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15.2.21

Recensione: "The Stepfather - Il Patrigno" - Boarding House - 16 - di Giorgio Neri

 

A FINE RECENSIONE C'E' IL LINK DEL FILM

Io non so quanti di voi conoscono l'incredibile vicenda che mi portò a diventare amico, seppur solo virtuale, di Giorgio Neri.
Per chi volesse leggere quello che successe e magari farsi anche due risate vi metto il link:

LINK

Sta di fatto che dopo quell'assurdo avvenimento Giorgio cominciò a curare una rubrica qua dentro e, ridendo e scherzando, con il 16imo appuntamento di oggi posso dire che è al momento, in quasi 12 anni,  la rubrica esterna più longeva di tutte.
La cosa buffa è che sta recensione Giorgio me l'ha mandata 6 mesi fa ma la pubblico solo adesso (sei mesi fa ero in un momento che non mi sarei accorto manco del famoso elefante nella stanza).
Tutto questo però fa pendant con la storia con la quale ci siamo conosciuti, il nostro rapporto evidentemente si basa su tempistiche lunghe ;)
Per il resto lo dico da sempre, per questo tipo di cinema sconosciuto, sporco, cattivo, politicamente scorretto, cult e a volte perverso, Giorgio è forse un luminare in Italia.
E leggerlo, anche quando magari i film di cui parla non si possono vedere, è sempre un piacere.
Vi lascio a lui

1987

Regia: Joseph Ruben

Ciò che è in basso è come ciò che è in alto,
e ciò che è in alto è come ciò che è in basso,
per compiere i miracoli della Cosa-Una.
(Ermete Trismegisto)

The Stepfather - Il Patrigno uscì nel 1987, nel pieno boom di quei film che
mescolavano l’horror al thriller, immergendo l’amalgama in una quantità di
sangue non indifferente. I serial-killer erano i personaggi più gettonati perché
personalità complesse e sfaccettate che potevano essere analizzate infinite e
infinite volte, tante sono le psicopatologie che li caratterizzano e che possono
dare adito a sceneggiature stratificate da significati metaforici complessi, alle
volte espliciti altre volte impliciti. Il sesso, il rapporto burrascoso o
anaffettivo con i genitori, il bullismo e centinaia e centinaia di altri motivi
legati alla psiche umana - cristallo fragilissimo - sono le cause di atti
criminali, dai più efferati a quelli che non si estinguono nel sangue ma in una
forma di tortura ben più subdola e cattiva come il ricatto o l’astio reiterato quanto un dispetto infantile.
Così nel 1987 entra in scena il patrigno.
Jerry Blake è interpretato da Terry O’Quinn - attore che, tanto quanto un
pater familias, si carica sulle spalle tutto il peso del film con una straordinaria
interpretazione - e il film è stato oggetto di due sequel: Stepfather II di Jeff
Burr (1989) e il film televisivo In Casa Con Il Nemico di Guy Magar (1992);
ha avuto un remake nel 2009 dal titolo Il Segreto di David - The Stepfather di
Nelson McCormick. In piena regola con la serialità che impazzava in quegli
anni - da Halloween a Venerdì 13 - anche il patrigno diventa un’icona, minore
rispetto agli dei di sangue del botteghino ma pur sempre un’icona.
E tale icona si trova a proprio agio nella casa di una normale famiglia: la
“Casa Dolce Casa” del sogno americano. A tal proposito, la genialità della
sceneggiatura di Donald E. Westlake, noto scrittore di romanzi gialli, è quella
di aver mosso le azioni dei personaggi all’interno di ogni locale; così il film
si può suddividere nelle stanze della casa e con un movimento che va dal
basso verso l’alto e viceversa, in una decostruzione della tranquillità degli
ambienti che trova in Joseph Ruben un perfetto regista della messa in scena,
senza tanti fronzoli, decisa, mai compiaciuta, anzi fredda e distaccata.
E perciò ancora più crudele




Joseph Ruben era al secondo film dopo Dreamscape - Fuga Dall’Incubo del
1984; però soltanto dopo The Stepfather - Il Patrigno avrebbe trovato la sua
strada e proseguito nella critica alla società americana con molto più cinismo,
e sfornando uno dei cult più chiacchierati e discussi del 1993: L’Innocenza
Del Diavolo, interpretato dai giovanissimi Elijah Wood e Macaulay Culkin e
che ancora oggi stupisce per il cattivo, crudele e assolutamente imprevedibile
finale, mettendo una pietra tombale sopra il perfetto nucleo familiare
strombazzato dal glorioso sogno americano. Non a caso, Terry O’Quinn dirà
alla festa con i suoi vicini: “Io vendo il grande sogno americano!”; non a caso
egli è un venditore di case - vuole dare una casa alla famiglia perfetta; sempre
non a caso, quando ormai tutto starà per andare a rotoli e dovrà mettere fine
alla sua esperienza con la famiglia in cui si è installato, egli troverà un nuovo
lavoro nel campo delle polizze assicurative, specificando che è interessato al
ramo famiglia - “il più duro perché bisogna ricordare alla gente che dovrà
morire” come dice il direttore dell’agenzia.

