18.4.24

Recensione: "Ennio Doris - C'è anche domani" - Cinema 2024

 

Se inviassimo a qualcuno una foto mostrante solo il nostro pisello di 20 cm, ecco, in quella foto, così nuda, zoomata e specifica comunque ci sarebbero più margini di umiltà dell'intero film su Ennio Doris.
Perchè sì, perchè magari è vero, ti ho mandato la foto di un pisello di 20 cm ma non è implicito che io sappia usarlo.
Invece in "Ennio Doris - C'è anche domani" non c'è un solo secondo, un solo cm, una sola fessura che non ci mostri il nostro SuperEnnio come l'essere vivente più meraviglioso della storia della nostra specie, un Galileo Galilei, un Francesco d'Assisi, un John Nash e un Mahatma Gandhi non solo fusi insieme ma che sono solo una piccola parte del Tutto.
La più grande agiografia che il cinema abbia mai conosciuto.
E io sono tra i pochi fortunati a poter dire, per ora, di averlo visto.

(ci tengo a dire che tutta la recensione va vista in chiave ironica nel pieno rispetto di Ennio, di sua moglie e dei suoi splendidi figli. Se c'è una cosa che il film racconta benissimo e che nessuno potrà contestare è quella di avere davanti una famiglia veramente bella)


Quando nell'ultima immagine del film (scusate per il beneaugurato spoiler) il piccolo, ricciolosissimo e biondissimo mini-Ennio Doris corre dal padre con la prima pagina della Gazzetta in cui si celebrava la vittoria di Coppi su Bartali all'ultima tappa del Giro le mie ultime forze sono crollate.
Sì perchè in quasi due ore di film il buon Ennio (o suo padre per lui in questo caso) non aveva mai sbagliato nulla.
E cazzo, quella volta avevano sbagliato! Avevano pronosticato Coppi e il Giro invece ormai  l'aveva vinto Bartali!
Cazzo!
Ma il padre di Ennio, e questo è il senso della frase che dà titolo al film, gliel'aveva detto al figlio:
 "C'è anche domani", c'è un'altra tappa, vedrai che qualcosa succede.
E niente, quella magrissima soddisfazione che per un solo secondo durante tutto il film ci fosse stato un errore dei Doris non si è materializzato, sfuggito proprio all'ultimo fotogramma.

Sì perchè per tutta la pellicola ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo vaticinio, ogni suo calcolo, ogni sua previsione si era rivelato come il gesto-parola-vaticinio-calcolo-previsione di un Eletto, un uomo semplice e buono (e siamo abbastanza sicuri che lo fosse davvero) che, novello Clark Kent, per tutto il film era entrato in una astratta cabina telefonica uscendone sempre con vestiti diversi, quelli di Galileo Galilei, quelli stracciati di Francesco da Assisi, quelli più casual di John Nash, quelli, quasi inesistenti, del Mahatma Gandhi e altri personaggi minori come questi.
Un uomo che sapeva osservare il cielo calcolando le traiettorie delle stelle, che sapeva come parlare con le mucche e farle adagiare dolcemente a bordo strada, un uomo che solo schioccando un dito seppe illuminare la Tour Eifell, un uomo capace di calcoli a mente strabilianti che gli facevano capire, da bambino povero, che quel filetto di frisona non si poteva comprare e da adulto - sempre povero (perchè nel film il buon Ennio rifiuta sempre compensi e soldi) - gli facevano capire come muoversi nelle Borse o attraverso i disastri dei crack finanziari.
Un uomo che in 70 anni di vita e in due ore di film solo UNA volta perde leggermente le staffe, e lo fa con il suo amico/nemico d'infanzia - un personaggio fil rouge che avremo per tutto il film - amico di cui mi sfugge il nome e che, quindi, sarà per sempre per noi "l'amico".
E quando lo fa, quando finalmente il nostro Ennio si dimostra anch'esso uomo come noi, capace di sbagliare o di arrabbiarsi, che fa?
Regala un lavoro a quell'amico.

