31.1.18

Tricarico e la libertà d'essere ciò che si è

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E' il 2000.
Ho 23 anni, sto per diventare istruttore di tennis e, di lì a poco, partire per il servizio civile.
Il mondo non ha ancora paura, il millenium bug era una bufala, le Twin Towers sono ancora su.
Un giorno su Mtv vedo il video di una canzonetta.
Questo video.




Mi metto a ridere.
Mi chiedo chi è sto ragazzo che manco sa cantare e ha una canzone così infantile e stupida.
Mi sembra assurdo.
Poi i giorni dopo mi capita di ascoltarla altre volte.
E non mi faccio più fregare dalla cantilena, dalle mezze stonature, dalle parole che sembrano uscire da un tema di un bambino di 7 anni.
Non mi limito più a sentire, inizio ad ascoltare.

"Buongiorno buongiorno io sono Francesco
io ero un bambino che rideva sempre
ma un giorno la maestra dice oggi c’è tema
oggi fate il tema, il tema sul papà
io penso è uno scherzo sorrido e mi alzo
le vado vicino, ero contento
le dico non ricordo mio padre è morto presto
avevo solo tre anni non ricordo non ricordo
lei sa cosa mi dice neanche mi guardava
beveva il cappuccino non so con chi parlava
dice “qualche cosa qualcosa ti avran detto
ora vai a posto e lo fai come tutti gli altri”
puttana puttana, puttana la maestra
puttana puttana, puttana la maestra
io sono andato a posto ricordo il foglio bianco
bianco come un vuoto per vent’anni nel cervello
e poi ho pianto non so per quanto ho pianto
su quel foglio bianco io non so per quanto ho pianto
brilla brilla la scintilla brilla in fondo al mare
venite bambini venite bambine e non lasciatela annegare
prendetele la mano e portatela via lontano
e datele i baci e datele carezze e datele tutte le energie
Cadono le stelle è buio e non ci vedo e la primavera
è come l’inverno il tempo non esiste neanche l’acqua del mare
e l’aria non riesco a respirare
e a dodici anni ero quasi morto
ero in ospedale non mangiavo più niente
e poi pulivo i bagni, i vetri e i pavimenti
per sei sette anni seicento metri quadri
tadanatadadana
e il mio capo il mio capo mi ha salvato
li ci sono giochi se vuoi puoi giocare il padre è solo un uomo
e gli uomini son tanti scegli il migliore seguilo e impara
buongiorno buongiorno io sono Francesco
questa mattina mi sono svegliato presto
in fondo in quel vuoto io ho inventato un mondo
sorrido prendo un foglio scrivo viva Francesco
brilla brilla la scintilla brilla in fondo al mare
venite bambini venite bambine e non lasciatela annegare
prendetele la mano e portatela via lontano
e datele i baci e datele carezze e datele tutte le energie
venite bambini venite bambine
e ditele che il mondo può essere diverso
tutto può cambiare la vita può cambiare
e può diventare come la vorrai inventare
ditele che il sole nascerà anche d’inverno
che la notte non esiste guarda la luna
ditele che la notte è una bugia
che il sole c’è anche c’è anche la sera."

e ho capito che quello che avevo appena ascoltato era un qualcosa di una potenza impressionante.

"su quel foglio bianco io non so per quanto ho pianto"

Poche volte ho letto una frase al tempo stesso così bella, così dolorosa e così incredibile. In una sola frase quello che altri avrebbero raccontato in righe e righe.
Tricarico il padre lo aveva perso davvero, a 3 anni.
E questo è un brano che racconta di un trauma incredibile.
In maniera dolcissima, di una poesia primitiva.
In ogni caso c'era la sensazione che sto ragazzo un pò giocasse con quel suo essere un pò infantile e un pò naif

Poi arrivò il 2008 e Tricarico andò a Sanremo.
E sul palco si presentò un giovane uomo impacciato, su un altro mondo, un pesce fuor d'acqua, quasi, a sensazione, un ragazzo con qualche deficit mentale.
Io in quegli 8 anni non avevo più ascoltato Tricarico ma appena lo vidi lì ripensai a quando ci raccontava che lui era Francesco.
E niente, capii che era tutto vero

Tricarico cantò un brano ancora una volta basico, dalla sintassi e dal glossario di una semplicità imbarazzante.
Questo brano.



