29.3.18

Recensione: "Bomb City" - Cinema e Musica - 4 - di Alex Cavani




E dopo Giorgio Neri torna qua a scrivere anche il nostro giovane musicista Alex Cavani.
Ci tengo a dire che questa recensione qua sotto (identica anche per impaginazione) Alex l'ha già pubblicata altrove, segnatamente nel sito di Shiva Produzioni.
Nelle rubriche esterne di questo blog c'è una sola regola, scrivere qualcosa in "esclusiva", non già pubblicato altrove (ma va bene il contrario, portare poi l'eventuale recensione dove si vuole).
Per una volta, credo l'unica (a meno che qualcuno non mi abbia "fregato") ho disatteso questa regola perchè l'autore, Alex appunto, mi ha privatamente chiesto quanto gli sarebbe piaciuto mettere anche qua la sua recensione. 
Di un film poi che l'ha sconvolto e che considera un capolavoro.
Buona lettura, specialmente a chi ama questo connubio tra cinema e musica, tra cinema e vita reale

Premessa: Questo è un film che fa male, malissimo. Non l’avrei mai pensato una volta iniziata la visione, spinto principalmente dalla convinzione di aver davanti agli occhi un bel film dall’anima punk, come non se ne vedeva da tempo. E invece c’è una frase, pronunciata da uno dei personaggi cardine sul finale della pellicola, che fa più o meno così: “con le lacrime agli occhi e il cuore in gola”; ecco, questo era il mio stato d’animo alla fine di questi 95 minuti di film. Volevo scrivere qualcosa subito dopo averlo visto, ma mi sono reso conto che non avevo davvero la necessaria lucidità per farlo, tanto grandi erano le emozioni che provavo; quindi cercherò di farlo ora, a distanza di un paio di giorni, sperando di riuscire a trasmettere un po’ di quello che questo film ha trasmesso a me. Inutile dire che saranno presenti spoiler medio-grandi, ma cercherò di non esagerare perchè desidero che questa storia vi affascini e vi catturi senza saperne troppo, come ha fatto con me. E no, non parliamo di un semplice “punk movie”, questo è molto, ma molto di più.
P.S. Penso che la lettura di questo articolo sia perfetta se accompagnata dalle canzoni che ho messo qui e lì, tutte legate al film. Vi invito a cercare i testi se volete leggerli.

“How’s it going New York? I chose to speak to you in a square because I think we’re kinda conditioned to listen to people when they’re in the shape of a square. And also, here in Hollywood this is where we give people what they want: Violence, I guess that’s what it seems to come down to. What I wanted to talk to everyone today about, I don’t really want to preach, I just want to more bring up some questions and since I always tend to be a scape-goat I thought we’d talk about Blame.
Right now everyone wants to blame music, they want to blame movies. But we’ve forgotten that we have a dead guy hanging from a tree in our living rooms, and that’s something that we’ve worshipped all our lives. If you think about the crucifix, it’s the greatest mass market piece of merchandise in the history of the world. I’ve always found that to be kind of interesting that we haven’t really sat down and talked about that on the news.
And I also wondered why nobody cares when an adult commits some senseless act of violence. They don’t want to have a reason why. It’s only when a kid does it.
But I think what’s really begun to confuse people now, and why we’re in this state of chaos and PC non-sensical uptightness. It’s white teenagers. That’s the real enigma: Why are they mad? They’re middle class, they’re white, they’re spoiled.
Is it because they know America’s a lie? Is it because we make them feel like they’re never good enough. You know? They’re never good enough for the scholarship, for the car, for the girl. Never good enough to be famous for fifteen minutes.
Are we suprised why they’re mad or why they end up dead. Why the violence? You know.. you made them America, what do you expect”?

“Based on a true story”: quando leggiamo questa frase prima dell’inizio di un film, sappiamo già bene o male dove si andrà a parare, quanto le suddette parole possano essere sfruttate per attrarre più spettatori incuriositi dalla presunta verità messa in scena, salvo poi rivelarsi promesse vane nella maggior parte dei casi.

28.3.18

Recensione: "Oltre la notte"

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Oltre la notte è il silenzioso viaggio dentro l'anima ormai morente di una donna che in un solo secondo ha perso tutto.
Nel suo dolore, nella sua rabbia, nella sua afona e metodica voglia di giustizia e vendetta.
Nemmeno un film sull'elaborazione del lutto perchè, qua, il lutto non si prova mai nemmeno ad elaborarlo.
Un grande finale, una Diane Kruger di raggelante bellezza e bravura

presenti pesanti spoiler

Mi piace tanto questo titolo italiano (non so se traduzione fedele), Oltre la notte.
Non che sia originalissimo, che la notte, da sempre, da un'altra di notte, quella dei tempi, è stata spesso metafora di altro.
Pensiamo solo a uno dei romanzi più imprescindibili che esistano del 900, Viaggio al termine della notte di Celine.
La notte come metafora del nostro profondo, delle nostra zone più scure e inaccessibili.
Oppure, come nel caso del film di Akin (che avevo già incontrato col cult Soul Kitchen), una notte che è metafora di un dolore talmente profondo da non avere chiaroscuri, squarci di luce, nulla.