27.1.20

Boarding House - 15 - Recensione "I Dinamitardi" (1992- Christian Duguay)


Torna addirittura dopo UN ANNO (ma la colpa è la mia, mi aveva mandato sto pezzo l'estate scorsa....) il nostro pazzo Giorgio e la sua rubrica di film cult, la Boarding House, spazio in cui recensisce quasi sempre sconosciutissimi (questo forse però è uno dei 3-4 più conosciuti che ha mai fatto) e spesso al limite del lecito (e anche qui stavolta pare essere andato più calmo...).
Vi lascio alla lettura

Danny O’Neill/Pierce Brosnan si occupa di disinnescare bombe e gli capita tra capo e collo una banda di terroristi medio-orientali che ne hanno inventata una davvero geniale: un liquido - una mescolanza di nitroglicerina, napalm e idrogeno - che a contatto con i succhi gastrici dello stomaco rende le persone “detonatori viventi”. Che il Medio Oriente e la Russia siano stati gli spauracchi di tutto il cinema action americano, è un dato di fatto. L’America interveniva nelle faccende private di molte Nazioni, vendeva armi e metteva al potere chi era favorevole alla sua politica economica. L’esempio maggiore, da cui deriva il film di Christian Duguay, è Die Hard - Trappola di Cristallo (1988) diretto da John McTiernan. Ma se nel film di McTiernan “I Fratelli della Rivoluzione” guidati da Hans Gruber (Alan Rickman) - erano dei banali ladri di denaro, nel film I Dinamitardi i terroristi hanno agganci con il Senato americano per un progetto di vendita di armi al Medio Oriente che non deve essere bloccato. Quindi, la complessa macchina del terrorismo era un materiale inesauribile per evidenziare la corruzione dell’entourage politico degli Stati Uniti d’America e avvertire il cittadino medio degli accordi e contratti anti-americani. In nuce, ecco il seme dell’11 Settembre 2001 e il crollo delle Torri Gemelle a New York. L’America stessa ha creato i propri mostri e, visti col senno di poi, molti film del periodo che va dagli anni Ottanta agli ultimi anni dei Novanta hanno detto, anticipato e previsto alcune derive paranoiche e psicotiche che ormai sono all’ordine del giorno in questo stato di guerra perenne. Ma il film sfiora, anche se non proprio in maniera esplicita, l’horror. Christian Duguay, infatti, è soprattutto un regista di horror ed action - la sua carriera è costellata di film per la Tv come Scanners 2: The New Order (1991) e Scanners 3: The Takeover (1993) che mancano della profondità concettuale del capostipite cronenberghiano ma si lasciano vedere - e questa sua passione si sente e si equilibra al meglio nel film che abbiamo scelto di accogliere qui da noi alla Boarding House
Perché? 
Innanzitutto, l’idea originale di vedere nell’assunzione di acqua un pericolo esplosivo. Come si capirà nel corso del film, il liquido esplosivo è incolore ed insapore come l’acqua; una volta mescolato e bevuto, rende la persona una bomba. Ma l’acqua e il fuoco si mescolano in una soluzione alchemica il cui risultato, una volta scoperto il meccanismo, non è la capacità extra-sensoriale degli Scanners - che saltano, si deformano, esplodono nei film diretti da Duguay - ma un unico e solo elemento imprescindibile dell’action anni
Novanta e di tutti quei thriller essenziali e diretti: l’eroe che si va un mazzo tanto per farsi amare e mettere la testa a posto una volta per tutte


Tale aspetto del film costituisce l’interesse sul quale è catalizzata l’attenzione dello spettatore. È probabilmente un caso limite nella storia di questo genere di film. Lo spettatore sa come funziona il meccanismo in quanto l’acqua fisicamente entra in scena fin dai titoli di testa per proseguire con bicchieri pieni di acqua, pioggia, pozzanghere, fontane; quindi, ha il vantaggio di seguire una storia in cui sa più dell’eroe, perlomeno fino a quindici/venti minuti di film, dopodiché ciò che sa lo spettatore coincide con ciò che sa il protagonista e l’avventura a perdita di fiato comincia a far scalare i minuti. Presumibilmente. E invece no: molto tempo è speso nel seguire le vicissitudini personali di Danny O’Neill/Pierce Brosnan e si viene a conoscenza di alcuni elementi interessanti e  gestiti in maniera molto particolare, sebbene abbastanza comuni in questo genere: 

1) L’eroe ha problemi con la moglie perché la loro figlioletta è morta annegata nella piscina di casa, e così l’acqua è un elemento doppiamente traumatizzante per l’eroe: da una parte muoiono persone che si scoprirà essere disoneste e legate a doppio filo con i terroristi; dall’altra, il liquido della vita ha ucciso una bambina e rovinato il legame tra moglie e marito. Ora, sebbene nel film non sia esplicitato né a livello di dialogo né in maniera continuativa (c’è soltanto un flashback), l’acqua è una metafora, come nel più classico dei film americani: si prende un tema e lo si infarcisce di metafore o simboli che tornano e ritornano, un procedimento di scrittura che spesso sforna roba banalissima. Anche I Dinamitardi non si scosta da un tale procedimento scritturale, ma l’aspetto horror lo rende molto godibile e sicuramente originale per il genere. 


