31.3.11

Recensione: "L' Esplosivo piano di Bazil"



Jeunet è un genio e tale affermazione è facilmente dimostrabile. Quando è uscito Delicatessen non si era mai visto un film uguale a quello. Quando è uscito Amelie non si era mai visto un film uguale a quello. Quando è uscito il sottovalutatissimo Una lunga domenica di passioni non si era mai visto un film di guerra come quello. Non sto dicendo che ha inventato chissàche, solo che è un Autore con la maiuscola, uno che mette il proprio timbro, uno che usa idee e cervello, uno che innova, un genio appunto, in una delle accezioni più prosaiche del termine.
Bazil non è certo un film così innovativo come gli altri, anzi sembra riprendere atmosfere, situazioni e stile delle precedenti opere del regista ma, cavolo, è una signor commedia.
Sembra assurdo ma il film è un'incredibile mix di altre 3 pellicole che apparentemente non c'entrano niente con esso nè tra loro reciprocamente: Bowling a Columbine, Ocean Eleven e Underground. Del primo riprende la spietata critica verso le multinazionali delle armi, forse ancora più spietata che nel film di Moore. La scena in cui Bazil fa visita alla sede principale di una delle 2 multinazionali è identica al finale di Columbine ad esempio. Del secondo (Ocean 11) prende tutta la struttura centrale. Un gruppo di persone, ognuno con le proprie attitudini e capacità, che si organizza insieme per truffare. Addirittura paritarie alcune figure come il contorsionista, l'uomo di rappresentanza, il tecnico. Di Underground ricalca tutto e niente, la critica alla guerra, l'atmosfera surreale, la casa del gruppetto di Bazil molto simile all'indimenticabile rifugio di Kusturica, il lavoro all'interno della casa.

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Jeunet entra veramente a gamba tesa mostrando per esempio uno degli uomini della guerra, dei mercanti di armi, in foto vicino a Sarkozy e umiliandolo (insieme all'altro) alla fine. Non che manchino sequenze divertentissime (la sala chirurgica, l'aeroporto con gli africani, il ristorante) tutto sempre in un'aura incantata alla Amelie. Jeunet ha trovate, ingegno, cervello e dolcezza ed anche un certo mestiere nelle scene d'azione o di effetti speciali (ricordate il dirigibile in Una lunga domenica di passioni? ci sa fare). E' vero, si ricicla un pò, ma è riciclo di classe. E tra tanti altri temi come l'amicizia, il senso di famiglia, il cinismo delle lobby e l'inventiva figlia della disperazione (la famosa prerogativa ad esempio dei nostri napoletani), si arriva in fondo con piacere, divertiti e incacchiati. Bene così.

( voto 7,5 )

30.3.11

Recensione: "Timecrimes" (Los Cronocrimenes)


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Mi ricordo un bellissimo racconto di Stephen King in cui si descriveva l'Inferno come ripetitività. Ripetere la stessa azione più e più volte, rivivere gli stessi momenti ad libitum. Ricordo poi che anche nel grandissimo In the mouth of madness vivevamo una scena simile. In effetti compiere azioni già compiute, saper in anticipo quello che sta per accaderci è davvero orribile, infernale, come un deja vu (quasi sempre fulmineo) prolungato e ripetuto. Nell'ottimo Cronocrimenes tutto ciò è abbinato mirabilmente a concetti scientifici e ai famigerati viaggi temporali e per un devoto lostiano come me tutto ciò è assolutamente fantastico. Lo spunto geniale del film, forse dovuto a budget o semplicemente deciso a tavolino, è limitare il viaggio nel tempo a sole 2 ore e lo spazio a pochi km quadrati. Non ci sono altre epoche, nessun altro luogo, Hector piomba in un inferno di ripetitività concentrato in pochissime ore di cui è allo stesso momento artefice e vittima. C'è un senso di ineluttabile, di immodificabile. Ogni azione atta a cambiare quello che è successo non è altro che l'azione che, al contrario, ha portato proprio a quello,come nel capolavoro di Abrams. E' l'esatto opposto di film tipo "The butterfly effect" nel quale ogni piccola modifica nel passato portava ad un diverso futuro. Qui non ci sono vati scenari, non c'è una nozione di tempo definita, qui vari piani temporali, varie coincidenze, vari comportamenti portano un unico accadimento. C'è una specie di orrore kafkiano in tutto ciò, un orrore cerebrale, quell'orrore personale e non condiviso che vaga sui binari del grottesco, del surreale. Come nei capolavori dello scrittore ceco, Hector vive un inferno intimo che non ha contorni definiti, al tempo stesso mentale ed oggettivo, che mette disagio, che fa impazzire, di cui non si vede la fine. 

