31.1.13

Recensione: "Boy A"



Boy A, ossia il ragazzo A, una semplice lettera per nascondere la tua identità. Sì perchè quando a 10 anni commetti un omicidio è meglio tenerla nascosta la tua identità, sei comunque un bambino, ci sono delle leggi che devono preservarti. Questa è la storia di Eric Wilson, poi divenuto Boy A, poi divenuto Jack Borridge. Già perchè quando dopo 14 anni di prigione, 14 anni, tutti quelli che ti privano del tuo esser bambino, del tuo esser adolescente, del tuo, forse, esser uomo, Eric deve cominciare una nuova vita, non può che farlo se non sotto falso nome. Ma se tu sei davvero cambiato (cambiato di che poi? non sei mai stato un mostro Eric, mai) così non lo pensa la gente, tu hai il male dentro, tu sei un mostro, vai rintracciato, punito. Questa è la storia di un bravo ragazzo che cerca di ricostruirsi un'esistenza, se mai ne abbia avuta una, in una società che non riesce però a vedere oltre il proprio naso, capire,o almeno cercare di farlo,analizzare, perdonare.
Film magnifico, duro e al tempo stesso intenso ed emozionante come il cinema inglese sa proporre sicuramente superiore all'altrettanto ottimo (paragonabile per disagio giovanile e consenso di critica) Fish Tank, uno dei film ad aver lanciato quel mostro di Fassbender.
Forse ne vale la visione anche la sola interpretazione di Andrew Garfield, giovane attore inglese di talento purissimo che ha qualcosa nello sguardo da farti innamorare all'istante, una capacità recitativa unita a qualità extracinematografiche rare. Si vuol bene a sto ragazzo a prescindere dal ruolo che fa, l'empatia per lui, cosa rara, esula dal film in sè. 



Qui poi è perfetto nella parte di un ragazzo che deve ricominciare da capo a 24 anni, che non sa nulla della vita, niente dell'amore, niente della società, niente di niente. Il suo è un approccio impaurito, delicato,dolcissimo. Strano che in lui non si ravveda mai una specie di pentimento ma forse i flash back finali ci mostrano il perchè, la sua odissea molto probabilmente non ha alcuna colpa.Il film in montaggio alternato racconta la vita dell'Eric bambino, vittima di bullismo, famiglia a pezzi e un'amicizia con un violentissimo coetaneo abusato dal fratello alternato all'Eric ormai adulto, ma neonato di vita. che in segreto lascia le carceri aiutato da un fantastico tutor (un sempre grande Mullan) che cerca di reinserirlo come fosse suo figlio. Ma la notizia che Eric è uscito arriva sui giornali, comincia la caccia. Magnifico il modo in cui si racconta la nascita di un amore o quello di un'amicizia, terribile come media e comunità trattano il caso di Eric, considerato un mostro a vita, come se il male fosse genetico. Eric è buono, puro, una tabula rasa pronta a esser scritta dalle meraviglie della vita ma la società lo bracca, la gente non si fida di lui,tutti i suoi affetti gli crollano davanti. 

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Il regista Crowley non sbaglia una mossa, la sceneggiatura è semplice ma al contempo accattivante nel delineare piano piano il passato di Eric, perfetta nel raccontare con precisione, obiettività ma anche tenerezza e sensibilità quello che era, è e sarà il suo carattere, il suo profilo psicologico.Non ci manca niente per capire Eric, ed è per questo che il film funziona. L'ultimo quarto d'ora è straordinario e non tanto per l' emozionantissimo finale con quelle telefonate, così vere da far paura e così devastanti per chi le riceve, e non per quel disegno e quel messaggio da pelle d'oca, il sapere da una bambina che tu puoi riscattarti, che sei un angelo quando proprio un'altra bambina aveva fatto cominciare il tuo inferno. La perla sta nel dialogo tra il tutor Terry e il suo vero figlio. Un dialogo lucido, terribile per le conseguenze che porterà ad Eric ma assolutamente comprensibile. Una chicca di sceneggiatura che significa solo una cosa, il dolore adolescenziale, la mancanza di qualcosa genera dei meccanismi, in questo caso una specie di gelosia, che possono avere un effetto devastante. E uccidere un ragazzo che alla fine non era altro che come te.

( voto 8 )

26.1.13

Recensione : "Strange Circus" - Horror Underground - 1 -


In questa nuova rubrica ogni sabato recensirò film, specie horror, che non sono tanto conosciuti dal grosso del pubblico. Non mi limiterò all'horror e a tutti i suoi sottogeneri ma ci saranno anche visioni che hanno a che fare col weird, con il grottesco,con il disturbante. Insomma, rubrica per chi ama l'horror o/e i film un pò "fastidiosi". Come ad esempio questo.