2) La moglie ha avuto una pseudo-relazione con il senatore Traveres (Ron Silver),  per poi scoprire che il senatore è in rapporti più che amichevoli con il capo dei terroristi (interpretato da Ben Cross). Questo è il vero fulcro di tutta la vicenda e il film si squilibra pesantemente verso una zona insolita che accentua la relazione altalenante che nel 1988 Bruce Willis aveva con Bonnie Bedelia in Die Hard - Trappola Di Cristallo; ad un certo punto,  senza accorgersene, lo spettatore perde interesse per il sanguinario capo dei terroristi e vorrebbe assistere alla risoluzione della faccenda familiare tra Pierce Brosnan e il senatore Traveres. E il tutto, sebbene la forzatura del triangolo "Lui, Lei e L’Altro" sta lì lì per far crollare il film nella più becera banalità, è accettato dal pubblico perché in mezzo ci sono dei morti che esplodono. In poche parole, I Dinamitardi è una tormentata love-story che mantiene il suo ritmo romantico soltanto perché ogni tanto qualcuno diventa un detonatore vivente ed esplode; questi corpi esplodenti diventano, allora, un contrappunto davvero ben studiato per parlare di altro e rendere il prodotto molto accattivante per qualsiasi tipo di platea. Desiderando che terminino le azioni del capo dei terroristi, così si vorrebbe la morte del politico corrotto; ma non tanto per i suoi squallidi accordi anti-americani, ma perché se la spassa con la moglie dell’eroe. Questa caratteristica del film, volenti o nolenti, lo rende davvero un prodotto diverso. Nonostante sia un film prettamente mainstream. E la frase di Pierce Brosnan - “Ma perché non hanno ammazzato lui per primo!” - racchiude tutto il furbesco meccanismo di captatio benevolentiae che trascina il film, sottilmente e forse incosciamente, verso i lidi di una moralità conformista che ripristini il senso dell’Amore e dei valori familiari. Per fortuna tale aspetto non è il fulcro del film, anche grazie ad un protagonista ben scritto: disilluso, tendente al suicidio - nel film viene detto che disinnesca bombe non di sua competenza: un atteggiamento auto-distruttivo - volgare, cialtrone e spericolato. 

3) L’eroe deve riprendersi la moglie, una volta scoperte le magagne del senatore. Il terzo punto avverrà più o meno a mezz’ora dalla fine, in una maniera alquanto metaforica: scena di sesso dentro una vasca piena d’acqua. Il trauma è superato. Anche se il film non mette in evidenza come l’acqua possa generare nei protagonisti la repulsione e la paura, opprimendoli con il pensiero della figlia morta, l’idea di una scena di sesso all’interno della vasca è un’ulteriore metafora del superamento di un trauma senza psicofarmaci o alcool. Soltanto nel liquido che ci costituisce al 75% e soltanto tramite una unione sessuale che pare essere, per gli americani sessuofobi e puritani, l’esplicitazione migliore di un rapporto amoroso rinnovato tra moglie e marito, due persone possono sperare di amarsi. Ma per quale motivo moglie e marito si ricongiungono? La scena cult del film - la più conosciuta per chi almeno una volta lo ha intravisto  - è quella del terrorista travestito da clown, all’inaugurazione di un parco giochi per bambini, che ingurgita l’acqua esplosiva e viene scaraventato via dal nostro. Durante questa inaugurazione è presente lo stesso senatore Traveres e la stessa moglie del nostro eroe. Dopo questa sequenza la moglie decide di rritornare da Danny O’Neill/Pierce Brosnan. Capisce che lui, ancora suo marito, ce la sta mettendo tutta per proteggerla e per averla dalla sua parte; che il cattivo di turno non è solo il terrorista ma anche l’uomo a cui si è abbandonata in un attimo di debolezza dovuta alla perdita della figlioletta; che lui sta sconfiggendo l’acqua cattiva che ha annegato il loro frutto dell’Amore. Che è un eroe tout court, insomma. 

Inizia così lo smantellamento progressivo della figura rassicurante del self-made man e dell’uomo politico che ha un incarico importante ed onorevole dall’America. E se l’uomo è ciò che mangia, l’uomo è anche ciò in cui vive: la casa. Dico “smantellamento” a proposito, in quanto l’ultima mezz’ora si svolge nella grande villa del senatore Traveres (e su di lui vi sono parecchi dubbi su come se la fosse procurata, visto che dichiara soltanto 120,000 dollari l’anno). Capiti ormai gli interessi in gioco, forte dell’amore della sua donna, deciso a mettere fine agli attacchi terroristici e alla carriera del senatore, Pierce Brosnan si trasforma in una sorta di MacGyver - che, guardacaso, cesserà di essere trasmesso proprio nel 1992 - e fa a pezzi i locali della villa, mettendo fuori gioco i terroristi, che stanno invadendo la villa del senatore. Tramite il gas, infiamma la cucina; tramite vaselina (“Facciamo una festa?” dice, sornione, Pierce Brosnan) e acetone fa saltare in aria la stanza da letto; fino a giungere alla soffitta e scoprire che il denaro non dichiarato è stato nascosto sotto il tetto. Il confronto con il capo dei terroristi è inevitabile. Il terrorista ingerisce il liquido e diventa una bomba.