Ho sempre pensato 
Quando avrò questo sarò saziato 
Ma poi avevo questo…ed era lo stesso 
Ho sempre pensato 
Troverò il mare e sarò bagnato 
Il mare ho trovato… ma nulla è cambiato… nulla 
Che cos’è… che io aspetto… 
Io… voglio una vita tranquilla 
Perché è da quando sono nato 
Che sono spericolato 
Io… voglio una vita serena 
Perché è da quando sono nato… che è 
Disperata… spericolata… 
Però libera… verde e sconfinata 
Io dovrei… non dovrei 
Ho sempre pensato 
Quando avrò il cielo sarò stellato 
Divenni una stella… ma ero lo stesso 
Sempre lo stesso 
Ho sempre pensato 
Troverò lei e sarò rinato 
Lei ho trovato… qualcosa è cambiato 
Qualcosa è cambiato 
L’ultima illusione non è svanita 
Io libero per sempre 
Io… voglio una vita tranquilla 
Perché è da quando son nato che sono spericolato 
Io… voglio una vita serena 
Perché è da quando son nato… che è 
Disperata… spericolata… 
Però libera… verde e sconfinata 
Io dovrei… non dovrei 
Io… voglio una vita tranquilla 
Perché è da quando son nato che sono spericolato 
Io… voglio una vita tranquilla 
Perché è da quando son nato… che è 
Disperata… spericolata… 
Però libera… verde e  sconfinata 
Io dovrei… no non dovrei…

Ricordo che mi ritrovai a piangere mentre vedevo sto ragazzone stralunato che urlava i suoi bisogni e quello che lui era

Ascoltai quel brano tante volte, tantissime.
Perchè la musica la si può prendere da tanti lati, da quello della qualità del suonato, da quello dell'importanza, da quello della bellezza dello scritto, da quello dell'emozione.
Ma con Tricarico mi accorsi che a me alla fine non fregava niente di nulla.
Quelli erano due tra i brani più veri che avessi mai sentito.
Quello era lui.
L'essere fuori posto, stonato, impacciato, infantile significava l'esser libero.
Tricarico raccontava della libertà più primitiva del mondo, quella che manco c'entra niente con la società e con il mondo che ci circonda.
La libertà di essere ciò che si è.
E più lo cantava stonando più ogni stonatura urlava verità

E forse tutti dovremmo prendere un foglio e scrivere "Viva Francesco"





Tipi da Videoteca (N°10): Il Bodyguard Madeche - Puntata Unica - Comparsate da vedè al microscopio, albanesi che dicono de non esse albanesi ma parlano albanese e dialoghi surreali scritti, letteralmente, da Tarantino


Incredibile.
Sono passati DUE ANNI E DUE MESI da quando avevo chiuso questa rubrica, senza dubbio la più amata nella storia del blog.
Due anni e due mesi da quando avevo chiuso, anche nei ricordi scritti, questa pagina della mia vita.
Eppure ieri m'è venuto in mente un episodio, e dall'episodio m'è tornato in mente il protagonista dell'episodio.
E niente, ho voluto cristallizzare nel tempo anche lui, ho voluto portarlo qua.
Magari chi amava la rubrica è contento e chi non la conosceva...la conoscerà

( le altre 23 puntate sono nell'etichetta "Tipi da Videoteca". Sono due pagine, bisogna andare nella seconda pagina e leggere dal basso verso l'alto, per rispettare la cronologia)

Una volta a settimana mandavo in videoteca mio fratello (per avere un giorno libero visto che aprivo tutti i sabati, le domeniche e anche le feste comandate).
Era uno di quei giorni.
Sono in macchina, mi chiama dal negozio.

"Non poi capì"

mi fa lui

"Che?"
"Non poi capì"
"Che?"
"Non poi capì t'ho detto"
"Me dici cosa cazzo?"
"No, non te lo dico perchè tanto non poi capì, vedrai domani"

Il domani, come tutti i domani, arriva.
Ad un certo punto della sera mi entra in negozio uno, si mette a sedere davanti a me, si sistema gli occhialini e mi fa:
"Te l'ha detto tuo fratello che sono venuto ieri?"

