27.7.18

Recensione: "Hereditary"

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Un horror tremendamente derivativo all'apparenza.
E sì, Hereditary ha tanto di già visto, quasi tutto.
Ma la classe di regia, la sua anima drammatica, una complessità di scrittura notevole e il volto di una bimba che non si dimentica ne fanno un horror che si discosta dal solito horror da sala, qualcosa di più.
E poi è opera prima, non scordiamolo

presenti spoiler dopo prima foto, interpretazioni del film nel finale di recensione

A me sembra che l'horror sia molto vivo.
Non quello da sala magari ma in generale sì.
Più che altro è bello constatare come si continui ancora, nonostante tutto, a fare piccole sperimentazioni.
E si passa da grandi horror metaforici - come Babadook o It Follows o Under the Shadow - ad altri completamente essiccati, di sottrazione -come It comes at night o A Dark Song o Anguish -.
Mi sembra che si stia sempre di più andando via dal genere per cercare di creare degli ibridi.
Attenzione, non che i film di genere tout court siano, in quanto tali, inferiori. Ma ho la sensazione che ormai i "puri" horror siano tutti uguali uno all'altro e che le cose più belle si vedano negli ibridi. Anche perchè è molto più facile essere "autori" (e qui intendo scrittori) in queste mezze "creature" che non nel puro film de paura dove ormai le regole del mercato sembrano ferree e l'unico elemento che può far la differenza resta la regia.
La nota più lieta è che anche nei cinema, però, stanno sempre di più arrivando horror leggermente diversi, magari non originalissimi, ma che non hanno lo stampino preconfezionato.
Hereditary è uno di questi.
Un caso strano però.
Nel senso che pur essendo un qualcosa di visto, stravisto e strastravisto, resta comunque un'opera diversa dal new horror dei jumpscares.
E lo è, essenzialmente, per tre motivi.
Il primo motivo è una regia di grandissima classe e misura.
Il secondo è un materiale "umano" interessantissimo e anche un filo coraggioso.
Il terzo elemento è una complessità di scrittura notevole.
Questo terzo elemento, vedremo, sarà anche un problema.
L'incipit del film è grande.
L'inquadratura parte dalla casetta sugli alberi (vera a propria protagonista del film), carrella indietro in una vera casa, fa la panoramica tra alcune casette di bambola -delle specie di plastici, riproduzioni - si infila in una di esse e questa diventa magicamente vera, reale, una nuova casa.
Al tempo stesso questa casa è la stessa casa dove stavano le casette di bambola...
O.k, un casino spiegarlo.
Ma questo corto circuito tra ambienti reali e miniature ricostruite sarà poi presente per tutto il film. La madre, Toni Collette, è infatti un'artista che riproduce interni di edifici, scene famigliari, stanze, in scala piccolissima, da stop motion per intendersi.
 Tutte le miniature che riproduce, o quasi tutte, raccontano scene della sua vita reale, presente e passata.
Ma al tempo stesso molte volte abbiamo la sensazione opposta, ovvero che alcune inquadrature "reali", come ad esempio quella, esterna, della casa della famiglia protagonista, siano una miniatura.
Non è un caso che il film si apra e chiuda, in struttura circolare, con lo stesso artificio, anche se con processo inverso, dalla miniatura al reale, dal reale alla miniatura.
Il perchè di tutto questo sarà uno dei tanti perchè con cui avrà a che fare lo spettatore.
Magari la cosa è solo un -bellissimo- esercizio di stile ma comunque ci dà la sensazione di qualcosa di "superiore", già prestabilito, quelle sensazioni per cui gli esseri umani sembrano solo delle marionette, delle miniature appunto, nelle mani di un artigiano più grande o di un destino prestabilito.
O.k, sull'argomento sono andato lungo direi, in realtà volevo solo parlar del prologo.