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Straordinaria la figura dello scienziato (interpretato dal regista) perchè più va avanti il film più capiamo che da burattinaio (quale noi pensavamo), è al contrario un burattino, OGNI SUA SINGOLA AZIONE era stata imposta da un diverso Hector. Questa è l'assurdità: Hector, malgrado tutta la struttura faccia propendere al contrario, è del tutto artefice del proprio destino, seppur in modo non propriamente consapevole. E nell'ottimo finale rimane il dubbio se il processo si sia fermato (calcoli e schemini di John Locke- mio fratello, non il mitico- dimostrano di sì, ma anch'io in modo molto più immediato propendo per questa ipotesi, vedi risposte alla recensione) oppure al tutto non ci sarà mai una fine. Los Cronocrimenes mi ricorda molto i contadini toscani, grezzi ma dispensatori di cultura. La fotografia è scadente, la regia anni 60 (addirittura zoom indietro...) tanto da sembrare di trovarci, luoghi compresi, in una puntata de Il Prigioniero. Ma come i contadini toscani che sanno a memoria La Commedia, il film possiede la stessa umiltà nel dispensare cultura, non è affatto pretenzioso ma molto genuino, semplice, quasi dolce nel suo proporsi. Los Cronocrimenes è un mix perfetto tra il rivivere il passato e il conoscere il futuro. Io preferisco semplicemente esser qui adesso. Hic et nunc.

( voto 8 )

28.3.11

Recensione: "Dead Snow"


Peccato. Peccato veramente. Dead Snow aveva tutte le carte in regola per diventare un nuovo punto di riferimento dell' ironic-horror ma un leggero eccesso in tutte le sue componenti me l'ha mezzo rovinato. Un gruppo di ragazzi norvegesi si ritira in una baita in alta montagna per divertirsi un paio di giorni. Il paese a valle era stato un punto strategico per delle milizie naziste durante la Seconda Guerra. Alla fine del conflitto ci fu una rivolta e alcune SS si rifugiarono nella montagna portando con sè tutti gli ori dei montanari. Ora, dopo più di 60 anni, non vogliono che quel tesoro finisca nelle mani di un gruppo di regazzini. Sarà strage. Che trama... Basta da sola per far considerare Dead Snow un cult a prescindere. Omaggio esplicito a La Casa, di cui riprende luoghi (la baita, il bosco), atmosfera, mostri e addirittura inquadrature e montaggio. Gli stessi ragazzi citano il capolavoro di Raimi all'inizio del film. Parlavo di eccessi dovunque. Dead Snow trae forza dal grottesco ma è troppo grottesco. Ha una forte componente splatter ma è troppo splatter. Ha il suo fascino nell'assurdità della trama ma è troppo assurdo. 

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Per capirci insomma, tutte quelle che sono le qualità principali del film finiscono per diventarne i difetti. Se solo si fosse radicato un pelino di più alla realtà, se solo comportamenti, frasi e situazioni avessero mantenuto un minimo più di serietà,un minimo soltanto, insomma, se si fosse imitata La Casa in tutto per tutto, davvero sarebbe stato un gioiellino. Così rischia di scontentare sia chi ricerca più la componente Horror, sia chi vuole un film alla Zombieland. 
E' un ottimo ibrido ma in molte scene "ibridato" male secondo me. Per il resto scenari da urlo, make-up degli zombie di gran livello, cattiveria, effetti sì artigianali ma efficacissimi e quell'assurdità di fondo, lo rendono comunque piacevolissimo. Non voglio fare il serioso, ma c'è anche una forte componente di coraggio dato che alla fine i nazisti trionfano, e neanche di poco. Ma vedere una scena "massacrante" in tutto per tutto e sentire esclamare da uno dei protagonisti nel momento più alto di pathos "era meglio se andavamo al Sunny Beach" può far ridere sì, ma davvero ti smonta tutto. Comunque, ce ne fossero di pellicole così.

( voto 6,5 )

27.3.11

Recensione: "La Leggenda di Beowulf"



Se non altro l'operazione di Zemeckis è utilissima per farsi interessare della più antica opera in lingua inglese (anche se ci sarebbe da discutere riguardo la lingua) esistente, il Beowulf appunto. Il regista di Ritorno al Futuro, passato ormai definitivamente all'animazione in motion capture (Polar Express, A Christmas Carol), prende una parte del lunghissimo poema e la modella a suo piacimento. Narra dell'arrivo a Heorot di Beowulf, della sua vittoria sul troll Grendel (che massacrava da tempo gli abitanti del posto) , della sua proclamazione come re e della battaglia finale con il drago, battaglia nella quale troverà la morte (anche il drago però, tiè). Il fatto che Grendel fosse figlio del Re di Heorot e il drago figlio dello stesso Beowulf (entrambi dalla medesima madre demone, un'ignuda Jolie) è un'assoluta invenzione di Zemeckis che ha almeno 3 finalità: sentimentalizzare il tutto, movimentare il tutto, legare il tutto. Altrimenti ci saremmo trovati davanti a una vicenda ancor più noiosa, ancor più piatta (nessuna storia d'amore, nessuna maledizione) e scollegata tra la prima parte e quella finale ambientata decenni dopo. Finita quest'assurda esegesi comparata parliamo del film. 