"Questa cosa non dovevi farmela!!!!"
Minaccia Ennio.
"Per punirti ti offro un lavoro alla mia banca!"

Una punizione probabilmente eccessiva per l'amico, ma questi deve in qualche modo accettarla, ritrovandosi a prendere un mucchio di soldi per compensare lo sgarbo.

Un uomo che nella sua vita ha inventato praticamente tutto tranne la ruota (inventore incerto), la penicillina (Alexander Fleming), il motore a vapore (James Watt) e l'Opera d'Arte Mobile (Andrea Diprè).
Tutto il resto è merito di Ennio Doris, un benefattore che, con un gioco di parole colmo di dolcezza e stima, potremmo chiamare anche Bene-Fattore, visto che Ennio non dimenticherà mai il suo passato di figlio di allevatore di vacche ma, anzi, compirà ogni gesto o scelta della sua vita sempre con tutti gli insegnamenti che quel passato gli ha lasciato.
Ennio veniva infatti da una famiglia poverissima che, come già citato sopra, non poteva permettersi il filetto ma doveva ripiegare sulle frattaglie (anche se è strano che lui e la madre quelle frattaglie l'abbiano comprate ma poi le lasciate lì in negozio), che aveva un padre buono, colmo di valori e facilmente infinocchiabile dagli arroganti del paese, che è cresciuto sognando di spalare il letame delle vacche ma che aveva una testa troppo oltre per accontentarsi di quel futuro.
A tal proposito l'incipit con Ennino che ha l'intuizione di far sgonfiare le ruote di un camion per recuperare i 12 cm - la misura di un pene non certo grande ma dignitosamente brillo - che avrebbero permesso allo stesso camion di passare sotto una galleria dimostrano quanto quel bambino fosse speciale, quanto i numeri nella sua testa facessero ghirigori e sesso selvaggio tra loro (e lo capisco, ho un problema simile), quanto, quindi, nel suo futuro non ci sarebbero state le vacche del padre ma qualcosa di più grande, qualcosa che avrebbe potuto semmai farlo interagire con altre vacche, quelle di Berlusconi ad esempio, ma nemmeno quello, perchè Ennio si innamorerà prestissimo - e sarà per sempre marito fedele - di quella che sarà l'unica e sola donna della sua vita, una 15enne sua compaesana che poi diventerà sua splendida moglie e madre dei suoi due figli.
Ennio la conoscerà andandosene per risaie, campi fangosi, fabbriche e case cercando di vendere contratti bancari perchè, in una sua scappatella ad una filiale della Banca del Veneto si era accorto, dopo una struggente scena in cui - come un musical disneyano - danzava tra i numeri che albergavano la sua testa, dicevo, si era accorto che la gente in filiale non ci andava.
"E allora la Banca andrà da loro" inventò Doris.


E così, calzoni lunghi ma comunque troppo corti perchè non ci sono i soldi e quindi gli stessi pantaloni si mettono da 10 anni, Ennio prende la sua bicicletta e - portatore sano di un sorriso che, molto simile alla paresi, mai lo abbandonerà per tutto il film - diventa una specie di medico condotto che invece di cure porterà tra contadini, operai e gente semplice dei contratti da firmare. E le firme arriveranno in tempo 3 secondi perchè a quel sorriso non si resiste.
Dicevamo che in uno di questi incontri Ennio vedrà LEI, Lina, sull'uscio della porta.
E i due avranno un colpo di fulmine così fulminante che si guarderanno per due minuti con la stessa espressione delle pastorelle di Medjugorje durante l'estasi, un'estasi che non sarà pareggiata nemmeno da quella - comunque notevole - suscitatasi dall'incontro a Portofino con un giovane - anch'esso portatore sano di sorriso, ma a differenza di Ennio anche di trombate - di nome Silvio (ma torneremo dopo a loro).
Ennio con un immenso coraggio si dichiarerà alla famiglia di Lina (uno stuolo di 10 donne che lo guarda con lo stesso sguardo, astioso e curioso, col quale noi spettatori guardiamo il film) ma per farcela dovrà affrontare il Boss Finale, ovvero il padre della sposa.
Padre che gli ricorda che la donzella ha solo 15 anni e deve quindi aspettarne 4 per sposarla.
Ed Ennio, in piena fase prestazionale, inizia a fare i conti di quanti giorni, quante ore e quanti secondi saranno questi 4 anni, ma il conto viene violentemente cesurato dal padre che - mettendogli in bocca un bichierin de vino - gli dice "Bevi!".

