20.3.23

Recensione: "Akira" - AnimE e Core, la grande passione per l'animazione giapponese - 16- di Enrico G.




Torna il nostro giovanissimo super esperto di Anime giapponesi Enrico.
In realtà ogni volta che scrivo "torna" (riguardo le rubriche esterne del blog )dovrei invece dire "finalmente ripubblico un pezzo di..." visto che loro li pezzi me li mandano sempre, sono io che rimando...
Ma stavolta non potevo perder tempo perchè Enrico ci parla di un capolavoro animato che ha fatto la storia del cinema e che proprio settimana scorsa è tornato nei cinema, Akira.
Vi lascio alla sua presentazione e poi alla (sicuramente bellissima) recensione.

Nominatemi un anime più conosciuto di Akira, se vi viene in mente. Un film talmente rappresentativo di un’idea, di un modo di fare, di un concetto di arte, che raramente è stato raggiunto nella storia dell’animazione anni ’80 (ma forse, proprio del cinema tutto), allo stesso tempo diventato popolare tramite esso. È con Akira che il “cartone giapponese” diventò per la prima volta qualcosa da volere, ricercare fieramente, pretendere dal mercato, spalancando le porte dell’Occidente a ciò che venne prima e dopo. Alcuni di quei prodotti sono tornati di nicchia. Lo stesso Katsuhiro Otomo è stato messo in ombra dalla sua creatura, e sì che è la mente dietro Steamboy, Roujin Z, Metropolis, Spriggan, antologie, fumetti. Akira invece è rimasto intoccabile, torna nei cinema e in ristampa ogni pochi anni, e finalmente, al suo 35esimo anniversario, mi sono deciso anch’io a vederlo per la prima volta, sul grande schermo. Questa, più che una recensione, è l’impressione di chi per una volta smette i panni di appassionato, e torna ad essere spettatore in una sala. Davanti a sé, un film di corpi torturati, di metropoli devastate, dei loro suoni, e dei loro colori, centinaia di colori.

Per dovere d’inventario, attualmente disponibile anche su Netflix.

Spoiler sparsi, ma d’altronde lo avrete già visto tutti.


Una parola innanzitutto, sulla visione “competitiva” di film. La ricerca spasmodica dei grandi capolavori della storia del cinema, a mio parere, non può essere una gara né un’indigestione. Il desiderio di entrare a far parte della cultura della cinematografia passata può solo essere lodevole, se umile. Per contro, non ho mai condiviso l’idea che per “capirci qualcosa” della settima arte, o qualsiasi altra espressione artistica per quel che importa, ci debbano essere patenti e passaggi obbligati, determinate visioni nel caso del cinema. Lascerei volentieri la scienza di queste espressioni a chi le fa o le studia, mentre la comprensione non richiede altro che una mente degna di questo nome. È una convinzione che si rafforza quando ho l’occasione di vedere un rinomato classico sul grande schermo: ammirare Akira come era stato inteso nel 1988 vale tutta la pazienza con cui l’ho atteso – pazienza che in realtà, è spesso null’altro che un “attendere il momento giusto”, pratica perfezionata in anni di attesa della distribuzione italiana di prodotti orientali (una specie di addestramento zen ad honorem). Con in più, tutta la naiveté di conoscere poco o nulla sui retroscena del film, esattamente come la maggior parte degli spettatori di allora. E poco importa se fino a ieri mi avrebbero detto di essere indegno di chiamarmi appassionato di anime.
E allora, sotto la patina della notorietà, qual è la storia di Akira? Il film è ambientato nel 2019, prevedendo con largo anticipo che le Olimpiadi di Tokyo dell’anno dopo sarebbero state azzoppate da una catastrofe umanitaria. Trent’anni prima una misteriosa esplosione, che vediamo nel famosissimo incipit, ha sconquassato il centro della capitale giapponese, ricostruita successivamente attorno all’impressionante cratere. Questa Neo-Tokyo però è a sua volta un buco infernale di instabilità e degrado, sulle cui strade regnano i Centauri, giovani scapestrati riuniti in bande, che in sella alle loro moto combattono come se la guerra non fosse mai finita. È durante una di queste scorribande che Tetsuo quasi muore, scontrandosi con un bambino dall’aspetto di un vecchio. Nemmeno il gruppo del ragazzo e il loro leader, Kaneda, possono impedire che scienziati e militari dall’aria losca portino via entrambi…



La trama del film è veramente una creatura curiosa, sicuramente frutto del tentativo di comprimere in due ore l’imponente graphic novel di Katsuhiro Otomo, che è anche regista, sceneggiatore e designer dei personaggi dell’adattamento. Va velocissima nella prima parte, rombando gloriosamente come le splendide moto futuristiche dei protagonisti, anche se è solo l’introduzione del mondo e dei caratteri. Va lenta, persino con qualche tempo morto, nella seconda che è quasi azione non stop. Imbastisce un mondo immensamente ambizioso per raccontare la storia intima e contrastata di due amici d’infanzia. È ignorantemente e fieramente portata avanti da esplosioni, sfoggio di poteri telecinetici, intrattenimento puro, ma pure basata su un conflitto molto personale, su temi molto adulti (la volontà, l’innocenza, i principi animatori di questo mondo, il sacrificio), sul protagonismo di personaggi in buona parte difficili da scrivere (e da leggere, nelle loro motivazioni profonde). È insomma, uno di quei mix che, o hai in mano un capolavoro che riesce miracolosamente a tenere tutto assieme e farlo funzionare, o esploderà pesantemente come un mezzo corazzato qualsiasi sulla strada di Tetsuo. Nel caso di Akira, direi che la posterità ha già decretato su quale lato si adagia. Direi che posso coscientemente accodarmi, visto che nella mia particolare visione i capolavori sono proprio questo: non film perfetti, anzi, opere d’arte che si ergono per strani e sovente imperscrutabili motivi al di sopra dei loro difetti. Sono i Blade Runner, sono i Brisby e il Segreto di Nimh, entrambi del 1982 (l’anno del manga), da cui Akira sembra aver appreso una lezione importante, la costruzione di un futuro cyberpunk dall’uno, la guerra tra Scienza, Natura e Ignoto (intesa come polemos, uno dei principi eraclitei) l’altro. Che poi futuro tra virgolette, quel 2019 è tale solo sul calendario, il mondo di Akira è quello anni ’80 dei telefoni a gettoni e le manifestazioni studentesche e antigovernative che infuocavano le strade del Giappone. A tal proposito, se volete un valido rappresentante di finzione storica ambientato in quel mondo, vi consiglio caldamente di leggere Norwegian Wood, un libro straordinario scritto da chi, Haruki Murakami, quegli anni li ha vissuti davvero.



Frattanto nel film, uno dei gruppi di protesta finisce per incrociarsi con i giovani Centauri quando Kaneda, alla stazione di polizia dove li hanno sbattuti dopo il rapimento, si invaghisce di una dei membri, Kei. Anche se sembrano saperne sul misterioso vecchio-bambino – chissà se Otomo si è ispirato al Mamoo della Pietra della Saggezza, a sua volta modellato sull’attore Paul Williams de “Il Fantasma del Palcoscenico” – i ribelli e la loro lotta col potere costituito sono più che altro un MacGuffin per giungere alla presenza di Tetsuo. Meravigliosa e tragica però la loro fine, trascinati nella sorte parallela del consiglio di governo; divorati da questo Giappone al limite che fagocita e collassa continuamente su sé stesso. Esattamente come farà, in una esplosione di body horror, il corpo di Tetsuo, provato infine dai suoi poteri psicocinetici: acquisiti nello scontro fatale di quella notte, lo rendono praticamente imbattibile, al costo di tremendi mal di testa, visioni, incubi come quello delirante dei giocattoli indemoniati, che sembrano una versione satanica di certe carte di Yu-Gi-Oh. E una voce che lo chiama: ma, se proprio a lui appartiene, chi è questo fantomatico Akira? Comincia una marcia della morte attraverso Tokyo, mentre si accodano torme di fanatici millenaristi, in cerca del loro salvatore, e un esercito ottuso e violento cerca inutilmente di opporvisi.