(io ripenso a quel "nonpoicapìchenonpoicapìche")

"Ah, sì sì, ma mi ha solo detto che oggi aspettavo visite"
"Ah, bravo tuo fratello, gliel'avevo detto che non doveva dirti niente al telefono"
"Ma scusa, di che, ci conosciamo?"
"No, non ci conosciamo, piacere"

e mi dà la mano.
(non ricordo se fece la tessera in quel preciso momento o più tardi, fatto sta che quando vidi la data di nascita rimasi sbigottito, era più giovane di me di 4,5 anni e ne dimostrava 10 in più)

"Ascolta, dico anche a te le cose che ho detto a tuo fratello ma devono restare segrete"
"O.k, dimme"
"Perchè per il tipo di lavoro che faccio preferisco che non vengano fuori"
"Certo certo, dimme"
"Mi capisci no? ci sono alcuni lavori che devono mantenere il riserbo"
"Capisco perfettamente, dimme"
"Devi sapere che sono tra le guardie del corpo di un personaggio famoso, ma non posso dire altro"
"Ah, capito, no, tranquillo, non dico niente, anche perchè magari è una cazzata"
"Saviano ti dice niente?"
"Certo che mi dice qualcosa"
"Ecco, fai finta che non ti ho detto nulla"

CRISTO

un Bodyguard, una specie di agente segreto che non deve dir NULLA del suo lavoro e in due giorni entra due volte nello stesso negozio e senza che nessuno gli chieda niente dice a due fratelli diversi quello che fa.
Avevo tra le mani un nuovo soggetto meraviglioso, mentre lui parlava esultavo sotto la scrivania

La discussione va avanti, mi racconta altre mille cose, mi dice che lì in quel quartiere se avessi avuto problemi ce pensava lui, che tutti lo temono.
Lo ringrazio ed esce.
Poi esco anche io, trovo un gruppo di ragazzi e gli dico

"Ma lo conoscete A.......? quello che è uscito ora dal negozio?"

"Ma chi

 -me fanno loro -

quello che glie menano tutti?"

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A. è seduto davanti a me, praticamente veniva ogni santo giorno.
Ad un certo punto parlando di film (in un certo settore ne capiva anche) mi dice:

"Lo sai che ho recitato su Troy?"
"Ma che cazzo dici su, la solita tu cazzata" 

(ormai ce ne erano state tante e la confidenza era alta)

"Ascolta Beppe (che rabbia sentirmi chiamare Beppe...), forse non hai capito, ho recitato in Troy, perchè non ci credi?"
"Perchè non è vero, semplicemente"
"Ascolta, ce l'hai in videoteca il dvd? ti faccio vedere"
Purtroppo per lui ce l'avevo, credo non se l'aspettasse.
Lo vado a prendere e lo metto sul lettore dvd.

Lui inizia ad agitarsi, poi a forza di avanti e indrè troviamo la scena.
"Eccola! ferma!"

fermo
Era una scena di battaglia, qualcuno in primissimo piano, qualcun altro in secondo e tanti sullo sfondo.
"Cazzo A. ! quale sei? questo?"
gli indico uno dei due in primo piano.
"No"
"Questo?"
gli indico un altro in primo piano
"No"
"Ma sì, hai ragione, quello era Brad Pitt. Sei questo?"
E gli indico uno in secondo piano
Insomma, glieli indico tutti fino a che lui non me dice:

"Eccomi"

e mette il dito sulle facce indefinibili, sullo sfondo.

"Ma quale? non si vede un cazzo!"
"Questo questo, non mi vedi?"
"Ma dai, ma quelle son tutte facce indefinite, saranno addirittura fatte al computer"
"Ascolta, ti dico che sono quello, se non ci credi zooma"
"No no, te credo. Anzi, ora a ripensacce bene c'ero pure io, guarda, so quello tre a destra da te, come cazzo avevo fatto a scordamme che ero su Troy... C'avevano pagato bene no?"

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30.1.18

Recensione: "Canzoni dal secondo piano"



Anche se l'ho visto per ultimo questo è il primo film della Trilogia sull' "Essere un essere umano" di Andersson.
E che dire, ho avuto la conferma che ci troviamo davanti ad un Film Unico, un'opera dalla coerenza tematica, narrativa e della messinscena pazzesca.
L'essere umano anderssoniano è un essere umano senza speranza, fermo su sè stesso, grottesco, esangue.
Probabilmente quella che viene raccontata è quasi un'Apocalisse.
Si ride, si riflette, in un'opera (intesa come trilogia) che, per quanto mi riguarda, è una delle cose più grandi di questi nostri anni 2000

"In Canzoni dal secondo piano abbiamo i soliti figuri di Andersson, un'umanità dai colori esangui che quasi si mimetizza con dei luoghi, delle stanze, dai colori smorti.
Tutte le location di Andersson sembrano delle camere mortuarie in cui i morti ancora non si rendono conto d'esser tali."