20.7.18

Recensione "The Neon Demon"

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Questo film fa parte de La Promessa (6/15)

The Neon Demon è l'ennesima perla tecnica di Refn.
E' vero, film forse troppo bello e vacuo ma di quello parla, di bellezza e vacuità.
I problemi, semmai, sono secondo me altri, come una davvero rivedibile parte dialogica e una meccanicità di racconto davvero esagerata.
Ma c'è anche tanto altro, una Fanning pazzesca, 3,4 sequenze in cui, solo con la tecnica, Refn ci porta in mondi-altri, una colonna sonora potentissima.
Non il mio modo migliore di intendere il cinema, ma la conferma di un autore a suo modo unico

Credo di esser troppo romantico.
Lo so da sempre, è un dato di fatto, ma dev'esse quello il motivo, non ne trovo altri.
Ho visto 5 Refn.
Li ho apprezzati tutti, li ho trovati tutti super interessanti, li ho trovati tutti delle meraviglie visive come poche altre.
Ma ne ho amato solo uno, Drive.
E ho cercato de capì come mai.
Ho chiuso gli occhi e c'è poco da fa, mi sono venute in mente 4,5 scene di lui e lei.
Lui e lei.
E allora me so detto, ma se non ce fossero stati lui e lei su Drive, se fosse stato un film senza amore come Valhalla, Bronson, Solo Dio Perdona e Neon Demon, te sarebbe piaciuto allo stesso modo?
La risposta è arrivata inequivocabile.
No.
Che poi io i film sentimentali li odio, non li guardo, mi fanno venire l'orticaria.
Ma quelli dove la cosa viene fori in maniera così grande e non stucchevole, come Drive, come Alabama Monroe, come Eternal Sunshine, ecco, allora c'è quel qualcosa in più.
E dev'esse questo il motivo per cui io, con Refn, solo Drive.
Perchè per il resto il marchio del grande regista danese c'è ovunque e, anzi, forse ha fatto anche film visivamente più belli de Drive e dai soggetti più interessanti (chè, diciamocelo, Drive è banalotto).
Valhalla, lo dico da sempre, ha la più bella fotografia degli anni 2000.
Bronson è un particolarissimo e molto originale biopic.
Solo Dio perdona è un film tecnicamente infartuante e molto misterioso.
Neon Demon, eccolo, è qualcosa di visivamente annichilente.
Eppure in Drive ce deve esse l'ingrediente segreto perchè solo là io ho alzato le mani e me so detto "Refn, sono tuo".
Che poi, vedete, che Neon Demon sia un film non troppo profondo e un pochino vacuo va benissimo eh.
Perchè è puro, puro, metacinema.
Refn ci parla in Neon Demon di bellezza e vacuità.
E come lo fa?
Con bellezza e vacuità.
Neon Demon è come una delle modelle che lo interpretano, qualcosa che ti allarga la mascella nel vederlo ma che sotto sotto non ha molto.
E' significante e significato insieme.
Ma non solo, Neon Demon è doppiamente metacinema. Perchè da sempre si dice a Refn che fa film fotograficamente grandissimi ma non troppo complessi.
E allora lui che fa? un film sulla fotografia e sul bello.

17.7.18

Recensione: "Chronicle"


Chronicle è un riuscitissimo ibrido tra teen drama e film di superpoteri.
Un'opera che porta a riflessioni molto importanti ed interessanti, specie l'unione tra la solitudine e la disperazione e la possibilità di distruggere sè e gli altri.
C'erano le carte in regola per tirar fuori qualcosa di quasi perfetto.
Invece le pecche non mancano.
Resta comunque qualcosa da veder subito

Credo che sto Chronicle sia veramente sfigato con me ;)
Lo vidi al cinema nel 2012 ma non feci la recensione.

E adesso lo ribecco per caso 8 giorni fa in tv e niente, son passati (appunto) 8 giorni e anche stavolta ho rischiato seriamente di non scriverne.
E invece ho deciso di farlo (la mia recensione a più giorni di distanza dalla visione di sempre) perchè, anche se per due volte su due ho rischiato di non parlarne, a me Chronicle è piaciuto, e nemmeno poco.
Non so se vi ricordate il famoso video (o era una pubblicità?) in cui Ronaldinho colpiva non so quante volte di fila la traversa di una porta.
Oppure quei video apparentemente amatoriali che spopolavano sempre quegli anni in cui delle persone riuscivano a fare cose incredibili in casa o un giardino, quasi magiche.
Ecco, credo che Chronicle abbia preso spunto da quei video, da quei trucchi, e ci si sia scritto un film sopra.
Non è un caso che quasi tutti gli esperimenti che i ragazzi contaminati faranno assomigliano tantissimo ai video di cui sopra.
Palloni che seguono traiettorie perfette, oggetti che volano, altri che rimangono fermi a mezz'aria e cose così.
Effetti speciali casalinghi ma molto suggestivi, almeno 10 anni fa.
Su questa "tecnica", su questa davvero suggestiva commistione tra vita reale e effetti impossibili, si basa gran parte di questo Chronicle, notevole ibrido tra teen drama e film di superpoteri.
Purtroppo credo che il regista (se non sbaglio all'opera prima) fosse molto più interessato al secondo aspetto visto che poi farà quello che, a quanto mi dicono, è uno dei più brutti cinecomics di questi anni, I Fantastici 4.
Peccato, veramente peccato perchè Chronicle è invece un gioiellino.