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Ed ho trovato bellissimo che non si sia tradotto "dopo la notte" ma "oltre la notte", come se questa notte di vita e di anima non sia semplicemente un momento, un accadimento, un minuto in cui niente è più come era nel minuto prima. No, una notte che pare luogo quasi fisico, da oltrepassare, non solo un mero contestualizzare un prima e un dopo.
Perchè quando accadono tragedie simili tutti noi dobbiamo vivere il dopo la notte, è inevitabile, la nostra vita è una linea retta nel tempo. Ma quasi nessuno quella notte sa superarla, scavalcarla, andargli oltre.
E a significare l'importanza di questo titolo c'è anche il fatto di quanto arrivi in ritardo, dopo un lunghissimo prologo.
Dopo che Katja, la nostra protagonista, conosce la sua notte.
Ed è la notte più terribile che esista, quella dove, giusto il tempo di una sauna ristoratrice, se ne vanno via i tuoi due amori più grandi, tuo marito per cui hai così aspettato e lottato e quel bambinello simpaticissimo, tutto occhiali e creatività, ancora, per restare in metafora, all'alba della vita.
Katja non ha più nulla se non lo stanco e al tempo stesso disperato bisogno di capire cosa sia successo.
Akin ci porta nell'intimità del dolore, quella della casa silenziosa e in penombra, quella della migliore amica che ti piange alle spalle ma ha il dovere di farti forza, quella dei nervosismi parentali, quella delle inopportune ma doverose domande degli inquirenti.
Chissà in questi casi come si fa a staccar la testa dal dolore, come si fa a ragionare, come si fa ad accendere ad intermittenza la parte del cervello obbligata ancora a funzionare, per non impazzire.
Ho trovato questa la parte più potente del film, quella che urla realtà più di tutte, quella dove si staglia una figura raramente raccontata meglio in questi anni, quella dell'amica del cuore.
Una ragazza che se ne sta sempre lì, che non parla tanto perchè sa che non c'è niente di cui parlare, una che sa accusare colpi anche duri perchè, lo sa, in questi casi anche i migliori amici possono ferirti, mandarti via.
Dove c'è Katya c'è lei, con un dolore che le disegna il volto davvero verosimile.

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Ma del resto Oltre la notte eccelle in questi personaggi secondari, così belli, così poco ambigui, così umani. E mi riferisco anche all'amico avvocato, un bell'uomo che, nel 90% degli altri film, avrebbe flirtato con la bellissima donna e amica (una straordinaria Diane Kruger) che stava aiutando. E invece no, e invece Akin ci regala un uomo tutto d'un pezzo, uno che semplicemente fa il suo lavoro infarcendolo di umanità ed amicizia, uno che non sbaglia una parola e sa star vicino.
Katja ha questi due tesori vicini, ma la notte è comunque scurissima.
Il film è diviso in 3 atti molto ben distinti. Il primo è quello della famiglia, dove conosciamo i personaggi e si consuma la tragedia.
Il secondo è, mi pare, "la giustizia", dove seguiamo tutto il processo.
Il terzo, forse quello che rende "Oltre la notte" un film anche abbastanza originale, è "il mare", quello in cui la disperazione di Katja la porterà a gesti estremi nel sole della Grecia.
Non siamo davanti ad un capolavoro, forse per via di un'andatura un pò schematica, di un film privo di guizzi e che forse commette l'errore di non gestire bene il climax, con una prima parte a mio parere abbastanza superiore alla seconda e un'ultima leggermente tirata per le lunghe (anche se porterà ad un finale bellissimo).
Non sono un grande amante dei legal thriller e forse la seconda parte mi ha un pò allontanato dall'empatia della prima. 
Anche se quella biondina assassina seduta e silente, la deposizione di suo suocero e l'inquietante e grottesca sequenza col greco sono tre ottimi elementi.
Stranissimo che Akin abbia deciso di non mostrarci nemmeno un secondo delle deposizioni dei due assassini. Se ne restano sempre lì, freddi e silenziosi, quasi due automi, fino a quella odiosa e incontrollata esplosione di gioia per l'assoluzione.

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A me piacciono più le piccole cose.
Katja che va a scegliere le bare e si limita ad accarezzare quelle prescelte, Katja che va nel luogo dell'attentato e "abbraccia" quel muro tinteggiato a striature di rosso, striature di rosso che non sono design ma simbolo di morte. Morte di chi più ami.

Quasi inevitabile arriverà la scena del suicidio.
E, che buffo, è una scena praticamente identica, identica, a quella vista recentemente nel bel Corpo e Anima.
Una giovane donna nuda in vasca, i polsi recisi, l'attesa della fine.
E poi una telefonata salvifica in entrambi i casi.

 Poi, siamo in Grecia.
Ed è forte questo contrasto tra il mare, tra la terra del sole e l'oscurità ormai obnubilante che avvolge Katja.
A questo punto lo spettatore segue la vicenda come un thriller che ha soppiantato il drammatico.
Le ipotesi possibili sono tante (io ne ho fatte 3,4, alla fine ci prendevo per forza).
Il senso di schifo per quelle persone è altissimo, tanto che tu speri veramente li faccia fuori senza pietà.
Perfetta, veramente perfetta, la scelta di vendicarsi nello stesso modo, costruendo la stessa identica macchina di morte.
Chissà se quegli omicidi avrebbero portato Katja oltre la notte.
Io non credo.
E non lo crede nemmeno lei.
E allora si arriva al finale più terribile e coerente che ci possa essere.
La vendetta si compierà, ma motivi per restare di qua nel nostro mondo comunque non ce ne sono più, anzi, dopo aver compiuto la vendetta se n'è andato anche solo l'ultimo che restava.
Chissà se Katja ha pensato che in quel momento se ne sarebbe andata nello stesso modo in cui se ne sono andati suo marito e suo figlio.
Io credo di sì.
L'ultima inquadratura è straordinaria, la macchina da presa che si allontana da quel rovente luogo di morte e piano piano se ne va su, superando quell'albero che lentamente sta prendendo fuoco.
E arriva su in cielo, quel luogo simbolo di disperati nuovi abbracci, ricongiunzioni.
Ma io voglio scendere un attimo da quel cielo che poi diventa mare.
E voglio tornare a Katya nella cameretta del figlio.
Un letto a castello.
Una sedia per salire, uno scivolo per scendere.
Quel letto è, per me, simbolo del dolore più forte.
Katja è salita su, piange come non ci fosse un domani, abbraccia il cuscino del piccolo Rocco.
Katja è salita sul letto del dolore ma non riuscirà mai a prendere lo scivolo per scendere, per tirarsene fuori.
Resterà lì, nel letto.
Nella notte.
E ne resterà inghiottita, senza poter andare oltre.
O forse sì.
Forse quello scivolo porta nel cielo, un cielo capovolto