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Ottima l'animazione (il mare, i mostri marini, l'atmosfera lorda della sala) che raggiunge il suo apice, sia visivo che emozionale, nella straordinaria figura del troll Grendel, a mio parere vera star del film: morto lui, finito tutto. (Qui in Umbria diciamo: morto Cristo spenti i lumi). La vicenda però, come accennato, è tremendamente statica, rarissimo esempio di film epico d'avventura con 2 sole location, la sala di Heorot e la caverna della demonessa. L'intuizione di sceneggiatura di far generare i demoni dagli stessi Re, è sì discreta ma niente di più. In più particolare e a mio avviso fuori luogo la vena ironico-comica di tenere Beowulf nudo per 15 minuti con sempre davanti qualcosa (una testa, una mano,un oggetto, un'inquadratura anomala etc..) per non fargli vedere il pistolotto, espediente che avevo visto usato soltanto nel mitico Austin Powers. E tra colpe dei padri, Cristianesimo in coming e altri mega-temi arriviamo stancamente alla fine. Affatto bocciato, ma da vedere solo con attitudine positiva.

( voto 6 )

25.3.11

Recensione: "A cena con un cretino"


Prima o poi doveva accadere... Dopo più di 100 recensioni mi ritrovo per la prima volta a commentare una commedia, genere che negli ultimi 2 anni (la vita del blog insomma) ho totalmente abbandonato. Posso dire una sciocchezza, ma a mio parere la commedia non può raggiungere mai le vette himalayane del Cinema a meno che non scomodiamo il Chaplin di turno (commedie Chaplin? ci sarebbe da discutere). E' vero, c'è il precedente dell'ottimo Be kind rewind, ma quello andava visto per una sorta di deformazione professionale. L'altro ieri mi è uscito in noleggio questo film, e appena ho scoperto che si trattava del remake de La cena dei cretini di Veber (che mi ha divertito moltissimo) ho deciso che era giusto interrompere questa sciocca astinenza. In più il regista è quello del mitico Austin Powers, punto talmente basso nella storia del cinema comico e demenziale da risultare incredibilmente (nel senso etimologico del termine) divertente. Per prima cosa c'è subito da mettere in chiaro come la commedia di Veber sia, neanche di poco, superiore. Il film francese infatti giocava molto per sottrazione, aveva una struttura molto coesa e un tipo di comicità che oltreoceano se la sognano. Qui invece, come prassi di certo cinema americano, si accumula tanto, si aggiungono personaggi, luoghi, trame e sottotrame, presunte finalità morali. 

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La semplicità de La Cena dei cretini (quella cena che poi mai si vedrà) va a farsi completamente friggere. Ogni tanto mi viene da pensare che Usa più che riferirsi allo Stato sia un'esortazione tanto è grande l'incapacità degli americani di far bene con poco. Così tutto il buono della pellicola è affidato alle singole gag, tra tutte l'incontro in ufficio col personaggio di Galfianakis e il pranzo con lo svizzero. A volte si ride di gusto, inutile negarlo. Si cerca di dare profondità alla pellicola con l'interessante dilemma su quale sia il confine tra cretino e genio e su come, spesso, le persone più strambe e "stupide" abbiano un'umanità fuori dal comune, sulla cattiveria degli altri verso di essi. E' vero, il tutto è creato ad arte, ma non so perchè, nella splendida interpretazione di Carell, nei suoi occhi, ho visto tutto quello che furbescamente la sceneggiatura voleva suscitare. Non mi stupirei se, dopo aver praticamente esordito con lui in Una settimana da Dio (con una sequenza strepitosa), Carell diventasse un nuovo Carrey, un attore capace di commuovere e divertire con la stessa disarmante semplicità. Meravigliosa (e anche brava) la Szostak. E poi i topini, dite quel che vi pare, toccavano veramente il cuore.
( voto 6,5 )

24.3.11

Recensione: "Halloween (1978)"


Per una sorta di coerenza autorichiesta, non posso non approcciarmi al cult di Carpenter nello stesso modo con cui l'ho fatto con La notte dei morti viventi di Romero, dimenticando cioè un attimo il posto nella Storia che merita il film per analizzarlo un pò più freddamente.
Anche in questo caso siamo davanti ad uno dei 4,5 capisaldi del genere, argilla sulla quale sono stati modellati molti golem successivi. Tra l'altro, qui non si è ricorso ad un archetipo (come lo zombie) ma si è creato dal nulla uno dei più grandi (con Jason, Leatherface e Freddy) cattivi horror di sempre, Michael Myers. Da notare come in 3 dei 4 casi citati (ma si può forse dire in tutti e 4) il tratto caratterizzante dei mostri è la maschera, tanto che possiamo definirlo quindi l'elemento horror del secolo. Addirittura trascende forse la stessa caratterizzazione dei vari personaggi, in alcuni casi molto debole, ma basta da sè, ci ricordiamo più di come sono che di quello che fanno.
Come Romero, Carpenter affronta la fatica alle soglie dei 30 anni, e, non nascondiamoci, si vede benissimo. I dialoghi son banalotti (3/4 futili e ripetitivi), gli accadimenti un pò immaturi, il ritmo molto statico con Myers che per un'ora pedina le vittime senza che accada granchè o la tensione salga alle stelle, gli effetti speciali (intendo negli omicidi) praticamente inesistenti, fuori camera. C'è un simpatico climax riguardo il volto di Myers dato che lo vediamo una decina di volte sempre qualche metro più vicino.