Ero convinto che questo film di Sion Sono fosse un horror a tutti gli effetti. 
Apro una parentesi. Sion Sono a quanto so è un regista formidabile con una quantità e qualità di pellicole da far paura. Per me era il suo primo. Chiusa parentesi. 
Pensavo fosse un horror ma più andava avanti la visione più mi rendevo conto di avere a che fare con un film disturbato, disturbante, quasi immorale, a tratti disgustoso ma tremendamente umano e verosimile. Poi il finale strizza un pò l'occhio al cinema di genere ma ci arriva con un lento percorso psicologico che lo riesce a giustificare. Il film è consigliato a tutti quelli che amano pensare e ragionare durante una visione,ricostruire una trama, perdersi tra scambi di ruolo, essere portati in una direzione e poi trovarsi ribaltati in un'altra. Astenersi tutti quelli a cui turbano le violenze domestiche, le depravazioni sessuali, l'amoralità. Sono ci va giù pesante. Il personaggio del padre/padrone/preside è disgustoso, così tanto da godere della tremenda fine che farà.

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 In realtà questo personaggio è solo un fantoccio, un mezzo per tutt'altro fine. Quello che interessa a Sono sono le terribili conseguenze psicologiche che una madre e una figlia possono riportare dall'essere violentate dalla stessa persona, il marito e il padre. Più che altro il trauma più grande non è il sesso o la violenza in sè ma lo scoprire, il sapere, il dover vedere che la stessa è condivisa dalla madre o, in modo disumano, dalla figlia. Interessantissimo il tema. E' più devastante l'incesto subito o stare dentro quella custodia a dover vedere? E' qui che Sono trova il modo di creare quel gioco di scambio di ruolo che regge alla grande fino alla fine. E chi è la vera protagonista del film, la bimba Mitsuko o sua madre Sayuri? Chi è Mitsuko? Chi è Sayuri? E chi è quella scrittrice? Lo spettatore vaga confuso, all'inizio rischia anche di indispettirsi ma poi Sono non lascerà dubbi. Le scene di sesso riempono lo schermo, il sesso d'altronde, inteso non solo come atto ma anche come genere, è tutto il motore del film, gli psicologi ci possono sguazzare. La struttura ricorda leggermente Audition, una lunga introduzione (ma qui molto più piena di cose del film di Miike) e un'esplosione di violenza finale. Davvero disturbanti gli ultimi 10 minuti, quel tronco umano colpisce come un cazzotto. Ma sono più di una le scene veramente disturbanti, forse alcune volte pure troppo, come l'operazione alle gambe e alcune sequenze con il cibo. Solo una veramente gratuita però, quella della riunione tra mutilati.
Ma la mamma è "innocente" o merita quella fine?
Attenzione, la risposta è più difficile di quello che sembra.



Perchè per una madre vedere il proprio marito che violenta la figlia è devastante. E tutto quello che avviene dopo non può esser letto senza il prima. Sembra il film di Mitsuko ma non lo è. E' il film di una madre che ha perso la testa. E' lei la prima vittima, Mitsuko solo quella più innocente. La cornice del circo lo dimostra, questo film racconta il dramma di una donna, non quello di sua figlia. E mentre sul pubblico Mitsuko accecata dall'odio sta lì a guardare ed applaudire sua madre morire il boia, quel boia schifoso, è suo marito.
E' lui l'unico che doveva finire su quella ghigliottina.
Perchè non c'è niente di più aberrante di queste persone.
E una Mitsuko o una Sayuri ci sono dapertutto purtroppo.
Nascoste lì a soffrire.

( voto 8 )

23.1.13

Recensione "Django Unchained"

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Tarantino è probabilmente il miglior regista verticale in circolazione.
Come riesce a scrivere personaggi e a costruire sequenze lui pochissimi altri al mondo.
Il suo "problema", o almeno una delle poche cose che riesco ad imputargli è il non essere un gran maestro di orizzontalità di sceneggiatura, di racconto.
Cosa ci ricordiamo dei suoi film?
Personaggi magnifici, uno meglio caratterizzato dell'altro. Inutile elencare i vari Marcellus, Vega, Butch, i Mr colorati de Le Iene o tutti quelli che si frappongono tra Beatrix e Bill. E qui non siamo da meno, anzi. Credo ad esempio che il Dot. Schultz e il negro-bianco Stephen siano probabilmente i personaggi tarantiniani più grandi di sempre. Certo aiutano loro le interpretazioni impressionanti, in questo caso, di due mostri come Waltz e Jackson (per me l' M.V.P del film) ma si sa, se sei un bravo attore nessuno come il panciuto regista italo-americano può regalarti ruoli così belli. E nessuno ti mette in bocca battute così fulminanti e brillanti. Magari ti dà uno spessore psicologico prossimo allo zero, magari ti disegna in maniera un pò didascalica, magari nel corso della pellicola le evoluzioni si contano sulle dita di una mano, magari tutto, ma i personaggi sono davvero una bomba. Che poi qua Django in realtà evolve (pure troppo nei modi e nel linguaggio a pare mio ma vabbeh) e il personaggio di Waltz è molto più complesso di quello che pare, molto più sfaccettato. E, incredibile per il cinema del Nostro, il medico tedesco mi ha regalato anche una stilla d'emozione in 2,3 sequenze.
E poi che ci ricordiamo?