27.3.18

Recensione: "Lo Squartatore" 1985 - Leland Thomas - Boarding House - 12 - di Giorgio Neri




Dopo mesi e mesi è finalmente tornato Giorgio.
Ma del resto lui e i ritardi sono un tutt'uno.
Se non sapete chi è Giorgio, infatti, leggete qui.
In ogni caso eccolo con un nuovo capitolo di quella che è, a questo punto, la rubrica esterna più longeva del blog.
Giorgio è un luminare di questo tipo di cinema, cinema misconosciuto, cult, disturbante, anarchico e weird.
Buona lettura ;)



Nel 1985 l’horror, prima di tutto, e poi il gore e lo splatter si
erano ben piazzati nella cultura di massa, accalappiando sempre più
fan, sebbene le majors lo tenessero a bada come un figlio deforme da
rinchiudere in qualche scantinato. Nell’anno domini 1980 erano usciti
Antropophagus di Joe D’Amato, Paura Nella Città Dei Morti Viventi di
Lucio Fulci, Shining di Stanley Kubrick, Venerdì 13 di Sean S.
Cunningham, Inferno di Dario Argento - e nel 1981 era uscito Nightmare
di Romano Scavolini...
Nel 1985 erano in programma Re-Animator di Stuart Gordon, Phenomena di
Dario Argento e sopratutto Il Giorno Degli Zombi di George A. Romero,
il capitolo della trilogia sugli zombi più cattivo, violento,
sanguinoso che Romero avesse concepito nel fondare il suo
personalissimo mondo cinematografico.
Quindi, il sangue scorreva a fiumi, insieme ad intestini e cervella.
Un passo indietro: Maniac di William Lustig è del 1980. In altre
recensioni di questa rubrica lo si è citato spesso. È, come si dice,
la summa di tutto quello che possa essere un serial-killer disturbato,
ossessionato dal suo passato sporco (madre puttana e punitiva) e che
si prenda la briga di assumere il punto di vista dell’assassino in
maniera precisa, studiata a tavolino senza retorica e, soprattutto,
senza tirarsi indietro nel mostrarne le peggiori nefandezze.
Nonostante questo, il film aveva una sua ricercatezza e anche un certo
gusto per l’immagine curata nonché un attore come Joe Spinell -
co-autore della sceneggiatura e ideatore del soggetto - che mise tutto
se stesso in questa perfomance davvero eccellente. Nel 2012 è stato
presentato al pubblico il remake tutto in soggettiva di Franck
Khalfoun, prodotto da Alexandre Aja e interpretato da Elijah Wood.
Non passa, quindi, senza lasciar traccia.
Probabilmente già nel (e dal) 1985 ci sono stati miriadi di epigoni e
questo film di Leland Thomas s’inserisce appieno in quella lista
imbrattata di sangue.

Leland Thomas ha scritto e diretto solo questo film. Ha dichiarato che
il prodotto emulsionato sulla pellicola era tremendamente orribile e
lo aveva fatto su commissione perché i produttori, e lui medesimo,
volevano ricavarci bei soldi. Ma questi produttori, paradossalmente,
lo avevano alleggerito delle sequenze più gore.
Grave errore, come la classica zappa sui piedi.
Infatti, il film non lo conosce nessuno ed è arrivato in Italia
soltanto in vhs (per la Skorpion) intitolato Lo Squartatore (il titolo
originale è Bits & Pieces). I distributori italiani erano di bocca
buona e all’epoca bastavano un po’ di sangue e tette succulente per
dare una possibilità commerciale ad un prodotto realizzato alla meno
peggio. Ma che aveva davvero quel quid che lo rendeva assolutamente un
diamante allo stato grezzo.
Grezzo, appunto, è il termine giusto.
È il motivo per cui potranno piacere e mandare in solluchero le scene
che seguono.

21.3.18

Recensione: "Taxidermia"

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Un film weird, estremo, grottesco.
Tre generazioni di una famiglia.
Un soldato erotomane, uno che fa sesso con tutto, cose, animali e persone.
Suo figlio, un uomo che diventerà un essere immondo, iper obeso, un mangiatore di professione.
E il figlio di suo figlio, un emaciato tassidermista che al calore umano ha dovuto preferire la freddezza della morte animale.
Un film che forse vi divertirà, forse vi farà ribrezzo, forse vi interesserà.
Sì, perchè Taxidermia in realtà è una spietata analisi dell'essere umano.
Corpi senz'anima, corpi materiali d'esposizione.

presenti spoiler

Sono passati un pò di giorni dalla visione, come purtroppo ultimamente mi accade spesso (e siccome scrivo per passione lo faccio solo quando ne ho voglia).
Però stavolta devo dire che insieme ai lati negativi che la cosa comporta (io scrivo molto meglio con il film ancora addosso, sia quantitativamente che qualitativamente) ce n'è anche uno positivo.
Ed è la netta sensazione che sto film sia (ancora) più bello di quello che avevo percepito quella sera di 4 giorni fa.
Sera in cui, forse perchè un pochino visivamente scosso da alcune immagini, ero ancora con un grande "boh" in testa.
Ora quel boh non c'è più, ora ho la certezza di aver visto un film sicuramente cult ma anche tanto tanto più interessante ed incisivo di quello che le sue schifose, grottesche e debordanti immagini lasciano intendere.
Io partirei dalla fine.
Vedete, in alcune sceneggiature ci sono delle chiuse finali (ridondanza) che, in un amen, ti danno tutto il senso di quello che hai visto prima.
A volte possono essere chiuse che flirtano col colpo di scena (penso a Mr Nobody ad esempio, che è insieme twist e senso del tutto), altre semplicemente delle sequenze apparentemente "normali" che invece sono la chiave per aprire il significato di tutto quello che hai visto prima.