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Andrew (un grande Dane DeHaan) è un adolescente con un'infinità di problemi.
La mamma che ama da morire è in fin di vita, il padre lo umilia e picchia, a scuola è scansato o deriso da tutti per questa sua aria da sfigato e mezzo psicopatico.
Ha un cugino però che gli vuole un sacco di bene.
Andrew affida allora la sua vita a una videocamera, unica "amica" a cui confidare i suoi pensieri.
Ne nasce così un mockumentary che, dobbiamo dirlo, sembra molto forzato. Che tutto il film sia ripreso dalla telecamerina di Andrew (e di un'altra ragazza) non ha alcun senso. Sarebbe stato perfetto un ibrido, un film classico in cui poi Andrew, nel mezzo, faceva delle riprese di sè e dei suoi amici, specie in tutti gli esperimenti che fanno (o il volo sulle nuvole).
Ma sembra sempre che non ci siano vie di mezzo, chi intraprende la strada del mock cerca sempre di essere totale e radicale, non ne comprendo il motivo.
Sta di fatto che Andrew, suo cugino e un ragazzo di colore (l'opposto di Andrew, il più popolare della scuola) vengono a contatto con qualcosa di "alieno" trovato sottoterra.
Tornati in superficie i ragazzi si rendono conto di avere acquisito "piccoli" superpoteri, strettamente connessi con la volontà. 
Non è un caso che a inizio film il cugino filosofo citi Schopenhauer e un discorso sulla pura volontà, sarà architrave del film.
Sta di fatto che ne esce fuori un'opera per niente banale, capace di tirare fuori riflessioni molto interessanti e capace anche di mettere tanto "dolore" dentro.

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La caratterizzazione della famiglia di Andrew è al tempo stesso vista e stravista ma molto convincente, forse per la grande prova di DeHaan. Traspare moltissimo la sua solitudine, la sua disperazione, l'amore per la madre e il dolore immenso di non essere amato dal padre. Sì, perchè più che odio tra i due c'è da parte di Andrew il grande dramma di sentirsi non amato.
La situazione con gli amici è meno convincente, ma tant'è.
Comincia così un film che è una via di mezzo tra coming of age, revenge movie e dramma esistenziale.
Andrew inizia a sviluppare poteri sempre più forti. Ma, a differenza degli altri due amici -che lo vedono quasi come un gioco- per Andrew questi poteri iniziano ad acquisire altre valenze, come prima il riscatto sociale (l'esibizione in pubblico) e poi la vendetta.
L'abbinamento grandi poteri-ragazzo umiliato è perfetta. Ovvio che ci rimanda tantissimo a Carrie ma, se possibile, in questo film le dinamiche sono ancora più complesse.
Anche la scena dello sperma, ai limiti del trash, è invece molto tragica perchè altamente drammatica per Andrew, ragazzo vergine che per la prima volta si trovava a far sesso. E questo suo essersi sempre sentito "represso" e avere stavolta possibilità di vivere la sua sessualità, porta a quel disastro.
Metafora di chi non è abituato a viver cose belle e, allora, quando queste accadono, non ha il controllo, non le conosce.
Ricordiamolo, Andrew non è di punto in bianco passato dall'essere uno sfigato ad un vincente, semplicemente sta vivendo situazioni nuove. E appena tutto torna come prima succede che adesso il dolore è doppio, la rabbia pure, l'umiliazione anche.
Ma ci sono i poteri...
E quindi Chronicle diventa uno splendido film di vendetta, di furia, di liberarsi definitivamente da una vita in cui non si crede più.
Andrew impazzisce, diventa, come lui stesso dice, un predatore. Adesso tutti devono temerlo. In realtà, però, è solo un ragazzo distrutto e disperato che invece che implodere può adesso esplodere.
Nel film ci sono sequenze notevoli.
Buffo che forse le due più belle siano opposte, la più "grande" (l'aereo che passa vicino loro) e la più piccola (il ragno a cui divide le zampe).
Ma sono davvero tanti i trucchi convincenti, dall'automobile alla videocamera mossa col pensiero.