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Delle sequenze di cinema puro, scritte, costruite e girate da una divinità in materia. Io finchè morte non sopraggiunga ritengo che la best scene del cinema tarantinano rimanga Butch e Marcellus sullo scantinato di Zed ma se ne potrebbero scegliere a decine. Un uso della telecamera e della fotografia grandioso (la prima piantagione dove arrivano ha una profondità di campo pazzesca, non riuscivo a staccare gli occhi da quei braccianti lì in fondo), i già sopracitati dialoghi, una direzione degli attori di eccellenza, un'atmosfera di divertimento, incanto cinematografico ed estetico raro. Qui in Django poi c'è un uso degli sguardi da far paura,il film è un susseguirsi di sguardi meravigliosi,sguardi di sfida, sguardi d'amore, sguardi di complicità, sguardi di sospetto, sguardi di dolore,sguardi di odio, sguardi di indifferenza. Jackson in questo ha fatto un lavoro da pelle d'oca ad esempio.
Ma Tarantino non è un regista orizzontale, non sa o non gli interessa raccontare.

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Le sue sceneggiature se ne fregano del plot progressivo, della passione per la storia e per l'evoluzione dei proprio personaggi. Sono una galleria d'arte di quadri con soggetti a volte nemmeno simili uno all'altro. Forse proprio in Django abbiamo la scrittura più complessa ma il tutto alla fine è gonfiato all'inverosimile, una trama da un'ora e mezza allungata di oltre un'ora grazie alla maestria cinematografica di Quentin. Che poi mica deve essere un  difetto per forza eh, se Tarantino prediligesse storia e racconto a tutto il resto non avremmo avuto Pulp Fiction, e non dico così solo per il montaggio.
E poi Tarantino è cinico, troppo cinico. L'incontro tra i Mandingo, l'uomo sbranato dai cani o alcune carneficine mi sembra superino leggermente un certo senso di pietà per l'essere umano. Attenzione, anche in Bastardi in nome di una sorta di "pareggio storico" Tarantino aveva troppo esagerato in violenza e disumanità verso i tedeschi.

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 E questo cinismo a volte è eccessivo se non compensato da una capacità, e Tarantino non ce l'ha, di tirare anche fuori il meglio dai suoi personaggi, far vivere a loro e a noi delle emozioni vere, intense, scusatemi la retorica, positive. Io ad esempio non mi sono mai emozionato per la vicenda di Django e della Brumilde ma magari son problemi miei. Però le frustrate e le umiliazioni le ho sentite sulla schiena. E non facciamo finta che Tarantino non avrebbe voluto coinvolgerci un pò nella storia d'amore, tutta la seconda parte del film si basa solo su questo.
In definitiva il solito grande film spettacolo di un regista da preservare.
Ma che di orizzontale ha solo un pancione sempre più enorme.

( voto 8 )

19.1.13

Recensione "Rec 3- La Genesi"


Valutare Rec 3 è solo una questione di approccio.
Valutarlo come film a sè oppure come terzo capitolo della saga?
Ci ho riflettuto parecchio ed alla fine mi sono convinto che non sarebbe nè giusto nè rispettoso per il "nome" che porta giudicare questa pellicola semplicemente per quello che è.
Anche perchè a dirigerlo non c'è un regista "terzo" ma uno dei due creatori della saga, Paco Plaza.
E allora lo dico, Rec 3 è un film completamente sbagliato.
Sbagliato perchè non aggiunge niente, niente, ai precedenti due capitoli. Mentre il tanto bistrattato (non da me) numero 2 era perfettamente legato al primo e aggiungeva moltissimi particolari per una maggior comprensione della serie questo, se non per un morso di cane, coi Rec sembra aver in comune solo il regista. Intendiamoci, l'ambientazione è magnifica - e la scelta del matrimonio geniale-  e doveroso era uscire finalmente fuori da quello storico appartamento che ormai aveva dato tutto ma il problema è che se se mi avessero detto post visione che questo fosse, ad esempio, un film di Romero ex novo, fuori da qualsiasi saga, ci avrei creduto (con tutto il rispetto per Romero, insomma, fino al Romero di qualche anno fa, gli ultimi suoi non valgono nemmeno questo Rec 3)
Sbagliato, e qui magari c'è da opinare, anche perchè abbandona il mockumentary dopo 20 minuti per passare a una regia classica. C'è da opinare perchè la scelta in teoria ci può stare (molti l'avranno amata credo) ma Rec era Rec per quelle telecamerine, c'è poco da fare. E lo stesso titolo della saga si riferisce senza mezze misure alla tecnica di ripresa.

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Sbagliato forse soprattutto perchè cambia quasi completamente l'atmosfera. Dall'inquietudine nuda, cruda e sporca dei primi due capitoli (con un salto anche nel terrore puro degli ultimi 10 minuti del primo) si passa a una pellicola che più di una volta fa una strizzatina d'occhio all'horror comedy, magari quasi mai fino in fondo (anche se l'armatura e Spongebob direi di sì), ma sempre là sul limite. Anche qui volendo possiamo discutere, Rec 3 sarebbe stato un ottimo, ottimo, horror con venature ironiche ma ormai ho impostato tutto st'ambaradan riferito alla serie e non mi muovo.
Sbagliato, se vogliamo, anche nel titolo perchè qui di Genesi non c'è proprio nulla a meno che per Genesi non consideriamo l'inizio di una saga ma l'accezione che le dà  il prete. Già, anche quei sermoni ferma zombie, boh, vabbeh, mah.
Sbagliato, e qui il difetto è assoluto - saga a parte- perchè ha una sceneggiatura quasi inesistente, molto facilona (200 invitati e restano vivi, sì, insomma...vivi per ultimi, solo i due sposi), brevissima (70 minuti di pellicola, quasi offensiva come cosa) e priva di qualsiasi interesse, incastro o sorpresa (forse soltanto il finale).
Peccato perchè il film è un ottimo zombie movie, ben fatto, ben recitato, con sequenze veramente notevoli come la carneficina con la motosega, il frullato di denti, le scene sotto la pioggia (sposa bagnata, sposa fortunata già) e il finale con lui che la prende in braccio come conviene a due novelli sposi e la sparatoria conclusiva.
Aspetto Balaguero.

