26.1.23

Il meglio dell'Invisibile - 18 film bellissimi non ancora distribuiti in Italia


 

Visto che nel sondaggione finale i film non distribuiti in Italia non potevano partecipare, e visto che quest'anno nel Buio in Sala non hanno praticamente mai trovato spazio (ho visto al 95% film distribuiti, sala e piattaforma), ho pensato di riunire una specie di Intellighenzia di amici e chiedere a loro di presentare qui nel blog 2/3 film bellissimi a testa che da noi non sono mai usciti.
Ed ecco che è venuto fuori questo bellissimo post, spero anche molto interessante.
Ovviamente al momento (ma per quasi tutti direi che anche in futuro) questi film non potete vederli "legalmente", cercate di arrabattarvi in qualche modo ;)
Ah, la bella notizia è che nella squadra qui sotto io non ci sono!



RICCARDO SIMONCINI

THE HAPPIEST MAN IN THE WORLD di Teona Strugar Mitevska


In mezzo alle macerie di una Sarajevo presente bombardata dalla guerra, in un grande e desolatissimo albergo vengono organizzati incontri per trovare l’amore o forse un futuro, per uscire da un tempo che imprigiona tutto e tutti, residuo di un mondo distrutto e senza speranza, come quei palazzi lì affacciati tappezzati di fori di proiettile. Chiusi in un susseguirsi di stanze vuote dai nomi di città svizzere, i partecipanti (tutti conformati con casacche viola per "mantenere la concentrazione e far rispettare le regole") si dedicano ad attività e giochi di ogni tipo, che sembrano richiamare una versione comica e grottesca degli Hunger Games per trovare l’anima gemella. Dalle domande iniziali per conoscersi - che pongono sullo stesso banalissimo piano il colore preferito e la propria posizione politica verso i serbi. Ad una versione adattata di "palla avvelenata". Dove una rievocazione storica viene confusa per una performance. Così si incontrano Asja e Zoran, con un carico di tensioni che sono tutto meno che sessuali. Potrebbero infatti essere la coppia perfetta, hanno interessi e passioni comuni, ma in mezzo si interpone il trauma del loro passato, l'odio ereditato da assurdi principi.
Teona Strugar Mitevska torna con un’opera dall’ironia pungente e sottilissima, dove i volti dei suoi personaggi non assomigliano a quelli dei loro genitori biologici ma all’eredità della Storia che li ha plasmati: guerre e tradizioni insensate, come quella che muoveva le sorti della protagonista Petrunya nel film precedente. Religione, confini, popoli che si odiano più per una rabbia ereditata che per motivi interiorizzati. Come i movimenti innati di quelle stesse dita che ora si incrociano per afferrare una palla, ma che prima hanno premuto un grilletto per uccidere. E ora dentro quegli spazi ognuna di quelle persone affida quel dolore ad un oblio impossibile, nascondendosi dentro se stessa, riempiendosi gli occhi anestetizzando la memoria. Come se l’amnesia fosse la massima lucidità mentale. Lì dove quello che chiamiamo presente non è altro che un disturbo da stress post traumatico, la pazzia della guerra.
“Avete ripreso tutto da capo”.


STEFANO DE ROSA

VIEJOS di Raúl Cerezo, Fernando González Gómez


La Spagna è attraversata da un’eccezionale ondata di caldo che ha un impatto devastante sulla salute fisica e mentale della popolazione più anziana. I viejos, guidati da una misteriosa forza esterna (aliena?) si coalizzano contro i giovani, in una spirale di terrore che vede come protagonista nonno Manuel (interpretato magistralmente da Zorion Eguileor, che avevamo già avuto modo di apprezzare in una precedente edizione del Festival nello straordinario “El Hoyo”) che ha perso da poco la moglie in circostanze misteriose.
La sto­ria è rac­con­ta­ta dai due re­gi­sti (Raúl Ce­re­zo e Fer­nan­do Gon­zá­lez Gó­mez) con una mise-en-scè­ne di gran clas­se, a co­min­cia­re dal­l’in­ci­pit con la mac­chi­na da pre­sa che in­du­gia su un pri­mis­si­mo pia­no del di­pin­to di Goya “Due vec­chi che man­gia­no”, dove com­pa­io­no due per­so­nag­gi an­zia­ni: quel­lo di si­ni­stra, fa una smor­fia con la boc­ca, pro­ba­bil­men­te per la man­can­za di den­ti, men­tre l'al­tro ha il vol­to di un ca­da­ve­re. E pro­prio in tale ope­ra tro­via­mo una pri­ma chia­ve di let­tu­ra del film che mo­stra, con una fo­to­gra­fia “cal­da” (sof­fo­can­te come il cli­ma di Ma­drid) che vira spes­so sui toni del gial­lo e del mar­ro­ne, quan­to pos­sa es­se­re ter­ri­bi­le la con­di­zio­ne di un es­se­re uma­no giun­to or­mai alla fine del­la pro­pria esi­sten­za.
Ma Vie­jos è an­che (e di­rei so­prat­tut­to) un film sul­l'es­se­re igno­ra­ti se non ad­di­rit­tu­ra in­vi­si­bi­li, un gri­do di do­lo­re in­di­riz­za­to alle ge­ne­ra­zio­ni più gio­va­ni, con un fi­na­le aper­to che mi ha ri­cor­da­to mol­to quel­lo di “The in­vi­ta­tion”.



DAVIDE BANCHIERA

THE NOVELIST’S FILM di Hong Sang Soo


Ogni film di Hong sang soo è unico, ma paradossalmente se dovessimo far un gioco ed estrapolare 5 frames da altrettanti suoi film , difficilmente sapremmo individuare di quale film si tratti.
I luoghi ed i personaggi sembrano a prima vista assomigliarsi un po’ tutti, ma è proprio qui che entra in gioco l’autorialità del regista, che lentamente toglie il velo che ricopre ogni personaggio e li presenta in tutta la loro spontaneità.
In quest’ultimo The Novelist’s film, è una scrittrice la protagonista e saremo pian piano portati a concentrare la nostra attenzione sui rapporti che intercorrono fra lei e le persone che incontra: un’amica di vecchia data, un regista, un’attrice, un poeta…
Una serie di coincidenze porterà la scrittrice a dirigere il suo primo cortometraggio; avremo quindi modo di riflettere sull’onestà intellettuale e sulla mancanza d’ispirazione, ma vedremo come la passione, l’istinto e l’amore per l’arte riusciranno a portare alla nascita d’immagini in movimento.
Allo spettatore sembrerà di ricevere una carezza, un soffio, un abbraccio metacinematografico.
Il cinema di Hong sang soo è pura poesia , un modo perfetto per concentrarsi sul “qui e ora”, soffermarsi su un gesto, una semplice parola o una lieve sfumatura.


GIANLUCA CAFAGGI

MAD GOD di Phil Tippett



Levitico 26:33, riassumendolo brevemente Dio mette in guardia l'uomo dandogli un assaggio di ciò che il suo terrificante volere potrebbe rappresentare.
Mad God comincia così, con questo passo dell'antico testamento, tutto quello che vedremo dopo sarà il caos descritto in quelle poche righe, caos che l'uomo ha contribuito a creare e pur cui adesso viene punito da Dio...ma chi o cosa è Dio?
Opera in stop motion la cui realizzazione è durata più di 30 anni, partorita e plasmata nei minimi dettagli da Phil Tippett, creando e animando totalmente a mano scenografia e personaggi.
Mad God è un'operazione probabilmente irripetibile, un atto d'amore verso il cinema di una maestosità tale da lasciare a bocca aperta sequenza dopo sequenza, per lo più autofinanziato da l'autore stesso e da chiunque negli anni abbia creduto nel progetto.
Una lunga discesa all'inferno, rappresentata da una sequenza iniziale memorabile, un'inferno animato da creature inumane, volte ad alimentare un ciclo continuo fine a se stesso. Un paesaggio post industriale dove colori sporchi, polvere e oscurità fanno da padroni, fotografia che rende ancora più terrificanti i paesaggi incredibilmente dettagliati che fanno da cornice alla vicenda, veri protagonisti del film.
Nonostante un'impostazione fortemente antinarattiva e una totale assenza di dialoghi, Mad God non si limita all'estetica, molteplici sono le letture e le riflessioni a cui ci sottopone. Partendo da una critica al puro e mero consumismo moderno, al materialismo e al cerchio piatto a cui la società riduce le nostre vite, scaverà sempre più a fondo, portandoci fino a vere e proprie riflessioni esistenziali, dove starà a noi decidere chi o cosa sia quel Dio citato nelle prime righe.
Un film cinico, crudele ma anche sincero e mai retorico; sicuramente una visione pesante, ma che non può lasciare indifferenti.