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Però una regia mirabile con quelle carrellate e panoramiche sui lunghi viali alberati e soprattutto il meraviglioso piano sequenza iniziale in soggettiva (culminante in uno zoom indietro con il quale vediamo che l'assassino era un bambino - ripeto- sequenza meravigliosa), le incredibili e indimenticabili musiche e il già citato colpo d'ingegno nella creazione del villain possono farci senz'altro parlare di grande opera, non grandissima in sè, ma in un certo senso pioniera di tanta roba.
Personalmente (ho 34 anni) Halloween è una delle pellicole del cuore perchè in un mondo in cui ancora si provava paura (e anche tanta) Myers era uno dei nostri baubau più temuti. Ora i ragazzi son anestetizzati, vedono i morti ammazzati per strada in rete, le opere più estreme. La paura, quella vera, quella atavica, quella semplice e genuina, non sanno manco cos'è. Beati loro.
O beati noi?

( voto 7 )

22.3.11

Recensione: "Repo Men"




PRESENTI SPOILER
Corazza lucente che gronda sangue e anima nera, anzi nerissima. Questo è Repo Men, originale sci-fi con quel qualcosina in più.
Coraggioso, spiazzante, pessimista, estremo.
Siamo in un imprecisato futuro, probabilmente più vicino ai nostri giorni di quanto si possa pensare. Finalmente chi ha bisogno di trapianto di organi non deve attendere anni. Se lo compra alla Union. Lo paga caro. E se non lo paga, l'azienda manda qualcuno a recuperarlo.
Remy è un recuperatore.
Jake, suo migliore amico, anche.
Quando Remy per un incidente dovrà lui stesso trapiantarsi un bio-organo, molte delle sue idee cambieranno.
Partiamo dalla confezione. Repo Men si avvale di effetti speciali straordinari, quasi tutti concentrati nelle sequenze di recupero degli organi, dettagliatissime, forse pure troppo, tanto da sconsigliarne la visione a chi soffre un pò la vista del sangue. Location ottime, su tutte la città abbandonata di Paradise; Whitaker e Law insieme funzionano a meraviglia. Scene action direi ben fatte anche se son proprio quelle a non farmi innamorare completamente del film (è una mia idiosincrasia personale, 'n se pò fa niente).
Quello che più sorprende però in Repo Men è il suo messaggio, la tematica che affronta, il coraggio. Non mi sorprende che il film sia stato mal distribuito perchè, come in The Road, il futuro dell'umanità che ne vien fuori è assolutamente aberrante e, soprattutto, privo di speranza. 




La speculazione sul dolore altrui è senz'altro il tema predominante tanto da farci vedere il film come un parossismo dell'attuale sistema sanitario statunitense: se paghi vivi, altrimenti no. Quando Remy subirà il trapianto e si troverà impossibilitato a pagare, solo allora acquisterà quell'umanità atta a fargli capire quanta sofferenza ci sia nella povera gente, quanto una vita umana conti più di un'insolvenza. In Repo Men abbiamo lo stesso identico scheletro di un altro film che ho amato moltissimo, District 9. Una persona priva di scrupoli che per lavoro stermina una minoranza ma che poi, per pura casualità, si troverà lui stesso membro della parte oppressa e quindi, non tanto per opportunità ma per un vero cambiamento interiore, si trova ad essere una persona completamente diversa (c'è anche un pò di Cella 211). Altro rimando, che a qualcuno piacerà chiamar plagio, è quello evidentissimo ad Apri gli occhi di cui Repo Men possiamo quasi considerare una sua mutazione, una replica in toni, atmosfere e contesti totalmente diversi.
Repo Men sembra lasciarci scampo ma invece preme fino in fondo sulla desolazione, sulla disillusione.
Come nella splendida citazione iniziale del film, quella del paradosso del gatto di Schroedinger, tutti noi siamo contemporaneamente sia morti che vivi, e il finale del film, purtroppo, ne è la dimostrazione.