16.3.23

Recensione: "After Love" (2020) - Su Mubi - Su Prime - Rocco's House

 

Un film perfetto, al quale non riesco a trovare un solo difetto (non per questo After Love va considerato un capolavoro, è "semplicemente" un film perfetto).
A Mary muore il marito Ahmed, marito per il quale si era convertita all'islamismo.
Per caso scopre che Ahmed aveva una storia parallela dall'altra parte della Manica (lui è un marittimo e lavorava tra le due coste).
Decide di andare a conoscere la donna che vive in Francia, l'amante.
Un film delicato con una sceneggiatura al tempo stesso semplicissima ma anche complessa nella gestione di questo triangolo impossibile (la scena della chat col figlio è in questo senso un capolavoro).
Una gigantesca (in tutti i sensi) Joanna Scanlan (la madre di Pin Cushion, lacrime) in un'opera dolorosa ma mai struggente, per quel suo modo meraviglioso di raccontare tutto in punta di piedi, in silenzio, con i sentimenti trattenuti dentro la pancia.
Un film dove la solitudine di aver perso il proprio amore è raccontato dal gesto meccanico, istintivo, di preparare ancora due thè.
Davvero bellissimo.


A volte, anzi, molto raramente, finito un film ho la strana e quasi fastidiosa sensazione di aver visto qualcosa di perfetto.
Non per forza un capolavoro, a volte nemmeno un quasi capolavoro, ma, "semplicemente", un film perfetto, un film di cui non cambieresti un dialogo, un personaggio, una scena, un film a cui non riesci a trovare un difetto di scrittura, di ritmo, di regia, niente di niente.
Magari ci sono film che ti piacciono anche molto più di questi che però sono film imperfetti e con cose che ti fanno storcere il naso.
After Love no, After love è perfetto.
Una di quelle storie minime che piacciono a me, pure banali le chiameremmo se dentro quel "banale" non ci fosse invece dentro un mondo intero. 

Una donna, Mary, presumibilmente inglese ma diventata musulmana per amore del marito Ahmed, è appena tornata a casa e sta preparando un thè.
In una inquadratura ferma (le prime due inquadrature prendono quasi 10 minuti) vediamo lei trafficare in cucina mentre chiacchiera amabilmente col marito che si sta svestendo in camera.
Poi Mary porta il thè ad Ahmed. Lo chiama due volte, lui non risponde.
Nella seconda inquadratura (una lentissima carrellata avanti da campo medio a primissimo piano, una delle mie preferite nel cinema) delle donne piangono vicino a lei, è probabilmente un funerale.
Ahmed è morto.
Poco dopo (forse lo stesso giorno, il film si svolge in davvero poco tempo) Mary scopre sul cellulare del marito dei messaggi strani con un'altra donna.
Un'altra donna che vive in Francia, dall'altra parte della Manica (le vicende si svolgono tra Dover e Calais, o almeno credo).
Mary prende un traghetto per andare a conoscere l'amante del marito.

Ne nasce un film malinconico, delicato, sempre costantemente sotto le righe e trattenuto.
Trattenuto come le emozioni di Mary che, una volta arrivata in Francia, non riesce a dire la verità a Genevieve, accettando addirittura di farle da donna delle pulizie.
Quella scelta apparentemente insensata è in realtà la scelta di una donna profondamente buona che non riesce a trovare il coraggio.
E questo suo prender tempo, questo suo restare in quella casa, la porterà a un viaggio dentro sè stessa, dentro le sue emozioni, dentro i suoi ricordi.
Affrontando piccole prove ma sempre più difficili (trovare le camicie di lui in quella casa, rassettando il letto dove presumibilmente il marito dormiva e faceva sesso con Genevieve e tanto altro).
Il suo dolore soffocato ma meravigliosamente accettato (la dignità di questa donna è straordinaria) creeranno un personaggio fortemente empatico per lo spettatore, l'unico che insieme a lei sa la verità.
Mentre lei trattiene tutto e tenta di tenere insieme tutti i pezzi, però, il suo mondo intorno pare sgretolarsi (in questo senso ho letto la frana che vede nella costiera alla partenza verso la Francia o il tetto che, come una polvere, si sgretola in camera di Genevieve).
Lei finge di restare tutta intera ma - metaforicamente - fuori tutto si sta sgretolando.

Avendo perso tutto Mary si abbandona nel mare


Anche perchè la sua era una storia di vero amore, un amore esclusivo, anche "sacrificale" (la scelta di cambiare religione per lui) e una volta perso Ahmed la donna si trova veramente senza più nulla (mantenendo però una forza e una dignità eccezionali).
Ah, la prova di Joanna Scanlan è da brividi. E' un'attrice che avevo già visto in un altro ruolo indimenticabile, quello della madre in quel piccolo grande film che è Pin Cushion, un film che fa male.
Un'interpretazione coraggiosa, con quel suo corpo così grande mostrato anche nudo. 
In questo senso perfetta la contrapposizione tra le due donne, molto grassa una, terribilmente magra l'altra, tutto volto a creare un grande disagio in Mary che, dopo aver visto Genevieve, mette in dubbio tutta la sua storia d'amore, anche dal lato fisico.

10.3.23

Recensione: "Holy Spider" - Cinema 2023 - 6 -

 

Dopo Border, film molto bello (ed anche a tratti fastidioso) torna Abbasi.
E passa da una favola nera con creature ibride uomini-troll (ambientato in Svezia, sua seconda patria) a questo film invece molto secco, lineare, realistico (ambientato invece in Iran, sua terra natale).
La storia super vera di un assassino iraniano che nei primi anni 2000 uccise 16 prostitute in nome di una "pulizia" morale e religiosa (per questo motivo anche dopo la cattura molti lo considerarono un eroe invece che un assassino).
Un film molto bello da vedere, recitato benissimo, capace di restituire la condizione femminile iraniana in modo perfetto (anche nell'aspetto, poche volte battuto, della prostituzione) ma che forse pecca un pò per una sceneggiatura troppo povera, senza tanti guizzi e molto lineare.
In ogni caso un grande film che vi farà star male (c'è una forte empatia per quelle donne vittime) e arrabbiare.
E che ha dentro una figura straordinaria di donna, Rahimi, simbolo di intelligenza, ribellione, voglia di verità e giustizia.
E di libertà.
La amerete

Ali Abbasi ha 42 anni e ha fatto "solo" 3 lungometraggi.
Mi manca il suo primo, Shelley, ho visto il secondo, Border.
Ecco, forse memore di quel film sono rimasto un pò spiazzato da Holy Spider, film sì basato su una storia verissima (direi proprio basato più che ispirato) ma che, visto il precedente film, non mi sarei mai aspettato così lineare e secco.
Passare da una favola nera con tanto di creature ibride tra umani e troll ad una storia quasi neorealistica dritta come una spada è molto particolare.
Di certo posso dire che, se non l'avessi saputo, mai avrei detto che questi due film fossero stati girati dallo stesso regista.
Abbasi è iraniano naturalizzato svedese e se nel film precedente ci racconta una storia di lassù, della sua seconda patria (non solo nell'ambientazione, ma anche nelle credenze popolari) adesso torna nella sua terra natia per raccontare la storia di Saaed Hanaei, un serial killer che nei primissimi anni 2000 uccise (almeno) 16 donne - tutte prostitute - in nome di una "pulizia" morale dovuta al suo credo religioso (tra l'altro tutta la vicenda si svolge a Mashhad, città conosciuta proprio per il suo integralismo e luogo di culto).
C'è una differenza molto grande e molto particolare con la reale vicenda, ovvero quella che nel film il nostro killer non fa mai sesso con le donne che uccide mentre nella realtà, almeno da quanto ho letto, accadeva spesso.
E' molto particolare la scelta di Abbasi perchè scegliendo in un modo (quello reale) o in un altro (quello del film) ci saremmo trovati davanti ad un personaggio profondamente diverso.
Se è vero che in entrambi i casi la matrice religiosa e la forma mentis dell'uomo sono la causa principale di tutto, nella vicenda reale trovarsi poi a far sesso con quelle donne "impure" e "sporche" dava a quell'assassino un'ambiguità e un'ipocrisia veramente molto interessanti. Si sa, ad esempio, che molto spesso gli omofobi più violenti sono persone latentemente omosessuali (che quindi, rifiutando quella loro condizione, esprimono con violenza e pubblicamente la loro mascolinità) e io, fossi stato Abbasi, avrei lasciato questo tratto della personalità dell'assassino, anche a dimostrare come molto spesso i dettami religiosi che si portano avanti, anche arrivando all'omicidio, non sono cose in cui si crede veramente ma solo maschere o "ubriacature" che nascondono la vera essenza di molti esseri umani.
Invece alla fine possiamo dire che il vero "colpo di scena" del film è proprio l'integralismo dell'assassino, un killer che crede veramente in quello che fa, che non ha alcuna perversione sessuale sotto (oddio, a volte magari ha piccole tentazioni ma le reprime proprio pregando), che non ha doppi fini, Certo, forse questa scelta rende la vicenda ancora più inquietante (un uomo che uccide 16 donne senza altri fini pensando solo di fare la cosa giusta per religione è ancora più terribile) ma rende la sua figura secondo me molto meno complessa psicologicamente.
E pensare che tutte queste righe non le avrei mai scritte se, come faccio sempre, non avessi letto nemmeno due righe sulla vera vicenda (ma ero troppo curioso).