ENRICO GASPARI

TRES di Juanjo Giménez



Questo Tres - a volte si trova anche come “Out of sync”, che, se volete la mia, è un titolo orribile e banalizzante – è il classico esempio di film dal grande soggetto, una categoria onestamente sovradimensionata. Ardirei dire che chiunque può avere una bella idea, o che suona tale. Tutt’altro discorso è trasformare quel nucleo impreciso in una storia che si aggiri, generalmente, sull’ora e mezza, coerente, ritmata, con personaggi e dinamiche interessanti: questo sì, che vuol dire avere un grande soggetto. È per pochi, e tra quei pochi ci metterei Juanjo Giménez – spagnolo, niente di strano dunque, ormai è uno dei cinema migliori al mondo – al suo esordio. Cosa succederebbe se il nostro udito fosse fuori sincrono, anche di poco, come accade alla protagonista senza nome (Marta Nieto, la Rosamund Pike spagnola)? Mezzo secondo di ritardo, una nullità: eppure quel poco basta praticamente a rovinarle la vita – lei è tecnico del suono, e pure per progetti prestigiosi, immaginate il disastro – e non solo, aumenta sempre di più fino a divenire interi minuti di scompenso. Siamo dipendenti dall’udito: una pentola che bolle, un clacson, un rumore strano la notte, i segni del pericolo ci proteggono, e se non possiamo udirli possiamo affinare i nostri altri sensi, ma gestire un ritardo così variabile no. E in effetti, la scena al supermercato è persino horror, quando lei sente quella conversazione dilazionata e la propria voce stentata (se non puoi ascoltare non puoi nemmeno parlare normalmente). Eppure, il colpo di genio di questo film, oltre alla trovata metacinematografica – come detto lei è tecnico del suono, e per quelli veri sarà stata divertente e impegnativa la gestione del set – è quella seconda parte dove lei, nonostante tutto, quella vita comincia a godersela. È quasi un ritorno all’arcaismo felice, non esistono orari, scadenze, ritardi, contano solo i cicli naturali, perché se tutto è in ritardo è come se nulla lo fosse. Si torna ad apprezzare le piccole cose, e a questo proposito c’è una scena talmente bella che penso non me la toglierò mai dalla testa, dove lui accompagna lei al cinema in tempi sfasati, che credo valga da sola dieci anni di film (anche venti se contiamo pure il seguente coito “ritardato”). Sono curioso di sapere cosa ne pensano altri sul finale, dove si dipanano degli eventi passati certo commoventi, forse non necessari; sarebbe stato meglio lasciare tutto all’immaginazione, ma è un pensiero mio. Ai posteri l’ardua sentenza, anche così lo ritengo uno dei film non distribuiti più validi degli ultimi anni.


FRANCO CAPPUCCIO

THE PLAINS di 
David Easteal



Nel primo lungometraggio di Easteal, il regista australiano adotta uno stile registico basato sulla durata che ha probabilmente raggiunto il suo apice attorno all’inizio degli anni ’ ma egli mette a frutto la cornice concettuale in un lavoro coinvolgente con naturalezza e libero dagli aspetti più provanti del cinema contemplativo (ad esempio, lunghi passaggi di silenzio, oppure personaggi quasi simbolici che si avventurano in missioni apparentemente senza fine verso l’illuminazione). Di durata 180 minuti e quasi completamente ambientato dentro una macchina, The Plains ci mostra la vita giornaliera da pendolare di un uomo d’affari di mezza età dal parcheggio di un ufficio legale di Melbourne fino alla sua casa nei sobborghi esterni della città. Ogni giorno, appena passate le 17, Andrew (Andrew Rakowski) entra nella sua Hyundai, chiama sua moglie, e si informa delle condizioni della madre sofferente, prima di ascoltare un talk show alla radio per il resto dell’ora di viaggio. Di tanto in tanto, offre un passaggio ad un collega, David (interpretato da Easteal), che sta attraversando una rottura ed è in linea generale poco soddisfatto della sua vita personale e professionale. Nel corso del film raccontato in maniera ricorsivi, iniziando nello stesso luogo e nello stesso spazio per ogni giorno Andrew e David rivelano loro stessi in conversazioni superficiali, fatte su due piedi (apparentemente scriptate ma recitate così naturalmente da dare la sensazione di essere un documentario) che si accumulano in un ritratto acuto della vita moderna una in cui le altrimenti inarticolate credenze, rimpianti ed ansietà portano alla luce una umanità condivisa troppo spesso persa nel trambusto del mondo.


MARCO BAGARELLA

THE EXECUTION di Lado Kvataniya



Ecco, quindi questa ballata della Giustizia, suprema signora dell’universo. Ecco l’incedere lento ma inarrestabile del suo passo, mentre segue il carnefice, lo scruta, lo inganna, lo svela e lo annienta abbracciato alla sua stessa colpa. E se anche fosse, così come lo è in questa narrazione filmica, che l’uomo colpevole vive nella prosperità, riceve onori, ecco che i morti si levano dalle tombe (anche i vivi-morti, gli uomini sepolti dalla vita in vita, viene da aggiungere), e lo perseguono. E lo portano via con loro. Thriller epico, da mettere accanto a capolavori come “Seven” e “Memories of murder” e film-bomba, per me, per il biennio ‘21/’22. Che se fosse stato distribuito in Italia avrebbe scalzato chiunque, colorando, con i già nelle sale Sokurov e Khrzhanovskiy, l’intero podio di cultura russa.

25.1.23

Recensione: "You won't be alone - Non sarai sola"

 

Prendetela, ovviamente, come considerazione personale ma credo che "You won't be alone" sia la più grande opera prima che io abbia visto dai tempi di Synecdoche New York.
E non è un caso che citi il capolavoro di Kaufman, perchè questo film macedone è un'opera gigantesca che, come fu per SNY, ha l'arroganza di raccontare il senso della vita e delle nostre esistenze.
Per citare una frase che mi scrisse un lettore "non è un film con dentro la vita ma è la vita con dentro un film".
Siamo in Macedonia, circa un centinaio di anni fa.
Una strega "marchia" una bambina che, arrivata a 16 anni, dovrà essere la sua prediletta.
I 16 anni passano, la strega torna.
Quella ragazza diventerà a sua volta una strega, ma resta sempre una ragazza che deve imparare tutto dalla vita (ha vissuto sola in una grotta per tutto quel tempo).
Attraverserà più vite, scoprirà tutta la durezza dell'esistenza ma anche tutte le cose meravigliose che può regalare.
Scoprirà che, per quanto tutto a volte possa essere terribile, c'è sempre un "eppure".

Eppure.
Probabilmente da oggi in poi quando leggerò questa congiunzione (tradotta mirabilmente nei sottotitoli italiani) la mia mente non potrà non andare a questo film meraviglioso, gigantesco, per quanto mi riguarda la miglior opera prima dai tempi del Synecdoche New York del semidio Kaufman.

Eppure.
Questa congiunzione che sta a significare che, per quanto qualcosa sia duro, terribile, apparentemente irreversibile, per quanto il destino che ci è concesso possa apparire orribile, c'è sempre un altro modo di vedere le cose, c'è sempre un filo di speranza, c'è sempre un'apertura in una grotta dove possiamo intravedere il cielo.

Eppure.
Chissà quante volte questa parola ha salvato delle vite, chissà quante persone, in momenti devastanti, hanno avuto la lucidità, la forza, la capacità di riuscire a vederlo quell'eppure.
Io - ne abbiamo già parlato mille volte e anche recentemente in Aftersun - per fortuna vidi quell'eppure.
C'è sempre un eppure, c'è sempre, o quasi sempre, la possibilità di vedere  la vita con altri occhi o da un'altra angolazione.
Nessun dolore, nessuna avversità, nessun strega, se lo vogliamo, può impedirci di scoprire, vivere e amare quell'eppure.