(voto 7,5)

18.3.11

Recensione: "L'ultimo esorcismo"


Avevo sentito parlare di gigantesco flop, di film orribile, di una delle più grandi delusioni dell'anno. Invece ci troviamo davanti a un signor film, uno dei migliori esponenti dell'Horror degli ultimi 2,3 anni. Certo, quando uno vede prima un trailer o una locandina trova poi scandaloso non ritrovare nel film quelle immagini. Io mi chiedo: e allora?? Questo vale per affossare il film? La colpa è forse di regista, attori etcc... o di una distribuzione che ha paura di non vendere e fa di tutto per fregare la gente?
Vabbeh. Qui siamo davvero di fronte a un mockumentary nel vero senso della parola (a differenza per esempio di Cloverfield) perchè i protagonisti, come in Rec, stanno veramente girando un documentario. L'ha richiesto un predicatore che, stanco di prendere in giro la gente coi suoi falsi esorcismi, vuole dimostrare quanto sia finto il suo mondo. E' un ciarlatano, è vero, ma comunque persona perbene, coraggiosa, intelligente ed equilibrata oltre che molto simpatica. Attraverso di lui il film porta avanti una feroce critica verso certi pastori di Dio ma forse è ancora più pungente l'accusa alla comunità che pende dalle labbra di questi pastori e porta avanti da millenni assurde credenze popolari che fanno a cazzotti con l'intelligenza. E' il solito discorso tipo maghi in tv. Peggio loro o chi li chiama?




Poi arriviamo alla ragazza interpretata da una mostruosa Ashley Bell, giovane attrice che ha tutte le carte in regola per diventare una grandissima del suo campo, attenzione, non una star, ma una grandissima attrice, cosa ben diversa. Da sola regge tutta la parte centrale. Pura recitazione, nessun effetto, nemmeno nelle tremende smorfie nella stalla. La tensione c'è, la telecamera a spalla aiuta, la storia prende. E' bello stare poi sempre nel filo del dubbio se sia una vera possessione oppure una malattia mentale, un disagio dovuto forse a delle violenze domestiche o a una gravidanza arrivata troppo presto. Il finale, che giunge totalmente inaspettato, chiarirà più di qualche dubbio e concentrerà in 5 minuti una dosa di violenza, fisica e psicologica, veramente incredibile. E' vero, c'è tanto Esorcista, c'è molto Blair, c'è parecchio Emily Rose. Il problema è che bisogna capire che prendere spunti da più parti e fonderli al meglio in un nuovo film non è segno di debolezza, ma di forza. Film che rivedrei stasera stessa e che ho paura possa divenire un mio personalissimo cult.

( voto 7,5 )

16.3.11

Recensione: "Departures"




Il Giappone piange le sue vittime.
La Natura mostra la sua faccia più bastarda e spazza via in un amen migliaia di persone, buone e cattive, vecchie e giovani, ricche e povere. Una morte orrenda, violenta, assurda. Nessuno di questi corpi passerà sotto le mani di Daigo.
Il Giappone e la Morte.
Questo tratta il magnifico Departures, autentica opera lirica raccontata per immagini. Un film che parla della nostra fine con una grazia, una misura, un rispetto e un amore che solo popoli che fanno della grazia, della compostezza, del rispetto e dell'amore le caratteristiche della propria cultura si possono permettere di fare.
Come il Giappone. Departures non sarebbe mai potuto essere un film europeo o americano, facciamocene una ragione.
Ho letto critiche all'eccessiva melassa, alla retorica. Niente di più falso. Departures è un film con 2 palle così, coraggioso, estremo, che non ha paura di mostrare la morte in modo così ossessivo. Ce la sbatte davanti, la mette a nudo. Quello che molti non sopportano è che ci viene mostrata la bellezza della morte, il rispetto di essa, oserei dire il timore reverenziale che la stessa esercita verso di noi. Qui non c'è retorica, non c'è ammiccamento, c'è semplicemente una cultura che in questo c'è senz'altro superiore. Si resta affascinati davanti alle pratiche di Daigo e Sasaki. Si pensa ai nostri cari, a chi ci ha lasciato, a chi (ahimè) ci lascerà. Ci fa credere che non tutto nel nostro ultimo viaggio è negativo.

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Mi resta difficile in un film così pregno di significato parlare di aspetti tecnici, della grande fotografia, della divina musica, degli attori, delle vicende. Departures è uno dei pochi film che, inevitabilmente, parla di tutti noi e non approfittarne per riflettere sarebbe un' occasione sprecata. Chiunque lo faccia suo, magari resti in silenzio, ma accetti il dono che ci offre.
Non guardi se è tutto vero o finto, onesto o furbo, genuino o artefatto, non analizzi l'emozione ma la accolga a sè. Perchè un giorno le immagini di Departures ci torneranno in mente, è inevitabile e magari ci aiuteranno un pò.
Il Giappone piange le sue vittime. Se solo ci fosse Daigo la tragedia, per quanto sia possibile, sarebbe più sopportabile.

