Settimo appuntamento con il nostro giovane esperto di animazione giapponese.
Buona lettura :)
Partiamo da un assunto: per parlare di Promare bisogna prima parlare della Trigger, la casa di produzione. Non nego che non mi faccia impazzire: anni fa vidi i primi episodi di Kill la Kill, il loro progetto maggiore. Una serie acclamatissima, amata, che non sono mai riuscito a proseguire e fare mia. Ricordo un fastidio che potrei riassumere in una sola parola: ostentazione. Lo stile Trigger è come un Wes Anderson gonfiato a dismisura, ti riempie fino alla nausea, di personaggi sempre al centro della scena, di rumore, di cinesi continua di corpi e movimenti di macchina. Tanto per dare un idea, Kill la Kill è il nome di un pianeta intero, con un’armatura senziente e parlante, con un design così mirato al fanservice che non ci si crede. Tutto adattato ad un format, la narrazione episodica, già meno consono a me del lungometraggio, devastante con 20 minuti alla volta di stile sbattuto in faccia.
È dunque per me uno shock, avere adorato tutto questo con Promare. Non perché lo studio abbia fatto un passo indietro, affatto: questo è Trigger all’ennesima potenza, talmente spinto da fare il giro completo ed evolversi in un Trigger diverso, se ha qualche senso.
Senso non è ad ogni modo una parola che affibbierei a questo film. Ha una trama, ma è adattata al mondo che la ospita, che chiaramente non è il nostro. E non perché ci sono robottoni, viaggi intergalattici, pirocinesi, ma perché basta guardare i personaggi, come parlano, dove vivono, che aspetto hanno, per capire che non siamo sulla Terra, e nemmeno su di una Terra fantascientifica. Siamo sulla Terra Trigger, un posto che appunto, non ha senso logico ma senso lirico (come i film di Dario Argento, o il Revenge di Coralie Fargeat), detta in maniera più paracula ma anche più poetica possiamo parlare di un mondo regolato solo dalla magia del Cinema.
E con l’animazione è ancora più facile piegare l’incredulità degli spettatori. Questo film è fantasia scatenata, colori vomitati ovunque, prospettiva che vola a centinaia di metri al secondo, scritte gigantesche che compaiono continuamente. È sempre ad un passo dall’esagerare, e si tira indietro appena prima di diventare stucchevole.
E sì che l’incipit è tutto all’insegna del minimalismo (o almeno, la cosa più vicina ad esso a cui possa arrivare questo studio così pazzo e sopra le righe). Bianco e nero, un giorno come tanti. Mentre scorrono i titoli di testa, vediamo situazioni di esasperazione. Una metropolitana troppo stipata, un ponte intasato di macchine, un abuso domestico. Improvvisamente, dei triangoli rosa compaiono e spingono la frustrazione fuori dal corpo dei personaggi, sotto forma di fiamma. In tutto il mondo gli incendi si susseguono, uno dopo l’altro. Intrigante, davvero. Molto misterioso, una sorta di Giorno di (stra)Ordinaria Follia, con un senso di imminenza e paranoia nervosa, catturato alla grande dalla colonna sonora di Hiroyuki Sawano, che più avanti farà schizzare l’adrenalina a mille nelle scene d’azione.
Un salto in avanti, ed eccolo il mondo Trigger, in tutta la sua esplosione cromatica. La città, Promepolis, ricorda tantissimo la Metrocity di Megamind, con i suoi viali d’acqua, grattacieli bianchi ed idranti blu. Ha addirittura un governatore che è praticamente la versione bionda di Metroman. Questo agglomerato di geometria e perfezione viene periodicamente sconvolto da incendi rosati, e i nostri protagonisti sono la squadra di pompieri chiamata a spegnerli. Ovviamente tutto è in proporzione: a questa larga scala la “Burning Rescue” si adatta con tute robotiche, ombrelloni antifumo (riferimento esplicito alle tradizionali forze antincendio del Giappone antico), aerei da soccorso, cannoni congelanti, un’autopompa con così tanti lampeggianti da far sembrare smorti i carri del carnevale brasiliano. E qui sta uno dei tanti miracoli di Promare: i personaggi, dal più insignificante al più prominente, sono tutti simpatici, tutti piacevoli da vedere e ascoltare (anche quando urlano in continuazione in pieno stile Trigger), sprizzano personalità da tutti i pori.