Al di là di questa sottile (ma sostanziale) differenza Holy Spider - come dicevo - è un film secco, fortemente realistico, che ripercorre questa vicenda così famosa in Iran.
Ci tengo subito a dire che mi affascinano moltissimo le ambientazioni mediorientali, i volti, i vestiti, le usanze (sia quelle positive, umanamente e culturalmente, che quelle terribili).
E ritrovarmi una storia di prostituzione e sesso (anche se nel film ce n'è pochissimo) nel paese più lontano possibile da questo immaginario, l'Iran, credo sia veramente uno dei punti di forza del film (questo Iran underground e "sporco" mi ha rimandato anche a quel gioiellino di "A girl walks home alone at night").
Film che comincia con un grande incipit (ah, il film è fotografato in maniera straordinaria, ha colori e luci notevolissimi e, come sempre in queste latitudini, gli attori sono eccezionali), incpit che, almeno per quanto mi riguarda, ha un grande pregio, ovvero regalarci un personaggio femminile che in soli 5 minuti mi aveva dato la sensazione che avrebbe potuto essere invece il principale.
Visto l'incipit ho immaginato che la figura del killer (nel primo omicidio non distinguibile) rimanesse nell'ombra per tutto il film (o comunque ci si svelasse solo alla fine) e invece no, Holy Spider procederà sin da subito (e sempre) in un - ottimo - montaggio alternato tra le vicende del killer (sia famigliari che i vari omicidi) e quelle di Rahimi, la giornalista intervenuta ad indagare su di lui.


E' indubbio che la tematica principale del film sia quella della condizione femminile in Iran.
Ma stavolta non tanto (o meglio, non solo) riguardo tutti i problemi che conosciamo benissimo (il doversi nascondere, il ruolo sociale praticamente nullo, il completo asservimento, la mancanza di diritti e svaghi) ma in questo aspetto abbastanza "nuovo", ovvero il mondo della prostituzione.
Già (vedi l'incipit) vedere queste donne truccarsi, vestirsi in modo più libero, mettere un rossetto ci sembra qualcosa di sbagliato, pericoloso, immorale. Lo spettatore percepisce benissimo questo clima, clima nel quale poi quell'assassino diventa addirittura, per la maggior parte delle persone, un benefattore, un eroe, uno che ripulisce la città dal vizio.
Uno che si poteva permettere di buttare le sue vittime nei fossi alla luce del sole, come fossero un trofeo di guerra che la gente doveva vedere.

8.3.23

Decimo Raduno de Il Buio in Sala aka Terzo Radunetto del Buio in Sala aka Primo Radunetto senza fissa dimora (14-15-16 Aprile - Perugia e dintorni)



 Non volevo fare il Radunetto (ossia il raduno intermedio di Marzo/Aprile che avevamo cominciato a fare, con successo, nell'era preCovid).
Non volevo farlo perchè per la prima volta il nostro luogo simbolo di ritrovo, il Supernova, non esiste (non ce l'ha al momento in gestione nessuno) e quindi preferivo organizzare al meglio (trovando un'altra soluzione) il Raduno di Settembre e lasciar perdere questo.
Però mi son detto "sarebbe comunque bello passare un fine settimana intermedio con gli amici".
Li ho contattati, il primo ha detto sì, il secondo uguale, il terzo pure, il quarto anche.
E, insomma, mi sono ritrovato con tipo il 100% di adesioni dopo i primi 10 contatti.
E allora mi son detto "vabbeh, a sto punto possiamo ratificallo ufficialmente come "Radunetto" e ce faccio il post, casomai si aggiunge qualcuno".
E così ho fatto.
Sarà un raduno molto diverso dagli altri, anzi, a ben pensare, non essendoci un luogo di raduno, non è manco un raduno quanto piuttosto un fine settimana passato insieme, tra cinema (direi di vedere uno o due film in sala), cibo (si mangia sempre insieme pranzi e cene) e scampagnate (il sabato andremo a visitare qualche borgo umbro o toscano).
Insomma, rispetto agli altri 9 raduni non avremo un luogo la sera tutto nostro ma per il resto, se possibile, faremo anche più cose insieme.

Ovviamente, come sempre, metterò a disposizione alloggi a prezzi facilitati, come il mitico Hotel Signa o, per chi vuole, il nostro agriturismo.

Le date sono 14-15-16 Aprile

Il 14 ceneremo insieme (e magari andiamo anche al cinema), il 15 andremo a visitare qualche borgo, poi la sera - credo - andremo a vedere un film e poi si rimangia insieme.
La domenica, per chi resta, solito ultimo pranzo.

Insomma, 4 pasti, 2 film (o uno), un borgo visitato.
E tante risate.
A differenza dei raduni passati non vi stresserò dicendovi di venire perchè, non avendo il Supernova, più siete più sarà difficile gestire (pensate solo ad entrare in sala in 30...).
Però, alla fine, più siete più sarà bello.
Come smentirsi in due righe.

Per qualsiasi informazione contattatemi :)

2.3.23

Recensione: "The Whale" - Cinema 2023 - 5 -

 

The Whale è un film gigantesco, quasi quanto il suo protagonista.
Un'opera dolorosa e coraggiosa.
Un film dove l'obesità non diventa mai il tema principale ma soltanto una delle tante possibili scelte che si potevano prendere per raccontare una storia, una storia di amore, di odio, di cattiveria, di condanna, di perdono, di misericordia, di sofferenza.
Con dei personaggi molto complessi, anche "sbagliati" come esseri umani, a cui però non puoi non voler bene.
Dopo Il Cigno Nero, The Wrestler (a proposito, tra i 3 film c'è un emozionante punto in comune) e Madre! l'ennesima conferma di quanto questo regista sappia emozionarmi e farmi riflettere.
E di quando sappia raccontare tutti i lati migliori, e quelli peggiori, degli esseri umani

PRESENTI SPOILER SIN DA SUBITO



Appena visto lo struggente finale, in una specie di immediata epifania (ma le epifanie sono immediate per definizione) mi sono venuti in mente 3 film, sbam, come se quel finale li avesse racchiusi tutti.
Con una certa emozione mi sono accorto poi che due dei tre film che mi sono esplosi in testa erano dello stesso Aronofsky.