Tra i poteri concessi al Nostro scopriamo che c'è anche quello di avere una colonna sonora privata che suona in base a quello che gli succede in vita.
E così quando alla balera lui balla con Lina l'orchestrina suona proprio in quel momento "Non ho l'età" oppure quando Ennio va a casa della ragazza a dichiararsi il fratellino di lei fa partire a caso il giradischi e il pezzo, che non ricordo, parla di quanto saranno felici quando saranno insieme.
Ovviamente sia l'orchestrina che il fratellino di lei hanno agito come sotto una sorta di ipnosi causata dal sorriso irresistibile di Ennio.

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Uno ZERO incontra un OTTO e gli dice:
"Che cintura stretta che hai!"


Scusate l'intermezzo ma questa freddura è importante per la vita di Ennio, per quella della sua famiglia e, per osmosi, credo anche per la nostra.

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Ne approfitto anche per dire che il film, incredibilmente, è girato davvero bene, in 3/4 scene ha anche una bellissima fotografia e, in generale, è molto ben curato.
Il problema sono molti attori (tra cui ahimè il protagonista, il Doris ragazzo) e il contenuto.
Siamo di certo davanti alla più grande agiografia nella storia del Cinema.
Se, imitando Ennio, mi fossi messo a contare i momenti in cui Doris veniva glorificato (o come padre, o come marito, o come figlio, o come nonno, o come bancario, o come uomo illuminato, o come virtù morali, o come intelligenza, o come computatore di conti, o come uomo capace sempre di perdonare, o come benefattore, o come umiltà, o come vaticinatore o tanto altro), dico, se avessi contato i momenti in cui Doris viene glorificato credo che saremmo tranquillamente oltre i 241.
Non ricordo 2 minuti filati del film (vi giuro sono SERISSIMO) dove Doris non eccelle per qualcosa.
Per farvi capire il livello se inviassimo a qualcuno una foto mostrante solo il nostro pisello di 20 cm ecco, in quella foto, così nuda, zoomata e specifica, comunque ci sarebbero più margini di umiltà dell'intero film su Ennio Doris.
Perchè sì, perchè magari è vero, ti ho mandato la foto di un pisello di 20 cm ma non è implicito che io sappia usarlo.
Invece no, invece nel film non c'è mai un solo secondo, un solo cm di pellicola, una minima fessura o un minimo dubbio sulla magnificenza di Ennio.
E in questa recensione già così lunga vi avrò raccontato al massimo il 27% delle scene o dei momenti da SuperEnnio.

Uno che ad esempio invitava importanti soci a casa sua ma interrompeva ogni 30 secondi l'incontro per andare ad accogliere all'uscio gente semplice alla quale firmava fogli a caso (una scena davvero vicinissima a quella dei Santi che toccano la testa dei fedeli), uno che assumeva gente in due secondi se questa sapeva fare 4 triangoli con sei matite (meraviglioso quello che il tempo di 3 passi si ritrova una giacca e una 24 ore addosso), uno che grazie alla sua simpatia e al suo sorriso poteva vendere un contratto a chiunque (la scena della chiamata al Segretario della Confindustria o quella dove umilia il povero Cagliari fissando 10 incontri in 3 minuti), uno che durante il crack finanziario americano che rischiava di mettere a terra molti suoi correntisti decise di mettere soldi di tasca sua per risarcirli.
E tanto tanto altro.