La sala riunioni di una grande azienda.
Un grandissimo tavolo ai cui lati siedono importanti dirigenti, tutti praticamente vestiti uguali.
Stanno tutti zitti.
Uno di loro sta cercando un foglio importante in mezzo a tutto l'incartamento che ha.
Tutti lo guardano.
Venti teste tutte girate verso quell'uomo che cerca il foglio.
Foglio, ovviamente, che non viene trovato.
Ecco, questa è una scena ancora più scollegata dalle altre in questo film che, comunque, è fatto di scene che, se son collegate, lo sono davvero con lo sputo.
Eppure in questa scena ho trovato tanto di Canzoni dal secondo piano, tanto della Trilogia di Andersson, tanto della sua poetica.
Intanto la messinscena.
Quasi sempre le scenette di Andersson hanno come epicentro un piccolo fatto, una piccola azione, quasi insignificante, e un "pubblico" che la osserva.
Voi fateci caso ma a volte la cosa più esilarante di Andersson sta proprio in chi osserva. 

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Tante volte è sullo sfondo, o di lato, o comunque da andare a ricercare con gli occhi.
Andate per esempio anche alla scena del pestaggio (senza motivo) dell'uomo che cerca col fogliettino un altro uomo.
Guardate in fondo a destra, li vedete quegli osservatori dall'altra parte della strada?
Ecco, questo con Andersson accade quasi sempre, che siano due, tre, 20 o 50 osservatori c'è sempre qualcuno che guarda, fermo, inerme, un palo.
E cosa guardano?
Guardano quasi sempre la disgrazia di un loro simile.
Nei film di Andersson di uomini vincenti non ce ne sono, di sogni realizzati nemmeno, di gesti virtuosi neanche, di cose riuscite manco per sogno.
I protagonisti di Andersson sono manichini a cui succede sempre una disgrazia, oppure uomini che vivono il nulla, oppure esseri grotteschi che stanno facendo cose senza senso.
Il fallimento è la base.
Ma torniamo a sopra.

28.1.18

Recensione: "Corpo e Anima"

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Il vincitore di Berlino è un film bello, forse bellissimo, che ha però evidenti problemi di sceneggiatura, specie nella costruzione dei personaggi secondari o in alcuni passaggi narrativi.
Eppure è potente lo stesso, eppure la storia di lei e di e lui, la storia di questi due cervi, è davvero tanta roba.
Un film sull'amore forse, o su una ricerca.
Con un personaggio, quello di lei, davvero straordinario

presenti spoiler dopo ultima immagine

C'è quel bosco innevato che pare tanto un altro bosco innevato, quello dove, un giorno, si incontrarono un padre e un figlio.
Quel padre, per quella particolare magia che hanno i sogni o i ricordi trasposti, era incredibilmente molto più giovane del figlio.
Insegnava lui il rumore del mare.
Quel luogo era l'unico luogo dove questo padre e questo figlio potevano incontrarsi.
Che buffo, il bosco è lo stesso e ancora una volta ci troviamo in un sogno.
E ancora una volta le due persone che si incontrano in questo bosco lo fanno col potere metamorfico dei sogni.
Son due cervi, anzi, cervo e cerva che in questi casi il genere è importante.
Stanno vicini, si proteggono, si toccano il naso.
Poi siamo catapultati dentro un mattatoio.
E Corpo e Anima diventa in questo strano inizio una specie di film dell'orrore, un orrore vero e diffuso che noi carnivori dobbiamo avere la coerenza e il coraggio di conoscere.
Eppure non sempre far vedere l'orrore, sbatterci in faccia certe cose, deve arrivare a questi eccessi, a questa durata, a questo grand guignol. Anche perchè tutto questo che vediamo poi, col film, c'entra solo marginalmente. E allora se non sei tematica principale si potrebbe anche aver più delicatezza.
Ma pensier mio.