( voto 6 )

17.1.13

Recensione: "Polisse"


Quando Iris vede quel feto decide di dargli il suo nome.
Iris, appunto.
Una vita abortita prima di esser tale simbolo di una vita abortita durante la vita stessa.
Una maternità non voluta simbolo di una maternità mai arrivata.
E' l'inizio della fine per Iris.

Una premessa doverosa.
Se vogliamo facciamo finta di no ma è innegabile come il cinema francese in questi ultimi anni sia quanto di meglio si sia visto nel Vecchio Continente e, forse, non solo qui.
I cugini hanno eccelso dapertutto, prodotto i migliori esponenti o alcuni dei migliori di ogni genere.
Penso alle commedie con Quasi Amici, all'horror con Martyrs, al polar o poliziesco con L'Ultima Missione (o l'ancor più bello ma più datato Non dirlo a nessuno), all'animazione con L'Illusionista, al prison movie con Il Profeta, al cinema per i più piccoli (e non solo) con Il Piccolo Nicolas e i suoi genitori, al drammatico con Un sapore di ruggine ed ossa senza considerare delle perle difficilmente classificabili come The Artist, Enter the Void e Kill me please. E mi sono limitato veramente agli ultimi 3,4 anni...
E in più ho voluto saltare coproduzioni con altri paesi altrimenti tra Valzer con Bashir, Il Nastro Bianco e company non finivamo più.
E ora raggiungono l'eccellenza anche con questo semidocumentaristico Polisse, una specie di A.c.a.b francese che al posto dei nostri celerini racconta le vicende della polizia di Parigi addetta alla tutela dei minori.
Film frammentario che ha la forza in almeno due particolarità non così evidentissime.
Sì perchè l'evidenza è quella di una pellicola potente, capace di colpire lo spettatore senza mostrar quasi nulla. La forza è tutta nei dialoghi, quasi irreali nella loro violenza verbale. Parliamo di pedofilia, abusi sui minori, menefreghismo, sfruttamento. Più di una volta si arriva a un senso di disgusto raro, specie nel racconto del padre che spiattella tutto quello che fa alla figlia perchè tanto ha protezioni in alto.

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L'unico momento visivamente molto forte è la scena dell'aborto, così nuda e cruda da far star male. E turning point non tanto per il film ma per almeno una delle sue protagoniste principali, Iris.
Cos'erano le due particolarità?
La prima è che malgrado sia un film corale dove almeno 10 personaggi interagiscono sempre tra loro le vicende principali vanno tutte a coppia. Tre coppie raccontate con un tatto e una verosimiglianza rare.
I due giovani agenti che forse si amano ma hanno paura a dichiararselo o non possono (lei ha un compagno ed è incinta). Il loro sfiorarsi la mano all'ospedale è una magnifica conclusione della loro ministoria.
La fotografa e l'agente di colore, entrambi completamente insoddisfatti del loro matrimonio creeranno una relazione che dall'odio passerà a un amore profondo e vero. La fotografa tra l'altro è interpretata dalla stessa regista (bellissima donna) e non è un caso visto che la regia è solo fredda cronaca di quello che accade, come una foto.
Le due agenti donna, forse il rapporto meglio caratterizzato e più particolare. Iris che odia gli uomini e Nadine che si sta separando dal marito ma in fondo lo ama ancora. Magnifico il loro scontro finale in commissariato, decisivo alla luce del finale.

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Ma, soprattutto, e forse tra le righe lo si sarà capito, Polisse non è un film su degli agenti e su pedofili ma sull'insoddisfazione umana. Non c'è un solo, un singolo personaggio realizzato, felice, con una vita sociale e sentimentale stabile. Tutti si sono separati, lo stanno facendo o lo faranno. E tutti hanno un mal di vivere, una nevrosi, uno stress che un lavoro come quello, dove si sentono padri che magnificano le parti anatomiche delle proprie figlie, alla fine inevitabilmente ti porta.
E quel finale è disperazione e liberazione allo stesso tempo.
E sono tanti i motivi che hanno portato a quel gesto.
L'ultimo, il più particolare e inquietante è proprio di quel bambino che in montaggio alternato volteggia mentre lei vola giù.
Ed è la scoperta di come in un rapporto aberrante come quello del pedofilo si possa nascondere a volte un qualcosa che fa solo schifo a pronunciarlo in questo contesto ma che comunque per un momento mi ha messo i brividi addosso.
L'amore.