"You won't be alone" è l'impressionante opera di debutto di Goran Stolevski.
Un film tremendamente esistenziale, un'opera che, come mi scrisse un lettore commentando Synecdoche New York, "non è un film con tutta la vita dentro ma è una vita con dentro un film".
A differenza però del capolavoro di Kaufman "You won't be alone" ha dentro tanta speranza, tanto amore, tanta bellezza.
Due film per tanti versi sovrapponibili che sono però assolutamente distinti proprio in quell'unica parola, in quell' "eppure".
Ecco, in SNY l'eppure non c'era o, se c'era (in quel finale indimenticabile) non riusciremo mai a sapere cos'era.



 Siamo in Macedonia, fine 800 o inizio 900.
Terra poverissima che ricorda un altro grandissimo film macedone, Honeyland.
Una donna ha partorito.
Riceve però la visita di una strega (arrivata presumibilmente sotto forma di gatto - le metamorfosi animali contraddistingueranno tutto il film -), una strega che tutti conoscono, la "Zitella Maria", la "Mangiatrice di Lupi".
La strega vorrebbe bere il sangue della bambina (così sopravvivono) ma la madre, disperata, le offre un patto, le avrebbe dato sua figlia al compimento del 16imo anno di vita.
La strega accetta ma prima, come segno di riconoscimento, graffia la gola della neonata, togliendole la parola per sempre (nel film la nostra protagonista mai parlerà, anche se la sua "voce nascosta", fuoricampo, ci accompagnerà sempre, anzi, credo che sia forse la cosa più grande del film).
La madre nasconde la figlia in una grotta, completamente isolata, facendola crescere come un animale, sperando così che la strega non la ritrovi mai più.
Ma la strega, una volta che la ragazza compie i 16 anni, entrerà nella grotta sotto forma di aquila.
E prenderà la ragazza con sè, facendola diventare a sua volta una strega.

So fa fatica a trovare un solo difetto in un film così grande.
Ambizioso vero, ma umile nel porsi.
La magnifica regia, gli interpreti eccezionali, la scrittura altissima (credo sia una delle più belle voci fuori campo che io ricordi, sia per significato - quella voce è in realtà la voce di una ragazza che voce più non ha - che per quello che dice), il significato dell'opera, la colonna sonora, ogni aspetto fa di You won't be alone un piccolo capolavoro (personale) moderno.
E' anche difficile parlare delle tematiche presenti perchè, come accade con questo tipo di film, qualsiasi cosa possa venirci in mente la ritroviamo dentro.
Un film sulla difficoltà del vivere, un film sulla bellezza del vivere, un film sullo stupore, un film sull'apprendimento, un film sulla condizione femminile, uno sull'amore, uno sull'aiuto reciproco, uno sull'invidia, un film sulla maternità, uno sulle privazioni, uno sulla speranza e uno sulla rassegnazione, uno sulla violenza e uno sul mutuo aiutarsi.
E tanto tanto altro.
Cerchiamo di mettere le cose in fila.
Nevena, la ragazza che fino a 16 anni ha vissuto in una grotta, è ora uscita (in una sequenza che ricorda quella indimenticabile di Room), con quella strega che le ha ucciso la madre (la mamma-sussurro, come la chiamava lei).
Nevena però sin da subito - e questi sono i segni della contrapposizione che avremo per tutto il film - dimostra di non avere "l'attitudine" per essere strega. Accarezza gli animali invece di ucciderli e berne il sangue, ha un'aria sognante, è curiosa, si stupisce e si innamora di tutte le cose che scopre.
Come dicevo è già in questa prima frase che comincia la contrapposizione tra la strega Maria e Nevena.
Contrapposizione riassumibile in due frasi.

"Aspetta e vedrai" della prima

"Eppure" della seconda

La prima, infatti - e lo scopriremo nel flashback del suo passato - ha avuto una vita tremenda, senza amore, senza nessuno.
E, proprio quando (dopo l'incontro a sua volta con una strega) pensava di aver trovato un uomo e poter realizzare così il suo sogno di diventar madre Maria sarà invece sfruttata, violentata e umiliata.
Quasi morente berrà del sangue da un animale che lei stessa uccide (così richiede la sua natura da strega) e per questo verrà bruciata.
Emblematica la sua frase prima di "morire" (in realtà, essendo strega, non morirà ma vivrà in eterno ustionata, con l'aspetto di un mostro):

"Non ho visto niente della vita"

Ecco, questa frase simbolica sarà il mantra di Maria, una donna vissuta nelle privazioni e nel dolore che ha quella esperienza come unica conoscenza della vita.
Si soffre, si provano dolori, si viene violentata (dagli uomini), si muore.

17.1.23

Recensione: "Close" - Cinema 2023 - 2 -

 

Leo e Remi sono due migliori amici.
Migliori amici è dir poco, sono come fratelli.
O, forse, anche qualcosa di più.
Eppure il mondo guarda un pochino con sospetto due tredicenni così vicini, così "close", due tredicenni che non hanno paura di abbracciarsi, guardarsi dormire o appoggiare l'uno la testa nel braccio dell'altro.
Leo si impaurirà di questo e, anche se di pochi cm, si staccherà da Remi.
Ma quei pochi cm, in un animo puro e, forse, innamorato, sono come migliaia di km.
Un film bellissimo, con dentro tutte persone sane, belle, virtuose.
Eppure un film che fa male e che porta a profonde riflessioni.
So che la mia interpretazione può non essere accolta da tutti, ma così è come ho vissuto io il film

PRESENTI SPOILER MOLTO GRANDI


"Close" vuol dire, tra le altre cose, "vicino".
Credo non ci potrebbe essere titolo più bello da scegliere per un film che basa tutto quello che vediamo sulla distanza dei corpi.
Leo e Remi sono due amici tredicenni che non hanno paura di abbracciarsi, che non hanno paura - a scuola - di ascoltare la lezione uno con la testa sul braccio dell'altro, che si stendono sui prati uno sopra l'altro, che dormono insieme.
Close, vicinissimi, una cosa sola praticamente.
E il film cambierà quando questa (non) distanza diverrà distanza, non una grande distanza, è vero, ma quando sei abituato al tuo corpo sopra quello di un altro anche due metri ti sembrano infiniti, e lui lontanissimo.
A conferma della bellezza e della pertinenza del titolo anche dopo, quando Leo e Remi saranno distanti e quando addirittura uno dei due non ci sarà più, anche dopo, dicevo, le scene più belle saranno quelle di abbracci, penso a quella straordinaria col fratello o a quella finale con la madre di lui, terribile e meravigliosa insieme.
Questo è un film in cui i corpi che si toccano sono tutto, sono la cosa più bella, sono la cosa più delicata, sono la cosa più "ambigua", sono il motivo per cui vivere e quello per cui morire.
Dico già da adesso che io ho una mia lettura "forte" del film (forte nel senso di molto convinta da parte mia, ma probabilmente non convincente) che potrebbe essere molto diversa da quella di altri (ad esempio la mia compagna di visione in un aspetto la pensava all'opposto).
Ma ci arriveremo.


Leo e Remi, lo dicevamo, sono "super amici", roba che la loro intera vita è in totale simbiosi.
Giocano sempre insieme, stanno sempre insieme, dormono quasi sempre insieme.
Un'amicizia stupenda, da brividi.
Nel notevole incipit li vediamo giocare "alla guerra", nascosti, nel buio, per poi partire in una straordinaria corsa di luce nei campi in cui lavora la famiglia di Leo.
La scena successiva, dopo appena 6-7 minuti di film, sembra banale ma ci sarà uno di quei piccoli dettagli che poi mi porterà ad una interpretazione che, da lì in poi, mai mi abbandonerà.
I due bambini sono a letto.
Leo guarda Remi dormire.
Ho sempre pensato che "guardare dormire" sia uno dei (pochi? tanti?) segni tangibili dell'amore.
Dopo pochi minuti, come una carezza, mi è arrivata la certezza che tra quei due bambini ci fosse qualcosa di più di una splendida amicizia.
Qualcosa di ancora non definibile (non lo capiamo a 40 anni l'amore, vuoi capirlo a 13?) ma qualcosa che fa pulsare il cuore, che ci fa vedere l'altro con occhi con cui guardi solo lui.
Arriviamo alla scena che fa svoltare il film e le vite dei due bambini.
Alcune compagne, a mio modo di vedere con molta dolcezza e con una curiosità "obbligatoria" a quell'età (bisogna essere ipocriti per dire che se a 13 anni vedessimo due nostri compagni accarezzarsi e stare sempre abbracciati NON penseremmo che tra loro c'è qualcosa), dicevo, due compagne chiedono ai due se siano fidanzati.
I due lì per lì ci rimangono storditi (ma secondo me nella loro reazione e negli occhi di Remi si vede davvero tanto...) e gli rispondono di no, che sono solo migliori amici, come del resto lo sono loro due (le ragazze che gliel'hanno chiesto).
Le due ragazze accettano di buon grado, tutti si fanno una risata e la cosa finisce lì.
Io l'ho trovata una scena bellissima, delicata, per niente "violenta" o sbagliata.
Ma, delicata o no, quella domanda manda in crisi Leo.
E qui nasce il doppio bivio di interpretazioni.
Lo manda in crisi perchè, sì, loro sono davvero soltanto migliori amici ma adesso verranno visti in maniera diversa?
O lo manda in crisi perchè lui sente veramente qualcosa di grande verso Remi (contraccambiato), qualcosa di superiore all'amicizia e, dopo questa domanda, si rende conto quanto la cosa potrebbe rovinarlo?