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Poi, nel finale, Andrew esplode definitvamente e il film diventa quasi un cinecomic. Ovvio che questa parte così distruttiva e plateale sia per me la meno interessante, non essendo assolutamente fan del genere. Troppa distruzione, troppa battaglia tra i due ragazzi, troppo casino.
Ma a livello metaforico funziona alla grande, il potere e la disperazione di Andrew sono così grandi che lui diventa una specie di Dio distruttore.
Arriviamo così al finale, anche abbastanza toccante.
Specie per la figura del cugino, davvero riuscita.

Un ragazzo che vuole profondamente bene ad Andrew ma che si trova costretto a fare quello che ha fatto.
E poi gli ultimi minuti, bellissimi.
Matt va in Tibet, dove Andrew ha sempre sognato di andare. E gli dedica un ultimo saluto.
Un film imperfetto, sbilanciato, leggermente forzato nel suo essere falso documentario.
Ma una chicca da vedere lo stesso

7/7.5

15.7.18

Programma Quarto Raduno Il Buio in Sala

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Ecco il programma del quarto raduno.
Ricordo che per partecipare basta contattarmi, in qualsiasi modo.
Credo saremo almeno una 50ina quest'anno.
Oltre al programma ricordo che per gli eventuali alloggi ci penso io, basta chiedere.

VENERDI' 30 AGOSTO

12.30 - 15. 00 Pranzo a Perugia, molto probabilmente al solito Testone (5 euro).
Il pranzo sarà "lungo", nel senso che dipende dagli orari di arrivo di tutti

15.00 - 19.30 si sta insieme per chi vuole oppure ci si va a riposare ai vari alloggi

19.30 Prima serata al Supernova.
Cena in giardino con grande buffet di salumi, stuzzichini e torta al testo

21.30 circa Visione del film "Le Nègre (il negro) di Klaverna, con presenza del regista



ore 23.00 in poi: boh

SABATO 31 AGOSTO

ore 13.00 - 15.00 Pranzo all'hamburgheria artigianale Burger & Fry (10 euro)

ore 15.00 - 19.00 Pomeriggio insieme o riposo agli alloggi (visita Perugia per chi non l'ha fatto la mattina)

ore 19.00 Raduno vero e proprio con mega cena (antipasti, cinghiale, zuppa di Peppe, carne alla brace, contorni, vino etc...)

Durante la serata ci sarà il Mega Quiz a squadre (quest'anno tutto informatico credo) 

previsione fine serata 4.00 - 5.00

DOMENICA 1 SETTEMBRE

ore 13.00 Pranzo in centro a Perugia (più opzioni ma credo di averne scelta una)

ore 15.00 Cupcake ad Alphaville

ore 16.00 in poi: saluti con i pochi che ci saranno ancora

eventuale film al cinema il pomeriggio con i reduci


13.7.18

Su Magnolia e sul saper scrivere personaggi




Sono un malato delle sceneggiature.
Credo che la scrittura dei film, dell'intreccio, dei personaggi, dei dialoghi e di tutti i sottotesti che si spera vengano fuori sia una cosa affascinantissima, talmente affascinante da farmi rischiare, talvolta, di perdere di vista il "film", l'oggetto filmico come lo chiama qualcuno.
Non credo che un grandissimo film debba per forza aver dentro grandissimi personaggi.
Chè, sapete, un film può esser grande anche senza necessariamente esser completo e "perfetto" in ogni suo aspetto.

L'aspetto visivo, quello dell'intreccio, quello emozionale, quello cerebrale, quello dialogico (ci sono alcuni film che valgono la pena anche solo per questo), son tante le facce della medaglia.