( voto 9 )

14.3.11

Recensione: "Fish Tank"



Una superba mezz'ora finale giustifica forse lo straordinario successo di critica ricevuto da Fish Tank, non ultima la vittoria del BAFTA come miglior film inglese dell'anno. Si sa, nel cinema inglese la denuncia sociale sta come le corna a quello italiano, entrambe sono onnipresenti. Qui si racconta la storia della quindicenne Mia, adolescente ribelle, testarda e maschiaccio con, apparentemente, il solo sogno di diventare una ballerina di hip hop ma in realtà in cerca di quell'amore, di quelle attenzioni, di quella protezione che la sua giovane madre snaturata non gli ha mai saputo dare. La squallida vita della sua famiglia viene in qualche modo sconvolta con l'arrivo di Connor (un ottimo Fassbender), bello e gentile, amante della madre. Con un sottilissimo gioco psicologico, a mio modo di vedere raccontato perfettamente nella pellicola, madre e figlia cominceranno ad avere una sorta di conflitto, rivalità per il "possesso" del giovane.
E se nei primi 3/4 della pellicola si procede molto blandamente senza particolari scene che catturano l'attenzione (se non quella magnifica della svestizione di Mia da parte di Connor), nell'ultima mezz'ora abbiamo un improvviso cambio di ritmo intendendo per ritmo quello puramente mentale derivante da una potenza narrativa che piano piano finalmente viene fuori.
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Tutto crolla nel mondo di Mia: la cavalla, simbolo di se stessa imprigionata in un mondo, in un acquario (fish tank) che le sta stretto, muore; l'audizione, ultima speranza di Mia di uscire dalla sua squallida vita (e forse dalla prospettiva di una scuola correttiva), si rivela molto diversa da quello che pensava; Connor, in poco tempo divenuto vero e proprio punto di riferimento per la ragazza, allo stesso tempo surrogato delle figure del padre e dell'amante, non è quello che sembra. A tal proposito la scena di Mia con la figlia di Connor è allucinante, 5 minuti di tensione purissima, veramente magistrale. Così, quando non hai più niente, quando non ci sono più speranza, l'unica salvezza è la catartica fuga. Prima però, probabilmente per la prima volta nella loro vita, c'è un attimo in cui Mia, sua sorella e la madre vivono la sensazione di essere una famiglia, di volersi bene. Ad Hollywood avremmo avuto qua il the end, ma questo è il cinema inglese, radicato nella realtà, e un ballo non può cancellare quindici anni di disamore, di indifferenza, di nulla.

( voto 7 )

12.3.11

Recensione: "Non aprite quella porta (2003)"


Bene chiarirsi subito. Il remake firmato Nispel del Texas Chainsaw Massacre è tutt'altro che un capolavoro. A differenza di altri rifacimenti però (come il pessimo Nightmare) sembra esser stato girato da un appassionato del genere, rispettoso dell'originale e con una giusta dose di "malattia", indispensabile per raccontare le vicende di Thomas Hewitt. In più non posso nascondere un'assoluta venerazione per Leatherface, probabilmente uno dei migliori cattivi di sempre, talmente insensibile e pazzo da risultare quasi simpatico (a differenza per esempio di Jason e Michael Myers).Partiamo con i difetti. Si parte subito col suicidio della ragazza trovata per strada. Tutto appare tremendamente gratuito e inconcepibile, inserito soltanto per poter chiudere poi il cerchio con il finale. Tra l'altro non sarà il primo di una serie di comportamenti insensati. Non ricordo benissimo l'originale (che cercherò di recuperare) però trovo la presenza di Leatherface, sia troppo anticipata che troppo "costante", tanto che metà film si concentra sul suo tentativo di fare uno spezzatino col solito gruppetto sacrificale di teenager. Me lo ricordavo come personaggio più misterioso, nascosto e inquietante. 

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Il film è un pò piatto, prevedibile, senza acuti. E così a salvarlo non è il totale ma le singole parti a dimostrazione che nel cinema non è vero che la somma di buone scene dia un bel film. Paradossalmente può anche accadere il contrario, nessuna sequenza memorabile ma film meravigliosi.
Le buone scene, quindi, non mancano. Ad esempio, tutte quelle con l'eccezionale Lee Ermey (l'indimenticabile Sergente Hartman di Full Metal Jacket) sono notevolissime. Surreali, cattive, divertenti, assurde, tutto grazie alla meravigliosa interpretazione del Nostro. Da segnalare anche le sequenze con Faccia di Cuoio che si gira verso Jessica Biel (presenza da infarto) con il viso del suo (ex, molto ex) ragazzo o quella tra i quarti di bue. Ottima la scelta di tutti gli attori, dalla madre al paralitico, dal bambino alla coppia nella roulotte. Insomma, ci si diverte sempre abbastanza con la famiglia Hewitt...
Pellicola che accontenterà i fan del genere perchè come accade nei film di Rob Zombie, si nota l'amore del regista verso questo pazzo, malato, immortale mondo dell'Horror.