( voto 8 )

10.1.13

Recensione "Il Sospetto"




Il Sospetto è il mio. Quello che probabilmente ho visto il più bel film dell'anno già il 9 Gennaio.
E ringrazio il cielo che una multisala in Toscana l'abbia recuperato in singola data come rassegna d'autore.
E ringrazio il cielo di esser stato da solo al cinema per poter vivere liberamente una delle più intense, emozionanti e massacranti visioni di questi ultimi anni.
Il tema della piccola comunità e dei danni che può arrecare mi ha sempre affascinato.
Mi vengono in mente tre esempi diversissimi tra loro ma che analizzano in modo spietato tutte quelle dinamiche, tutti quei retaggi culturali, tutti quei pregiudizi che aleggiano, purtroppo, in queste comunità ristrette.
Tre film che per motivi diversi ho amato moltissimo poi: Dogville, Calvaire e Il Vento fa il suo giro.
Beh, Il Sospetto è superiore a tutti.
Lucas lavora in un piccolo asilo di un non meglio precisato piccolo paese nordico, danese per la precisione.
Un giorno, per semplice ripicca, una bimba lo "accusa" di averla molestata.
Lucas è innocente.
Sarà un'inferno.

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Raramente ho fatto così fatica nella visione di un film.
Un malessere incredibile -un misto di rabbia, speranza, incredulità, tristezza- mi ha accompagnato fino, e ben oltre, i titoli di coda.
Il problema è che sto film è perfetto, c'è poco da dire.
Come tratteggia questa pellicola i caratteri dei propri personaggi e le relazioni tra di essi è qualcosa di incredibile. Ovvio il merito anche di un cast in stato di grazia con, ovviamente, su tutti un monumentale Mads Mikkelsen ( il One-Eye di quel quasi indecifrabile film che è Valhalla Rising). Ma gli altri non sono da meno, suo figlio, i suoi due migliori amici, la bimba, la direttrice dell'asilo, chapeau a tutti.
La vicenda ricorda moltissimo quella vergognosa pagina di cronaca italiana che è Rignano Flaminio, quei bimbi molto probabilmente aiutati e manipolati dai genitori a sputtanare, incolpare e rovinare le maestre di quell'asilo.
Lucas sarà messo all'indice, tutto il paese non passerà nemmeno per la fase del sospetto ma direttamente a quella della certezza che lui sia un pedofilo. Non solo, dall'accusa di una sola bimba si arriverà a quella di molti altri. Lucas è un uomo buono, puro, semplice. Inizialmente non riesce a reagire tanto assurde e infamanti sono le accuse rivoltegli (sta lì in silenzio, il suo atteggiamento è così passivo che può davvero esser scambiato per colpevolezza), poi la sua dignità di individuo lo porterà a una ribellione (e a due scene di una bellezza disarmante).

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Sceneggiatura fantastica sorretta da dei dialoghi veri come pochi e da delle sequenze di un'intensità pazzesca.
Ma sono i personaggi a fare la differenza.
Lucas, un uomo che da un giorno all'altro si ritrova ingiustamente etichettato come mostro, malato. E' un inferno così vero, tangibile e al contempo così assurdo che arriviamo a un livello di empatia rara nel cinema. La scelta poi di Vinterberg di farci conoscere subito la verità e non lasciare anche noi spettatori nel dubbio (come avveniva ad esempio ne... Il Dubbio) rende ancora più forte la partecipazione per lui.
Klara, la piccola bimba che inconsciamente fa iniziare tutto. Impossibile colpevolizzarla, per lei era poco più che un capriccio di pochi secondi. Saranno gli adulti a manipolarla.Come tutte le bimbe Klara è innocente.
Theo, il migliore amico di Lucas è un personaggio indimenticabile, un uomo che per difendere sua figlia non può non preoccuparsi e temere che tutto sia vero ma che sotto sotto lui sa che quell'amico è una persona perbene. Sarà travolto dal paese e dalla moglie ma il suo dubbio è una delle più belle caratteristiche del film e colonna portante della sceneggiatura.
Marcus, il figlio di Lucas, anche lui tratteggiato in modo così vero e delicato da alzarsi in piedi. Rappresenta la parte più ribelle di Lucas, quella di un ragazzo pronto a far di tutto per difendere il padre. La scena della visita a casa di Theo è straordinaria, così violenta, intensa, disperata. E quello sputo a Klara...

Pur essendo essenzialmente un film di atmosfera e intensità (quella malata, sporca di un certo cinema nordico, Von Trier in testa, ma del resto Vinterberg, il regista di questo strepitoso film, era uno dei Dogma) Il Sospetto regala una serie di sequenze strepitose.
Alla già citata scena del figlio impossibile non aggiungere le due sequenze che raccontano il cambiamento di Lucas, la voglia di dimostrare a tutti che lui non deve vergognarsi di nulla, la sua ribellione. Parlo del supermercato, di quel ritorno lì dentro sanguinante e ancor più della Chiesa, roba da cinema di livelli altissimi.
Lì dentro c'è tutto il paese, è Natale, Lucas sfida il mondo intero ed entra. Lo sguardo che per due volte manda indietro a Theò ha una potenza non descrivibile, io avevo la pelle d'oca. Sono contento che sia stato preso per la locandina. Credo che sia la scena madre del film e uno degli sguardi più intensi e carichi di significato visti recentemente al cinema. E la Chiesa diviene ancora una volta, come nel meraviglioso Ben X, il luogo dove il protagonista principale trova il coraggio di far sapere o cercare di far sapere la verità.
Ma poi Vinterberg completa il suo capolavoro con quelli che a me piace definire 3 finali di uno stesso film.
Poteva essere finale, un finale aperto, Theò che guarda mangiare Lucas a casa sua. Noi sappiamo cosa è successo nella testa di Theò ma non avremmo potuto sapere il poi. Sarebbe stato un finale magnifico, sospeso.