Il Cigno Nero finisce con la (quasi sicura) morte della protagonista, con un ultimo salto.
The Wrestler finisce con la (quasi sicura) morte del protagonista, con un ultimo salto.
The Whale finisce con la (quasi sicura) morte del protagonista, anche qui con un ultimo ed estremo gesto fisico.
Tre film (i soli che ho visto del regista oltre Madre!, per me 4 film straordinari tutti) che finiscono tutti allo stesso modo, con il protagonista che muore (lo diamo per certo anche se non è mai esplicitato del tutto).
Eppure, ed è questo il punto di incontro più emozionante, tutte e 3 le morti nascondono un senso di "felicità" al loro interno, il raggiungimento di un obiettivo (inseguito peraltro per tutto il film).
Per Nina arriva finalmente quel senso di perfezione che tanto ricercava.
Per Randy the Ram il momento che anche lui tanto ricercava, quello del tornare ad essere amato, ad essere l'idolo della folla.
Per Charlie, il professore obeso del film, quello del ricongiungimento affettivo con la figlia, in qualche modo fino a quel momento bloccato da 9 anni nella tesina che la stessa scrisse su Moby Dick.
I finali sono tutti e 3 pieni di pathos, empatici, dolorosi, eppure quelle 3 persone hanno, in qualche modo, "deciso" di morire in nome di ideali o di emozioni per cui, per l'appunto, valeva la pena anche morire.
E' vero, le differenze ci sono, ad esempio il nero che inghiotte lo schermo poco dopo che Randy salta dalle corde è opposto al bianco dell'ascensione di Charlie. Uno se ne va quasi piangendo, l'altro probabilmente nel momento più felice dei suoi ultimi anni.
Eppure, come dicevo, tutti e due gli uomini (e anche Nina) preferiscono il rischio di morire "felici" a quello di non morire e tornare ad una "vita non vita" alla continua ricerca di qualcosa.
Ma c'è un altro film che questo grande finale mi ha ricordato, ed è Birdman.
Anche lì un padre e una figlia.
Anche lì un rapporto impossibile che sfiora l'odio.
E anche lì una probabile morte finale trasformata invece, con lirismo, in un'ascensione, in qualcosa di "bello", liberatorio, leggero.
The Whale finisce ma probabilmente, come già fece Emma Stone in Birdman, anche Sadie Sink (Ellie) avrebbe alzato gli occhi all'insù e, forse, riso pure lei.


The Whale è un film gigantesco quasi quanto il suo protagonista.
Un'opera dolorosa, coraggiosa, ambigua.
Un film dove l'obesità non è mai il tema principale ma soltanto una delle tante possibili scelte che si potevano prendere per raccontare una storia.
Una storia di amore, di odio, di cattiveria, di condanna, di perdono, di misericordia, di sofferenza.
Con un personaggio in tutti i sensi enorme che, quasi come un Cristo, sa regalare solo amore e perdono, qualsiasi cosa succeda, qualsiasi cosa gli facciano o gli dicano (in questo senso segnalo una piccola perla sull'argomento, "Tore Tanzt").

"Non hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non amare?
Le persone sono meravigliose"

E' in questa commovente e presumibile bugia (per noi, non per lui che ci crede veramente) che dice nel finale Charlie che possiamo ritrovare l'anima del film, un film su un uomo ormai alla deriva (e la deriva è anche il modo in cui muoiono spesso le balene), privo di prospettive, imprigionato sia nei ricordi (del compagno perso, della famiglia abbandonata) sia in un corpo ormai mastodontico che gli preclude qualsiasi cosa, un sarcofago di carne dentro il quale l'unica cosa da fare è aspettare di morire.
Un'obesità (come spesso accade) arrivata a causa di dolore, perdita e solitudine, di un vuoto che Charlie ha riempito col cibo.
Tutto abbastanza classico.
Ma The Whale, malgrado il corpo pantagruelico di Charlie sia sempre lì davanti ai nostri occhi, malgrado in ogni dialogo se ne faccia menzione, malgrado sia sempre l'epicentro di tutto, non sembra parlare di obesità ma, in generale, di qualsiasi condizione di abbandono di sè, tristezza cronica, situazione invalidante e irreversibile.
Più passa il tempo, più la solitudine e i dolori aumentano più Charlie ingrassa (non è un caso che sia raddoppiato dopo la morte del compagno e che moglie e figlia ne avevano un ricordo profondamente diverso).
Probabilmente se Charlie non morisse, o se non fosse comunque ormai destinato a morire dopo questo finale avrebbe potuto ricominciare una nuova vita, anche fisicamente.
Ma ormai, davvero quasi come un Cristo, aveva accettato di morire, con molta serenità.
Con un'ultima missione, regalare tutto l'amore possibile.

Nei tre film precedenti che avevo visto di Aronofsky (Il Cigno Nero, The Wrestler, Madre!) il regista stava sempre appiccicato al suo protagonista, a un palmo di naso da lui, e lo seguiva ovunque, con un tipo di regia (alla Van Sant) che a me piace da morire.
Qui non poteva, qui il suo personaggio è lì, fermo, e così anche il suo modo di girare sarà profondamente diverso. Resta comunque sempre attaccato a lui, ovviamente, ma senza potersi muovere, in una specie di regia centripeta, senza possibili vie di fuga, una regia per cui qualsiasi azione, qualsiasi movimento, resterà nell'orbita di pochi metri di quel corpo gigantesco e di quel divano.
Ovvio che per questo modo di girare di Aronofsky servano sempre attori eccezionali, attori che sanno reggere quello sguardo addosso di un'ora e mezzo.
E come la Portman, Rourke e la Lawrence anche Fraser offre una prova eccezionale, forse da un certo punto di vista più "facile" dei 3 menzionati (sei quasi sempre fermo e con una protesi che fa diventare il tuo personaggio empatico già di suo) ma al tempo stesso le maglie più strette (oddio, sembra una pessima battuta) gli permettono anche molte meno cose.

Ma è indubbio che l'interpretazione (e il personaggio) che rimane più addosso sia quella di Sadie Sink, ragazzina famosa soprattutto per Strangers Things (che non ho visto ma la puntata cult dove c'è lei sospesa l'ho vista, per sbaglio).


Ellie è un personaggio grandioso e complesso, come del resto anche quello di Liz (sul quale torneremo, anche lei ha molte ombre).
Ragazzina che ha visto suo padre andar via a 8 anni, che è vissuta sempre o nel disamore o nella mancanza d'amore, con un padre assente e una madre problematica e incapace di capire la sua rabbia e il suo dolore.
Una ragazzina cattiva, una ragazzina che dileggia sui social il padre obeso (addirittura augurandogli la morte in pubblico), una ragazzina che urla il suo odio continuamente, una ragazzina che accetta di stare col padre solo per prenderne l'eredità, una ragazzina alla fine talmente incattivita e "rovinata" che rompe anche il piattino del cibo dell'innocente uccellino.
Una specie di mostro, pare.
Eppure, e in questo si dimostra la grandezza del film, della sceneggiatura (derivata) e della prova della Sink, più questa adolescente fa e dice cose mostruose più l'amiamo, più vorremmo essere lì ad abbracciarla forte, più capiamo quello che sta provando, quello che ha vissuto e quello che non ha vissuto.
Il film è coraggioso perchè anche se noi in modo latente percepiamo le "cose belle" di Ellie, il suo amore contrastato per il padre e il tremendo desiderio di dare e ricevere affetto, questo personaggio resterà "negativo" fino a fine film, la sua struggente maschera (protettiva) d'odio reggerà fino all'ultimo minuto.
Ma Charlie, come noi, di quell'odio, di quelle cattiverie (terribili) quasi nemmeno se ne accorge o, comunque, non gli interessano.
Lui sa che quella sua figlia è una ragazza potenzialmente meravigliosa, profonda (non è un caso che il fil rouge del film, il temino su Moby Dick, sia così importante, non tanto per l'ovvia metafora e analogia con Charlie-balena ma soprattutto per capire la profondità dell'animo di quella bambina ora adolescente) che anche per colpa sua adesso si trova in quella situazione.