Ma due dei momenti più belli riguardano Silvio.
Nel primo incontro, quello a Portofino, assistiamo al più grande switch di doppiaggio della storia del cinema italiano.
L'attore che interpreta Berlusca parla infatti un faticoso milanese, come giusto che sia.
Ad un certo punto, però, probabilmente si dimentica del ruolo e per commentare il:

"Voglio aprire una banca!"

detto da Doris risponde con un:

"Ma un ce ne sono già troppe???"

con una cadenza toscana assurda. 
Incredibile che nessuno si sia accorto della cosa ma forse questo era soltanto un altro potere di Doris, ovvero quello di far switchare la cadenza degli interlocutori.
Ci rimarrà anche indelebilmente nel cuore la scena di Silvio ed Ennio ad Arcore, loro felici come bambini mentre rincorrono e raccattano fogli che se ne sono volati nel giardino, MERAVIGLIOSA.

Ma c'è un punto oscuro, una scena incomprensibile che non abbiamo capito e che mi darà la stupenda occasione di voler rivedere questo capolavoro.
Ennio e Lina sono, da "anziani", su una casupola di legno, una specie di povero ma ben curato chalet.
A memoria credo che sia la loro prima casa.
Lo spettatore è convinto che i due siano tornati nella casa del loro primo amore, quella dove hanno passato i loro primi anni insieme, del resto tutto il film è un rimembrare il passato o prenderlo tra le proprie mani.
Ad un certo punto, però, entra il figlio che li chiama.
Questi escono e uno si aspetta che escano FUORI ma invece no, attraversata la porta si ritrovano nella loro mega villa dove vivono.
Aprono la porta della casupola e sono dentro il villone dove abitano ora, ripeto.
E' molto probabile che io e il mio amico, a quel punto, fossimo drogati dal film e pronti a credere a qualsiasi cosa avessimo davanti, qualsiasi apparizione (del resto Ennio questo è stato per tutto il film, un'Apparizione Divina).
Ma questo uscire dalla casupola e ritrovarsi nel villone moderno è un qualcosa che non mi fa dormire da 2 giorni, vi giuro.

Grazie vita, grazie Ennio, grazie tutto.

Vi lascio con questo video.
Perchè nel 2000 un uomo buono tracciava con un bastoncino intorno a sè un cerchio, in quella che sarebbe diventata una delle pubblicità più iconiche dei nostri tempi.
E vedere la genesi di quel bastoncino è qualcosa di troppo importante.



17.4.24

Recensione: "Omen - Le origini del Presagio" - Al Cinema 2024

 


Il prequel della saga Omen (secondo me assolutamente condivisibile come scelta, mancava sapere com'era nato - in tutti i sensi - Damien) si rivela come un buonissimo horror da sala.
Girato davvero bene, ambientato in una Roma degli anni 70 magistralmente ricostruita, recitato bene (specie dalle 3 giovani attrici principali, per un film molto al femminile) e con una storia abbastanza torbida e più d'una scena notevole da vedere.
La regista, giovane ragazza alla sua opera prima, dimostra di saperci veramente fare.
Certo ci sono sbavature, sia di scrittura che di qualche sequenza o mal costruita o di grana grossa, ma questo Omen - L'origine del Presagio è un perfetto esempio di come dovrebbero essere gli horror da sala, spettacolari il giusto, recitati bene, con una storia accattivante e non la solita catena di montaggio da jumpscares che abbiamo di solito

Ci sono prequel, anche di serie con già tantissimi episodi, che sono narrativamente perfetti.
Insomma, non un semplice sfruttare il brand inventandosi chissàche (reboot, finti remake, prequel o sequel che sconfessano fatti e linee narrative etc...) ma l'aggiungere un capitolo che è coerente con tutto, che colma un'eventuale lacuna, che non è una forzatura.
La saga Omen - di cui non ricordo una sega e della quale credo di aver visto solo due film, ed eoni fa - ha avuto tutti capitoli cronologicamente consecutivi (oh, meno male, non come alcune saghe schizofreniche e impossibili da contestualizzare, come ad esempio i Non aprite quella porta).
Insomma Omen 1, poi Omen 2 che seguiva cronologicamente l'1, poi Omen 3 che seguiva cronologicamente il 2 e poi Omen 4 che seguiva cronologicamente il 3.
Che bellezza, quanto è facile.
C'è stato poi negli anni 2000 un remake del primo, ok, ma i remake "puri" non confondono granchè.
Il fatto è che, quindi, un prequel mancava, visto che nel primo film c'era sto figlio del Diavolo dato ad una famiglia, bambino però di cui non conoscevamo il passato.
E allora ecco che questo "Omen - Le Origini del presagio" narrativamente si infila là, prima di tutti, a raccontarci come è "nato", in tutti i sensi, Damien.