( voto 7 )

9.3.11

Recensione: "Red Eye"



Avete presente le Guardie di Buckingham Palace? Beh, io ogni volta ho delle fantasie sul loro ritorno a casa. Mi immagino lo "sbraco" dopo tutte quelle ore fermi come un segnale stradale impossibilitati a far niente. Mi immagino una casa disordinatisima, vestiti qua e là, echecazzo, almeno a casa propria. Red Eye nel secondo tempo ha lo stesso identico sbraco, tanto preciso e convincente nella prima parte, tanto arruffone e quasi comico nella seconda. Eppure l'idea era buona. Una ragazza, in un viaggio aereo notturno (da cui il titolo), si ritrova accanto un giovane che tutto è tranne quello che sembra. Lui la conosce già, ha organizzato l' "incontro" perchè lei gli serve per un terribile scopo.
Cillian Murphy è veramente insopportabile e forse tutto ciò è un merito perchè è quello che il suo personaggio vuole. La McAdams fa il suo compitino anche se quel visino in un ruolo così forte stona un pò. Ottimo l'inizio con il fare ambiguo, mefistofelico del ragazzo, vero pezzo di... . Il film vola via abbastanza bene ma smette di farlo (Lapalisse) appena l'aereo atterra. Qui Wes Craven dà il meglio di sè ricordandoci come anche nei suoi capolavori passati (Scream, Nightmare) una certa vena ironica, se non comica era sempre presente. Jackson, il ragazzo, da terribile manipolatore diviene quasi uno zimbello. Penna infilata in gola (per cui perde quasi completamente la voce, neanche un pò di dignità...), capitomboli a go go, botte e calci presi anche dalla giovin pulzella, insomma, sembra un pò l'assassino di Scream (o forse di Scary Movie?) a cui hanno tolto il costume. Il film smette tremendamente di prendersi sul serio, peccato, perchè ci stava riuscendo. Che dire poi della McAdams che gira di stanza in stanza tranquilla malgrado sappia che qualcuno è lì ad ucciderla? Addirittura nel finale si chiude sul tono della commedia un thriller che voleva essere serrato. Peccato Craven, stavolta c'eri quasi, per un pelo non uscivi dalla melma dove sei finito. Ah vabbeh, magari fai Scream 4. Scherzavo. Oddio, lo fai davvero?

( voto 6 )

7.3.11

Recensione: "Prigionieri di un Incubo" - Gli Abomini di Serie Z - 8 -


Meraviglioso spazzatura italiano (non ha nemmeno il diritto internazionale della nomea Trash) che ha tutte le carte in regola per diventare, qualora non l'abbia già fatto, un punto di riferimento per i cultori del kult. In una trama senza un minimo di senso in cui si intervallano scene che non hanno alcun legame con le altre, personaggi completamente inutili, assassino mascherato che non fa nulla se non passeggiare per prati, temporali a comando, in tutto questo dicevo, si riuniscono in una villa:

fiato di trombe

1 La ballerina di Siviglia Valentina Pace è la protagonista principale. In realtà (spoiler!!!!!) tutto il film è un suo ....... (vedi titolo)

2 Il "bello e impassibile" Fabio Fulco è uno dei tanti personaggi inutili

3 Er Mutanda Antonio Zequila doppiato in maniera orrenda (ma forse è meglio così). Penosa l'interpretazione. Magnifico il suo racconto della ragazza morta a colpi di catena (sigh...)

4 Il mitico Maestro Mazza è personaggio talmente ambiguo da farci credere ad un certo punto di essersi trasformato nel Maestro Ammazza.

5 Antonella Mosetti buttata nel cast solo per mostrarci le sue doti nascoste, doti del resto già riscontrabili nel link al suo nome.

6 Lo pseudo-comico barese Gianni Ciardo, macchietta del cinema comico italiano incapace di parlare in italiano neanche a comando.

Apprezzabile però come il regista nel titolo abbia voluto descrivere la sensazione che proverà lo spettatore alla visione.
Se un giorno avrò voglia farò un elenco di SCENE, PERSONAGGI, OGGETTI, FRASI, COMPORTAMENTI del tutto scollegati dalla trama del film, come se il regista abbia preparato materiale per 5,6 pellicole e poi sia stato costretto a mixarle in una soltanto.
L'apice però è l'incredibile interrogatorio dell'odioso commissario. Si raggiungono livelli da arresto immediato per Omicidio Preterintenzionale del Cinema.

Epica, EPICA, l'ultima immagine del film. Non posso dirvela in pubblico. Si accettano mail private.

( voto 0,5 )

5.3.11

Recensione: "4 Mesi 3 Settimane 2 Giorni"



Personalmente, il film definitivo sull'aborto. Chi mi legge sa quanto prediliga le pellicole forti e disperate e quanto consideri il cinema d'evasione noioso. Non è un paradosso, basterebbe fare un rapporto con la letteratura e vedere come tutti i più grandi scrittori, da Dante a Dostoevsky, da Kafka a Saramago siano considerati quelli che raccontano le miserie, le disgrazie, la disperazione e le paure dell'uomo.
4 Mesi 3 Settimane 2 Giorni come un grande romanzo naturalistico, come un grande esempio di Cinema Verità, racconta semplicemente la giornata di 2 amiche romene.
Una deve abortire, l'altra aiutarla a farlo, in qualsiasi modo.
Non si versa una sola lacrima in questo film romeno, si racconta con durezza una storia senza la minima presenza di retorica. Da notare ad esempio la completa assenza di colonna sonora, neanche diegetica se ricordo bene. Il film ha un'assoluta staticità, lunghissimi piani sequenza mai virtuosi, una semplice e bellissima inquadratura per volta, quasi una regia teatrale. La differenza, il virtuosismo che non cerca la regia, è affidata così alla bravura dei protagonisti, notevolissima, capaci di dare incredibile intensità, specie nelle magistrali scene di silenzio (eccellente ad esempio quella post rapporti sessuali) .In realtà fino alla mezz'ora non sappiamo quale sia la tematica principale del film. La parola "aborto" giunge così, da un momento all'altro. Il film è infatti divisibile in 3 precisi tronconi : una lunga prefazione, l'aborto (tra l'altro con una spiegazione tecnica dettagliatissima), il post-aborto. In quest'ultima sezione si innalza la scena capolavoro della cena, praticamente per intensità, tensione e dinamica emotiva assimilabile al superbo finale di Lourdes. 