21.2.23

Recensione: "Creators : The Past" - La Doppietta di Vieri - Rocco's House - Su Prime - Gli Abomini di serie Z e fosse per me lo metterei anche nella rubrica della mad..., no via, meglio me trattengo

 

Il crossover che tutta Italia aspettava, l'incrocio tra La Doppietta di Vieri (la rubrica quando Vieri me viene a trovà da Firenze e vedemo due film in una sera) e Rocco's House (ossia quella dei film visti a casa de? indovinate) non poteva esse celebrata meglio che con la visione di un film cult di cui si parla da 4 anni ma che quasi nessuno, fino ad adesso che maremmaiala è su Prime, era riuscito a vedè, ovvero Creators : The Past(iccio).
Un film fatto da complottisti, gente che crede a Nuovi Ordini Mondiali, gente che crede ai rettiliani, gente che crede de esse aliena (seriamente eh) e che in uno sci-fi mastodontico ce propinano, senza che si capisca letteralmente una sega, tutte le loro teorie da lesionati mentali.
Non c'è ironia, non c'è divertimento (dico in chi il film l'ha fatto, nello spettatore sì), sono proprio seri.
Ma, oltre all'altra migliaia de cose, solo per prendene una, come se pò considerà serio un film dove nascondono la boccetta (sfera) per dominà il mondo dentro un'arancia del Carnevale di Ivrea e poi la tirano sul muso a uno?
Ma andate affanculo via

Ma come se fa dico io a fa pagà una pizza normale, perdipiù su una pizzeria scrausa de 5 metri quadri che le fa principalmente al taglio, dico, come se fa a fa pagà su una pizzeria così, con ingredienti tra l'altro pessimi e insapori, una pizza 11 euro?
Cioè, a Perugia ormai a quel prezzo mangi quelle gourmet con sopra ogni ben di Dio, dio santo.
Boh, forse la simpaticissima (son serio) signora pizzaiola sapeva che poi avremmo visto il MITICO Creators e allora c'ha voluto già mandà in mood de malemale misto a incazzatura.
Chè io poi sto film lo aspettavo da 4 anni, da quando fu presentato in pompa magna come (leggete nel poster...) e anche come un film che avrebbe cambiato la vita delle persone, avrebbe detto la verità e cambiato le leggi del cinema.
Ma seri eh! Cioè, dietro Creators non ci sono persone normali, autoironiche e che si sono divertite ma LESIONATI MENTALI SERI che credono ai Rettiliani, agli alieni che dominano il mondo, al Nuovo Ordine Mondiale e altre cazzate varie.
Anzi, colei che sto film lo ha scritto e prodotto (ed è anche la protagonista del film, ovviamente) se considera essa stessa n'aliena e c'ha un canale you tube dove parla de ste cose.
E io 4 anni fa li vedevo i suoi video, me ce divertivo e, proprio a causa de quelli, non vedevo l'ora de vedè Creators.
Ora, invece, una volta visto, vorrei cavamme gli occhi.
Perchè che era brutto brutto lo sapevo, ma che fosse così insopportabile no.
Meno male eravamo in 6 e quindi ce l'abbiamo fatta, anche ridendo a tratti parecchio, ma se fossi stato solo avrei tolto dopo, giuro, 45 secondi.
Perchè i primi 45 secondi c'è una voce fori campo che spiega delle cose e, letteralmente, non ce se capisce una sega.
Ho iniziato a prende appunti e niente, tempo 12 secondi ho posato la penna.
Niente, un'accozzaglia de cose senza senso, Creatori, pianeti, lens, alieni sulla terra, rettiliani, chiesa, vicende nel 1300 e altre di adesso, un casino senza precedenti in cui l'unica cosa che se pò fa è disse "Ok, non seguo più nulla, lascio che le immagini me scorrano davanti e arriverò in qualche modo alla fine"
Con tanta tanta fatica.
Io ora vorrei davvero dirvi la trama di Creators ma, senza alcuna ironia nè voglia de prende in giro solo per partito preso, ve lo giuro, non c'ho capito NIENTE.
E quando dico niente è niente.
Ma la cosa più inquietante è che è passato solo un giorno e mezzo e già non ricordo - a parte le scene più comiche - quasi mezza scena.
Ad esempio, come finisce?
Boh.
Quindi è per me impossibile fare una recensione sì scema, ma al contempo lineare e sensata, posso solo dà qualche flash.

- All'inizio ce sono sti 8 Creatori, 3-4 parleranno sempre (quelli mezzi umani nelle fattezze) ma poi ce sono altri 4 quasi del tutto alieni e brutti che invece stanno lì zitti senza dì mai na parola. Se vede che ormai la storia de sti complottisti era con 8 e quindi li hanno creati e messi lì, per fa tornà i conti

Ecco, son questi quelli inutili



- A proposito de conti uno dei Creatori vi giuro che è uguale a Ugo Conti, ma così uguale uguale che abbiamo fermato il film e cercato notizie in rete sul cast, senza però leggere il su nome. Ergo, non era lui.

- Lei, la Fiani, la "capoccia" de tutto sto progetto, quella che - realmente - se crede un'aliena e ha scritto e prodotto sto film è bona.

Nel film c'è addirittura la partecipazione di DEPARDIEU.
Ora, è facile immaginà che per convincelo glie hanno dato 7 fiaschi de vino e una notte a testa con tutte le femmine di topo presenti nel film.
Il grande Gerard ha accettato, chiamalo scemo...
Che poi interpreta una figura importante della Chiesa (non me dite quale che non se capisce niente) e che Depardieu interpreti una figura importante della Chiesa fa già ride de suo.
Sarà per quel "Dieu" finale sul cognome, forse.

- Il film è uno sci-fi, infarcito per almeno metà del tempo da effetti visivi magniloquenti de spazio, pianeti, luoghi strani, fasci de luce etc...
Intendiamoci, non sono manco fatti male gli effetti eh, ma è tutto talmente pacchiano che anche gli effetti belli diventano insopportabili.
2001 Odissea nello strazio

- Il film a tratti ha una buonissima fotografia e anche un buon gusto dell'immagine e delle inquadrature. Questo avviene specialmente nei 3-4 inserti "da cartolina" (quello de Venezia, quello della figliola che canta e un altro paio) che col film, come del resto tutto il... resto, non c'entrano niente col resto. Ora voglio un arresto pe sta frase


- C'è una scena dove Depardieu me sembra preghi e fa un monologo. A faglie da colonna sonora un giovane prete che nell'altra stanza sona il piano, così, lo sona proprio per fa da colonna sonora a Depardieu, magnifico.

- Ad un certo punto nel film, anche qui quasi completamente a caso, fa la comparsa BIGLINO! Molti di voi lo conosceranno, uomo di profonda cultura (ha ritradotto in maniera completamente diversa la Bibbia) ma dalle idee particolarmente strambe. Perfette, però, nella cornice di Creators. 
Nel film c'è una sua marchetta con un'intervista e anche i suoi libri messi in bella evidenza, uno spettacolo!

- Ad un certo punto nel film compare un bambino, i miei amici mi hanno detto che sia una specie di Gesù ma io non ho capito nulla. Porello, il dialogo che ha con l'altro bambino nel tablet è da harakiri, per fortuna le pizze ce le avevano già tagliate perchè se avevo ancora il coltello in mano me sa sta recensione non sarebbe mai stata scritta. Ed era solo meglio

- Nel film è importante una sfera, una "lens". Non ho capito a che serva (ragazzi, vi prego, guardare il film perchè quando dico continuamente "non ho capito" non mi sto atteggiando, solo vedendolo potete (non) capire). 
Come inserire questa Lens nel nostro mondo terreno?
Ecco, i Creatori, esseri soprannaturali che governano altri pianeti, la infilano DENTRO UN'ARANCIA del Carnevale di Ivrea e poi qualcuno la tira sul muso di un ragazzo. E niente, in due secondi per un'arancia sul muso arriva l'ambulanza e partono a sirene spiegate (ecco, le sirene sono spiegate, il film per niente...). Come un film che parla di 8 pianeti, di super poteri, di governatori del Mondo e del Tempo si sia trovato con un oggetto potentissimo nascosto dentro un'arancia de Ivrea, in Italia, non se sa.

- Ah, no, spetta, scrivendo me so ricordato la faccenda de Gesù. Cioè, non è che ho capito qualcosa ma me ricordo una scena dove se vede lei (era lei?) che entra dentro il Santo Sepolcro dopo che Gesù è morto e lo fa uscì.
Perlamordelamadonna, in tutti i sensi

- La scena CAPOLAVORO.
La bella ragazza ricoverata in ospedale (non me chiedete perchè è ricoverata che non me ricordo) deve fuggì dallo stesso ospedale (dove i medici sono Rettiliani, con gli occhi neri) insieme al bel giovane biondo che cantava le canzoni al centro de igiene mentale.
Ecco, che succede? Che questa scopre de avè dei grandissimi poteri e allora mentre corrono lancia davanti a sè un fascio di potenza per aprì la porta che c'hanno davanti.
Lei lancia sto coso e in effetti la porta se apre.
Ma è una porta scorrevole de quelle a sensori, ad apertura automatica.
Lei APRE CON UN FASCIO DE LUCE UNA PORTA CHE SE APRIVA DA SOLA.
Incredibile che dopo questa cosa siamo voluti ancora andà avanti.