Ecco, per me la seconda.
Per me Close racconta di due bambini che stanno scoprendo sentimenti bellissimi, puri, superiori all'amicizia, e che per colpa di un piccolissimo intervento esterno (la domanda innocente delle compagne) non riescono più a vivere quel rapporto.
O meglio, Leo non riesce più a viverlo.
E' risaputo che spessissimo chi si scopre omosessuale molto presto non "accetta" di esserlo.
Non lo accetta soprattutto per colpa di un mondo "sbagliato" che per primo ti fa sentire diverso.

13.1.23

Recensione "Godland" - Cinema 2023 - 1 -

 

Un film islandese che pare venire da un'altra epoca.
Fine 800, un prete deve andare ad erigere una chiesa (e portare la Chiesa) in una delle zone più remote dell'Islanda.
Il viaggio sarà infinito, durissimo, quasi mortale.
Godland secondo me non è un film sulla perdita della Fede ma molto più banalmente su come una fatica inumana possa indebolire così tanto il corpo e la mente da far riscoprire semplice uomo anche chi, in teoria, semplice uomo non dovrebbe essere.
Un film davvero grande, epico, lento e faticoso come lento e faticoso è il viaggio che racconta.
Imperdibile

Siamo in una mulattiera.
Uomini e cavalli la percorrono.
Poi la macchina da presa va indietro, sempre più indietro, a svelarci poco a poco la montagna.
E quegli uomini, e quei cavalli, sempre più piccoli, fino a scomparire.

Siamo intorno al fuoco e un uomo sta raccontando una storia di uomini e anguille.
Anguille che si accoppiano e fanno gemiti come donne in orgasmo.
L'uomo lancerà un sasso nello stagno, le anguille andranno via.
L'uomo, da quel giorno - come fosse una vendetta e una punizione - sognerà sua moglie accoppiarsi con tutti i paesani, emettendo gli stessi gemiti di quelle anguille che aveva colpito.
E mentre l'uomo, non quello della storia, ma quello che la sta raccontando la sta, appunto, raccontando, noi, in montaggio alternato, scendiamo con lo sguardo giù da una cascatella che poi diventa sempre più cascata.
E poi lago.
Lago dove due uomini cercano ristoro.


Siamo su un prato.
Ancora uomini e cavalli.
La macchina da presa li lascia e, lentissima, attraversa il prato.
Minuti e minuti di nulla, in un movimento ipnotico e apparentemente senza scopo.
Poi, come una carezza, arriviamo invece al volto di un uomo disteso a terra.
Un uomo che in quel momento proprio di una carezza avrebbe bisogno, una vera, quella di una mano e non quella di un'inquadratura.

Siamo in un'inquadratura ferma, stavolta.
C'è un cavallo morto.
In time lapse vediamo scorrere stagioni, vediamo il paesaggio completamente modificato, in un film che è duemila paesaggi, in un film in cui anche lo stesso paesaggio diventa, anche negli stessi 5 metri quadrati, continuamente una cosa diversa.
Il cavallo si farà scheletro, in una terra dimenticata da Dio e che poi, il giorno che Dio arriverà, scopre di arrivarci Uomo, e da uomo, se ne torna quindi indietro.

Ho scelto le prime 4 immagini che mi sono venute in mente, tre movimenti di macchina giganteschi (per bellezza d'immagine) e un time lapse.
Basterebbero questi 4 momenti per fare di Godland un grandissimo film, uno di quelli che a volte - grazie a quella terra di inaccettabile bellezza che è l'Islanda - ti annichilisce per magnificenza.
Eppure Godland è tanto altro.
E' un modo di fare cinema anacronistico, lontano dalle velocità dell'oggi, lontano da tutto.
E' cinema faticoso, forse anche troppo faticoso.
E lento, forse anche troppo lento.
Eppure la fatica che proviamo, eppure la lentezza che percepiamo, non è altro che la materia del film, un film che di questo parla, di un viaggio lungo e faticoso.
E' un pò la stessa cosa - all'opposto - di quello che avevamo visto con Athena, film della velocità e del Caos girato nel modo più bello e sensato che si poteva scegliere, quello della velocità e del caos.
Se qualcuno fatica con Godland è perchè così deve essere, è perchè anche noi spettatori dobbiamo percepire quel viaggio a passo zero, quelle inquadrature lunghissime e che non portano il film "avanti" (come quelle che ho citato).
Anche noi dobbiamo andare lenti, fermarsi, arrancare, resistere.
E poi arrivare.
E il nostro prete, perchè di un prete parla questo film, di un prete di fine 800 che deve erigere una chiesa (e portare la Chiesa) nella zona più remota dell'Islanda, una terra dove più le cose sono belle più sono terrificanti, dove più sono meravigliose più sono difficili.
Freddo, rocce, montagne, terre senza cibo e pascoli, vulcani pericolosissimi (quei due minuti tolgono il fiato), una terra in cui intraprendere un viaggio così equivale all'accettare di morire, in mezzo alla bellezza, vero, ma sempre morire è.
E il nostro prete, dicevamo, arriva poi dove quella chiesa deve essere eretta.
Lì vicino c'è la casa di un uomo e delle due figlie.
Il prete, ricambiato, si invaghisce di una delle due.
E, si sa, se c'è una cosa che può battere tutto, anche l'immensità della Fede, può essere solo una donna.
Il prete, proprio quando è ormai arrivato, proprio alla fine di un viaggio impossibile rivelatosi possibile, scopre di essere un uomo.

10.1.23

SONDAGGIO MIGLIOR FILM DISTRIBUITO IN ITALIA NEL 2022 - REGOLAMENTO COMPLETO - VOTATE!!!

 


Torniamo finalmente all'appuntamento più amato da tutti, quello del Mega Sondaggio sul miglior film uscito quest'anno in Italia.
Per una incredibile coincidenza negli ultimi 3 anni ha votato sempre lo stesso numero di persone, 113, 113 e 113.
Riusciremo ad arrivare a quelle cifre??
Forza!
A seguire c'è tutto l'elaborato regolamento, per favore leggetelo perfettamente, è veramente inutile votare senza averlo letto!

ricordo i vincitori delle passate edizioni

2016 Il Figlio di Saul
2017 Arrival
2018 Il Sacrificio del Cervo Sacro
2019 Parasite
2020 (sondaggio non fatto, ma lo faremo)
2021 E' stata la mano di Dio


POTETE VOTARE FINO A 10 FILM, DARO' COME PUNTEGGI 15, 13, 11, 9, 7, 6, 5, 4, 3, 2

NUMERO MINIMO DI FILM VOTATI: 5

POTETE VOTARE ANCHE SENZA GERARCHIA, IN QUEL CASO TUTTI I FILM PRENDONO 6 PUNTI

VALGONO SOLO I FILM USCITI IN SALA IN ITALIA NEL 2022, CONTROLLATE CON GOOGLE, MYMOVIES O COME VOLETE

QUESTO VUOL DIRE CHE ANCHE TITOLI USCITI ALTROVE ANNI PRIMA MA DA NOI SOLO NEL 2022 SONO ASSOLUTAMENTE IN GARA

SE AVETE VISTO IL FILM IN STREAMING ILLEGALE - A PARTE UNA TIRATA D'ORECCHIE - STICAZZI, SE IL FILM HA AVUTO DISTRIBUZIONE IN SALA O PIATTAFORMA NEL 2022 LO VOTATE LO STESSO.
 QUINDI CONTROLLATE CHE TUTTE LE VOSTRE MIGLIORI VISIONI 2022, ANCHE QUELLE FATTE IN RETE, SIANO POI STATE ANCHE DISTRIBUITE

VALGONO ANCHE GLI ORIGINALI DELLE VARIE PIATTAFORME (NETFLIX, PRIME ETC...) USCITI NEL 2022. ANCHE MUBI ITALIA!