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Poteva essere finale, un finale stavolta positivo, Lucas che prende in braccio Klara. Anche qua l'emozione è forte e il cerchio si sarebbe chiuso così perfettamente da batter le mani.
Sarà invece finale, un finale più amaro ma forse più giusto, quello sparo, quell'immaginazione.
Da vicende così non si tornerà mai più quelli di prima, impossibile.
E i demoni non verranno mai scacciati completamente.
Lucas, il tuo inferno non è finito.
Nè mai finirà.
Ma sono fiamme e sofferenza sotto un cielo almeno ora stellato.

( voto 10 )

9.1.13

Recensione: "Trick 'r Treat - La vendetta di Halloween"

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Beh, ma questo è assolutamente un possibile cult.
Peccato non l'abbia visto la notte del 31 Ottobre, volevo farlo ma poi chissà che mi sarà successo, probabilmente mi sarò messo a vedere una partita di Serie C o cose così.
No perchè credo che vedere Trick 'r treat (Dolcetto o Scherzetto) la notte di Halloween sia veramente divertente, specie per le nuove generazioni che ancora si mettono due maschere e intagliano una zucca.
Sì, questo è il film di Halloween per Antonio Masia (un mio amico la cui opinione diventa spesso quella di tanti).
C'è Halloween in ogni fotogramma, nei personaggi, nell'atmosfera, nel plot, negli snodi narrativi.
E' tutto così hallowenizzato che i geniali sceneggiatori hanno fatto di più, hanno inserito come personaggio Halloween in persona, hanno antropoformizzato una data, dato un corpo ad una tradizione. Cazzo, quel personaggio è assurdo, in realtà non è cattivo, lui vuole solo che le tradizioni si rispettino, dategli un Lion o un Bounty e non vi tocca.
Il film parte come il classico filmetto horror con belle cavalle (per omaggiare il Sergente Outsider), dialoghi imbarazzanti, omicidi standardizzati et cetera ma poi avviene il miracolo.
Questo film ha uno dei plot meno lineari di sempre.
Flashback di 30 anni prima? C'è.
Vicenda "odierna" con salti temporali avanti e indietro? C'è.
Storie incrociate? Ci sono.
Storie parallele? Ci sono.
Una stessa sequenza vista in due tempi diversi e da due punti di vista diversi (ricordate tipo Elephant di Van Sant?) ? C'è.

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La pellicola ha un andamento incredibile, va avanti, indietro, a destra, a sinistra, i personaggi appaiono, scompaiono, poi riappaiono nelle vicende di altri e così via. Alcune ministorie si completano da sole e senza stacchi, altre invece in più riprese e unendosi ad altre,
Vi assicuro, tutti metodi narrativi già visti ma qua vengono mischiati tutti assieme.
Ne poteva venir fuori un pastrocchio incredibile e invece tra un funambolismo e l'altro il film sta in piedi.
E regala sequenze mica male, tipo il flashback dell'autobus fotografato alla grande su variazioni color seppia e con quei ragazzi così inquietanti.
O come la scena 25 anni dopo alla cava, anche qua giusta atmosfera e forse, per la prima e unica volta durante l'intero film, un minimo di inquietudine per lo spettatore.
O come il sabba delle ragazze, scena ai limiti dell'erotico, ragazze bellissime ma che sotto sotto sono ben altro.
Anche questo colpisce de sto filmettino.

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La vicenda sembra reale, in qualche modo verosimile ma poi in 20 minuti esplode l'horror vero e proprio, i mostri. I ragazzi resuscitati, le porcone lupe mannare, l'uomo Halloween, davvero sorprendente. E ottimi gli effetti speciali, bravi.
E Anna Paquin che si allena per True Blood.
Dai, lo voglio premiare, un filmettino per una serata divertente ma con qualcosina in più.
Magari, e la cornice fumettosa del film lo richiama, una specie di Creepshow delle nuove generazioni.
Ma con tutte le storie mischiate tra loro.
Creepshow già.
Pace all'anima sua.
Mi manchi.

( voto 7 )

6.1.13

Video: il cinema come emozione

Questo è un post particolare.
Per la prima volta non sarà una recensione.
E' un video.
Mio fratello (John Locke nei commenti, ormai inesistenti sul blog, è scomparso) ha completato il suo capolavoro.
Ha preso più di 50 dei suoi (e di conseguenza miei) film preferiti e li ha messi in musica su un pezzo dei Wintersleep. Sono i film che lo hanno più emozionato. 55 dvd passati al setaccio per estrarre da ognuno l'anima del film.
55 e passa istanti messi armonicamente in musica, aderendovi il più possibile.
Un lavoro immane durato mesi perchè oltre la difficoltà "meccanica" del tutto ricordare emozioni, film, e riuscire a scegliere è stata dura. Era finito da un pò ma l'ho costretto a vedere Synecdoche prima di renderlo definitivo.
Per me il risultato è straordinario ma sono di parte.
Per chi ama il cinema e l'emozione che dà, eccolo:


Magari divertitevi a riconoscere tutti i film, sono 55. Chi vuole può provare a scrivere la lista nei commenti, poi a forza di copia-incolla si completa.