- I due poi sono a casa de lei (o de lui) e, boh, lui è dietro di lei ma poi le sbuca da davanti in basso. Oddio, non so come spiegallo, dovete solo vedella.

- Ora partono 10 minuti pazzeschi.
Il bambino di cui sopra, quello col tablet, non me ricordo perchè ma finisce nella sala-capoccia dei Creatori.
O era nella cripta?
Poco importa. Sto bambino diventa un adulto in due secondi ma all'inizio ha ancora la voce del bambino. E ve giuro che vedè quell'omone che parla con quella vocina è qualcosa di inestimabile.
Incredibilmente poi non è che quando la voce diventa da omo le cose migliorano, anzi, peggiorano.
Uno dei Creatori (perdonatemi ma non ricordo il ruolo di nessuno di essi nè un briciolo di trama) glie dice che deve andà nella Terra a fa una cosa.
Ecco, mentre l'altro lo ascolta scacciandosi da intorno le mosche (cioè, in realtà credo scacci le lucine de quel mondo magico, ma perchè???), mentre l'altro lo ascolta questo glie dice quello che deve fa nella Terra e, vi giuro anche qui, abbiamo dovuto mandà indietro 4 volte il dialogo perchè è pazzesco.
E' come se uno ve dicesse: "Ora vai sulla strada, poi giri a destra, poi dopo 3 metri troverai un mazzo di fiori in terra e giri a sinistra, poi passerà un gallo urlando in perugino e te ti fermi un attimo e lo trovi un gran bel gallo e poi fai due passi indietro ma a passi di tip tap, mi raccomando, e poi canti la canzone de Tananai a Sanremo e poi prendi la vietta a sinistra, quella dove c'è la cacata del cane Umberto, e lì troverai una buca di cui però non ti devi interessare perchè in realtà tu quella buca nemmeno la vedi perchè è una buca piena di terra e quindi non è nemmeno una buca e allora te andrai altri 8 metri indietro e dopo aver detto buongiorno al quarto vecchietto della panchina di sinistra di Deruta, ma attenzione, solo al quarto, perchè gli altri 3 sono Creatori di cui uno somiglia a Ugo Conti, te allora vedrai un luccichio a nord ovest e quel luccichio è una coppa d'oro, ma non ci andare, non devi prendere quella, non ci interessa, piuttosto adesso vai 12 anni in avanti e vedi il derby Perugia - Ternana del 2035 e te vedi che il Perugia vince 3 a 0 e uno dei marcatori è Luigino, il figlio de Mariuccio, che è il nipote del vecchio che hai salutato prima, ma questa è solo una coincidenza, e ora te torni indietro e sapendo il risultato scommetti quella partita ma purtroppo morirai prima del passare di questi 12 anni e allora sì, ora vedi quella spada conficcata in terra lì sulla strada verso Todi? ecco, prendila"
Questa, facilitandola un pò, è la spiegazione che dà il creatore al bambino diventato omo.
Che poi nella scena dopo semplicemente cammina 41 secondi e prende una spada in terra.


- Verso il finale, anche qui non ricordo come, ce ritroviamo nell'Inferno de Dante, con tanto de Caronte. Che poi voi me dovete dì come se mischiano Dei, Alieni, Rettiliani, Chiesa, Inferno dantesco, cioè, su sto immaginario esiste tutto e il contrario de tutto.
Ci sono altri minuti stupendi che fanno concorrenza al finale de La Casa di Jack.
Io poi, e ve lo giuro per l'ultima volta, non ricordo NIENTE.
Non ricordo come finisce sta vicenda sull'inferno, non ricordo come finisce quella del 1330, non ricordo se succede qualcosa là sopra nella stanza dei capoccia dei Creatori.
Non c'ho manco mezzo appunto riguardo sto finale, forse stavo a tirà i piatti delle pizze.
Basta.

Ah, essendo La doppietta de Vieri abbiamo visto, anche se stancamente, un altro film.
Molto carino, fatto con zero budget, mi sembra irlandese.
La classica storia di piccole comunità, sette e credenze.
Piccolo, recitato bene, con 3/4 scene davvero belle.
Si chiama Brackenmore.
Niente di che, ma per passare un'ora e 20 va più che bene.

16.2.23

Recensione: "Everything everywhere all at once" - Passeggiate, il cinema della poesia - 23 - di Roberto Flauto

 

In tanti (ovviamente sempre tanti per un mondo minuscolo come il mio - 8 ? -) mi avete chiesto "L'hai visto Everything bla bla bla? Hai recensito Everything bla bla bla?
Ho una bella notizia per voi.
Ancora non l'ho visto.
Ma l'ha visto e ne parla nel blog l'amico Roberto, quindi per voi è solo meglio.
Peccato non poter leggere la sua recensione, recensione che già solo impaginandola (ah, a proposito, dopo la "bibliografia" continua ancora eh!) mi rendo conto che sarà bellissima e geniale come sempre, un vero - e lungo - viaggio.
Ecco, voi fatelo invece, leggetela.
E a sto punto io so sollevato, me dò 3 anni per vedello.


"Una storia mortale di granelli venati d’autunno
persi tra le distorsioni spaziotemporali
dell’effimero viaggio infinito
verso l’immenso primordiale dell’amore eterno."


Parte 1:
IO EVERYTHING

Chiusi gli occhi, li riaprii. Allora vidi l’Aleph.


Noi percepiamo nella poesia la vera natura della materia. E ne perce­piamo anche l’inafferrabilità, l’oscurità, il vago e l’indefinito – che sono, o forse sembrano, almeno per ora, un suo tratto ineliminabile. Sto dicendo che alla base di ogni conoscenza umana vi è un atto di fede. Sto dicendo che il visibile è permeato di invisibile. Sto dicendo che i fantasmi sono ovunque, colmano l’universo. Sto dicendo che ogni cosa è possibilità, perché tutto si compie nel momento in cui Orfeo si volta: e non guarda più la luce e non guarda ancora Euridice. Infatti la struttura della materia – che si replica nella struttura della poesia – mantiene un tasso di incertezza inquietante. Non c’è niente di definito e definitivo, tutto appartiene al rango del possibile. I fantasmi danzano senza sosta. La materia della poesia che è poesia della materia umana: perché siamo galassie inconsapevoli. L’universo che ci abita si espande più velocemente, caoticamente, tremendamente, violentemente, meravigliosamente, paurosamente dell’universo che abitiamo. Non guardiamo più la luce, non guardiamo ancora Euridice. Tutto può accadere. Sta già accadendo. È già accaduto. Sta per accadere. L’incertezza (della bellezza). La bellezza (dell’incertezza). La poesia, come dice Wislawa Szymborska, nasce da un incessante non so. È così. Il caso e la necessità. Il nome di ogni cosa. Le lavanderie a gettoni. Le dichiarazioni dei redditi. I salti quantici. Tanto che un fisico premio Nobel come Gerardus ’t Hoof ammette «Come stanno le cose io non lo so». Se queste sono le conclusioni relative alle forze che agiscono la materia, che cosa dire della poesia? Che quella incertezza è la sua ricchezza e la sua forza, quella oscurità è il suo cuore pulsante. Noi vi siamo dentro. Siamo il cuore di tenebra. Una pietra del mesozoico. Un sasso con gli occhi disegnati, su un pianeta sconosciuto. Un’impronta nella neve. La poesia è la forma della materia che rappresenta sé stessa. Questo è il fare del fare, ovvero poiéin. Questo è l’essere dell’essere, ovvero che fine fa il mondo quando chiudo gli occhi?
Io sono tutto e tutto sono io.
E allora non ci resta che raccontarci storie.

C’era una volta. Devo compilare questi moduli. E c’era pure un’altra volta. La dichiarazione dei redditi. Tanto tempo fa. Odio la burocrazia, non ci capisco niente, sono un analfabeta dei documenti, dei modelli prestampati, delle caselle da spuntare. Tantissimo tempo fa, all’epoca delle costellazioni da pozzanghera. Nome in stampatello? Sono già in difficoltà. Vogliono sapere da me come vanno le cose. Tutti mi guardano. C’erano i dinosauri quando io ero piccolo? ROBER… aspetta, com’era? C’erano milioni di dinosauri, lo so perché ero uno di loro. Sono morto diciassette volte. Si sono accorti che ho lo sguardo perso nel vuoto. Mi conviene dire qualcosa. “Questa è la mia nuova penna”.
Chiudo gli occhi per un istante. Li riapro.
Sono in un’altra dimensione. So che cosa devo fare.