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Siamo in una imprecisata epoca.
 La location e il vestiario parlano di futuro ma colui che parla è uomo che abbiamo visto con le stesse fattezze già prima.
Siamo così portati a pensare che siamo coevi al finale delle vicende.
Un uomo presenta due "opere d'arte".

17.3.18

10 cose su di me




Questi circa 9 anni di blog credo di aver ricevuto una trentina di premi.
Credo di averne "pubblicizzato" giusto uno, mi scoccia.
In realtà nessuno davvero importante, tutti premi tra "di noi", tra chi ha blog.
In quasi tutti i casi delle specie di catene di Sant'Antonio, molto carine e molto gradite sì, ma che io non ho mai proseguito. E ormai lo sanno tutti, tanto che nemmeno mi premiano più ;)
In quasi tutti questi premi c'erano delle domande personali da rispondere, non l'ho praticamente mai fatto. Ho sempre ringraziato e spiegato. Anche in questo periodo ne sono arrivati altri due ma niente, non ho risposto.
E allora per discolparmi scrivo 10 cose su di me qua, per riparare 9 anni di "no, grazie".
E chiudo magari qua questa cosa dei premi perchè mi rendo conto che per quanto mi faccia piacere sono, per gli altri, un pessimo premiato, è giusto che mi mandino affanculo ;)

in ogni caso ecco le curiosità

1 Dormo sempre con due cuscini. Con uno non riesco assolutamente a prender sonno. E, se ce la faccio, russicchio

2 Malgrado mi piaccia tanto cucinare ogni volta che posso vado a mangiar fuori, sia in posti cui ormai sono legato, sia cercando di scoprirne di nuovi (e Perugia è incredibilmente piena). Ho il brutto vizio però che la prima volta che accade qualcosa che non mi piace difficilmente torno nello stesso posto

3 Ho una mania per numeri e statistiche, sono quasi autistico in questo. Non per la matematica tout court, proprio per i numeri. Credo che feci il Torneo del Millennio per questo, per le statistiche, più che per il cinema

4 Considero tutte le persone di questo mondo alla pari. Posso incontrare un mio idolo calcistico, cinematografico o "letterario" e parlarci tranquillamente dopo 3 secondi come parlerei ad un amico. Non concepisco il divismo.
Ammetto però che se avessi mai incontrato Saramago e Seymour Hoffman forse un pochino avrei tremato. Ma per una faccenda solo umana

5 Non leggo praticamente più un libro da 5,6 anni. Ne leggevo 50 l'anno. Ho smesso da quando la mia vita si è stravolta. E ricomincerò quando sarà nuovamente serena e con una direzione ben precisa

6 Ho fatto sport dagli 8 ai 37 anni. Adesso da 3 anni niente, zero. E, paradosso, son dimagrito

7 Non sopporto gli ambienti snob, odio l'eleganza esasperata, odio tutto ciò che non mi pare del tutto genuino, da un viso ad un comportamento.
Adoro la nudità delle cose, estetica e comportamentale

8 Sono come mi leggete, irrimediabilmente buono. Questo non significa che non abbia fatto soffrire persone, anzi, più di una e veramente tanto.
Ma non riesco a litigare, non riesco a non capire e non perdonare, non riesco a serbare rancore e non riesco ad odiare.

9  Ho in mente di scrivere un libro da 15 anni. L'anno scorso ci sono andato veramente vicino. 
Mica a finirlo. 
A cominciarlo

10 Sono innamorato da 23 anni (update 28) praticamente lo sono sempre stato, anche se di più persone. 
Lo sono tutt'ora


a questo punto visto che il post è stato fatto come risposta collettiva a 9 anni di premi-catene, se volete mettete anche cose vostre.
ma tanto se non lo fa per primo uno non lo farà nessuno ;)

15.3.18

Recensione: "Bridgend"




Un grandissimo film sull'adolescenza.
A Bridgend, piccola paese del Galles, i giovani non fanno altro che uccidersi.
Arriva in paese la dolce Sara.
E, inevitabilmente, anche lei sarà infettata dal morbo di cui sono malati quei giovani.
Film sulle difficoltà del crescere, affettive e ambientali.
Ma, anche, sulla mancanza di coraggio del voler star bene.

presenti spoiler dopo penultima immagine (cavallo)

Ne avevamo già parlato con The Village.
Ovvero di quel bosco simbolo delle nostre paure, quel bosco intricato simbolo di una condizione anch'essa intricata, uno stato d'animo di rami e rovi, di mostri, di oscurità, di privazione della luce e della via d'uscita.
E il bosco diverrà anche qui in Bridgend profonda metafora.
E se la metafora principale resta molto simile a quella di The Village (prigione mentale e paura) è anche vero che ci sono almeno due profonde differenze.
La prima è che se il bosco di paure del gran film di Shyamalan era un pò simbolo di quelle paure che gli altri, anche per difenderci, ci inculcano, qui in Bridgend invece la foresta ha genesi molto più intime, personali ed esistenziali, direi quasi endogene, non esogene.
La seconda è che se nel primo film questa condizione era un pò attribuibile a chiunque, qua ha una connotazione molto più definita, molto più netta.