Pierce Brosnan e il senatore Traveres saltano dal tetto della villa. Il senatore Traveres finisce infilzato sulla ringhiera; Pierce Brosnan si salva. Un anno dopo, alla moglie gli si rompono le acque. L’acqua torna ad essere un elemento di vita e serenità. Due sequenze simpatiche, all’inizio e alla fine, che forse racchiudono la vera “morale” del film, senza estremizzarne troppo il significato: Danny O’Neill/Pierce Brosnan si trova sdraiato sotto il sedile di un’auto, tra le gambe di una ragazza. Lei ha tradito il marito e questi ha deciso di farla saltare in aria. Dopo che tutto va a buon fine, dice: “Non tradisca suo marito e si metta le mutandine!”. Alla fine del film: stessa ragazza, stessa bomba ma è stata messa dall’amante. La bomba è disinnescata come la volta prima. Danny O’Neill/Pierce Brosnan ha appena ricevuto la notizia che la moglie sta partorendo, saluta la ragazza e le dice: “Mi piace la sua biancheria intima!”. La morale? Da qualsiasi cultura si provenga o qualsiasi intenzione si abbia, terroristica o patriottica,  per soldi o per il potere, la fica resta sempre l’obiettivo da raggiungere per mettersi in pace con se stessi e farsi cullare dal liquido amniotico della soddisfazione di Sé.

5.2.19

Recensione: "Sweet Thing" (1999 - Mark David) - Boarding House - 14 - di Giorgio Neri


Torna la rubrica più matta de Il Buio in Sala, quella dove il nostro "Late Answer's Man" (qui trovate la sua assurda storia) Giorgio Neri ci racconta di film del sottobosco più impenetrabile, alcuni visti solo da lui e recensiti da nessuno.
Questo poi di cui ci parla oggi sembra ancora più assurdo, malato e cult degli altri.
Ormai un punto di riferimento per gli appassionati del (de)genere vi lascio a Giorgio


Penso che la trama dell’Amleto di William Shakespeare sia nota a
tutti, anche grazie alle innumerevoli versioni cinematografiche che
sono state realizzate.
Sweet Thing di Mark David (un regista indipendente con all’attivo
pochi altri film, mai arrivati in Italia) non esclude che abbia subìto
il fascino di questa immortale tragedia. Il protagonista stesso, Sean
(interpretato da Jeremy Fox), all’uscita da un cinema parla insieme
alla sua ragazza di una di queste versioni cinematografiche,
affermando che l’idea di costruire una vendetta e di uccidere il Re
siano gli sviluppi migliori della trama.
Da questo momento il film, che fino a poco prima sembrava essere una
semplice e banale storia di un ragazzo che ama la pittura e vorrebbe
vivere creando opere d’arte e generando il disprezzo del patrigno
(politicante in corsa per il Congresso), si sviluppa in maniera molto
differente - sempre tenendo in considerazione il valore della pittura.
Infatti, è questo mezzo artistico, nonché il contenuto delle opere
medesime (ispirate probabilmente alle visioni sepolcrali e mortifere
di Francis Bacon), ad essere la causa di un effetto progressivamente
sempre più devastante e distruttivo della storia.
Per Sean l’Arte, come per Van Gogh (che lui cita), è Amore; però, al
tempo stesso, non può distaccarsi da ciò che è ed è stato, da quel
passato torbido che lo ha attanagliato fin da quando era un bambino;
dall’aspetto più problematico, se ci si mette nell’ottica del
protagonista: la sessualità mal vissuta ma espressa con vivida forza
sulle sue tele.

Utilizzando la struttura classica del teatro, è possibile dividere il
film in tre opere:

Prima opera

Su uno sfondo nero, lunare/lunatico, un uomo pelato, col viso deforme
e un pene pendulo e quasi raggrinzito, la faccia vissuta dal vizio,
infila l’intero avambraccio all’interno di un ano, tra due grossi
glutei. Sembra che danzi, una danza grottesca, un sirtaki malandato e
una fierezza nell’intento sodomitico celato dalla pratica del fisting.
È l’opera di rottura.
Il patrigno ne sarà orripilato, Sean verrà considerato un omosessuale
e le strade si divideranno per sempre tra lui e la sua famiglia.
Si assiste al primo pezzo di quella costruzione dell’identità (e della
vendetta) che Sean sta coltivando, pur se guidato da eventi che non
controlla con fermezza e decisione.
Tale costruzione è parallela a quella del patrigno che, al pari
dell’usurpatore del trono re Claudio nella tragedia di Shakespeare,
cerca di allontanarsi dalla follia del figliastro, di ripulirsi
dall’immonda putredine e dalla brutale evacuazione anale della
pittura.