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Endre è il direttore finanziario di questo mattatoio. Ha un braccio, per fortuna il sinistro, paralizzato. 
Anche la sua vita tanto lontana dalla paralisi non è, monotona, quasi spenta, ormai priva dal mondo femminile.
Eppure è uom piacente, intelligente, mediamente simpatico, cortese ma capace di prendere il toro per le corna.
Ma Corpo e Anima non è Endre, Corpo e Anima è Maria (e che la regista sia donna caso non è).
Maria che la prima volta che la vediamo ritrae di soli 10 cm quel piede che, malandrino, era finito nella luce.
Quel suo ritrarlo nell'ombra è uno dei più piccoli gesti che ho visto recentemente al cinema a raccontar più cose.
C'è tutto di lei, c'è appunto la metafora di stare nell'ombra, nel suo mondo, lontana dagli altri e dal palcoscenico, la timidezza di un'anima solitaria.
Ma c'è anche il suo metodo, la sua ossessione, il suo assoluto bisogno di perfezione, il suo rifuggire sporcature nel suo mondo intonso e netto. E se queste sporcature son 4 briciole di pane in un tavolo, una forchetta non allineata nel piatto (pare il John May di Still Life) o l'unghia del piede che finisce nell'ombra è lo stesso.

24.1.18

Recensione: "The Open House" - Su Netflix

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L'ultimo horror arrivato su Netflix è, per larga parte della sua durata, una sagra del già visto.
Eppure è davvero vincente l'idea di mixare il fenomeno delle open house (quelle case aperte che chiunque, a giorni prestabiliti, può andare a visitare) con un racconto del terrore.
Perchè The Open House diventa così un film che può esser tutto, un home invasion, uno psicologico, una ghost story.
Peccato che il finale, a mio parere, rovini veramente quel poco o tanto che di buono avevamo visto.
Solo per appassionati.

presenti grandi spoiler dopo la seconda metà

Comincia bene The Open House.
Comincia bene perchè riconosco al volo due volti molto interessanti.
Prima quello del padre che, guarda caso, avevo conosciuto da pochissimo in un gran bel piccolo film, Closet Monster, dove faceva bene o male la stessa parte. Mi era rimasto talmente impresso in quel film che dopo un secondo che l'ho rivisto qua ero già ben predisposto. Mi piace molto, ha grande espressività, è paraculo, sa sorridere, attore da seguire.
Poi ho visto il ragazzo e, niente, il mio cuore è andato a Lost, dove interpretò nell'ultima stagione il "figlio" di Jack.
L'ho rivisto poi sia in Prisoners che in The Man in the dark.
Ha un viso molto interessante, sulle capacità interpretative ho ancora bisogno di tempo per capire.
Sì perchè in questo The Open House il suo personaggio, Logan, è un adolescente che perde il papà dopo 5 minuti di film.
E allora si porterà dietro per tutto il resto del tempo un'espressione triste, spenta, senza vita, monocorde. Capire quindi se Dylan Minnette sia veramente bravo o quella fissità-apatia non sia del personaggio ma veramente sua lo dovremo scoprire.
Allora, c'è da dire che come ormai TUTTI i nuovi horror, specie quelli prodotti da Netflix, la qualità tecnica è davvero alta. In ogni caso la grana mi è piaciuta, non l'ho trovata patinata, ma credibile.
Per i primi 20 minuti assistiamo alla sagra del già visto. Famiglia che perde un pezzo, trasferimento nella nuova casa (ovviamente più isolata), conoscenza dei vicini, tensioni nei rapporti, bal bla bla.
Quello che succede poi è invece molto interessante e spiega così il titolo del film, titolo che io pensavo come "la solita cazzata senza significato".
E invece no, invece questo "horror" sfrutta proprio la faccenda delle open house, ovvero quelle case che, in America, possono essere visitate anche da più persone contemporaneamente (ovviamente d'accordo con l'agenzia).
E se ci abita qualcuno sticazzi, deve uscire e lasciare la casa per ore alla mercè dei visitatori.
Ecco, inserire un racconto del terrore in questa cornice è idea assai vincente. Perchè The Open House diventa così un film che è una specie di subdolo home invasion, un film che racconta principalmente di una delle ossessioni negli States, quello della privacy.
Logan e madre si ritrovano continuamente gente, sono costretti ad uscire, vivono in una casa che è praticamente "di tutti".
Incredibile come questa idea abbia dei punti in comune con quel mezzo capolavoro che è madre!