Io ste operazioni le amo, come ho amato ad esempio quella de "La Cosa", un prequel che era un atto d'amore verso il primo film e che, in maniera quasi filologica, ci raccontava cosa era successo nella stazione dei norvegesi, perchè era ridotta in quello stato e la storia di quel cane che, nel meraviglioso incipit del primo film, arriva alla stazione americana.
Tutti l'hanno odiato, alcuni secondo me senza nemmeno averlo visto (tanto che ho letto parlavano di  "remake"...) quando, invece, era solo un film, anche molto ben fatto, che esaltava il capolavoro iniziale.

ECCO, STE RIGHE LE AVEVO SCRITTE IL GIORNO DOPO AVE' VISTO IL FILM.
POI NON SO COSA E' SUCCESSO, FATTO STA CHE ORA SON PASSATI 10 GIORNI E, QUINDI, CHISSA' CHE ME RICORDO
AL SOLITO, SO UNO STRONZO

Quindi, visto il disclaimer difficile fare una recensione elaborata e coerente, andiamo per punti

  • Il film è girato davvero bene...
    La regista, Arkasha Stevenson, è una giovane ragazza alla sua prima regia, se il buongiorno si vede dal mattino potremmo avere una nuova autrice nell'horror.
    Il film è molto bello esteticamente, ha più di una scena suggestiva e, anche quando vira sullo spettacolare, sul grottesco e sull'esagerazione visiva non sembra esser mai di grana grossa ma riesce a mantenere un suo senso del bello, sempre

  • L'ambientazione romana del 1971 è super suggestiva...
    Le automobili, i vestiti, le usanze, i luoghi, Roma degli anno 70 in questo film diventa vera protagonista del film e non semplice scenario "da fiction" stucchevole.
    C'è la sensazione che tutta la scelta delle location, dei costumi e dei volti sia stata fatta con competenza ed anima



  • L'attrice principale, Nell Tiger Free, ti rimane addosso.
    E' dolce, è bella, sa restituire al suo personaggio una grazia, una fragilità e una tenerezza veramente grande.
    Mi ha ricordato nel viso la Qualley ed è molto buffo che nella splendida scena  - alla "Possession" - della rottura delle acque e di lei che scende dall'auto la memoria mi sia andata proprio alla straordinaria pubblicità che fece la Qualley per Kenzo.
    La sua Margaret è un personaggio raro nell'horror di sala moderno perchè complesso, empatico, umano, uno di quei personaggi cui partecipi al suo dolore.
    Molto interessanti anche Maria Caballero (nel ruolo di Luz, il personaggio più odioso del film) e la "piccola" Nicole Sorace, nel ruolo di Carlita, davvero difficile (ah, vorrei dire agli americani che Carlita non è un nome italiano e che Alfonso si scrive Alfonso e non AlfonZo. Niente, evidentemente ci avranno preso per spagnoli).
    Un cast, quindi, dove spiccano soprattutto figure femminili e in cui i due legami che intreccia Margaret con Carlita e Luz sono davvero ben raccontati.