E se potete fatelo girare, merita per me.

5.1.13

Recensione "The Master"

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SPOILER PRESENTI

Mi dispiace, mezza delusione. Non vi nascondo le incredibile aspettative che avevo per questo film. Sarà per il regista, quell' Anderson che mi aveva sempre così affascinato (ma, ora che ci ripenso, mai fatto gridare al capolavoro) con Magnolia, Ubriaco d'amore e Il Petroliere, sarà per la presenza di quello che senza appelli considero il più grande attore vivente, Seymour Hoffman ( vero e proprio The Master, ma in recitazione) e di quell'altro straordinario attore che è Phoenix (grazie di essere tornato, grazie), sarà per l'interessante soggetto, sarà per aver visto come un blog che stimo moltissimo (Nuovo Cinema Locatelli) avesse considerato il film come il migliore della passata stagione, ma io ero convinto di trovarmi davanti un capolavoro senza se e senza ma. Invece, malgrado l'elevatissima cura tecnica e la prova mostruosa degli attori mi è rimasto poco o nulla. E meno male gli ultimi 2 minuti, due piccolissimi minuti, perchè altrimenti non sarei andato oltre la sufficienza credo.
I problemi principali sono due. Il primo è la difficoltà a capire cosa in fondo Anderson ci volesse raccontare (anche se quei due minuti forse svelano molto di più di tutto il resto del film), l'altro è l'incapacità, la mia almeno, di sentirsi coinvolti emotivamente o intellettualmente col film. Troppo lungo, ripetitivo, statico. Film probabilmente a tesi ma quello che vuole dimostrare è raccontato in maniera troppo accademica e "scientifica". E il gioco degli esperimenti ripetitivi se all'inizio affascina poi comincia con lo stancare, e non poco.
Prima di soffermarmi su quel finale vorrei dire due cose su quella che è forse dal mio punto di vista la caratteristica più interessante del film.
Chi è The Master?
Credere che sia il personaggio interpretato da Hoffman sarebbe un errore madornale a mio parere.

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The Master è lei, sua moglie (interpretata da un'incredibile Amy Adams, per me superiore anche ai due maschietti). Se si capisce questo il film acquista senz'altro valore. Lancaster Dodd non è altro che un fantoccio al suo sevizio, la figura maschile obbligatoria, specie ai tempi, per dare credibilità a questa specie di "setta" filosofica-scientifica-spirituale qui ribattezzata "La Causa". Troppi i punti in cui si può evincere questo. Lei che detta a lui cosa scrivere (anche se Anderson furbescamente mette una pausa nella scrittura di Hoffman mentre lei continua a parlare), lui che beve di nascosto e lei che gli sussurra che può far qualsiasi cosa basta che non lo sappia (mentre intanto lo masturba, gesto "animale" di cui un eletto non "puro", com'è lui,ogni tanto ha bisogno), lui che quasi non sa di cosa parli il libro o ancora lei che molto più incisivamente di lui riesce ad ipnotizzare Freddie.

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Per non parlare dell'importantissima frase che nel finale Dodd dice a Freddie "tutti abbiamo bisogno di un maestro". Lui per primo, dipendente com'era da sua moglie.
Freddie invece sembra essere avvolto nelle spire del Maestro ma in realtà il suo pensiero è stato e sarà sempre un altro (la scena dei nudi al ballo ce lo esplicita e anche lì lo sguardo consapevole della Adams manifesta la sua superiorità rispetto al marito, scena magnifica,del resto tutto il film gioca sugli sguardi in modo mirabile).
Sembra un film sul rapporto padre-figlio, maestro-discepolo, Dio-fedele, ma in realtà credo che il personaggio di lei sia la vera architrave di tutto.
Ma perchè, mi chiedo, insistono tanto in Freddie tanto da richiamarlo in Inghilterra? Non è possibile che  ognuno degli adepti avesse avuto un trattamento simile. Forse perchè Freddie per Dodd rappresenta la parte animale dell'uomo che tanto vorrebbe ancora essere ma ormai non può più mentre per lei, la vera The Master, il ragazzo è la dimostrazione che qualsiasi pazzia o deviazione possa essere comunque soggiogata dalla o alla Causa.
Ma quei due minuti, quella scena di sesso e quella successiva con lui vicino alla ragazza di sabbia ci dicono molte più cose del resto del film.

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Freddie non aveva bisogno di una figura paterna ma di quella materna, della Donna, dei seni femminili, del sesso. Se il suo trattamento fosse stato portato avanti dalla Adams probabilmente sarebbe riuscito. Non è un caso che nell'unica volta che lei gli parla e gli dice di prefissarsi un obbiettivo nel futuro lui il giorno dopo fugge con la moto per tornare da Doris. Ah, tra l'altro, le sequenze con la moto sono splendide, cariche di tensione e girate splendidamente.
Quei due minuti ci dicono anche che Freddie è molto più "intelligente" di quello che sembra, forse più di tutti gli adepti messi insieme. Quell' "ora rimettilo dentro che è uscito" mentre scimmiotta il suo vecchio maestro è magistrale, racconta tutto. Freddie non ha mai creduto nelle dottrine della Causa, ma solo nell'uomo che gliele sciorinava.
Alla fine per lui, per la sua psiche, aveva più forza ed attrattiva una donna di sabbia che un uomo in carne ed ossa.
In carne ed ossa sì, ma con dei fili che lo manovravano.