In tutto questo la madre, alcolizzata e debole, dice: “Hai detto le
tue preghiere, Sean?”.

Seconda opera

Sean ha conosciuto, prima della mostra, Hannah (interpretata da Amalia
Stitfer): il personaggio è evidentemente strutturato su quello di
Ofelia. Si crea una relazione sentimentale e il patrigno può calmare i
suoi colleghi: suo figlio non è un omosessuale, sebbene abbia ancora
quella maledetta passione per la pittura.
Colpo di scena: Ofelia/Hannah è una giovane prostituta, uno
stratagemma adottato per un unico e doveroso imperativo: “Sean non
deve più dipingere”.

9.10.18

Recensione "Mayhem - Disperata Ricerca" - Joseph Mehri - 1986 - Boarding House - 13 - di Giorgio Neri

Risultati immagini per mayhem joseph merhi

Torna la rubrica esterna più longeva de Il Buio In Sala, quella curata da quel pazzo assurdo di Giorgio Neri.
Torna, al solito, con uno dei suoi introvabili, malati, sporchi cult degli anni 70 e 80, film che ha visto solo lui e che nessuno come lui in Italia conosce così bene. 
Stavolta, in fondo, c'è anche il link del film!
Vi lascio alla solita delirante ma lucida, malata ma molto competente, recensione di Giorgio

Ah, trovate le altre 12 puntate sull'etichetta Boarding House, a sinistra nella home page del blog


“Vaffanculo” è una parolina magica
che risolve molti problemi.
Jim Morrison

Chi bazzica tra i cestoni dei dvd dei centri commerciali, possedendo
una profonda ed inveterata curiosità, sarà sicuramente stato attratto
dai prezzi bassissimi dei dvd di questo regista e produttore siriano:
Joseph Merhi che, insieme al suo collega Richard Pepin (una specie di
tuttofare: si ritaglia ruoli di direttore della fotografia, montatore
e anche produttore all’occorrenza), ha avuto una discreta carriera
negli anni Ottanta e una notorietà nel XXI secolo - sul web - come
regista peggiore di Edward D. Wood Jr.
Eppure Joseph Merhi ha concepito ed iniziato la sua carriera
cinematografica con un film che ha diversi elementi in comune con Henry - Pioggia Di Sangue di John McNaughton.
Stesso anno: il 1986.
Due protagonisti: nel film di McNaughton sono due sadici e serial
killers; in Mayhem sono due “giustizieri” che fanno piazza pulita di
delinquenti e spacciatori.
In mezzo alla violenza, una donna che nel film di Merhi si sdoppia in due.
Unica differenza - a parte che McNaughton ha una capacità registica
migliore e una raffinatezza invidiabile nel trattare la violenza - è
il fatto che il film di Joseph Mehri andò in sala nello stesso anno in
cui uscì mentre Henry apparve al cinema solo nel 1989.

Risultati immagini per mayhem  merhi

Ma cos’ha di speciale questo film?
È genuino e senza sofismi di sorta nel trattare la disperazione e il
caotico mondo dell’esistenza dei personaggi coinvolti (“mayhem”
significa, infatti, Caos).

27.3.18

Recensione: "Lo Squartatore" 1985 - Leland Thomas - Boarding House - 12 - di Giorgio Neri




Dopo mesi e mesi è finalmente tornato Giorgio.
Ma del resto lui e i ritardi sono un tutt'uno.
Se non sapete chi è Giorgio, infatti, leggete qui.
In ogni caso eccolo con un nuovo capitolo di quella che è, a questo punto, la rubrica esterna più longeva del blog.
Giorgio è un luminare di questo tipo di cinema, cinema misconosciuto, cult, disturbante, anarchico e weird.
Buona lettura ;)



Nel 1985 l’horror, prima di tutto, e poi il gore e lo splatter si
erano ben piazzati nella cultura di massa, accalappiando sempre più
fan, sebbene le majors lo tenessero a bada come un figlio deforme da
rinchiudere in qualche scantinato. Nell’anno domini 1980 erano usciti
Antropophagus di Joe D’Amato, Paura Nella Città Dei Morti Viventi di
Lucio Fulci, Shining di Stanley Kubrick, Venerdì 13 di Sean S.
Cunningham, Inferno di Dario Argento - e nel 1981 era uscito Nightmare
di Romano Scavolini...
Nel 1985 erano in programma Re-Animator di Stuart Gordon, Phenomena di
Dario Argento e sopratutto Il Giorno Degli Zombi di George A. Romero,
il capitolo della trilogia sugli zombi più cattivo, violento,
sanguinoso che Romero avesse concepito nel fondare il suo
personalissimo mondo cinematografico.
Quindi, il sangue scorreva a fiumi, insieme ad intestini e cervella.
Un passo indietro: Maniac di William Lustig è del 1980. In altre
recensioni di questa rubrica lo si è citato spesso. È, come si dice,
la summa di tutto quello che possa essere un serial-killer disturbato,
ossessionato dal suo passato sporco (madre puttana e punitiva) e che
si prenda la briga di assumere il punto di vista dell’assassino in
maniera precisa, studiata a tavolino senza retorica e, soprattutto,
senza tirarsi indietro nel mostrarne le peggiori nefandezze.
Nonostante questo, il film aveva una sua ricercatezza e anche un certo
gusto per l’immagine curata nonché un attore come Joe Spinell -
co-autore della sceneggiatura e ideatore del soggetto - che mise tutto
se stesso in questa perfomance davvero eccellente. Nel 2012 è stato
presentato al pubblico il remake tutto in soggettiva di Franck
Khalfoun, prodotto da Alexandre Aja e interpretato da Elijah Wood.
Non passa, quindi, senza lasciar traccia.
Probabilmente già nel (e dal) 1985 ci sono stati miriadi di epigoni e
questo film di Leland Thomas s’inserisce appieno in quella lista
imbrattata di sangue.