Mi sveglio accanto a lei ma lei è già andata via. È tardi (ma come può essere tardi per chi non ha niente da fare?). Fuori piove solo per me. Una colazione caotica. Una lavanderia a gettoni. Un amore che forse sono io che mi sono addormentato altrove e lei è sempre stata a casa.

Sì, lo so, l’universo dipende da me. Io sono tutto. Però il fatto è che ho da fare. Devo salvare il mio procione, ma ho paura che sia finita, non riesco a correre. Ho mal di testa, male di galassia.

Ho sette anni. Sfoglio un vecchio atlante. Mangio un pomodoro. Conosco tutte le capitali degli stati, i nomi dei fiumi, l’altezza delle montagne. Disegno, salto, corro, leggo, piango senza motivo, anzi no: il motivo è che mi manca mamma. Lei corre da me e io la abbraccio forte.

Certo che sto ascoltando. Guardi mi serve più tempo, devo parlarne con il mio commercialista. Sa, io non ci capisco molto, sono un semplice operaio. Non ho mai studiato, non mi è mai piaciuto. Però a volte penso a come sarebbe stata la mia vita se avessi letto, letto davvero intendo. Come sarebbe stata la mia vita, come avrebbe girato il mondo, come sarebbe stato l’universo, se io avessi saputo quanti amanti ebbe Caterina II di Russia? E se avessi letto il carteggio tra Hugo von Hofmannsthal e Edgar Karg? E se avessi ascoltato in loop, tipo sette ore al giorno, per ventiquattro settimane, The Maid We Messed di Matt Elliot? E se avessi galleggiato sul Mar Morto, se avessi presentato una ricerca sulla letteratura come strumento di valorizzazione sociale del territorio a un congresso internazionale di sociologia urbana, se fossi stato capace di progettare algoritmi e usare i linguaggi di programmazione più raffinati, se avessi letto Emily Dickinson appena sveglio ogni giorno della mia vita, se avessi capito davvero che “si nasce senza esperienza, si muore senza assuefazione”, se fossi stato chiunque altro, se avessi visto l’Aleph, se avessi amato vedere film e scriverne recensione che in realtà sono racconti e flussi di coscienza, se fossi stato Qfwfq, se avessi saputo guardare veramente Bonjour Monsieur Courbet, se non sentissi nevicare le cose continuamente dentro di me. Come? Ah, sì, certo che la sto ascoltando. La prego, mi dia qualche giorno ancora. Grazie davvero, lei è molto gentile.

Continuo a viaggiare senza tempo, perché io sono il tempo (io sono tutto). Mangio i pettirossi, le bacche e i fiori del male. Chiudo gli occhi per un istante. Reclino la testa. Sono di nuovo altrove e qui e ora e ti vedo mentre mi dici che è finita e io so che è colpa mia ma non riesco a dire niente perché sono in un altroquando ma ti prego almeno aspettami ancora per un istante il tempo che io salvi l’universo anche se non ho più niente solo parole e zero punteggiatura e comincioaperdereanchelospaziotraleparolealloranonmirestache.

Closure. Sangue tra i margini.

Elzenveiverplatz, a tutti voi, ve lo auguro di cuore.

Sono una star. Stasera mi esibirò di fronte a centomila persone. La mia immagine è ovunque. Tutti mi adorano. Mi desiderano, mi invidiano. Mi odiano. Le luci, i fiori, la musica, i colori. Tutti applaudono. Mi guardo intorno. Lei non c’è. Chissà come sarebbe andata se quella volta, da ragazzi, avessimo osato amarci. Lo spettacolo è finito, cala il sipario. Sono stato splendido. Esco nel vicolo, ho bisogno di aria. Nel vicolo trovo lei. Parliamo, stiamo in silenzio. Forse, accenno, ormai è troppo tardi. Forse, confessa, non è ancora infinita.

Sto correndo più che posso, ma non riesco a raggiungere il mio procione. Sono stremato. Le tue mani tra i miei capelli. Guidami l’esistenza. Sogna con me. Brucia con me. Cado, aiuto, ho paura, il cuore mi batte forte dum dum dum dum dum dum dum dum and now we killed a raccoon, we are using your body like it’s a machine gun, now we are shooting some fish, our friendship is blossoming, let’s eat the stuff we killed, now we started a fire, I have to admit I’m enjoying your company, are we falling in loooooove?

Sto nascendo in questo momento. Vedo il volto di mia madre segnato dal dolore. Sono vecchio e ascolto una musica carica di mostri in un insensato pomeriggio di autunno.

Maionese. Suono il pianoforte con i piedi. Avete presente quella breve sensazione di spaesamento che si prova quando vedi una persona che conosci appena, ma fuori dal suo contesto abituale? Tipo quando vedi il tuo benzinaio alla posta. Ecco, in quegli istanti fioriscono universi sconfinati. Infatti io sono un acrobata circense con doti da contorsionista e in questo momento sono sospeso per aria.

[“Nel mio mondo sono tutti dei pony e mangiano arcobaleni e pupù di farfalla”.]

No, aspetta, ti prego. Non andare via. Forse… Non so… Mi dispiace, mi dispiace. Ho fatto un casino…

Mi sveglio accanto a lei e tutto è blu.

Di mondo in mondo, mondo le mie colpe.

Chiudo gli occhi. Qualcosa di inatteso, inusuale, improvviso, un gesto catastrofico, una frazione di secondo per lasciarmi possedere dall’io che non sono. Attraverso specchi e lascio impronte sull’acqua.

Io sono tutto e tutto sono io, così mi ha detto la persona che amo, ma io non sono niente e non so fare altro che passeggiare.

Devo preparare la festa per questa sera. Canteremo, balleremo, suoneremo, gioiremo, finiremo.

La lavatrice si è mangiata i soldi. Allora questi moduli, signor Flauto? L’inganno del tempo. Sì, li sto compilando, sto raccogliendo tutto il necessario, saranno pronti tra qualche giorno. L’oblò da cui filtra la luce del mondo. Lei è davvero molto gentile. Preparare la colazione, un altro passo di danza. No, non so come dirlo. È impossibile. È impossibile perché hai paura. È tutto finito. È tutto finito? È tutto infinito. È tutto indefinito. Niente luce, niente Euridice. La possibilità. Guardi, funzionava fino a stamattina, ora controllo. I dinosauri. Ma da chi devo salvare l’universo? Ma io non sono capace di niente. Scivolo nel fango gelido, sono il capitano della galassia, riparo lavatrici e cuori infranti, è tutta colpa mia, ho creato la poesia che ha creato il mondo, sono solo solo solissimo, mamma abbracciami, un diplodoco, maionese e ketchup e senape e un vecchio film in bianco e nero in televisione, le cose da accettare o peggio ancora da comprendere o molto peggio ancora da amare: amore a forma di moglie, figlia, famiglia e frammenti di incontenibile blu.

14.2.23

Recensione: "Gli spiriti dell'isola - The Banshees of Inisherin" - Cinema 2023 - 4

 

Un film sulle guerre civili, che siano di due popoli o solo di due persone, un film sulla noia e sull'impossibilità di evaderne, un film sull'intelligenza e sulla stupidità, sull'egoismo, sulla necessità di staccare, sul desolamento e isolamento dell'individuo in una cornice di desolazione e isolazione dei luoghi, un film sulla rassegnazione, sull'atavico analfabetismo e inconsapevolezza dell'esistenza di cose al di fuori dallo status quo che viene vissuto e, all'inverso, sulla "sensazione" che un altro mondo e un'altra vita siano possibili, un film sul senso della vita o sulle cose che almeno possano darle un senso ma, soprattutto, un film che in maniera radicale, tragica, tremenda e inarrestabile racconta di come a volte le cose debbano raggiungere le loro estreme conseguenze per poter avere termine, di come una palla di neve lanciata in cima alla montagna potrebbe facilmente essere subito fermata ma, in qualche modo, per masochismo, orgoglio, inerzia e maldestra curiosità, si ha la invece voglia e la "necessità" di vederla rotolare fino in fondo e solo poi, davanti al disastro che quella valanga ha procurato, avere la lucidità di capire quello che è successo.
Quando i danni ormai sono enormi e forse non più recuperabili.


