcuni uomini non accettano) rappresentassero una sorta di indipendenza/cambiamento da lui non accettata, un uscire fuori da schemi cui lui era abituato, schemi che (probabilmente) aveva deciso lui in passato.
Ed ecco che adesso le chiede di tutto, persino amputarsi (proprio pochi giorni fa avevo condiviso su Instagram una frase dello splendido Spaceman, frase in cui si diceva che in amore spesso si amputano parti di sè stessi per diventare tutt'uno con l'altro, ma se l'altro non è disposto ad amputarsi niente allora niente ha senso).
Fino a farla poi uccidere.
E così, uccidendo quella "nuova" donna - meravigliosa - che ha avuto però l'ardire di essere diversa da prima lui può, metaforicamente, abbracciare subito la vecchia versione di lei.
Ma, ecco, sappiate che io son sicuro che la Stone ritrovata nell'isola fosse veramente sua moglie, anche perchè altrimenti il lucidissimo discorso che fa al padre (Dafoe) riguardo al sogno dei cani non avrebbe alcun senso.
Ho citato il sogno dei cani, un altro degli aspetti ricorrenti negli episodi.
Anche qui stessa cosa ma modalità diverse.
Nel primo un sogno banale e "fattuale" (lui che va incontro a Dafoe in macchina), nel secondo un sogno completamente metaforico (i cani buoni padroni) nel terzo uno metaforico e fattuale insieme (le due ragazze che la salvano dalla piscina, ragazze che in realtà esistono davvero).
Elementi ricorrenti ce ne sono davvero tanti, come ovviamente l'omino che dà il titolo agli episodi (cercate in rete se ha qualche significato, come sapete io scrivo solo cose che penso da solo), come il continuo riferimento al cibo, come la presenza del sesso (vero must dei film di Lanthimos, un sesso mai veramente canonico ma o surreale, o forzato, o squallido o estremo o stupro), come la presenza di auto che sfrecciano (nel primo loro che causano incidente al semaforo, nel secondo dei ragazzi che anch'essi sono passati col rosso, nel terzo lei che guida come una pazza e causa anch'essa un incidente), o Plemons che nel secondo e terzo episodio ha due scene identiche in cui "spiega" cose al personaggio della donna asiatica (senza che lei gli creda in entrambe), o la figlia della Stone nel terzo cui il padre inventa che si è rotta un piede come era accaduto veramente a Plemons nel secondo, o la presenza di aborti nel primo e nel secondo, o come - ovviamente - la presenza della morte (in tutti e 3 gli episodi muore qualcuno, anche qua sempre qualcuno con un ruolo diverso, ovvero l'omino fil rouge - solo strumentale -, una dei due protagonisti nel secondo e un personaggio secondario ma più "importante" di tutti nel terzo).
Inutile parlare degli attori (Plemons sempre più grande).
La regia non resta addosso, nè minimale nè esagerata, fa il suo.
Certo meglio 100 volte film come Kind of Kindness con la sua reticenza e i suoi simbolismi rispetto ai disastrosi 10 minuti finali di Poor Things (film però, per me, che resta abbastanza nettamente superiore nel complesso).
Di altri aspetti, specialmente di tanti simboli disseminati nel film, ci sarebbe da dire ma poi rischio lo stesso errore del film, andare troppo lungo.
Chiudiamo con una battuta/metafora (e vi risparmio - anzi, la sto dicendo - quella che nel secondo episodio c'era un piatto con-dito).
Ad un certo punto si vede la racchetta rotta di McEnroe, forse il tennista più geniale della storia del tennis.
Tennista che però, a volte, sbagliava qualcosa.
E si incazzava a bestia, sbraitando con l'arbitro o rompendo racchette.
Ecco, forse Kinds of kindness è la racchetta rotta di McEnroe.
La prova che anche un regista talentuosissimo può sbagliare.
Magari anche facendo una volee perfetta stilisticamente.
Ma che va fuori di mezzo cm.
6.5 / 7