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Un'idea geniale che dà la possibilità al film di giocare con tante possibilità.
Perchè succedono cose strane in casa?
Fantasmi?
Visitatori della open house?
Maniaci?
Ed è ottimo, in questo senso, che il film ci presenti più personaggi secondari a creare così un clima di sospetto su più fronti.
Molto interessante anche l'uso di un paio di soggettive che, come dicevo sopra, possono esser lette in più maniere, sia come semplice movimento di macchina, che come presenza trascendentale che come presenza reale, di qualcuno che sta lì dentro.
Ecco, sì, l'idea della open house è davvero stuzzicante ma, per il resto, c'è davvero poco altro.
Cellulari che spariscono, caldaie che si spengono, occhiali che non si trovano più, Logan e madre iniziano ad innervosirsi e, pure, a sospettare l'uno dell'altro.
Fino a quando non troveranno una tavola imbandita che darà conferma loro che in quella casa non sono soli. O.k, entrano sempre visitatori, ma qualcuno di questi non è normale...
Buffo come, non so se volutamente, il film prenda quasi tutti gli aspetti di Shining.
Madre e figlio terrorizzati, la casa isolata, la neve, la caldaia, addirittura l'uomo di colore che viene a soccorrerli e viene ucciso.
E proprio grazie a quella scena le diverse possibilità che il film ci offriva decadono in favore di una deriva quasi slasher che non mi aspettavo.
E, dico la verità, ci poteva anche stare.
Il problema è che quello che vedremo nel finale è veramente un omicidio all'intero film.
Un film che parlava di dolore, di ricordi, forse di fantasmi, un film che lasciava tante possibilità non può finire così, come la storia di un maniaco che se ne va in giro in tutte le open house a massacrà gente.
No.
Perchè potevi darmi anche questa spiegazione reale e razionale (anzi, era preferibile) ma staccarla così da tutto quello che avevamo visto in precedenza è un buco nell'acqua pazzesco, togli anche quella poca profondità alla storia che hai voluto raccontare.
Finale banale, forse da possibile sequel ma non giustificabile.
Una buona idea di base per un film che non lascerà il segno

6

20.1.18

Recensione: "The Engine"



Un film autoprodotto costato due lire.
Ma che ha dentro passione, tecnica, sorprendenti effetti visivi e un'idea.
E tanta tanta ambizione, forse fin troppa.
Il modo migliore per cercare di venir fuori in questo difficilissimo, antimeritocratico e distruttivo mondo del cinema indipendente italiano

presenti spoiler nella seconda parte

alla fine della recensione c'è il vimeo del film

L'opera più grande che mai mortale abbia scritto finisce così:

"l'Amor che move il Sole e le altre stelle"

una cosa magnifica, divina sì (o almeno nella Commedia) ma anche tanto tanto umana.
Ecco, in questo film autoprodotto di Federico Res è un pò forse di questa cosa che si parla, di un qualcosa di grande grande, il Motore del titolo, che muove un pò ogni cosa nel nostro Universo.
Se però in Dante era proprio l'amore, il più grande dei sentimenti, quell'Amore forse da personificare in Dio stesso (che poi "personificare in Dio" è contraddizione in termini), se dicevo per il Poeta era l'Amore a muover tutto, ecco, in The Engine sembra più essere il Dolore il vero protagonista.
Dico subito una cosa.
Federico mi ha mandato questo film.
E in questi mesi in cui tardavo a vederlo mi sono accorto, da piccole cose, dell'umiltà di questo ragazzo ("vedilo quando vuoi! mi farebbe tanto piacere. Tranquillo, quando potrai potrai") un'umiltà che, purtroppo, ahimè, ha un pò anche a che fare con quella cosa che prende spesso ai nostri giovani registi che si autoproducono cose, ovvero la disillusione.
Però aver captato quest'anima timida e umile di Federico è stato importante per me durante la visione. Perchè, diciamocelo, The Engine è un piccolo film, poco più di un mediometraggio (un'ora spaccata), ma ambizioso da morire, ma da morire eh, di un'ambizione che se uno non conoscesse chi l'ha girato potrebbe farsi idee sbagliate, pensare che chi l'ha scritto e girato si creda stocazzo.
E invece no, e invece siamo davanti a un ragazzo che ha fatto un film di fantascienza esistenziale avendo a disposizione un budget ridicolo (non vi dico la cifra perchè, davvero, è incredibile), tanta passione, una location abbandonata in Sardegna e un'idea.
Io sono sempre stato convinto che i film autoprodotti debbano essere difesi a prescindere, io chi li attacca e umilia lo sopporto poco perchè non capisce il contesto, tratta The Engine come Interstellar, non ha alcun senso.
Comunque...