  • Ci sono molte scene "spettacolari".
    A memoria il paio di parti "infernali", abbastanza espliciti e violenti (l'artiglio che esce dalla vagina fa male a me uomo, figuriamoci ad una ragazza che guarda...) l'incipit con la vetrata che cade e si rompe, le bellissime scene della discoteca (ma ormai le scene disco nei film sono sempre tra le più belle, è un must), la novizia simile a Mia Goth che si impicca e dà fuoco contemporaneamente (inventivo doppio suicidio), la cerimonia dove Margaret viene messa incinta - veramente infernale in tutti i sensi -  quella dell'altra cerimonia del "battesimo" di Luz,  "il marchio" in bocca, la già citata scena di Margaret che, come posseduta, perde le acque per strada, il parto finale con tutti quei debosciati che esultano alla vista di un figlio maschio.
    Tutte notevoli, davvero

  • Ero arrivato quasi a fine film "incazzato" nero per una scena secondo me senza alcun senso, ovvero quella dell' "ultima" notte da ragazze libere, quella in cui Luz invita Margaret ad uscire a sballarsi. No, non aveva senso, una ragazza così tanto religiosa da dare la sua vita per Dio non si veste da strappona e va in discoteca per dare un ultimo sfogo al corpo, è assolutamente impossibile.
    Poi, però, quella scena super incoerente diventerà non solo coerente ma in qualche modo "perfetta" quando scopriremo che tutta quell'uscita era organizzata dalla setta per far ubriacare Margaret e farla poi accoppiare con la Bestia (gli stessi due ragazzi "conosciuti" in discoteca facevano parte della cricchetta, perfetto).

  • Mi è sembrato davvero di pessimo gusto lo squarcio in testa post vetrata nell'incipit (oltre che fisicamente impossibile quelli sì son secondi di grana grossa), ho trovato abbastanza assurda la scena dell'investimento di AlfonZo (per tanti motivi, primo il fatto che l'autista va subito addosso a un muro. Cioè, Alfonzo è stato investito per strada ma l'autista stava comunque andando addosso a un muro? E poi perchè non scende mai dall'auto? Nemmeno quando Margaret se ne va in giro con mezzo Alfonzo in braccio?

    Anche il finale ha parecchi problemi.
    Per prima cosa non si capisce perchè quella Bestia se ne sta vita natural durante dietro una tenda senza fare un cazzo, così, pronto ad uscire dalla tenda solo quando deve ingroppare. Non sembra nemmeno legato, niente, è solo uno sciacallo del Diavolo ammaestrato che per 20 anni sta fermo e che se poi gli fischiano esce e tromba.
    E no, dar fuoco ad una stanza di pietra non è credibile come non è credibile che poi entri Carlita a salvare Margaret e se ne scappano.
     Da dove? Senza esser visti da nessuno?
    Peccato, ecco, questa è una scena dove l'urgenza spettacolare ha un pò fatto mettere da parte credibilità e "classe".




  • Ora, la faccenda del mettere al mondo un Anticristo che vada a "favore" della Chiesa è molto affascinante.
    Una Chiesa deviata che mette al mondo un suo nemico per dimostrare che il Male esiste e, di conseguenza, far avvicinare più a Dio la gente.
    Solo che è confusotta la cosa eh.
    Il fatto che de 12 bambini nascono tutte femmine e che allora capiscono che per nasce maschietto lo stesso bestione deve trombà una de quelle femmine (solo due erano rimaste vive, Carlita e la stessa Margaret, che quindi son "sorelle) una volta arrivate a 18 anni ha dell'assurdo.
    Boh, non so che scienziati abbiamo nei sottoscala della Chiesa romana ma sta di fatto che avevano ragione, lo stallone demoniaco doveva ritrombà con una delle sue stesse figlie per faglie concepì un bebè maschio.
    Potere della Fede.

  • Ah, il mi fratello dopo mezz'ora de film aveva capito che era Margaret l'eletta, non Carlita. E, insomma, non so quando l'avrei capito io ma ho visto tutto il film senza una sorpresa in quel senso

Insomma, un film ben girato, ben recitato, con location suggestive e una ricostruzione della Roma settantina davvero riuscita, con una linea temporale inserita nella saga in maniera coerente e quasi "doverosa", con una bella atmosfera, scene spettacolari e altre dolorose, qualche caduta di stile, qualche concessione all'horror di sala più canonico (ah, dimenticavo le visioni di Margaret della novizia bruciata, evitabili), con un finale magari poco credibile ma molto interessante (per la faccenda della bimba femmina salvata, cosa che ora mi confonde e insospettisce perchè non credo comparisse nei 4 film originari e quindi puzza molto di possibile sequel di questo prequel).
Una storia di donne, di potere, di dolore, di manipolazione.
Un gran bel horror di sala