Risultati immagini per 4 mesi 3 settimane 2 giorni

Un'apnea lunga 10 minuti resa ancora più pesante e claustrofobica dal posizionamento quasi irreale dei commensali e dal fitto parlare. Cinema alo stato puro. Non è però la scena madre, secondo me identificabile nel finale. Il piatto al ristorante-assurdo mix di filetto, fegato, cervella e midollo- che mangia la mancata puerpera rappresenta a mio parere un macabro riferimento al feto appena espulso e buttato. E' una specie di contrappasso dantesco, veramente notevole.Un film che parla dell'aborto senza portarci mai con il pensiero ed emotivamente dalla parte della vita negata al possibile nascituro, come se lo stesso film fosse a suo modo un aborto che rifiuta tutto ciò. Fino a che, chiaro e nitido, non ci viene mostrato il feto. E in quel feto, d'improvviso, la sconfitta dell'Uomo ci viene sbattuta in faccia, la vita che sarebbe stata e mai sarà è lì sanguinante sul pavimento. Una vita lunga soltanto 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni.

( voto 8,5 )

3.3.11

Recensione: "Strade Perdute"




Sono molto contento di aver finalmente visto Strade perdute e non tanto per il film in sè, quanto perchè mi dà l'occasione di parlare (in 4 righe...) di un concetto molto più ampio, quello dell'Arte e della sua fruizione. Non amo l'arte per così dire concettuale (anche se essa in realtà basa tutto sul senso, l'importante è saperlo o trovarlo...), credo che ci debba sempre essere un mix di genio e regolatezza. L'autore, anche se ben nascoste, deve offririrci le chiavi per decifrare la propria opera. In un'eventuale bilanciere ben venga poi il Genio nettamente più "pesante" del Mestiere ma la fruibilità non può prescindere dal secondo, soprattutto nel cinema che, a differenza della pittura, è un' arte che non può mai essere strettamente personale ma è sempre rivolta ad un pubblico, grande o piccolo che sia. Ora, Lynch è probabilmente il più grande regista operante in questa zona grigia di cinema personale e cinema tout court. A lui spesso non interessa che lo spettatore possa capire o no le proprie opere. Lui disegna e filma i propri deliri (nel senso più nobile del termine).
Ora, non so se Strade Perdute abbia una propria (nascostissima) struttura, certamente a me è parso un film non pienamente coeso come se in una magnifica aria di Beethoven ad un certo punto l'orchestra, o anche solo un orchestrale, voglia stravolgerne delle parti e fare di testa sua. Il risultato può essere ancora migliore ma perde inevitabilmente coesione. Ad esempio l'immenso Mulholland Drive, pur presentando molte tecniche usate anche qua (scambio di ruoli, mistero, inserti horror, realtà sovrapposte) offriva secondo me tutte le possibilità allo spettatore per cavarne un senso. Attenzione, non sto parlando degli orribili spiegoni, niente è più bello in un film del non detto, del misterioso, dell'inestricabile, ma, insomma, a volte mi sembra che Lynch "pensi troppo a se stesso", vada per una sua tangente che soltanto lui conosce. 



Che dire del film? L'atmosfera, specie nella prima parte, è magnifica. La prima apparizione di Mistery Man alla festa regala una scena indimenticabile, veramente tra le più belle che io ricordi, direi paradigma di tutto il cinema lynciano. Per il resto solo una seconda visione potrebbe fugarmi parecchi dubbi. Probabilmente la trasformazione del protagonista, il cui matrimonio con la splendida Renee (una Arquette da brividi) ristagna tra noia, incomprensioni e gelosia, potrebbe essere nient'altro che letta come una doppia personalità che aiuterà Fred ad uccidere tutti i rivali in amore di Renee (o Alice..). In realtà il personaggio del giovane meccanico esiste veramente ed è questo ciò che più inquieta perchè davvero rende labilissimo il confine tra realtà e immaginazione. Il film affascina, colpisce intellettualmente, disturba ma irrita per questa sua (forse apparente) inconoscibilità. Lynch ci fa sentire sempre esseri inferiori ma a volte degni di mangiare al suo tavolo. Non qua.

(voto 8)