The Engine è un film quasi miracoloso per almeno due aspetti.
Il primo è l'estetica. Res ha un gusto dell'inquadratura fortissimo, muove la telecamera con grande dolcezza, ha occhio e ama lasciar parlare le immagini, tanto che per certi versi The Engine è una via di mezzo tra la "nuova" fantascienza esistenziale e il cinema contemplativo. E' un piacere per gli occhi vederlo.
Ma quello che, tecnicamente, fa più spavento è il livello degli effetti visivi. E pensare che sono stati fatti con una cifra da cenone di capodanno fa paura. Gli effetti di The Engine sono migliori di alcuni film milionari.
Quella palla di fuoco simile al Sole (o è il Sole?), quelle sfere che pulsano e quasi "rettiliane", beh, chapeau.

16.1.18

La Promessa 2018, ovvero i 15 film che dovrò vedere per forza entro l'anno (ma visto il 2017 cambierei il "per forza" con "preferibilmente")




La promessa 2017 è praticamente finita prima di cominciare...
Un anno disastroso in cui vedere i film che volevo vedere era quasi impossibile (chi mi conosce sa che più voglio vedere un film più rimando, per questo è nata la promessa).
Credo di averne visti 5, aahh
Insomma, diciamo che entro un mesetto sono costretto a pagare la mia penitenza, ovvero sorbirmi uno Step Up, TUTTO, dimostrando di averlo visto completamente nella recensione.
Quest'anno ci si riprova, qualche piccola speranza di farcela c'è.
Ah, metto anche 4,5 dei film non visti l'anno scorso.
Come al solito, se volete, chiedo anche a voi di fare la vostra promessa annuale.
Quella dell'anno scorso l'avete rispettata?
Avete pagato, semmai, la vostra penitenza?

AUSTERLITZ

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Perchè è da quando ne venni a sapere l'esistenza che bramo di vederlo

THE NEON DEMON


Non so più che dire sul fatto che ancora non l'ho visto ;)

HORS SATAN




Perchè sono almeno 5 anni che tutti mi parlano di Dumont e specialmente di questo film.
E io in questi "almeno 5 anni" ho visto un solo Dumont, il meno Dumont di tutti i Dumont

IT COMES AT NIGHT

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Perchè è l'horror che più mi è rimasto sul groppone non aver visto l'anno scorso.
Specie dopo aver conosciuto il regista con Krisha

SIERANEVADA


Perchè amo il cinema romeno

15.1.18

Recensione: "Tre Manifesti a Ebbing, Missouri"


L'opera terza di McDonagh è un film bellissimo, forse anche superiore al suo grandioso esordio di In Bruges.
Dialoghi sferzanti e divertentissimi che non depotenziano però un'opera sul dolore, un dolore grande e, purtroppo, definitivo, di quelli che non si possono alleviare in nessun modo, per nessuno dei tre protagonisti.
Ma anche un film di musiche e di attori in un cinema in cui ormai quest'ultimi sembrano sempre meno importanti.
Impossibile perderselo

presenti spoiler


"Che ti ci devo fare il manifesto?"