7


2.4.24

Recensione: "Spaceman" - Su Netflix

 

Un film straordinario che purtroppo (perchè in sala tantissimi lo avrebbero consacrato come uno dei film dell'anno) e per fortuna (perchè almeno lo si può vedere sempre) è uscito solo su Netflix.
Jakub va in missione spaziale per analizzare una misteriosa Nube Viola che da anni è visibile dalla Terra.
Un viaggio di un anno, completamente solo.
Finchè nella navicella non entra un "invasore".
Film esistenziale, di quelli che non smetterei mai di vedere.
Un'opera che racconta in un modo originale e commovente di come a volte l'unica salvezza sia guardare dentro sè stessi.
Riscoprendo quello che siamo, quello che ci fa stare bene, i sentimenti che proviamo.
E che ci fa capire che a volte per riconquistare l'Amore bisogna tornare al Principio.
Principio che non è un luogo dietro di te ma, al contrario - in un sorprendente paradosso - un luogo da raggiungere.
Davanti a noi.



 Con me, Spaceman, vince facile.
Questi sono i film che cerco e amo di più, quelli che nascondono l'esistenzialismo sotto un vestito di genere.
Film che i bugiardini ti vendono come fantascienza, o come horror, o come commedia o con qualsiasi altra etichetta possibile ma che hanno invece a cuore qualcos'altro, qualcosa di più grande che un'appartenenza a un genere.
Sono film che raccontano noi, le nostre vite, le nostre mancanze, i nostri dolori, i nostri amori, le nostre aspirazioni, le nostre solitudini.
Sono i film più belli.
E per me poi che non amo la fantascienza tout court, quella degli effetti speciali, quella delle navicelle che volano e sparano, quella degli attacchi alieni, quella fracassona e spettacolare, ecco, ringrazio sempre film come Spaceman per dare la possibilità anche a me così lontano da questo genere di poterlo amare.
Film come Signs, come District 9, come Non Lasciarmi, come Her, come Mr Nobody, come Another Earth, come Ex Machina e tanti altri che sono sì film di fantascienza ma anche, e principalmente, opere su di noi esseri umani.
O Moon, lo splendido debutto di Duncan Jones, che, tra tutti questi qua, è forse il film che somiglia di più a Spaceman.
( Kubrick e capolavori del passato, al solito, non li nomino nemmeno)
Anche se in realtà il film che più me lo ha ricordato con la fantascienza niente c'entra, ma ne parleremo poi.



Jakub Prochazka, cecoslovacco, viene mandato nello spazio ad analizzare una bellissima e suggestiva "nube viola" che da anni è visibile dalla Terra.
Non si capisce bene cosa sia, tutto il mondo sta aspettando una risposta.
Jakub (un grande Adam Sandler) parte così per questa missione della durata di un anno, completamente solo.
E, attenzione, l'assoluta solitudine (una bambina in una videochiamata iniziale glielo dice "E' vero che sei l'uomo più solo del mondo?") è uno dei temi principali del film.
Perchè sarà proprio quella solitudine, così assoluta, "atavica" (lui è nello spazio) ed egoista ad essere il motore di tutto il cambiamento emotivo, psicologico e spirituale dell'uomo.
Jakub in più non riesce a dormire, questo viaggio così stressante, questa lontananza dalla Terra, la mancanza di notizie dalla sua compagna incinta a alcuni nodi "interni" che deve risolvere lo portano a questa condizione fisica e metafisica di grandissimo disagio.
Fino a che nella navicella non entra un ragno alieno gigante.

Un invasore?
Un compagno?
Una visione dovuta all'insonnia?
Una parte di sè fino a quel momento celata, come una coscienza che finalmente riesce a venir fuori?