NON VALGONO I FILM VISTI IN DEI FESTIVAL MA POI NON DISTRIBUITI UFFICIALMENTE E, OVVIAMENTE, NEMMENO I FILM CHE FINO AD OGGI HANNO AVUTO VITA SOLO IN RETE 

PREFERIREI CHE METTIATE I VOTI QUA NEL BLOG (dico agli amici di fb) PERCHE' SAREBBERO VISIBILI A TUTTI E, SOPRATTUTTO, NON AVREBBERO LA VOLATILITA' DEI SOCIAL, RESTEREBBERO QUI PER SEMPRE (ma vanno bene ovunque, Guardaroba, Pagina Fb del blog, Telegram, anche col piccione viaggiatore)

10 SE FARETE DEGLI ERRORI VE LO DIRO' NEI COMMENTI. SE NON CORREGGERETE SCALERO' IO ELIMINANDO I TITOLI NON VALIDI

11 AVETE TEMPO PER VOTARE FINO ALLA MEZZANOTTE DI MARTEDI 17 GENNAIO (per capirsi quando scatta mercoledì)
FINO A QUELLA DATA POTRETE ANCHE MODIFICARE IL VOSTRO VOTO PIU' VOLTE, MAGARI RECUPERANDO QUALCHE FILM!

12 ALCUNI FILM USCITI NEL 2021 MA SOLO NELL'ULTIMA SETTIMANA, A CAVALLO DEI DUE ANNI INSOMMA, IO LI CONSIDERO IN GARA. OGNUNO DI VOI USI IN QUESTI CASI I PARAMETRI CHE VUOLE

13 NON VALGONO VOTI ANONIMI!!

14 SE NON VI RICORDATE I FILM CHE AVETE VISTO QUEST'ANNO O ANCHE SE NON SIETE SICURI CHE SIANO ELEGGIBILI ASPETTATE UN PO' DI GIORNI E TROVERETE QUA DENTRO TANTISSIMI TITOLI NEI COMMENTI DEGLI ALTRI, COSI CHE POTRETE POI PIU' FACILMENTE FARE LA VOSTRA CLASSIFICA

15 QUEST'ANNO, A DIFFERENZA DI TUTTI I PRECEDENTI, NON CREDO COMMENTERO' OGNI VOSTRO VOTO. QUESTO PERCHE' BLOGGER VA IN TILT DOPO 200 COMMENTI E RISPONDENDO A TUTTI SIAMO SEMPRE ARRIVATI A QUEL LIMITE. SICURAMENTE COMMENTERO' I VOTI SBAGLIATI, QUELLI DUBBI E QUELLI CHE ME CAPITANO :)


7.1.23

Recensione: "Aftersun" - Su Mubi - Rocco's House

 

Un padre e una figlia.
Un viaggio insieme in Turchia.
Mare, sole, giochi, l'infinita voglia di stare insieme.
Un tempo comune meraviglioso, sotto un cielo talmente limpido da essere continuamente disegnato da paracadutisti.
Questa è la cartolina, questa è la vita emersa.
Ma c'è qualcosa sotto.
C'è un sovrappensiero.
C'è quel sovrappensiero che tanti di noi hanno avuto in periodi tremendi della loro vita.
Un film difficile da dimenticare

PRESENTI SPOILER


Quando mi hai detto che tu hai 11 anni ed io ne compirò 131 alla fine è vero, perchè io davvero 131 me ne sento. Quando la vita che hai vissuto ti sembra già troppa puoi avere 15 anni, 40 o 70, ma te ne senti 131 addosso, sei già andato oltre, hai già sofferto troppo, hai già vissuto troppo.
Siamo qui figlia mia in questa splendida vacanza solo per noi due.
E che bello nuotare insieme, dormire insieme, giocare insieme, ballare insieme.
Ci scambiano anche per fratelli per quanto sono giovane, visto?
Eppure ho già vissuto tanto, troppo.
Siamo in questa terra così strana che è la Turchia, in questo villaggio turistico che, alla fine, non è niente di che, vecchiotto, spartano, un non-luogo quasi e mi dispiace aver scelto come ultimo luogo questo non-luogo, ma me ne rendo conto solo adesso ma siamo insieme e felici.
Come mi guardi, come sei orgogliosa di me, come mi dici che vorresti non andartene mai da qui, restare in questa eterna vacanza allo stesso tempo bruttina e bellissima che stiamo facendo e invece non sai che questa vacanza finirà e sarà la nostra ultima vacanza e magari ne verranno tante altre, siamo giovani e ancora abbiamo tutto il nostro futuro davanti eppure questa merda di sovrappensiero non se ne va via, eppure questo desiderio di farla finita non se ne va via, ti prego vattene via, fammi essere felice, cosa hai detto babbo?, niente, erano pensieri ad alta voce, sta tranquilla, non dirle niente, non farle capire niente, la morte tienila sempre qui, al sicuro, nel sovrappensiero, e mi dici che quando siamo lontani ti fa stare bene il pensiero che comunque siamo sotto lo stesso cielo, che comunque vediamo entrambi lo stesso sole, e lo fai mentre mi spalmi questo doposole, questo after sun ma non sai che stai spalmando questo doposole quando ormai la bruciatura è mortale, le tue manine non possono coprire tutta la mia schiena troppo grande, nessuna crema, nessun fango può coprire o lenire questa definitiva e senza ritorno voglia di finirla qua, la tua presenza, il tuo esserci non possono ormai salvarmi, la bruciatura è troppo forte e te invece figlia mia se un giorno leggerai questa recensione sappi che mi hai salvato, che anche io ero lì, a mezzo passo dalla fine, come Conor, ormai bruciato, ma te sei riuscita a cospargermi tutto, e ti giuro che mai e poi mai tornerò a quei momenti, mai più il sole mi brucerà e che belle le tue mani sul mio corpo, che bello questo nostro toccarsi e sfiorarsi continuamente, come quando mi tieni quella mano libera finalmente dal gesso, come adesso che ti sto facendo questa treccina, come adesso che facciamo questa buffa meditazione insieme che a te sembra un'arte marziale, e niente, sono i nostri momenti più belli e non sia quanto mi sento un vigliacco a non dirti che è tutto finto, è tutto tremendamente vero, verissimo, bellissimo, ma è anche tutto finto, caduco, illusorio, è il solo mio disperato, eroico, commovente ma anche vigliacco tentativo di lasciarti come mio ultimo ricordo quello più bello, io torno in camera, e io me ne resto qui, mi dici te, e non sai che torno in camera non perchè sono un pessimo padre che lascia la figlia 11enne da sola di notte ma perchè quando hai la morte dentro hai bisogno di star solo, di fuggire dalle cose belle, anche dagli affetti lo facevo anche io, e ora io devo allontanarmi perchè stiamo troppo bene insieme ma io ho bisogno di tornare nella mia oscurità, anzi, ora me ne andrò in spiaggia, di notte, e la farò finita, così, camminando e immergendomi, ma no, non ce la faccio, non posso lasciarti sola qui ed ora, torno indietro, e piango in camera, finalmente posso uscire dal sovrappensiero e disperarmi nella vita emersa, tanto, per fortuna, non sei qua con me, ma ancora non ce la faccio, la lettera che ti ho scritto non sarà letta stanotte, e te che hai fatto stasera, mi sono appartata con Michal, quel bambino che giocava alle moto con me, e poi ci siamo anche baciati e io allora voglio sapere tutto, voglio sapere quando ti innamorerai, quando proverai a drogarti, Ma non lo farò, mi dici te, Sì che lo farai, ma non è importante, anche io l'ho fatto, basta solo che me lo dici, dimmi tutto, voglio sapere tutto quello che ti accadrà nel futuro Conor, che stai facendo, non permetterti di pensare al futuro, torna qui, torna qui ad essere cullato da me, lascia perdere questa vita dove c'è la concreta possibilità di essere veramente felice, ma non ti terrorizza poter essere veramente felice?, e mentre noi parliamo, mentre noi prendiamo il sole c'è un cielo sempre bellissimo, talmente bello che forse è colpa sua se sto rimandando e rimandando quello che voglio fare, non puoi ucciderti quando il cielo è così bello, che ci atterrano dentro continuamente paracadutisti, non puoi farlo se lei è ancora qua, lei, il mio cielo, e mentre il mio sovrappensiero mi sta uccidendo ci si mette anche il sottofondo musicale a dargli una mano con i Blur che cantano I'm waiting fort that feeling to come, con il pezzo di Ghost - come si chiamava? - che mi dice I need your love, con i Queen che con quel modo apparentemente pop cantano Under Pressure e te non sai la pressione che si ha quando si arriva a questo punto, non sai la pressione che ti schiaccia vivo, non sai quanto hai la certezza di non liberarti, basta, basta, basta Tanti auguri a te! tanti auguri a te! tanti auguri al babbo, tanti auguri a te! mi canti da sotto la piramide e fai cantare anche gente che non conosci ma si può essere così amati, si può accettare che la figlia convinca sconosciuti a farti gli auguri e non riuscire a salvarsi lo stesso?, Il fatto è che nessuno, o solo chi ci è passato, può capire che in questi casi quando sei troppo amato è pure peggio, più grande ancora il senso di colpa, più grande ancora l'insostenibilità di poter reggere tutto quell'affetto che non si riesce a restituire nel modo migliore ma per fortuna la vacanza sta finendo, la scuola ricomincia, questo tempo sospeso meraviglioso e terribile sta finendo, e più la polaroid con noi due dentro felici diventa nitida più io so che è tutto finito, Ciao Sophie! ti dico al terminal e te giochi tutta contenta con me e sorridi, e pensi che hai vissuto dei giorni stupendi e