si dice spesso qui in Umbria (ma forse in tutt'Italia, ma forse in tutto il mondo) quando il tuo interlocutore sembra non voler assolutamente capire quello che gli stai dicendo.
Che sia una cosa da fare, che sia una cosa da NON fare, che sia una cosa da capire, che sia un sentimento da (di)mostrare, quella frase è appena quella prima del "Ma possibile che non lo capisci?".
In realtà Mildred -un'aliena Frances McDormand- i suoi manifesti, veri e trini, non li mette tanto per uno dei casi elencati qua sopra ma come vero e proprio grido d'accusa verso una polizia, quella del su paese -Ebbing of course- che non solo non ha trovato il colpevole dell'assassino, con stupro, della figlia, ma che nemmeno se ne frega di cercarlo.
E allora questa donna, una donna prosciugata dal dolore e dalla rabbia, una donna che se ne va in giro vestita come un meccanico, questa donna ha deciso che se la sua voce non si sente che siano le lettere, grandi e imponenti, a farlo al posto suo.
Buffo come questo film ribalti completamente il ruolo che portò la McDormand nei nostri cuori, quello della poliziotta di Fargo.
Lo ribalta sia come ruolo stesso -lei è ora la cittadina contro i poliziotti- sia come carattere, tanto buona e dolcissima nel film dei Coen (c'è bisogno di dire che sto film richiama i due fratelli? no direi) tanto belva assatanata, stronza e insopportabile in Tre Manifesti.
Perchè, ragazzi, sto personaggio lo ami alla follia ma che sia stronza, belva assatanata e insopportabile è dato di fatto eh.
E lo era probabilmente ancor prima che sua amata figlia finisse nelle mani di un mostro.
Anzi, c'è quel flash back che fa male come un cazzotto

"spero ti stuprino"

le disse, e io son convinto che se questa comunque sarebbe diventata ugualmente una donna prosciugata, il ricordo di quella frase ha accelerato il processo, ha aumentato il dolore, ha espanso il senso si non-vita ma, forse, ha fatto anche crescere quella rabbia che porterà Mildred ad essere un carro armato che non guarda in faccia a nessuno, un carro armato capace di mettere alla berlina il capo della polizia malato di cancro, di dare calci sulle palle e sulle ovaie ai compagni del figlio e di bucare il dito di un dentista grasso e ostile.
O di fare quello che farà verso la fine, con le molotov.
O di fare, forse, quello che vorrebbe fare dopo la fine del film.
Un personaggio talmente di merda che risulta adorabile. Ed è qui che tocca fa un primo passo e accenno alla sceneggiatura perchè riesce in quello che è quasi un miracolo.
Ovvero quello di creare un'empatia pazzesca con tutti e 3 i personaggi principali, benchè, specie Rockwell, siano dei grandi pezzi di merda.
Rockwell...

14.1.18

Recensione: "Un Lac" - Scritti da Voi - 113 - Michelangelo (Il calvario di un'anima perduta)

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Il Calvario di un'anima perduta è un recente commentatore (direi 5,6 mesi) che è diventato un famoso perchè è colui che ci consigliò a spada tratta Vinyan, il film del raduno.
Utente molto attivo, tantissimi commenti, ha come difetto di essere un martello pneumatico nel consigliare film (e, lo sapete, con me non funziona) e come pregio, oltre all'entusiasmo, quello di avere davvero degli ottimi gusti cinematografici.
Questa è la sua recensione, in forma di brevissima poesia, del film di Grandieux

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(Premessa: questa è il mio primo “scritto” relativo ad un film. Non sono un esperto di cinema, sono solo un appassionato e scriverò questo testo come tale. Probabilmente come “analisi” risulterà molto acerba, ma spero possa essere comunque (un minimo) apprezzata :) )

Un Lac (2008) - Philippe Grandrieux

“In un luogo innevato, vicino ad un lago, vive Alexi, un ragazzo epilettico che prova un affetto al limite dell’amore per la sorella Hege. Le loro vite verranno sconvolte dall’arrivo di Jurgen, un misterioso taglialegna che farà innamorare Hege.”

Silenzio.
Non c’è bisogno della parola.
Lasciate che siano i vostri corpi ad esprimersi.

I movimenti irrequieti di un ragazzo che bene non sta. 
Gli scambi di sorrisi e di sguardi.
Le carezze e gli abbracci. 
I baci.
La vostra carnalità.

Pasciate che la natura possa parlare. 
Il candido bianco della neve.
L’imponenza del bosco. 
La grazia del lago. 
Contemplate questa bellezza.

E anche il sacro motore si esprimerà.
Si agiterà quando l’agitazione prenderà il possesso di Alexi, 
Si offuscherà quando un amore proibito entrerà in famiglia,
E potrà calmarsi solo quando il vero amore sfocerà.

 Permettete il cambiamento.
Permettete che Jurgen dia Nuova Vita ad Hege.

Ed infine sperate.
Sperate che il povero Alexi, Nonostante la Notte, possa vivere.