Leland Thomas ha scritto e diretto solo questo film. Ha dichiarato che
il prodotto emulsionato sulla pellicola era tremendamente orribile e
lo aveva fatto su commissione perché i produttori, e lui medesimo,
volevano ricavarci bei soldi. Ma questi produttori, paradossalmente,
lo avevano alleggerito delle sequenze più gore.
Grave errore, come la classica zappa sui piedi.
Infatti, il film non lo conosce nessuno ed è arrivato in Italia
soltanto in vhs (per la Skorpion) intitolato Lo Squartatore (il titolo
originale è Bits & Pieces). I distributori italiani erano di bocca
buona e all’epoca bastavano un po’ di sangue e tette succulente per
dare una possibilità commerciale ad un prodotto realizzato alla meno
peggio. Ma che aveva davvero quel quid che lo rendeva assolutamente un
diamante allo stato grezzo.
Grezzo, appunto, è il termine giusto.
È il motivo per cui potranno piacere e mandare in solluchero le scene
che seguono.

4.10.17

Recensione "Contagion" 1987 - Karl Zwicky - Boarding House - 12 - di Giorgio Neri


Dopo non so quanti mesi (ma la colpa è a metà tra me e lui) torna il grandissimo Giorgio Neri con la sua rubrica di film cult ma al tempo stesso praticamente sconosciuti e "invedibili". E niente, fa sempre specie vedere la sua passione e la cura che mette nel recensire queste "perle" dimenticate.


Trovate tutte le 10 precedenti puntate nell'etichetta "Boarding House" alla destra del blog

“E il viaggiatore disse:
‘Guarda quanto male è stato commesso qui.
Persino l’innocente che passa da queste parti
è subito preda di questo antico morbo.
Il contagio ha infettato la sua anima.’”

Secondo una recente ricerca effettuata da due studiosi di Cambridge, John M.
Coates, un ex-trader di Wall Street convertito alla ricerca, e John Herbert,
esiste un nesso tra il livello di testosterone ed il successo od il tracollo delle
scelte d’investimento in borsa attuate dai trader “high-frequency”, cioè dagli
operatori che comprano e vendono titoli in continuazione, facendo decine o
addirittura centinaia di scambi al giorno. Secondo la suddetta ricerca, infatti,
maggiore è la concentrazione di testosterone, maggiore sarebbe la
propensione al rischio del trader. Ma, in finanza, ad un maggior rischio
corrisponde anche un maggior guadagno o una maggiore perdita; e i
ricercatori nel loro studio si premurano di avvertire che non si è ancora
capito se il testosterone influisca più sulla propensione al rischio o sulle
capacità di trading. Una cosa invece è certa, cioè che un eccesso di
testosterone ha effetti contrari: i trader diventano eccessivamente sicuri, la
spavalderia diventa arroganza ed il risultato è che sbagliano gli investimenti.
(dal sito investireinformati)

Un agente immobiliare, sperdutosi in un bosco pieno di villici rozzi e crudeli,
crede di aver trovato rifugio in una villa lussuosa di un ricchissimo
investitore. Convinto da due belle ragazze che abitano in quel luogo ameno,
cercherà di eliminare sul suo cammino qualsiasi ostacolo per raggiungere la
meta più ambita: il Successo.
Sara Tommasi, nell’introdurre il suo film pornografico La Mia Prima Volta (di
Guido Maria Ranieri, 2012), aveva detto la più ovvia delle banalità:
l’importanza delle tre ‘s’, ovvero soldi - sesso - successo. In Scarface di Brian
De Palma (1983), Al Pacino spiattella in pochi secondi ciò che è
fondamentale per riuscire nella vita: “Quando fai la grana, c’hai anche il
potere; e quando hai il potere, c’hai pure le donne”.