Perchè il bosco di Bridgend è l'adolescenza.
L'adolescenza, il periodo delle più grandi magie e dei più grandi tormenti, quello dove tutto è amplificato, dai primi amori che, essendo appunto primi, sei sicuro non finiranno mai più, ai primi dolori, o meglio all'età in cui per la prima volta sui dolori riesci a ragionare veramente. E anche questi dolori, questi tormenti, in adolescenza paion tanto più grandi di quelli che sono.
Sei in una fase di passaggio, non più bambino, non ancora adulto, e hai la fragilità della trasformazione, hai la fragilità della mutazione, hai la fragilità del non più questo e il non ancora quest'altro.
E allora riconosci gli altri mutanti, stai con loro, ne resti condizionato. Mai nella nostra vita esiste una fase in cui ti senti più appartenente a un mondo altro che solo quelli come te possono capire. 
Vedi ormai i bambini come qualcosa di passato, superato. 
E vedi gli adulti come una costante e possibile minaccia, come un'entità che non ti può capire.
Non esistono adolescenze solo belle, non possono esistere. Perchè è impossibile diventare da crisalide a farfalla senza la straniante, bellissima e terribile, sensazione che ti stanno crescendo le ali.
Un'adolescenza solo serena è un'adolescenza persa, un'occasione persa, una banalità.


A Bridgend, brutta cittadina del sud del Galles, gli adolescenti si uccidono.
Uno dopo l'altro.
Si impiccano.
Per indagare sul fatto torna un poliziotto, vecchio abitante del paese.
Porta con sè sua figlia, Sara, anch'essa poco più che adolescente.
Ben presto Sara farà amicizia coi giovani del luogo, un luogo che non offre nulla, se non freddo, bevute e sballo.

12.3.18

Recensione: "Veronica" 2017 - Su Netflix

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L'ultimo film di quel Plaza che, con Balaguero, cambiò il mondo dell'horror con Rec, è un buon film.
Basato sulla storia reale e terribile di un'adolescente spagnola, Veronica mischia il tema delle possessioni demoniache con quello della malattia mentale, dell'adolescenza e delle difficoltà del vivere.
Il problema è che le mani di Plaza paion troppo grossolane e che il film, specie nel finale, sembra una continua didascalia.
In ogni caso da vedere per un appassionato

Scrivo la recensione a 8 giorni dalla visione. Ricordo poco e nulla. Insomma, mi dispiace, avrei voluto e potuto parlarne in maniera più esauriente di Veronica.
In ogni caso, essendo comunque un discreto titolo, ho pensato di farla lo stesso, anche magari solo a scopo informativo

presente qualche spoiler, spero non decisivo

Dico la verità, credo che del duo che creò quel capolavoro dell'horror moderno che è Rec, Paco Plaza fosse l'anello debole.
Analizzando le due carriere soliste -la sua e quella di Balaguero- penso sia abbastanza evidente, almeno da parte mia, una maggiore qualità in quella del secondo.
Il Plaza solitario ha girato discreti film come Second Name (sufficiente e niente più) e Rec 3 (strano, interessante, ma quasi stupratore del format).
In più - in quella per me non riuscita operazione a più mani che fu le "Peliculas para no dormir" (dove, manco a farlo apposta, l'unico segmento veramente bello era di Balaguero)- il buon Plaza girò un episodio davvero inutile, scialbo, quasi insalvabile.
Ecco così che questo Veronica, al netto di pregi e difetti, potrebbe anche rappresentare la meglio cosa che ho visto, in solitaria, di suo.

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La cosa forse più interessante (e che io ho scoperto solo alla fine, quando appaiono le foto reali) è che questo film si basa quasi completamente (anche se con un paio di significative divergenze) su una "vera" storia che, in qualche modo, sconvolse la Spagna, ovvero quella di una ragazza adolescente morta (ma magari la divergenza è qui) in circostanze misteriose, ragazzina che, già da tempo, presentava stranissimi sintomi. Ma, più che altro, quello che sconvolse di più furono i rapporti della polizia che raccontarono di fatti veramente inquietanti ed inspiegabili.
Insomma, siamo sempre lì, in quelle storie che mischiano possessioni demoniache e malattie mentali. Però, ecco, stavolta fu strano che a parlare di fatti non spiegabili non furono privati (e lesionati mentali) cittadini, nè funzionari della Chiesa, ma persone in teoria super partes e affidabili come poliziotti.
E Plaza sfrutta proprio questo aspetto, tanto che tutta la cornice, incipit e finale, è proprio basata sulla prospettiva "reale" della polizia.
Incipit, tra l'altro, veramente molto buono, con quella chiamata al 911, l'arrivo della polizia nell'appartamento (e sì, sembra di essere in Rec. Cazzo, sti spagnoli c'hanno la fissa degli appartamenti, Balaguero su tutti) e l'entrata nella casa divelta.
Se vogliamo abbastanza assurdo che il primo ad entrare sia proprio l'ispettore, completamente disarmato, seguito poi da tutto l'ambaradan invece armato.
Però, ecco, funziona, e funziona anche di più quello strillo che diventa sbadiglio e ci porta a tre giorni prima.
Il film racconta di una ragazza, Veronica, credo 15enne, costretta a far praticamente da madre ai suoi 3 fratellini piccoli, tra cui spicca il fantastico Antonito, occhialoni grandi grandi, occhi storti e una dolcezza infinita (mi ha ricordato il Piccolo di Malaussene).
La madre lavora sempre, torna la notte e dorme più che può, il padre invece è morto, particolare molto importante perchè la sua figura è quasi fulcro di tutto (mi pare invece che sulla vicenda reale ci fossero entrambi i genitori).