E' anche vero che nella mia concezione di cinema è quasi impossibile prescindere, per farmi considerare un'opera un capolavoro, dalla scrittura di grandi personaggi principali.
Se prendiamo ad esempio i miei tre film preferiti, Shining, Oldboy e Synecdoche New York, vediamo a che i protagonistii e i primi comprimari sono straordinari, l'anima del film.
Poi in uno c'è anche una regia a una capacità di creare atmosfere uniche (Kubrick), in un altro c'è un intreccio straordinario e una maestria impressionante nel confezionare sequenze (Park), nel terzo c'è un sottotesto esistenziale devastante e una capacità di rendere la vita labirintica e inafferrabile come pochi (Kaufman).
Ma Jack Torrance, Oh dae-su e Caden Cotard sono almeno mezzo film.

Eppure se nella mia vita di spettatore dovessi scegliere un film solo per i personaggi che lo vivono non ci penserei nemmeno un attimo, Magnolia.
E' impressionante, per me, la quantità e la qualità di personaggi principali che ha quel film.
Ed è impressionante come quel mostro di P.T. Anderson sia riuscito a scrivere (tutto da solo, dal soggetto alla realizzazione) delle "persone" così vere.
Tante volte ho scritto quanto P.T. , come ad esempio succede con Dolan, mi dia la sensazione di amare da morire i propri personaggi. Credo che in questo senso il fatto che siano stati (in molti casi) loro stessi a scriverli acuisca questo aspetto.

Io sono uno scribacchino da 20 anni e credo che il livello di quello che scrivi prescinda dalle emozioni che lo scrivere personaggi ti crea.
Anche nelle mie cazzate (vedi I tipi da videoteca) io ho amato i miei personaggi, li sentivo "vivi" (e in effetti lo erano stati nella vita reale), quindi credo di conoscere la sensazione che si ha in questi casi.
Però, ecco, se l'atto dello scrivere e le sensazioni che porta tale atto sono uguali per tutti poi, i risultati, invece... no ;)
E quindi quando vedi i personaggi di Magnolia ti rendi conto di cosa sia riuscito a fare Anderson.

Sono personaggi a tutto tondo, tutti a loro modo molto fragili, tutti con un loro punto di rottura (nella recensione scrissi che questo è un film di collassi), anche i più forti.
Ognuno diverso dall'altro, ognuno per me indimenticabile, nessuno sottotono, nessuno inutile.

C'è il piccolo Stanley, un bambino innamorato della conoscenza, un prodigio, che si ritrova in delle dinamiche terribili per cui quella che per lui era solo una grande passione diventa un mezzo per far soldi. Un bimbo che vedi soffrire ma allo stesso tempo sai che tutte le cose che sa le sa perchè le ama. La pipì è simbolo di un corpo che si ribella a quello schifo, come i conati di vomito del torturatore di Act of killing.                                    

C'è Earl Partridge, un vecchio morente, stronzo, scostante, incattivito. E' forse il personaggio più monolitico del film, quello con meno sfumature. Eppure in punto di morte cerca quel figlio che l'ha sempre odiato.

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E quel figlio è il personaggio di Tom Cruise (alla sua più grande interpretazione di sempre), altro personaggio apparentemente monolitico ma che non riuscirà infine a dissimulare il suo punto di rottura, un dolore lontanissimo e che, a forza di sorrisi e fica, ha sempre fatto finta di non mostrare al mondo. Tutti i personaggi di Magnolia sono come sculture che vengono intagliate fino ad arrivare al loro cuore. E la scultura di Cruise è quella più dura, quella meno scalfibile ma, alla fine, a forza di scalpello e martello, arriviamo anche dentro lui.

Poi c'è Donnie Smith, l'ex concorrente interpretato da un sontuoso Macy. Probabilmente, tra tutti, è il personaggio più irrimediabilmente perso. Apparentemente lo sembrano quelli della Walters o della Moore ma no, loro sono "semplicemente" dentro un terribile vortice di vizio e dolore, ma sono vivi. Donnie, invece, è rimasto al bambino che fu, impossibile una redenzione.
La sua dolcezza, la sua malinconia, la sua bontà ti restano dentro.