 allora io fermo il fotogramma a me 11enne, bambina tremendamente felice, a quell'ultimo istante in cui siamo insieme, a quell'ultimo video all'aereoporto, e ancora adesso, dopo 20 anni, ti vengo sempre a cercare, in un posto buio e con luci al neon, sembra una discoteca, e te sei lì che balli e io ti guardo, te vestito come l'ultima volta che ti ho visto, anzi, come la volta che ti ho visto per l'ultima volta, e balli, e urli, e ti sfoghi, perchè forse sei dentro quell'oscurità che hai sempre amato, perchè adesso sei soltanto lì, perchè un giorno il tuo merdoso sovrappensiero è diventato definitivamente pensiero emerso, e azione, e morte, e io sono innamorata di una ragazza e te non sei qui, e io ho un bambino e te non sei qui, e io poggio i piedi in quel tappeto turco e te non sei qui, e io ti odio, e io ti amo, e io ti odio, e io ti amo, e io alla fine non ce la faccio e vengo sempre qui in questa discoteca di morte, e basta, abbracciami lo stesso, balliamo lo stesso, come l'ultimo giorno in Turchia, e basta, se posso avere solo questo solo questo posso avere, e basta perchè te in quell'aereoporto appena ci siamo lasciati hai aperto una porta e quella porta conduceva qui, a questo luogo non-luogo dove ti vengo sempre a cercare.
E ti dico una cosa, io voglio vivere.
E sai che anche io babbo ho un sovrappensiero?
Io voglio vivere

5.1.23

Recensione: "Sette minuti dopo la mezzanotte"

 

Probabilmente per una volta sarebbe stato meglio che avessi letto la trama del film.
Che avessi saputo.
Perchè questa bellissima fiaba nera, così coraggiosa e scomoda, lascia un insegnamento devastante col quale io, pochi mesi fa, ho dovuto combattere.
Dire e dirsi la verità, ammettere una cosa che sembra innaturale, immorale, senza senso, contro la vita.
Eppure molti di noi quella cosa così indicibile l'hanno pensata, eppure molti di noi non hanno avuto il coraggio di dirla, quando era il momento, quella verità.
E così un fantasy dark di un bambino, di un mostro-tasso buono, di una mamma morente e di uno strano percorso di consapevolezza, mi ha schiantato lì, vicino al letto di mio padre morente.
E quell'insegnamento del film, quell'atto di coraggio nel saper dire quella cosa, mi è arrivato addosso.
Questa, babbo, è la mia verità

PRESENTI SPOILER

"Dì la verità!
Dì la verità!!!
Dì la verità!!!!"

Urla il mostro-Tasso a Conor, nella scena più forte ed importante del film.
Quella verità inconfessabile che quel bambino non riesce a dire, non non può riuscire a dire.
Quella verità che sembra così innaturale, quasi immorale, sbagliata.
Quella verità che anche io, 7 mesi fa, sapevo essere dentro di me ma non riuscivo del tutto a tirar fuori.
E quella verità è desiderare che una delle persone più importanti della tua vita - la madre nel caso di Conor, mio padre nel mio - se ne vada.
Muoia.
Desiderarlo ogni notte nell'ultimo devastante periodo.
Perchè troppo grande il dolore, perchè troppo evidente che non c'è più speranza, perchè troppo massacrante quell'ultimo tempo speso insieme.
Ecco, questa favola nera così bella, coraggiosa e scomoda ti lascia questo insegnamento.
Dire la verità.
Dirti la verità.
Inutile ammettere come la visione di Sette minuti dopo la mezzanotte sia stata, per me,  massacrante.
Quando alla fine del film viene sappiamo finalmente cosa era "la quarta storia", cosa era "la verità", quando scopriamo il fine del percorso di consapevolezza che il Tasso stava facendo conoscere a Conor, io sono crollato.
E sì, anche io urlavo negli ultimi tempi "fa che muoia, fa che finisca tutto".
Fa che quegli occhi piccoli e ormai senza vita del babbo si spengano del tutto.
Fa che quella bocca che prova a parlarmi ma da cui non esce nulla smetta di muoversi.
Fa che io domani notte non debba tornare all'ospedale a guardarlo 5 ore così.
Basta, fai smettere tutto.
E dire tutto questo è una catarsi.
E le catarsi più belle sono sempre dolorose.
E che il desiderio di morte sia un atto d'amore è qualcosa che è sempre difficile da accettare.


E ora, boh, come parlo del film?
De sto film in cui Bayona per la seconda volta nella sua vita (la prima con The Orphanage, il mio horror del cuore degli anni 2000) è riuscito a toccarmi così tanto nel profondo da stravolgermi?
Ecco, Sette minuti dopo mezzanotte (A Monster Calls il titolo originale, davvero bello) è un fantasy a tinte drammatiche davvero notevole, uno di quei titoli che chi ha amato cose come Il Labirinto del Fauno non può perdersi.
Come dicevo prima (ma non ci fate caso, è ovvio che la mia vicenda personale mi abbia condizionato) la cosa più grande che ho trovato in questo film è il coraggio.
Raccontare di come, attraverso la fantasia, la sublimazione del dolore e il rifugio in altri mondi, un bambino possa arrivare a dire (perchè è vero che nel film è il Tasso a fargli arrivare questa consapevolezza, ma è anche vero che tutto il film, alla fine, è metafora di un percorso che stava facendo lo stesso bambino, bambino che probabilmente delega ai sogni e alla fantasia "bisogni" che non vuole accettare esser suoi), dicevo, raccontare di come un bambino possa arrivare ad urlare di desiderare la morte della madre (attenzione, nel senso più bello del termine, quella madre è tutto per lui e di figura così straordinaria che non riesce ad accettare l'inevitabile) è qualcosa davvero notevole da proporre.
E il film riesce ad arrivare a quella "rivelazione-catarsi" in modo splendido, attraverso un percorso suggestivo e super interessante a livello psicologico.
Prendiamo ad esempio la rabbia di Conor.
Quella rabbia che a lui sembra naturale risposta a tutto quello che sta vivendo.
Quel suo odiare quasi tutto e tutti.
Ecco, il film, attraverso dei personaggi magnifici, di grande sensibilità, racconta di come quella rabbia sia dovuta lasciar sfogare.
La nonna, la madre, il padre, la preside, tutti malgrado le azioni violentissime di Conor capiscono che non serve alcuna punizione, che non servono rimproveri, che scagliarsi contro il bambino possa solo peggiorare le cose.
E Conor si ritrova così spaesato, quella sua reazione al dolore, che potremmo riassumere con un "sono violento = merito una punizione" non è che la reificazione di quello che scopriremo nel finale, ovvero "desidero che mia madre muoia = merito una punizione".
Ma per sua fortuna Conor si ritroverà vicino tutti adulti notevolissimi, virtuosi, intelligenti, empatici. Il suo mondo-magico del mostro-tasso andrà di pari passo col suo mondo reale dove tutti, con calma, pazienza ed amore, cercano di accompagnarlo all'inevitabile.
Direi quasi che in questo senso A Monster's Call, film sicuramente non perfetto, magari per qualcuno retorico e apparentemente "di genere", possa essere considerato importante e, addirittura, didattico, di vero e proprio insegnamento (del resto se ha fatto breccia ed è "servito" a un 45enne come me immagino quanto, anche se con dolore e complessità, possa far bene a ragazzi più giovani).
Andando più nel particolare ho trovato leggermente "strane" e forse un pelo incoerenti le tre storie.
Le prime due a cartone animato, la terza no.
La seconda e la terza con uno sfogo pratico (casa distrutta, bullo pestato) e la prima no.
Quello che raccontano sono cose non scontate e non di facile presa ma, alla fine, sono tutte storie "violente" che insegnano come quasi mai è facile individuare chi sono i "cattivi, come a volte le punizioni spettano anche a quelli che sembravano le vittime, come le stesse vittime possano nascondere dentro di sè i carnefici.