Allora, la ragazzina che fa Veronica è fantastica, viso incredibile, tanta forza e tanta fragilità insieme. Tutto il film è retto da lei praticamente. E, dico la verità, anche se non in modo troppo marcato nel finale avevo finalmente raggiunto quell'empatia per lei che il film richiede.
Sì, perchè Veronica racconta dell'incredibile supplizio di una ragazzina, una 15enne dovuta crescere troppo presto che, per una serie di motivi, vivrà 3 giorni devastanti.
E le letture possibili son tante, è un mix tra una metafora dell'adolescenza, tra la componente horror (quella della possessione, direi preponderante) e tra una possibile malattia psicologica (perchè, alla fine, quando non di frode, le possessioni sempre questo sono).
Da non sottovalutare (anzi...) una possibile interpretazione sessuale, quella del molto tardivo arrivo del mestruo, vissuto malissimo da Veronica. Moltissime scene possono avere una lettura o un legame con questa metafora.
E' bello per lo spettatore star sempre lì sospeso sul fatto se quello che vede sia realtà o fantasia (mi pare ci sia anche una lezione a scuola su questo), tra possessione reale o una ragazzina triste, tormentata, stressata, che vede reificarsi tutti i propri demoni.
Il problema è che Plaza non è un grande autore.
E allora tutta la possibile componente umana va un pochino a farsi friggere in mani troppo grossolane. La parte horror (tantissime scene, una dietro l'altra, senza tregua) è troppo presente e troppo manifesta. La possibile cura e gestione dell'aspetto psicologico in questo modo perde tantissimo di potenza.
Come se non bastasse il film, specie nel finale, è tremendamente didascalico, ma in un modo davvero fastidioso.
Tutto, ma veramente tutto, viene spiegato, spesso per bocca del personaggio della suora cieca (novità!), davvero trash, disastroso. La scena in cui fuma sempre è da ergastolo.
E' talmente fissato con lo spiegare Plaza che più volte Veronica, nel film, seguirà un "manuale di istruzione" comprato in edicola per liberarsi dalla maledizione in cui, in un'ottima scena -quella durante l'eclissi- era finita.
Ma basta vedere il finale, con quel bambino che si tappa le orecchie. Perchè farci vedere il flash back di quando lei glielo disse? non avremmo capito comunque da soli tutto?
Peccato, perchè il soggetto c'era, l'atmosfera lo stesso, gli attori bambini sono davvero bravi (alternano scene molto divertenti ad altre molto dolci) e ci sono un paio di scene horror davvero ben fatte (loro che la mangiano, il babbo nudo e altre).
Particolare una sequenza che, per un amante di Lake Mungo, non può passare inosservata, magari lo scoprite da soli.
Insomma, buon horror, consigliabile, probabilmente anche altamente consigliabile per chi non ricerca ossessivamente, come me, qualche componente autoriale dentro un film.
Si poteva far meglio, si poteva restare più sul tormento di Veronica, dare meno evidenze, privilegiare il suo dolore.
In ogni caso, ne sono sicuro, la storia di questa ragazza in qualche modo, magari anche soltanto alla fine, un pochino vi farà star male

6.5/ 7 -


10.3.18

Recensione: "Lady Bird" ma, per me, anche tanto di più - Scritti da voi - 114 - Ginevra


Dico la verità, la morte di Astori mi aveva abbastanza stravolto e tutto quello che scrissi in quell'occasione sono cose in cui credo molto.
Poi, appena due giorni dopo, è successa una tragedia personalmente ancora più grande perchè, anche se indirettamente, un pò più "dentro" la mia vita, più vicina.
In questi casi non fermarsi a fare qualche importante riflessione sarebbe un'occasione troppo grande da sprecare. Egoisticamente devi darti un senso, un TUO senso, a quello che è accaduto.
E il senso alla fine è sempre quello, il più semplice e grande di tutti, quello di rendersi conto che la vita è un privilegio.
Vivere è un privilegio.
E di conseguenza ti rendi conto anche di due altre cose.
La prima è che vivere con le paure, specie con paure assolutamente superabili, è una delle più grandi espressioni di non-vita che possano esistere.
La seconda che è assolutamente ridicolo, ripeto, ridicolo (perchè altri aggettivi non vanno bene) incazzarsi per delle cose che non hanno alcuna importanza.
Vi faccio un esempio.
Ieri ho distrutto la mia terza ruota in 4 mesi.
Tre ruote completamente distrutte in delle buche.
Avrei potuto bestemmiare in mille lingue diverse, spaccare qualcosa, vivere l'intera giornata con un nervoso pazzesco.
E invece no.
E invece ho cambiato tutte e 4 le ruote, ho fatto due risate con quelli dell'officina e stop.
Vedete, io ho tantissimi difetti, più dei pregi, ma sono una persona profondamente calma, riflessiva, capace di capire e perdonare ogni cosa, praticamente incapace invece di arrabbiarsi, avere gesti o atteggiamenti violenti.
Quindi, se possibile, questi due avvenimenti così tragici e vicini, mi hanno portato ad una fase zen ancora più convinta.
Vi voglio chiedere una cosa.
Provateci anche voi.
Provate a non infuriarvi per un parcheggio rubato, per la squadra che perde contro quella che ruba, per Salvini al governo, per il politico deficiente, perchè bucate una ruota e, specialmente, provate a non litigare mai con chi volete bene.
Non ci riuscirete del tutto, ovvio, ma già non farlo ogni volta sarà una grande cosa.
Il fatto è che quando arriveremo a 90 anni (e parlare di arrivare a 90 anni in questo post è tanto tanto stridente) e ci guarderemo indietro non ci fregherà un cazzo di tutti i governi che si sono succeduti, di tutte le sconfitte della nostra squadra, di tutte le ruote bucate, delle liti al lavoro, delle urla perchè non è pronta la cena.
No, quando arriveremo vicini alla fine l'unica cosa che ci farà andar via sereni o no è solo l'affetto che abbiamo dato e quello che abbiamo ricevuto.
E quello che stiamo dando e, soprattutto, quello che stiamo ricevendo in quel momento finale.
Che è figlio di quello sopra, di quello che hai costruito.
Saremo sempre uomini imperfetti, egoisti, istintivi. Ma iniziare a capire quali sono realmente le cose importanti e quelle che non lo sono è uno de segreti più grandi.
Mi direte che c'entra tutto questo con Lady Bird.
C'entra.
Io questo film non credo l'avrei mai visto.
E allora, al posto mio, ho mandato a vederlo una bimba di 10 anni.
Perchè se vivere è un privilegio dare la vita è un privilegio ancora più grande.
E allora ho pensato che questo mio privilegio fatto bambina magari a 10 anni scriverà di un solo film, a 11 anni di 2, a 12 anni di 4, a 13 anni di 8, finchè, un giorno, magari, ci sarà un padre che si sentirà troppo grande per parlare ancora di film ed emozioni e lascerà il passo a un'adolescente intelligente, sensibile e, inevitabilmente, tormentata.
E mi dispiace per chi ama Lady Bird e quindi riterrà inutili queste 20 righe scritte da una bambina.
Ma questo non è un sito di cinema, nè un lavoro nè una testata.
Questo sono io.
E per me la prima recensione di lei vale più di un saggio su Kubrick fatto dal miglior critico al mondo.