Come del resto dolcezza e bontà sono le caratteristiche dell'infermiere dell'immenso PSH.
Come scrissi lui è l'unico personaggio unilaterale, l'unico che non è anello di una catena, avendo rapporti solo con Earl (ogni personaggio altrimenti è strettamente collegato a due altri). Quando lo vediamo ordinare anche riviste erotiche pensiamo che quello sia il suo piccolo segreto, il suo piccolo punto di rottura. E invece no, e invece in quelle riviste che lui ha ordinato con tanta difficoltà cercava solo un numero di telefono, quello di Cruise, per realizzare il desiderio del padre.

In questa scena P.T mette una frase di bellezza abbacinante:

"Faccio la figura dello stupido. Come se stessi girando la scena di un film dove il vecchio morente cerca il figlio, ma mi creda, siamo in quella scena, ora siamo in quella scena e io credo che mettano queste scene nei film perché corrispondono alla verità, perché succedono veramente e lei mi deve credere perché sta accadendo qui, in questa casa. […] Davvero questa è la scena del film in cui lei mie viene ad aiutare!” 

Una delle scene più belle che abbia mai visto. Insomma, l'infermiere non ha punti deboli, è patologicamente buono. 

E patologicamente buono è anche quello che, se proprio dovessi scegliere, è per me il più bel personaggio del film, quello del poliziotto di Reilly. Un pò tontolone, impacciato, ma anche convinto, risoluto, tanto da sparare un ti amo a Claudia. Impossibile non volere un bene infinito a Jim, impossibile non volere un bene infinito a Claudia, impossibile non volere un bene infinito a questa coppia che vorresti tanto non fosse solo finzione ma vera carne e veri occhi. Gli occhi di lei che alla fine, nell'ultima indimenticabile inquadratura del film, guardano in camera abbozzando un sorriso.

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E Claudia, che dire, pazzesca.
Le mani che le vanno dapertutto, il corpo elettrico, un corpo pieno di paure, ossessioni e dolori. Claudia che non fa mai finire di parlare Jim da quanto è tesa. Claudia che fa un caffè imbevibile, Claudia che trasforma in un solo giorno la paura di quel poliziotto in un affetto pazzesco, in una piccola possibilità di salvezza.
Potrei rivedere le loro scene all'infinito tanto son belle.

E poi c'è Linda, la Moore.
Un donna che non ha mai amato, che ha sempre tradito il marito (e a ragione dico io) ma che alla fine scopre un affetto imprevisto. E si vergogna allora di quello che è stata, si vergogna di prendere quei soldi. Una donna complessata e instabile, sotto cure. L'ennesimo personaggio scritto da Dio di Anderson.
E leggiamo, ascoltiamo la sua sfuriata in farmacia. 
Perchè fa accapponare la pelle.

Ho forse dimenticato qualcuno ma non voglio andar lungo. Se l'avessi voluto avrei scritto un intero articolo per ogni personaggio.
Quello che volevo dire è che trovare in un film così tante eccellenze, così tante "vite", così tante debolezze è un miracolo.
Ci sono film dove ti dimentichi anche del secondo personaggio più importante.
Qui ne hai 10 e non riesci a toglierti dalla testa nessuno.
Quello che è riuscito a scrivere Anderson è un qualcosa di unico.
E, come se non gli bastasse, anche l'intreccio, la costruzione temporale e la regia sono di eccezionale livello.
Ma Magnolia sarebbe stato un mezzo capolavoro anche solo e soltanto coi suoi personaggi.
Quei personaggi che li prenderesti uno ad uno, chiuderesti gli occhi e staresti lì ad abbracciarli per raccoglierne tutta la complessità e la grandezza.
Staresti lì ad abbracciarli, qualsiasi cosa accada.

Anche sotto una pioggia di rane

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questo l'omaggio che fece mio fratello a Hoffman.