Forse servirebbe una seconda visione del film per vedere se queste tre storie hanno un percorso coeso, individuabile, perfetto per la rivelazione finale (la verità della quarta storia).
Ecco, ho avvertito una certa confusione in questi racconti, suggestivi sì ma un pochino "casuali", messi alla rinfusa.
Che bello però rivedere Kebbel, che bello il Tasso, che bella questa storia dove tutto sembrava già scritto, anzi, disegnato (i racconti altro non erano che degli schizzi della madre bambina, come se avesse lasciato un'eredità di storie che, un giorno, avrebbero salvato il figlio, lo avrebbero aiutato ad accettare tutto).
Ci sono tante suggestioni, vedi King Kong (ancora una volta il presunto mostro da uccidere, in realtà una vittima), vedi il discorso sull' "invisibilità" (che porta anche alla consapevolezza per Conor che alla fine le sue azioni violente non suscitano rabbia, che siano solo inutili) e tante altre piccole parti di cui mi sarebbe piaciuto parlare ma che, adesso, mi sembrano troppo piccole rispetto a quello che il film mi ha raccontato.
E ho la netta sensazione che questa recensione non sia lucida, non sia obiettiva.
Ho la netta sensazione che non sia nemmeno una recensione, in verità.
Con calma, a freddo, rivedrò il film e, a chi mi chiederà, saprò raccontarlo in maniera più serena, come fosse un film.
Ma mi è servito per dire quello che ho detto.
E sono sicuro che, babbo, tu, almeno tu, in quel desiderio di non vederti più capisci l'amore che c'è dietro.
E in quella tua ultima immagine prima che la bara si chiudesse, in quegli occhi finalmente chiusi, in quella bocca finalmente serrata, c'era una serenità così meravigliosa che so che quel mio desiderio, alla fine, era anche il tuo.

1.1.23

CLASSIFICHE 2022 IL BUIO IN SALA - I MIGLIORI 15 FILM USCTI QUEST'ANNO IN ITALIA e altre piccole cose




 Probabilmente questo è stato l'anno in vita mia (o almeno negli ultimi 10 anni) con meno film visti.
Ho anche paura a dire il numero totale ma siamo lontani dall'essere uno a settimana...
Altra cosa "strana" è che questo spazio, da sempre caratterizzato per i film non distribuiti, quest'anno non solo non avrà la classifica a riguardo (di solito la facevo sempre a parte) ma, vi giuro, credo che fuori sala (80%) e piattaforma (15%) io abbia visto sì e no 5 titoli non arrivati alla distribuzione ufficiale in Italia.
E allora pace, mi limito ad un unico post dove riordinare 15 film belli o bellissimi visti in sala (tranne due, e uno mannaggia a cristo) e dopo aggiungere cose alla rinfusa come un paio di delusioni e altre minicategorie.
Nel 2023 si spera di far meglio :) 

I TITOLI RIMANDANO ALLE RECENSIONI




Richie Bravo è un cantante da balera famosissimo decenni prima.
Adesso è "vecchio" e per arrotondare deve fare concertini con musica in playback davanti ad esangui - ma appassionate - vecchie fan, fan con le quali (e questo tipo di sesso-amore in Rimini è trattato in modo meraviglioso) va anche a letto a pagamento.
Tutto questo in una Rimini invernale, nebbiosa, con un'ossimorica neve che fa pure capolino.
Tutto questo in alberghi che hanno smesso di essere vivi da 30 anni, così come il protagonista.
"Rimini" è un film sulla solitudine, sulla sopravvivenza, sul cercare ancora di restare aggrappati a quello che si era.
Un personaggio principale straordinario e un soggetto che adoro in un film, però, che pur bello risulta un pochino fragile narrativamente, ha una seconda storia debole e un finale, ahimè, che è la parte peggiore di tutto.




Siamo dentro il ristorante (con cucina a vista) di un importante chef.
In tempo reale vivremo tutto lo stress, le difficoltà, le pressioni psicologiche che questo lavoro può comportare.
Eppure Boling Point  - oltre che piccolissimo affresco di un mondo, quello dell'alta cucina - è anche viaggio psicologico e intimo di un solo uomo, un uomo che in un'ora e mezza vive e trattiene mille emozioni.
E forse trattenerle così a lungo può portare solo a un epilogo, quello del meltdown, del punto di ebollizione.
Tutto in un incredibile e unico piano sequenza



Piove è senza ombra di dubbio uno dei migliori horror prodotti in questi anni nel nostro paese.
Roma, uno strano fumo proveniente dal sottosuolo rende le persone sempre più rabbiose, l'odio serpeggia.
Colpirà tutti, anche una famiglia devastata da una recente tragedia.
Piove è sì un horror ma ciò che lo eleva è la sua parte drammatica, è il racconto esatto, terribile e doloroso di alcuni inferni famigliari, tra padri e figli adolescenti che un tempo si amarono e ora si odiano, tra vuoti incolmabili, tra ferite dell'anima e del corpo, tra sensi di colpa che si provano e si danno.
E anche un film pieno di interpreti eccezionali, dalla grande colonna sonora, dalla grande fotografia.
Un'opera coraggiosa che ha la forza di andare nel profondo e mostrare realtà al tempo stesso quasi sempre più nascoste ma quasi sempre più diffuse.



Opera prima di un giovane regista teatrale - tratto dalla sua omonima piece, vincitrice di Pulitzer-  The Humans è uno di quegli esempi in cui è facilmente percepibile una scrittura "superiore", illuminata, uno di quei testi che - apparentemente parlando del "niente" - sono invece capaci di aprirti la testa, mandarti in mille direzioni diverse, farti provocare emozioni contrastanti e indirizzarti su letture che non c'entrano niente l'una con l'altra.
Senza dimenticare una regia di grande classe e raffinatezza (almeno 3 scene sono eccezionali per come sono costruite).
Un appartamento malandato in cui una famiglia sta per effettuare un trasloco.
Padre, madre, nonna, le due nipoti e il fidanzato di una delle due.
Non usciremo più da lì.
Incomprensioni, dolori, incubi, traumi, dialoghi su dialoghi.
Di cosa parla The Humans? Impossibile dirlo, ognuno lo farà suo in maniera diversa.
Quando una sceneggiatura raggiunge livelli apicali




Siamo a Trieste.
Un vecchio uomo che vive in una grande e vecchia casa (vera protagonista del film) scopre che verrà sfrattato.
Ma quella casa è tutta la sua vita (e nel finale capiremo perché) e lui non vuole andarsene. Decide quindi di murarsi in un piccolo stanzino, nessuno se ne accorgerà.
Film italiano di quel Bianchini di cui provai a vedere "Radice quadrata di 3" (abbandonando dopo 10 minuti senza averne capito una parola) e del quale amai invece molto "Across the river", horror di pura atmosfera, quasi muto e con un solo protagonista assoluto.
L'Angelo dei muri è senz'altro il suo film più sentito, maturo, complesso, e anche quello che scavalca di più il genere puro.
Pellicola dalla grandissima anima che in un finale davvero struggente rivela una storia di profondissimo dolore, certo prevedibile da uno spettatore attento e scafato (noi avevamo previsto il colpo di scena a metà film) ma che non perde minimamente d'emozione.