PRESENTI SPOILER SIN DA SUBITO

Il corpo del ragazzo viene recuperato nel lago.
Viene tirato fuori con un bastone.
Sembra una scena sì importantissima, sì dolorosissima, sì significativa (quel ragazzo si è ucciso per tante ragioni, le vedremo) ma pare comunque "solo" una scena narrativa, come avrebbe potuto scriverla chiunque.
E invece no.
E invece un'ora prima quel terribile padre poliziotto era entrato in una drogheria.
E all'insopportabile droghiera (basta spostare una "i") che voleva assolutamente avere delle "notizie" dal paese (in una scena al tempo stesso irritante e divertentissima, come tante nel film) quel poliziotto, molto probabilmente inventandosi le cose, aveva detto, anche con disprezzo, che avevano ritrovato un 29enne suicida nel lago.
Esattamente quello che accadrà poi con suo figlio.
E quel figlio, ragazzo sottilmente ritardato e dall'animo puro come spesso i ritardi possono aiutarti a mantenere (più capisci della vita, più comprendi le cose, più vivi il mondo più perdi purezza, è inevitabile), a inizio film si era chiesto "A cosa potrà mai servire un bastone del genere? Forse a prendere cose lontane come questo bastone".
Ecco, ora voi capite la differenza che c'è se a scrivere film ci sono quelli bravi oppure uno come McDonagh, che non è fa parte di quelli bravi, ma degli illuminati.
Una scena di pochi secondi che, se lo spettatore riesce a incastrare le cose, rimanda a due dialoghi ascoltati distrattamente un'ora prima, e lo fa in un modo nascosto e al tempo stesso struggente.
Come se non bastasse non solo i due collegamenti sono splendidi ma riescono ad acquisire anche significato, il massimo che si può chiedere alla scrittura.
Perchè quel padre abominevole, per larga parte causa dei disagi del figlio, con quella notizia inventata e detta con sarcasmo (e attenzione, il sarcasmo fa diventare tutto ancora più doloroso) preannuncia come morirà il proprio figlio. E in un film fortemente realistico ma con mille aspetti simbolici quella frase diventa straordinaria, la frase di un uomo che senza rendersene conto sta uccidendo il proprio figlio e, inconsciamente, lo capisce a tal punto persino da preannunciarlo, in una specie di senso di colpa "anticipato".
E, all'opposto, quel ragazzo dal destino segnato sembra già "immaginare" o presagire il modo in cui sarà recuperato il suo corpo.
Come quindi il padre preannuncia la sua colpevolezza il ragazzo preannuncia il suo martirio.
Capite che se ho preso questa piccola scena del film è perchè, a mio parere, emblema dell'intera opera, un'opera eccezionale, dai mille rimandi e che, in una cornice fortemente realistica, è in realtà uno straordinario testo simbolico, quasi un Mito greco se vogliamo, che richiama altri grandi pellicole del recente passato, come ad esempio Il Sacrificio del Cervo Sacro, Athena ma anche l'appena visto Speak no evil.

Forse "Gli spiriti dell'isola" non sarà il miglior film di McDonagh (ma forse sì...) ma di sicuro è la sua opera più malinconica (anche se malinconiche, in qualche modo o in quale personaggio, lo sono tutte), cupa ed "importante".
Un film che a differenza dei precedenti più che farti riflettere sulle cose della vita ti porta a farlo con quelle dell'esistenza, sempre che io possa concedermi questa distinzione.

Padraic e Colm sono due eccezionali amici, così vicini e legati che i paesani, talmente abituati a vederli sempre insieme, si preoccupano e sconcertano sin dal primo istante che vedono Padraic solo alla locanda.
Perchè quel giorno, senza alcun motivo (o meglio, senza alcun motivo ma con un grande Motivo) Colm non ha più voglia di stare insieme a lui.
Ha bisogno di star solo, ha bisogno di comporre la propria musica, e le ore passate con quel sempliciotto di Padraic lo annoiano.
Padraic non riesce a capacitarsene e proprio l'assenza di un motivo banale e scatenante lo mette ancora più in crisi.


Gli spiriti dell'isola è uno dei film semplici più complessi che io ricordi.
Un'opera che parla di tutto mettendo davanti la faccia di chi non vuole parlare di niente (così che il film diventa anche una specie di "sineddoche semantica" con lo spettatore, visto che come nel film si parla di banalità in contrasto a cose interessanti così lo spettatore sta assistendo a cose banali che nascondono cose interessantissime, una specie quindi di "contenuto per contenitore" tra diegesi e significato).
Un film sulle guerre civili, che siano di due popoli o solo di due persone, un film sulla noia esistenziale e sull'impossibilità di evaderla, un film sull'intelligenza e sulla stupidità, sull'egoismo, sul desolamento e isolamento dell'individuo messo in una cornice di desolazione e isolazione dei luoghi; un film sulla rassegnazione, sull'atavico analfabetismo e inconsapevolezza della possibile esistenza di cose al di fuori dallo status quo e, all'inverso, sulla "sensazione" che un altro mondo e un'altra vita siano possibili; un film sul senso della vita o sulle cose che almeno possano darglielo quel senso ma, soprattutto, un film che in maniera radicale, tragica, tremenda e inarrestabile racconta di come a volte le cose debbano raggiungere le loro estreme conseguenze per poter avere termine, di come una palla di neve lanciata in cima alla montagna potrebbe facilmente subito essere fermata ma, in qualche modo, per masochismo, orgoglio, inerzia o maldestra curiosità, si ha la invece voglia e la "necessità" di vederla rotolare fino in fondo e solo poi, davanti al disastro che quella valanga ha procurato, avere la lucidità di capire quello che è successo.
Quando i danni ormai sono enormi e forse non più recuperabili.

Siamo in una minuscola isola irlandese, nel 1923.
Sulla terraferma, ben visibile dalla costa, sta imperversando una guerra civile, in una terra che anche nel secolo successivo non avrà mai pace.
La comunità di Inisherin è minuscola, poche decine di persone, perlopiù tutti uomini.
Talmente piccola che la faccenda di due amici che non si parlano più diventa una tragedia collettiva, una cosa impossibile da non notare e da non ritenere" importante".
Sin da subito c'è questo (non)senso grottesco che ci fa capire quanto tutto quello che vedremo sarà al tempo stesso reale e simbolico, come se ogni personaggio oltre al proprio corpo possedesse un ruolo e una funzione.
Il luogo è bellissimo ma tremendamente desolato (e già per alcuni film ambientati nella meravigliosa Islanda avevamo detto come molto spesso la desolazione dei luoghi porti sì ad una esaltazione della Natura ma anche alla desolazione di chi li abita. Molti di noi restano affascinati da luoghi simili ma poi, alla fine, non resisterebbero più di due settimane).
In più qui siamo in un'isola e quindi l'isolamento, effettivo e dell'anima, è ancora più marcato.
Il tempo scorre lento, niente succede, la vita è solo un continuo ripetersi.
Colm ad un certo punto se ne rende conto e, di punto in bianco, sente la necessità di allontanarsi da quel banale scorrere del tempo (perlopiù passato banalmente col suo banale amico) e, in là con gli anni, dedicarsi quindi alla Musica, cosa che a differenza dei rapporti interpersonali è poi capace di eternizzarsi e restare.
Padraic, uomo privo di cultura e senza l'intelligenza per avere ambizioni, non riesce a capire questo allontanamento, non ha nemmeno le armi culturali per farlo (perchè quella di Colm è una scelta profonda ed esistenziale, e in quell'isola il profondo e l'esistenziale attecchiscono malissimo) e allora, maldestramente, prova continuamente a recuperare ma, più lo fa, più le peggiora le cose, portando tutto a conseguenze terribili.

Innanzitutto è stato bellissimo ritrovare tante cose di McDonagh, specie del suo ultimo grande film, Tre manifesti a Ebbing.
Ogni personaggio visto in "Banshee" in qualche modo sembra ricalcare uno del precedente film.