L'inizio è la scena che citavo


9.7.18

I miei 30 film preferiti di sempre (o almeno i primi 30 che mi sono venuti in mente)

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Siccome ogni volta dico "eh, per me questo è uno dei più bei film che abbia mai visto" ma, mi rendo conto, lo faccio con troppi film, allora è forse giunto io momento di dirli sti benedetti miei film preferiti.
Sono doverose molte premesse però.
La prima è che mi concentrerò soprattutto, come ho sempre fatto in questo blog, sul cinema mediamente recente o recentissimo.
La seconda è che ho deciso di prendere un solo film per regista ma di alcuni (Chaplin, Trier, Kubrick, Villeneuve, Ferreri e altri) ne avrei presi anche più di uno.
La terza, la più importante, è che c'è il fortissimo rischio che mi sia dimenticato dei titoli per me straordinari che, di sicuro, metterei al posto di alcuni citati.
Diciamo però che almeno i miei 10 preferiti dovrebbero essere tutti qua dentro, poi sono andato solo a memoria, chissà gli errori.
Ultima cosa ho deciso di mettere i film in ordine cronologico e di non inserirne nessuno degli ultimi 5 anni perchè voglio dargli tempo di sedimentarsi nei miei ricordi e nel mio cuore

1936 
TEMPI MODERNI


Chaplin è uno dei miei idoli da sempre.
Ho visto tutto o quasi.
Probabilmente avrei messo dentro 3,4 film suoi, scelgo questo anche perchè, ad un certo punto, si è mischiato alla mia vita

1960
PSYCO

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Non poteva mancare un Hitchcock (di cui ho visto relativamente poco, 7-8 film).
E non poteva mancare quello che, per genere, è il suo capolavoro.
Forse mi sono innamorato dell'horror con Psyco

1969
DILLINGER E' MORTO

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Avrei potuto mettere questo o La Grande Abbuffata per Ferreri. Alla fine scelgo il molto meno conosciuto Dillinger è morto perchè è forse il più grande film minimalista che abbia mai visto.
Lo metto anche a rappresentanza di Haneke, col quale anche nelle notevoli differenza ci sono più di un richiamo

1975
PIC NIC AD HANGING ROCK


Non so se io abbia mai visto un film capace di creare un'atmosfera simile.
Perturbante, malefico, incredibile.
Quando parte quel flauto vado in trance

1980
SHINING


Il più grande horror di sempre.
Lo metto a rappresentare Kubrick di cui ne avrei messi 4

1986
STAND BY ME


Manco aggiungo nulla

7.7.18

Recensione: "Oslo, 31 August"


Il secondo film di Joachim Trier che vedo è, ancora una volta, dopo Thelma, un gran film.
E di nuovo un'opera profondamente umana in cui il regista racconta con molto affetto ed empatia il suo personaggio principale.
E questa volta abbiamo Anders, un ragazzo che esce dalla comunità di recupero in cui sta finendo il suo percorso per vivere una giornata fuori, di vera vita.
Un film in unità di tempo, da alba ad alba.
Un'opera sul sentirsi inutili, falliti, senza futuro, incapaci di rientrare con forza in quella cosa a volte così difficile che è la vita.
Eppure questo non è un film su una spirale senza ritorno ma, al contrario, sull'incredibile paura di poter star bene

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Anders esce dalla stanza dove ha passato una notte con una bellissima ragazza.
Se c'è una cosa assurda che uno possa fare dopo aver fatto l'amore è uscire poi la mattina dopo, superare campi e boschi e poi prendere una pietra in mano, entrare in un lago e lasciarsi andar giù.
L'acqua da increspata torna piatta, Anders non lo vediamo più. Magari si può pensare a un film che parte dal suo epilogo, da una morte tremenda e ingiustificata.
Poi, invece, Anders riemerge.
Forse la sensazione di morire, alla fine, è andata a braccetto con lo spirito di sopravvivenza.
Però, vedete, questo prologo non dimentichiamolo.
E non solo perchè a livello temporale (è l'alba) è il perfetto inizio di un film che si svolgerà tutto in un solo giorno (altra alba) ma anche perchè, in due soli elementi - fare l'amore e poi tentare comunque il suicidio - c'è tutto il film, tutto.

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Perchè se è vero che questo film racconta di una spirale, dell'incapacità di tornare ad esser felici, del sentirsi vuoti e falliti, è anche vero che racconta, forse soprattutto, della tremenda paura di star bene o, se vogliamo, del sentire che questo star bene non ce lo meritiamo.
Anders torna in una grande casa, ci sono tanti ragazzi, saluta qualcuno e va in camera.
Nella scena successiva capiamo che è una comunità di recupero per tossici.
E Anders sta per finire il "programma", anzi, quel giorno può uscire per iniziare a respirar vita e fare anche un colloquio di lavoro.
Un solo giorno nella vita vera che diventerà denso e lungo come una vita intera.
Ho conosciuto Joachim Trier con lo splendido Thelma (che per me resta mezza tacca sopra questo) e allora ho deciso di approfondirlo un pò.