LA TOP TEN




Siamo in Donbass (ma il film è del 2020, in tempi non sospetti).
Quattro piccole storie, quattro episodi tutti svolti in uniche location.
Un modo per raccontare il clima della guerra - di tutte le guerre - davvero notevole.
Dialoghi eccezionali, vicende tutte legate da fili sottilissimi che, in una sceneggiatura davvero stimolante, sarà bellissimo ricercare per lo spettatore.
Un posto di blocco, una panchina, un ex sanatorio distrutto, una fattoria.
Un film quasi teatrale che racconta dei "duelli psicologici" tutti giocati sul vero ed il falso, sull'impossibilità di capire le reali intenzioni dell'altro.
Ben recitato, benissimo girato, straordinariamente scritto.
Sarebbe piaciuto a Gogol




Paul Thomas Anderson torna con un film ad "altezza nostra", abbandonando le sue immense cattedrali alle quali ci aveva abituato.
E lo fa con un film "da covid", un film piccolo e che ci fa star bene.
Ne viene fuori un'opera molto meno ambiziosa di quelle a cui ci aveva abituato ma non meno bella, forse perchè più accessibile.
Nella Los Angeles del 1973 la storia di un dolce, strano ed irresistibile rapporto, quello tra il 15enne Gary e la 25enne Alana.
Si prendono, si lasciano, si cercano, si staccano, in una serie di vicissitudini raccontate sempre con grandissima leggerezza da Anderson.
Non è una dolce storia d'amore ma, semmai, la possibile genesi - nel finale - di una storia d'amore.
Un film che è un abbraccio e che ha il merito di averci regalato il debutto di una straordinaria Alana Haim e quello di un figlio d'arte, Cooper Hoffman, figlio dell'immenso Philip Seymour.




Terzo film di Garland che vedo e, per quanto mi riguarda, terza grande opera.
Se Ex Machina aveva accontentato tutti, se Annientamento pure (ma in senso contrario, quasi tutti l'hanno poco amato), questo Men è di sicuro il suo film più divisivo.
Del resto è il più complesso, il più coraggioso.
Harper, dopo il suicidio del marito, decide di prendersi una pausa e si regala una breve vacanza in un piccolo paesino inglese.
Il posto e la casa sono bellissimi ma i paesani sempre più inquietanti...
Forse quel luogo e quelle persone hanno un significato ben preciso.
Nella recensione, come, sempre, cercherò di dare una mia interpretazione (senza aver letto una riga altrove) che, giocoforza, sarà molto carente (se non nulla) su alcuni aspetti del film (specie i simboli pagani) ma almeno ha il vantaggio di essere sincera.
Un film di uomini e donne, rapporti tossici, pregiudizi e rinascite.



L'ultimo film dei gemelli D'Innocenzo è ancora una volta, per me, splendido.
Inutile dire che il giudizio è fortemente soggettivo visto che le atmosfere, le tematiche, il mood e la scrittura dei due fratelli ha tutto il cinema che io amo, da sempre.
La storia di un dentista, benestante, della sua splendida casa e della sua famiglia perfetta.
Ma c'è qualcosa in cantina, qualcosa di terribile.
Thriller psicologico di grande raffinatezza formale, crudo, intenso, con un Elio Germano spaventoso.






Nostalgia è un grande film, malinconico, emozionante, teso.
La storia di Felice, un 55enne che dopo 40 anni torna a Napoli, la sua città natale, città dalla quale dovette fuggire dopo una terribile vicenda.
Felice torna ma non sembra nemmeno un uomo adulto, piuttosto un bambino che torna a quello che era e a pieni polmoni respira tutti i ricordi di un tempo.
Ma il mondo è andato avanti, sono passati 40 anni, di cose nel Rione Sanità ne sono successe e Felice dovrebbe prenderne atto e, magari, andarsene via.
Ma ormai è impossibile farlo, Napoli è tornata dentro le sue ossa e lì vuole restare.
Ancora una volta grande cinema italiano, di grandi attori, di grandi luoghi e di piccole storie ordinarie che diventano straordinarie, con alcune sequenze che non se ne vanno via.
Come quella di una tinozza e di una vecchia donna nuda, scena talmente bella e talmente simbolica da far parte di ognuno di noi.




Film rumeno (una scuola ormai consolidata e che ha portato a vette eccezionali questi anni) che è lezione di regia, lezione di scrittura, lezione di recitazione e che è capace, in un finale indimenticabile - da brividi -  di portare lo spettatore a profondissime e complesse interpretazioni e considerazioni (io ho provato a dare le mie, come sempre).
Cristina è un giovanissima (e bellissima) suora.
Un giorno fugge dal monastero per andare in città, c'è qualcosa di molto delicato che deve fare.
Nel viaggio di ritorno accade l'orrore.
Una storia dolorosa che vi farà soffrire e pensare




Opera prima, magnifica, di una giovane regista friulana, Piccolo Corpo è il racconto di una madre, della sua bimba nata morta e di un lungo viaggio verso un santuario dove, si dice, può avvenire un miracolo.
Quel miracolo è un unico respiro, un unico respiro per ricevere un nome, un nome e un battesimo per non restare confinati per sempre in un limbo.
E il limbo, la condizione di mezzo, è il trait d'union di tutto il film, tra vita e morte, tra realismo e favola, tra passato e presente, tra mare e terra, tra identità sessuale.
Un film di rara grazia e mai retorico, anzi, forte come forte è la sua protagonista.
Ancora, l'ennesimo, grandissimo film italiano.





Athena è un film formidabile, potentissimo, deflagrante come le bombe che lo vivono.
Un viaggio senza respiro dentro una Parigi letteralmente esplosa.
Un film sull'odio, sulla rabbia incontrollabile, sul Caos, sull'impossibilità di capire chi è chi, chi ha fatto questo e quello, chi è il nemico.
Un film quasi unico perchè riesce a trasformare la tecnica usata (una serie di piani sequenza incredibili e un ritmo infernale, alla Safdie) in vera e propria tematica, senza bisogno che l'intreccio venga troppo curato (volutamente).
Un film di 4 fratelli che diventa archetipico, ancestrale, simbolico, ed è proprio per questo (come dicevo appena sopra riguardo la tecnica) che ha il coraggio di non puntare troppo sulla verosimiglianza.
Per quanto mi riguardo un film quasi perfetto e una delle miglior cose mai viste su Netflix.





Terzo film di Peele e terza conferma di trovarsi davanti un grandissimo autore, uno di quelli per cui la definizione di genio non è così arrischiata.
Se Get Out era un film praticamente perfetto ma che (oltre alla tematica razziale) non cercava chissà quanti sottotesti, se Us era invece un film già ambiziosissimo, se possibile, con Nope, il regista americano è andato ancora più su, creando un'opera dagli infiniti sottotesti ma che sa mantenere una sua spiccata spettacolarità, da vera e propria fantascienza blockbuster.
Film davvero unico, al tempo stesso atto d'amore verso il "primo" cinema ma anche grido d'accusa contro i nostri tempi, quelli ricerca del successo, della fama e dei soldi facili, quelli dell'uso strumentale delle tragedie, quelli del voler rendere tutto spettacolo.
Anche andando contro leggi di natura che, se infrante, si dimostrano devastanti per l'essere umano.



Spencer è un capolavoro.
Spencer non è il racconto della vita di Diana.
Spencer è il racconto di un'apnea di 48 ore, 48 ore che simboleggiano e hanno dentro un'intera vita, una vita anfibia, metà reale e metà Reale.
Un thriller psicologico annichilente per bellezza.

ALLA RINFUSA

LE DUE PIU' GRANDI DELUSIONI

1 EO
2 BELFAST

QUELLI CHE Sì BELLI MA SPERAVO TANTISSIMO

1 THE NORTHMAN
2 TRIANGLE OF SADNESS

IL MIGLIORI VISTO AL TOHORROR

MEGALOMANIAC

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