Questo film australiano del 1987 prende l’assunto molto semplice, e
certamente non nuovo, di un compassato impiegatuccio di provincia che
decide, ad un certo punto, che il successo debba essere la prerogativa
essenziale della sua esistenza. Ma lo sceneggiatore Ken Methold utilizza, per
narrare la vicenda, l’inquietante meccanismo dell’horror in stile kubrickiano:
cioè Shining (1981). Infatti, il film si divide in due luoghi: fuori dalla villa e
dentro la villa, così come il vagabondare di Jack Nicholson nell’hotel è
completamente diverso dal suo rapporto con l’esterno (luogo gelido, dove
morirà).

13.1.17

Recensione "Dolce Assassina (Sweet Murder, 1990, Percival Rubens) - Boarding House - 10 - di Giorgio Neri



Incredibile.
Zitto zitto Giorgio Neri è arrivato al suo decimo appuntamento facendo di Boarding House la rubrica esterna (non mia) più longeva del blog (insieme ai tesori di Jolly)
Come sempre Giorgio ci parlerà di un film sconosciuto e introvabile, un'altro di quei ghost film che solo lui, con la sua immensa competenza e passione, può conoscere.
E come sempre questa sua rappresenta praticamente l'unica rece presente in rete del film.
Trovate tutte le altre 9 puntate sull'etichetta


Negli anni d’oro in cui esistevano le tv locali che programmavano con
placida tranquillità i loro film, prima che il digitale terrestre
rivoluzionasse il palinsesto, esisteva la televisione romana Super3.
Resa famosa da una donna che cantava per i più piccoli, in seconda
serata programmava thriller o gialli la cui provenienza era
prettamente televisiva, cioè erano film Tv di fattura semplice e a
volte raffazzonata.
Non è il caso di questo film di Percival Rubens, il cui titolo
originale è Sweet Murder.
Lo considero parte integrante della mia crescita professionale sia
come appassionato di cinema sia come sceneggiatore delle mie idee che
si riversano in corti o lunghi.
Ad esso è legato anche un simpatico fatto: spesso mi informavo sulla
programmazione della rete televisiva e un giorno, leggendo la trama di
questo film, ne fui incuriosito. Quella sera il tasto rec fu spinto
sul videoregistratore. Ma gli ultimi trenta secondi di film
scomparvero per lasciar posto ad un’odiosa televendita. Mi sentii
defraudato. Così il giorno dopo spedii una cortese e-mail a Super3 e
ricevetti una risposta da lì a qualche giorno. Mi si diceva che non
sapevano quando avrebbero riprogrammato il film.
Anni dopo, molti anni dopo, trovai la vhs originale del film in un
mercatino dell’usato gestito da un arabo; in seguito ho scoperto che è
uscito il dvd (distribuito da Dall’Angelo) e l’ho rivisto con molto
piacere. Perciò ne parlo qui.


Ora, non tutti i film televisivi sono belli né sono realizzati con una
cura tale da poter essere considerati almeno una volta all’interno del
marasma delle produzioni filmiche che si succedono in Tv a ritmo
serrato e continuo. Molta roba è davvero penosa.

2.11.16

Recensione "Haunts" (1977 - Herb Freed) - Boarding House - 9 - di Giorgio Neri


Questa rubrica curata da Giorgio Neri è davvero unica, per almeno un motivo.
Tutti i film di cui parla, o quasi tutti, non hanno infatti alcuna recensione italiana.
Giorgio è quindi un punto di riferimento nazionale per un certo tipo di cinema.
Questo Haunts è del mio anno, 1977, e sembra davvero interessantissimo.
Una specie di slasher che poi riesce a trasformarsi e diventare un film profondamente psicologico, di immagini, ricordi e suggestioni.
Al solito passione, competenza, un pizzico di cultura e una dedizione verso questo cinema che ama che fa quasi spavento

Ci sono film che basano tutta la loro forza sul finale; poi quelli che si affidano ad un ultimo respiro da mozzare (il finalissimo) e quelli, pochi a dir la verità, la cui “somma degli addendi” messi in scena, pur rivelando qualcosa, non mollano la presa sullo spettatore, lo trucidano con mille piccoli e subdoli dubbi, lo rendono perplesso.

Haunts significa “ritrovi”; il verbo to haunt significa “infestare”.
Forse è già tutto qui il senso di questo film che parte per essere uno slasher, con un maniaco che uccide diverse donne, mettendo in agitazione una cittadina rurale. Ma poi cambia, si evolve e lo spettatore manco se ne accorge.
L’assassino, lo dico subito, è un povero ragazzo disadattato che cerca probabilmente qualche ragazza con cui trastullarsi ma non tira fuori nulla di buono. È un cliché, un elemento banale, qualcosa di così trito e ritrito da dare fastidio, se non fosse che al regista Herb Freed (co-autore della sceneggiatura insieme ad Anne Marisse) non gliene frega assolutamente nulla di questa trama perché è uno specchietto per le allodole.