( voto 7,5 )

4.1.13

Recensione "La Migliore Offerta"

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ATTENZIONE, SPOILER SIN DA SUBITO, LEGGERE PREVIA VISIONE

Magistrale.
Quando il ricchissimo banditore d'asta e straordinario esperto di antiquariato Virgil Oldman si siede davanti allo spartano tavolino (altro che il lusso cui era abituato) di un piccolo bar di Praga ci crede ancora.
E' soltanto cambiata del tutto l'ottica. Se prima in una storia che sembrava del tutto autentica Mr Oldman cercava di capire se ci fosse qualcosa di falso, magari anche una piccolissima cosa, come un punto di pennello che un falsificatore di quadri aggiunge "in proprio" per mettere una piccola firma personale, un pò della sua anima in un'opera altrimenti di un altro, se prima dicevamo Mr Oldman cercava di capire se quello che pareva vero nascondeva l'inganno, ora che l'inganno è manifesto, ora che il falso d'autore è palese lui ancora spera che ci sia qualcosa di autentico, la cosa più importante, l'amore. Perchè non avendolo mai conosciuto ne sa così poco che le immagini di quella notte di sesso (una giovane con un vecchio poi, possibile fosse solo teatro?)  e una frase detta al punto giusto da lei lo tormentano, gli fanno credere in modo irrazionale in una cosa che non solo non è più ma non è stata mai.
Ma lui è un esperto di quadri e mobili antichi, non di emozioni e sentimenti nuovi.
No, al suo tavolo Mr Oldman non verrà nessun'altro. E quegli orologi, quei meccanismi che ti ronzano intorno non fanno che accrescere un'altra sensazione, sei stato truffato in una maniera perfetta, calibrata, meccanica.
Strepitoso thriller che gioca col vero e il falso, l'autentico e il riprodotto, il naturale e l'artefatto, il sentito e il simulato.

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Raramente mi sono trovato così affascinato da una storia, da un personaggio, da un'ambientazione così "colta" , da un mondo, quello dell'arte e dell'antiquariato raccontato in un modo così accattivante, misterioso, a tratti sublime altri lercio. Non so se altri l'abbiano notato ma La Migliore Offerta per un caso davvero curioso è la perfetta crasi di due altri grandissimi film del cinema italiano recente, i due sorrentiniani Le Conseguenze dell'amore e L'amico di famiglia. Del primo prende l'uomo solo, schivo, misterioso che alla scoperta di un sentimento così forte subirà un profondo cambiamento, del secondo l'architrave del plot, inutile ripeterla per chi ha visto entrambi i film. E Oldman in alcune sequenze ricorda l'usuraio di Sorrentino.
Già, Oldman. Personaggio magnifico reso ancora più indimenticabile dall'interpretazione da pelle d'oca di quel mostro di Rush capace di restituire tutta la freddezza, l'arroganza, lo stile ma al contempo la fragilità, il disagio e lo scombussolamento interiore che la scrittura del ruolo richiedeva. Sempre grande Sutherland, molto bella e "complessa" lei, più che sufficiente Sturgess.
Regia molto più classica ad esempio del sopracitato Sorrentino ma capace lo stesso di regalare splendide inquadrature e sequenze da urlo come quella quando Oldman entra nella stanza segreta per scoprire la tragedia che l'ha colpito. Il quadro che cade a terra, l'eco del rumore, le pareti spoglie, magnifico.

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Più che montaggio in parallello c'è una sorta di plot in parallelo con l'automa che piano piano si va costruendo di pari passo della truffa. Gli stessi pezzi che vengono fatti trovare a Oldman non sono altro che una beffarda metafora di quello che gli si sta preparando. Non a caso gli ultimi, i più importanti, sono nella stanzetta di lei, quella dove si completa forse definitivamente il processo di innamoramento e coinvolgimento tra i due. E ripensare a quel "nastro ripetitore" che Sturgess riparava tranquillamente davanti agli occhi di Oldman, pensare che quel nastro sarà poi la fatale voce dell'automa fa venire i brividi. Altro che nano. Anche se poi, ancora più beffardamente, sarà proprio una nana a svelare involontariamente tutto l'inganno ad Oldman. E il dispositivo per controllare i movimenti, anche questo passato mirabilmente nel negozio del ragazzo, non è altro che l'ennesima prova: non solo sei stato truffato ma avevi tutto sotto gli occhi Virgil. E, soprattutto,vedere che le uniche tre persone che hai intorno nella tua vita, in una vita parente stretta della misantropia, gli unici tre, il tuo amico di sempre, il nuovo amico cui confidare i tuoi segreti e la donna che ami, tutti erano d'accordo per rovinarti non può far altro che portarti alla pazzia.
Forse la meritava Mr Oldman, forse no.
Ma c'è di peggio, c'è qualcuno che con le conseguenze dell'amore ci muore.

( voto 8,5 )