2.7.18

Recensione: "Il sacrificio del cervo sacro"




L'ultimo film di uno dei massimi registi del nostro tempo, Lanthimos, è l'ennesima grande opera anche se, probabilmente, non raggiunge il livello dell'epocale Dogtooth.
Quello di cui sono sicuro è che Il Sacrificio del Cervo Sacro è la cosa più simile a Kubrick che ho visto in questi ultimi anni (non parliamo, se volete, di livello, ma di tante altre cose).
Un film di colpe e debiti, di errori fatti e cose da restituire, di scienza e fede.
Un film di uomini e Dei.

Non so quanto sia grande questa coincidenza.
Sta di fatto che probabilmente i due film più belli visti quest'anno (ci tengo al "probabilmente "sia perchè mancano ancora 6 mesi sia perchè solo a fine anno capirò quali film mi sono rimasti più dentro), dicevo, forse i due film più belli quest'anno son "greci".
Direte "o.k, piccola coincidenza, quella degli autori greci è ormai un'ondata pazzesca, ci sta".
E' vero. Ma non ci fermiamo qua.
Il fatto è che sia Interruption che Il Sacrificio del Cervo Sacro riprendono fortemente la mitologia greca, in maniera praticamente esplicita il primo (ambientato in un teatro dove si recita l'Orestea), poco meno di esplicitamente il film di Lanthimos.
No, ma non finisce qui. Sì perchè le vicende raccontate nell'Orestea (e in Interruption) sono come il "sequel" del sacrificio di Ifigenia richiamato in questo film.
Insomma, due film greci, due film basati sul mito ed entrambi incentrati sugli stessi personaggi (Agamennone in primis).
Ora, sapete come la penso, a me piace vedere i film a tabula rasa (no trailer, no commenti, no immagini, no trama) e poi scriverne secondo quello che so di mio, senza ricercare nulla.
Quindi se cercate una recensione "colta" che coglie tutti i riferimenti che fa Lanthimos al mito, anzi, ai miti, cambiate canale.
Sono assolutamente convinto che vedere questo film conoscendo bene la materia lo possa esaltare. Ma un film deve avere "sussistenza" propria, non deve obbligarci a sapere le cose per giudicarlo.
Quindi se volete sapere tutto di Agamennone, Ifigenia, Clitennestra e cervi sacri andate a leggere le recensioni di chi queste cose le sa di suo (20%) o di tutti quelli che avranno scritto recensioni copiando qua e là altre recensioni o simil-wikipedia per far bella figura.
Sta di fatto che qualcosa so anche io della vicenda, ne avevo anche parlato col mio amico Rocco.
Quindi so dell' "oltraggio" di Agamennone agli Dei e so del sacrificio che egli avrebbe dovuto fare per "riparare" la cosa e avere acque calme per raggiungere Troia.
Mi basta.
Anche perchè, vedete, i miti greci sono i più grandi scheletri di sceneggiatura che esistano. Anche se non ne conosci la "ciccia", i dettagli, anche se non sei esperto, basta conoscere di ogni mito l'essenziale per capire che, dentro di essi, c'è praticamente tutto delle nostre esistenze, dei nostri rapporti, dei nostri problemi.
Concludendo, questo è un film che possono veder tutti, anche gente completamente estranea alle letture classiche. Non si capiranno certi riferimenti ma poco cambia, Il Sacrificio del Cervo Sacro resta un grandissimo film a prescindere.
Ci tengo a dire che il titolo originale parla di "killing", "omicidio" in senso generico, mentre in italiano, al solito, abbiamo già svelato di che tipo di omicidio si tratti.

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Credo di non aver mai visto in questi ultimi 20 anni qualcosa di più simile a Kubrick che questo film.
In realtà lo splendido prologo (con quel cuore pulsante, forse l'unico cuore pulsante in un film di personaggi quasi privi di slanci di vita) sia tecnicamente (per la lentissima carrellata indietro e poi il ralenti) che per la magniloquente colona sonora, mi ha richiamato i prologhi di Trier.
Sì, ma poi avremo Kubrick ovunque.