Spaceman non ci darà una risposta certa, e per questo lo ringraziamo.
Quello che è sicuro è che questo meraviglioso ragno porterà Jakub e - sinedocchianamente -  molti di noi, a capire l'importanza degli altri, quella dei sentimenti, quella dell'Amore, fino a riportarlo(ci) all'essenza di tutte le cose.
L'atmosfera è magnifica.
Queste vicende di solitudini mi affascinano sempre da morire perchè psicologicamente densissime e cariche di significato.
La solitudine è una condizione a volte vitale (perchè c'è sempre bisogno di tempo per sè, tempo quasi mai perso) e spesso devastante, specie quando vissuta male o non voluta.
In questo caso ci troviamo davanti ad una solitudine "ibrida", perchè tremendamente voluta dal protagonista (Jakub è un egoista malato del suo lavoro e dei suoi risultati) ma, più il tempo passa, più vissuta dallo stesso in modo disastroso.
Una condizione dove quindi la presenza del ragno Hanus - a prescindere che sia una creatura reale o la reificazione della propria coscienza - trova il suo habitat perfetto, perchè non c'è miglior habitat per un uomo che ha "bisogno" di capire le cose quello di ritrovarsi completamente solo.
Non è un caso che è proprio con l'arrivo del ragno che Jakub cominci ad avere flash back della sua relazione, relazione che - lo capiremo meglio dopo - è arrivata al capolinea perchè la magnifica Lenka (una sempre grande Carey Mulligan) non riesce più a stare con un uomo che ama follemente ma che non riesce a restituirle nulla, perso e innamorato com'è solo di se stesso.
Insomma, un rapporto tremendamente sbilanciato.
"Io ho amputato tante parti di me stessa per te Jakub, tu cosa hai amputato?"


E questo sarà quindi Spaceman, ovvero il viaggio spaziale di un uomo verso una Nube Viola che diventa anche il viaggio interiore alla scoperta di sè, dei propri sentimenti e delle proprie priorità ("Io sono un esploratore, come te" gli dice Hanus, come a dire che anche indagare se stessi è un'esplorazione).
Insomma, uno scienziato che deve indagare la Scienza più difficile, quella dell'amore.
E ho trovato incredibile la coincidenza (o è un rimando?) allo straordinario pezzo dei Coldplay "The Scientist" che, praticamente, è l'esatta trama di questo film, ovvero la necessità di lasciar perdere cose futili sulle quali eravamo ossessionati per tornare invece indietro, alla genesi dell'Amore che stiamo perdendo ("I'm going back to the start")

I was just guessing at numbers and figures
Pulling your puzzles apart
Questions of science, science and progress
Do not speak as loud as my heart
Tell me you love me, come back and haunt me
Oh and I rush to the start
Running in circles, chasing our tails
Coming back as we are

(Stavo solo calcolando cifre e numeri
Mettendo i tuoi problemi da parte
Problemi di scienza, scienza e progresso
Non parlano forte come il mio cuore

Dimmi che mi ami, torna e ossessionami
E io corro verso l'inizio
Correndo in cerchio, rincorrendo le nostre code
Tornando indietro a quello che siamo)


Vi giuro, è incredibile come il pezzo e il film coincidano.
E che il brano si chiami proprio "Lo Scienziato" mette i brividi.
(il video è tutto girato a ritroso, ad evidenziare questo bisogno di tornare prima dell'incidente, prima che le cose si siano rotte)


Perchè questa è la magia del film e il suo straordinario e commovente insegnamento, ovvero quello di un viaggio che sembra "in avanti" ma in realtà è un viaggio a ritroso.
La Nube Viola nasconde - lo dice Hanus stesso - "Il Principio", la genesi delle cose.
Quindi è come se Jakub più che "tornare" al principio lo "raggiunga", come se il suo passato coincida con il suo futuro, sia una cosa davanti a sè.
E, se ci pensate, la metafora diventa ancora più emozionante perchè quel tornare al passato, quel riscoprire quanto si amava quella persona è veramente coincidente con un futuro, con un potersi riamare come quelli di un tempo.