Alla mia piccola Lady Bird.
All'amico Alessandro.
E alla dolce A. che è riuscita una volta, con una forza tremenda, a prendere a pugni il destino prima che lo stesso destino, bastardo, schifoso, non l'abbia di nuovo colpita quando aveva appena fatto in tempo a rialzarsi

Voletevi bene porca puttana

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Ginevra aveva soltanto delle linee guida, ovvero lei e il cinema, di cosa parla il film, se c'è una scena padr.., ehm, madre più importante, qual è invece quella che l'ha più emozionata, se c'è un insegnamento, se questi tipi di film possono già piacerle o no.
Su queste linee guida ha scritto poi senza un aiuto

Ieri sono andata per la prima volta al cinema a vedere un film che forse poteva essere drammatico, anche se a casa mi era già capitato di vederli, ma pochissime volte.
In realtà il film non era per niente drammatico.😝
A me piacciono i cartoni, le commedie e i film di avventura come I Pirati dei Caraibi.
Il babbo mi vorrebbe far vedere anche gli horror ma a me fanno schifo.
Comunque Lady Bird mi è piaciuto.
Parla del rapporto tra una ragazza adolescente e la sua mamma anche se in realtà racconta di tutta la sua adolescenza fino all'Università.
Lady Bird è il nome che lei si è data ma non si sa perchè oppure non mi sono accorta perchè sono arrivata che il film era iniziato da 5 minuti!
L'attrice che fa Christine (il vero nome di Lady Bird) ha un nome difficilissimo e secondo me è bravissima (il babbo mi ha detto che il nome si pronuncia tipo "sirscia").
La scena secondo me più importante è quella quando lei arriva all'Università , va nel dormitorio e trova nella valigia le lettere che la mamma le aveva scritto ma che aveva buttato perchè pensava che erano piene di errori. E' importante perchè in questo modo lei si rende conto di quanto la mamma le voleva bene.
La scena più emozionante è sempre questa 😜
E forse anche l'insegnamento è sempre questo 😝😝😝😝
Credo che d'ora in poi mi capiterà più spesso di provare ad andare a vedere film che non erano nei miei generi preferiti (basta che non muore nessuno!😱)

8.5
CIAO CIAO CIAO CIAO CIAO


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5.3.18

Recensione: "Dark Night"

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Il film che si ispira al massacro di Aurora (quello in cui un ragazzo che si credeva Joker massacrò 12 persone andate a vedere Il Cavaliere Oscuro) non è, come ho sentito dire, un inutile clone di Elephant.
E' semmai la sua evoluzione, il portare Elephant ai giorni nostri, negli Stati Uniti di oggi.
Non il film di una strage, ma quello di un paese dove può avvenirne una in qualsiasi giono.
Esteticamente superbo, antinarrativo, respingente per molti magari. 
Ma grande cinema

è questa settimana in una ventina di sale, se siete fortunati lo trovate
In alternativa potete trovarlo in rete, con sottotitoli italiani curati dall'amico Giovanni Verrillo

presenti piccoli spoiler, due più grandi sul finale sono segnalati

A mio modo di vedere sarebbe un errore molto superficiale o una grande occasione persa quella di considerare Dark Night come un film inutile, come un inutile clone del magnifico Elephant vansantiano, come un qualcosa di già visto e stravisto, qualcosa che non porta niente di nuovo.
Sarebbe un errore perchè -cercherò di spiegarlo nel miglior modo possibile- Dark Night non è una copia di Elephant ma, semmai, un'evoluzione dello stesso.
Non certo un'evoluzione tecnica, stilistica o qualitativa (che quel film resta superiore forse in tutto) ma un'evoluzione contenutistica.
Quando uscì Elephant, quando Van Sant raccontò il terribile massacro della Columbine, gli Stati Uniti non vivevano ancora con il terrore che quella strage potesse capitare ai loro figli praticamente ogni giorno.
Si raccontava una strage, magari si raccontava anche come certe tragedie possono colpire senza un perchè, senza un avvertimento, ma non si viveva ancora nel clima di terrore di adesso.





Dark Night in questo senso va oltre, Dark Night si ispira al massacro di Aurora -quello in cui un giovane uccise 12 ragazzi in una sala cinematografica (all'anteprima de Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno)- ma alla fine la scelta di Sutton è magnifica, perchè riesce a discostarsi da quell'episodio e raccontarci invece un paese, gli Stati Uniti, che vive costantemente flirtando con le stragi, un paese dove gran parte dei giovani maschi ha la mania o la passione delle armi, un paese che, anche se trascorre placidamente la propria vita, è sempre sul punto del collasso, è sempre un vaso che aspetta solo la goccia per traboccare.