21.9.16

Recensione "Disperata ricerca" 1994 - Ruben Preuss - Boarding House - 8 - di Giorgio Neri




Torna il nostro incredibile esperto di pellicole cult e sconosciute Giorgio Neri.
Il titolo di quest'ultimo film è un pò la sintesi di questa sua rubrica. "Disperata ricerca", come quella che chiunque deve intraprendere per provare a visionare i film che consiglia.
Un film Tv che in italiano ha addirittura 3 titoli ( quello citato, "Morte Apparente" e "Non sono morta"), il che è tutto dire...
Ma Giorgio riesce ancora una volta a buttar giù una recensione degna di Mulholland Drive per un film tv che nessuno conosce.
Colta, divertente, interessantissima.
Chapeau

Su una rete locale romana ebbi modo di vedere questo film Tv. A prescindere dal fatto che la protagonista sia Shannen Doherty (cioè l’indimenticabile Brenda della serie televisiva Beverly Hills 90210), il film sarebbe potuto essere davvero qualcosa di inguardabile e di indigeribile. Ma, grazie al meccanismo della sospensione della incredulità e anche alla tenerezza che tali prodotti semi-horror ispirano, si lascia apprezzare e può far passare una serata piacevole ad un gruppo di amici.

9.8.16

Recensione "I Zombie" (1998 - Andrew Parkinson) - Boarding House - 7 - di Giorgio Neri




Ormai non ci sono più parole per presentare la rubrica de-genere, di Giorgio Neri, che resuscita (e in questo caso cade a fagiolo la parola) pellicole assolutamente maledette e dimenticate.
Davanti tanta competenza oltre leggere si può far poco

George A. Romero è giustamente il maestro indiscusso dei film che hanno come tema quello dei morti viventi. A lui si deve la carica socio-politica di questi non-morti che infettano l’umanità mostrandone le insicurezze e le crudeltà, l’asocialità perturbante o un bieco istinto di sopravvivenza che sfiora l’indifferenza verso il prossimo. Ma il grande regista non si era mai messo dal punto di vista di chi quella trasformazione/decomposizione la subisce; non aveva mai approfondito il dramma e la solitudine a cui può portare un virus del genere, molto simile ad un cancro e qualcosa di più delle varie malattie veneree che ammorbano questo nostro fragile mondo.
Il regista Andrew Parkinson, amante dell’horror, gira questo primo film praticamente da solo: produce, scrive, dirige e ne compone anche la struggente colonna sonora. Il suo lavoro è quasi simile a quello del protagonista. Un autarchico che deve far fronte ad una mancanza di budget puntando sulla qualità dell’idea e un ragazzo che, suo malgrado, scoprirà cosa vuol dire essere infettato da un virus che lo marginalizzerà per sempre dalla vita sociale che prima conduceva discretamente bene.

24.6.16

Recensione "Sacrificio Fatale" (1991 - Michael Tolkin) - Boarding House - 6 - di Giorgio Neri


Torna Giorgio Neri e la sua rubrica con due piccole novità. 
La prima è che, per la prima volta, "approdiamo" agli anni 90.
La seconda è che se è vero che Giorgio, un'altra volta, ci parla di uno sconosciutissimo cult "maledetto" stavolta il suo politicamente scorretto arriva a vette ancora più alte, nientepopodimeno che a Dio.
Con Mimi Rogers, Bruno Ganz e un giovane Duchovny.
Tra sesso sfrenato, l'improvvisa scoperta di Dio, la morte e il fanatismo religioso.
Buona lettura

Dio: una parola che inquieta od esalta.

1.6.16

Recensione "Office Party" (1988 - George Mihalka) - Boarding House - 5 - di Giorgio Neri


L'avrete capito, io ho un debole per Giorgio e la sua rubrica... Perchè è probabilmente quella più "unica", quella più specializzata. Capita a volte che le perle nascoste che Giorgio recupera non abbiano altre recensioni nell'intero web. E poi amo il modo in cui ne parla, competente, appassionato ma sempre comunque professionale, divertente e interessantissimo. 
E, caratteristica non secondaria, Giorgio sa scrivere.
Alla fine sti cazzi che i film che propone non li abbia visti nessuno nè, praticamente, nessuno li possa vedere. E' bello anche per questo



 Siamo gli uomini vuoti


Siamo gli uomini impagliati
Che appoggiano l’un l’altro
La testa piena di paglia. Ahimè!
(T.S. Eliot, Gli Uomini Vuoti)


Quando vidi questo film per la prima volta ero appena risalito dalla cantina di una ex-videoteca, ormai chiusa e dimenticata, che svendeva videocassette ad 1 euro. Forse mi ero fatto irretire nella scelta dal nome di Michael Ironside (caratterista importante e fondamentale del periodo Ottanta e Novanta, con all’attivo film come Scanners di David Cronenberg o Starship Troopers di Paul Verhoeven: una faccia che se la vedi, la ricordi).
Però quando vidi il film ne rimasi molto colpito, scoprendo che il regista George Mihalka era balzato agli onori della cronaca proprio in quel periodo, 2009, perché Patrick Lussier aveva trasposto al cinema il remake (in versione 3D) di un suo film del 1981: San Valentino di Sangue (titolo originale: My Bloody Valentine).
Bello era il remake e bello l’originale.