Adoro specialmente la squadra di pompieri, talmente tanto che avrei voluti vederli di più. Perché il film è quasi interamente concentrato su Lio Fotia e Galo Thymus, colui che incendia e colui che spegne, antagonista e protagonista, come nelle migliori storie. Poi si è capito alla seconda scena chi era il vero cattivo (perché era cattivo invece, quello mi ha sorpreso, lo ammetto), dai che non prendete in giro nessuno. Avrei comunque voluto vedere molto di più gli altri membri: adoro quello grosso, l’intellettuale spocchiosetto, la mitica ragazza inventrice, il caposquadra. Ecco, del topo parlante avrei fatto a meno, ma il mio compagno di visione mi ha informato che è una specie di Jimmy the raven loro, ce lo mettono sempre a fare un cameo. Sono stereotipi usati e abusati, ma funzionano perché chiaramente chi ha curato la storia gli vuole un bene dell’anima, e si vede. Emanano una “figaggine” difficile da spiegare, perché non ha la volgarità del fanservice, ma è sempre in primo piano, trasuda da come parlano, da come si vestono, persino dalle proporzioni del corpo. Ad esempio, c’è lo scagnozzo del vero cattivo, che non potrebbe essere altro che quello: è gigantesco, dagli occhi invasati, denti a punta, voce arrogante (ah, doppiaggio Dynit eccelso, al solito). E ti piace che sia così, ti godi quanto è subdolo e ostinato, e ancora di più quando gli si presenta il conto. Per dire, c’è una scena dove lui e il capo pompiere, nella battaglia finale, si caricano con le macchine manco fosse Hazzard, sfondano nel tamponamento i vetri, e continuano la collisione con le loro teste. Giusto per darvi l’idea dei livelli di epicità e follia di questo film.
L’unica che riesca a bilanciare il protagonismo assoluto di Lio e Galo è Aina Ardebit, anche per il suo legame con la sorella Heris. Chissà, magari è una citazione alla dea del Caos Eris, visto il suo ruolo di scienziata e come questo le sfugga di mano. Perché sì, in mezzo a draghi viola che danno alle fiamme città intere e combattimenti con i robottoni, rimane spazio pure per la critica sociale, l’emarginazione, le metafore. C'è un'interessante dualità in ognuno dei personaggi principali, nel carattere, nella società, nelle posizioni etiche portate avanti, che può essere risolta solo nella zona grigia del compromesso. Quindi si sfuma il ruolo di chi spegne incendi e di chi li appicca, del terrorista e l’eroe, del ricercatore morale e il Frankestein. A pochi mesi da Weathering with you, troviamo pure un altro approccio originale al problema climatico, la grande sfida dei nostri tempi, e al disperato bisogno di trovare un equilibrio tra Natura e Uomo.
Ecco un altro miracolo di Promare, conciliare tematiche tutto sommato pesanti con l’intrattenimento puro, inserendosi nel solco tutto giapponese che parte da Godzilla e arriva ai giorni nostri. Si pesca a piene mani da quell’immaginario che ha ispirato il Pacific Rim di Del Toro, per raggiungere, nel cinefilo, quel bambino che ancora scalcia dentro di noi perché vuole vedere omoni di metallo che gridano il nome di ogni arma prima di usarla, e si prendono a cartonate in faccia come i Bud Spencer e Terence Hill dei tempi d’oro. Ci sono così tante scene d’azione da perdere il conto: il lunghissimo salvataggio iniziale che diventa scontro con i terroristi (ma quanto sono belle quelle loro armature ghignanti) che diventa scontro tra giurisdizioni; la fuga da quella meravigliosa prigione in mezzo ai ghiacci, praticamente la versione fantascientifica della cella di Tai Lung di Kung Fu Panda, con tanto di macchine che sfrecciano nei corridoi; l’assalto delle guardie al gruppo di pirocinetici, filmato come un vero sterminio etnico; i due protagonisti, Galo e Lio, che si coalizzano e si salvano a vicenda contro il boss finale. Non tutto funziona, specie sul finale, dove c’è qualche momento di stanca, esposizioni di troppo (la questione dei Promare stava meglio nell’ambiguità, invece di buttarla sui soliti alieni e campi magnetici), ma gli autori stessi se ne accorgono e stemperano con l’ironia, vedi il deus ex machina, che si chiama letteralmente Deus Ex Machina, o Galo che si addormenta nel bel mezzo di uno spiegone.