4.3.18

Non ci servirà lo stesso

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Ti fiondi al pc perchè il film di ieri non ti abbandona, hai mille cose da dire, nella notte ti è montato dentro.
Ti fiondi al pc pronto a scrivere e ti arriva un sms

"E' morto Astori"

Non ci credi, vai a vedere e niente, ti si ferma il respiro.
Ti si ferma il respiro a vedere morire in albergo, nel sonno, un atleta di 31 anni, uno nel pieno della salute, un professionista.
Poi pensi anche alle solite cazzate, pensi anche che Astori era un giocatore fortissimo, un ragazzo bello come il sole, insomma, uno che splendeva ovunque, anche in quel carattere, in quella correttezza, in quella classe, in quella personalità, in quell'eleganza che sapeva poi regalarci anche in campo.
Ma la cosa che ti distrugge è pensare che ci incazziamo per tante cose, non ne viviamo altre, procrastiniamo, abbiamo paura di fare, di dire, di vivere.
Perchè pensiamo sempre che il nostro tempo sia infinito.
E invece la vita ci insegna che svegliarsi tutte le mattine non è così scontato.
Ma tanto l'insegnamento che queste vicende ti danno dura il tempo di un pianto, di una riflessione, di un raccoglimento.
Domani torneremo quelli che siamo sempre, uomini con sempre gli stessi difetti, travolti dalle nostre paure, paralizzati.
Piccoli esseri con l'arroganza dell'eternità.
Piccoli esseri che, in alcuni casi, hanno la profondità e la lucidità di capire le cose, di saperle, e anche di conoscere le soluzioni.
Ma niente, è lo stesso, andiamo a letto e ci svegliamo come tutti i giorni senza il coraggio di cambiare.
E allora non resta che pregare, nel senso più laico possibile, per noi.
A Davide, alla vita 




2.3.18

Recensione: "Un 32 Aout sur terre"

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Questo film fa parte de La Promessa 2/15

L'opera prima di quel fenomeno di Villeneuve.
Un 32 aout sur terre è cinema semplice, scarno, come il deserto bianco dove è ambientato per larga parte.
Eppure a questo aspetto così immediato, a questa atmosfera da Nouvelle Vague, affianca una cornice metaforica ed esistenzialista che ne fanno un film, volendo, per niente facile da interpretare.
La storia leggera e quasi tragicomica di un amore non vissuto.
Cinema raffinato, l'esordio di un grande

più che spoiler sono presenti interpretazioni molto personali. Sarebbe bello che leggiate dopo aver visto il film e formato una vostra lettura

 Finalmente, dopo una specie di strano (e casuale) percorso a ritroso, sono riuscito a vedere la vera opera prima di Villeneuve (e dico vera perchè questi anni in moltissimi credevano che l'esordio del regista canadese fosse o Polytechnique o Maelstrom).
Non solo, vedendomi Un 32 aout sur terre ho anche completato l'intera filmografia dello stesso, cosa sempre molto difficile.
Nove film, uno più bello dell'altro.
Ne approfitto per dire che, forse, il mio preferito resta Incendies ma, insomma, magari un giorno proverò a metterli in fila.
Probabilmente ultimo, al nono posto, potrebbe andare questo esordio.
Azz, direte voi, peccato.
In realtà Un 32 aout sur terre è una grande opera prima, un film quasi privo di difetti, molto interessante, molto raffinato, che ha la sola grande sfortuna che, dopo di lui, quel mostro canadese ha girato solo opere grandissime, senza mai un vero passo falso.
Se Maelstrom poteva considerarsi cinema già abbastanza complesso, maturo, sperimentale, qui ci troviamo davanti invece alla classica opera prima più semplice, scarna, essenziale. In realtà tutto questo asciugare e questa povertà di mezzi è da iscrivere al semplice significante (il film, quello che vediamo) perchè, al contrario, il significato e le possibili interpretazioni di Un 32 aout sur terre ne fanno un'opera tutt'altro che scontata, facile e lineare. Anzi, è quasi paradossale che uno dei film più difficili da interpretare (direi quasi l'unico insieme ad Arrival ed Enemy) di Villeneuve sia proprio questo primo, in una filmografia grandiosa ma quasi sempre di letture e storie molto esplicite.

Simone si addormenta in auto, di notte.
Fa un incidente.
La mattina dopo la vediamo risvegliarsi dentro la carcassa dell'automobile. Simone non ha una goccia di sangue, incredibile.
Quello che appare in sovrimpressione ci stranisce

32 aout (32 agosto)

ora non ci vuole un genio o non bisogna aver visto troppi film per capire che questa data così strana, inesistente, deve per forza voler dire qualcosa.
E unendo i pezzi:

incidente terribile
nessuna goccia di sangue
data inesistente

ho subito pensato che questo film racconti la storia di una ragazza già morta, di un'anima che va avanti (alla Enter the void) o di un ricordo pre-morte.
In realtà questo dubbio ce lo avremo fino alla fine ma il film, da lì in poi, andrà avanti in modo molto lineare, come se questa mia supposizione fosse errata.
Ho subito associato questo 32 agosto alla 25ima ora di Spike Lee, se ci pensate è lo stesso gioco di parole, dove una usa i giorni del mese l'altro usa le ore.
Ma mentre nel bellissimo film con Norton quell'ora inesistente era un'ora di speranza, di bellissimo futuro irrealizzabile (come il magnifico sogno lucido nel finale di Mommy) qui pare invece il contrario, questo "tempo in più" è forse il tempo della morte.
In realtà questo film può anche essere guardato e apprezzato senza scervellarsi affatto su queste questioni, semplicemente esser visto per quello che è.