Il meglio di questo film però sta nei personaggi, e quando si decide a dare una calmata al ritmo e lasciarli interagire comincia la vera magia. La già citata Aina, il pilota dei Burning Rescue, rimane indubbiamente la mia preferita. È lei la finestra sui rapporti umani, quello di grandissimo affetto verso sua sorella, il senso di comunione con la sua squadra, quando si siedono a mangiare una pizza e chiacchierare del più e del meno, con Galo in particolare. I due che parlano al lago ghiacciato dev’essere la mia vetta emotiva della storia, per atmosfera, uso delle luci, caratterizzazione. E anche come continua non scherza, con lui che si intrufola nella caverna e finalmente si confronta con il suo antagonista e con se stesso, accettando la dura realtà. Riesce nell’impresa di farmi amare il classico protagonista da shonen tutto amicizia e dovere, semplicemente ponendo queste persone in un ambiente tranquillo e lasciando fluire i pensieri.
Ecco, qui mi mordo un po’ le dita, perché se la Trigger fosse sempre così, capace di prendersi le sue pause e costruire l’atmosfera, probabilmente sarebbe la mia casa produttrice preferita. Hanno chiaramente creatività da vendere, e solo il fatto che si rifiutino di adattare opere di terzi come il 95% del mercato di anime, lasciando gli animatori senza il confronto restrittivo con il manga, merita il rispetto di ogni appassionato. Questa loro tendenza alla bulimia ed anarchia creativa li caratterizza, è innegabile che nessuno dia ordine al caos come loro, ma sono convinto che quando la supereranno entreranno di diritto nella storia del cinema. Per ora c’è solo da godere di uno spettacolare esordio nei lungometraggi, un manifesto cinematografico purissimo, Promare.
Trigger o non Trigger, che proprio non conosco, questo è un film d'animazione che mi potrebbe piacere ;)
RispondiEliminaInnanzitutto è un piacere risentirci, ricordo il commento sotto Your Name. Alla fine c'è stata l'occasione di vederlo? ;)
EliminaPer quanto riguarda Promare, come la Trigger, credo lo amerai o odierai, non esistono le mezze misure qui. Dipende tutto da se ti fai prendere o meno. Io ho accettato di sospendere l'incredulità come non ho potuto fare con Kill la kill, e mi sono divertito da pazzi.
Per me il paragone con Anderson è un po' stirato, tralasciando questo è un'altra grande produzione dalla coppia di Gurren Lagann. Pecca forse di una certa originalità di trama ma compensa con il proprio carisma e una regia davvero congeniale.
RispondiEliminaHaha, sai che rileggendo in effetti si capisce poco il paragone. Volevo probabilmente dire che Anderson ha uno stile che tende a diventare stucchevole, ma se il suo lo diventa in un'ora e mezza, lo stile Trigger in 20 minuti.
EliminaSpero di essere diventato meno acerbo col tempo, ma sono ancora abbastanza fiero di questa recensione, che scrissi in tipo due giorni, invece dei soliti due mesi haha. E il mio parere non è cambiato in tre anni, adoro ancora Promare nello stesso modo in cui feci all'epoca, al cinema.
Ciao Enrico, complimenti per la bella recensione!
RispondiEliminaCon Promare ho un rapporto un po' strano. Prima di vederlo pensavo che l'avrei adorato, perché Imaishi è un regista che amo: Gurren Lagann è il mio anime preferito e anche in prodotti un po' meno conosciuti di quello che fu lo studio Gainax, tipo Re:Cutie Honey o Abenobashi, gli episodi da lui diretti spiccavano sempre sugli altri . Invece alla fine, pur piacendomi, non sono riuscito ad apprezzarlo quanto vorrei. Il suo stile è sempre quello, ma stavolta per me è mancato un po' di mordente che mi tenesse coinvolto nella visione. Paradossalmente credo il mio lavoro preferito del buon Imaishi fatto nello studio Trigger sia il più recente Cyberpunk Edgerunners, che per certi versi mostra un lato diverso e più drammatico rispetto a quello che siamo abituati a vedere da lui.
Ciao Alessandro e grazie, anche di aver commentato.
EliminaQuello che mi dici l'ho riscontrato in alcune mie conoscenze molto appassionate di Gurren Lagann e più in generale di Trigger: una grande esaltazione per il loro primo lungometraggio, ma che una volta visto lasciava vagamente insoddisfatti.
Non so, io che di Imaishi non avevo mai visto nulla prima sono stato piacevolmente sorpreso. Spero Promare sia servito a tanti come me come porta d'accesso per questo stile e regista. Infatti, già solo dal design Cyberpunk Edgerunners sembra qualcosa da vedere assolutamente (segno volentieri il consiglio). Purtroppo non avere netflix mi penalizza un po' ma non è mai detta l'ultima haha