7.12.22

Recensione: "Boiling Point - Il disastro è servito"

 

Dopo Athena un altro grandissimo film del 2022 che sfrutta in maniera eccezionale (qui ne abbiamo addirittura uno soltanto) una tecnica che mi fa emozionare ogni volta, quella del piano sequenza.
Siamo dentro il ristorante (con cucina a vista) di un importante chef.
In tempo reale vivremo tutto lo stress, le difficoltà, le pressioni psicologiche che questo lavoro può comportare.
Eppure Boling Point  - oltre che piccolissimo affresco di un mondo, quello dell'alta cucina - è anche viaggio psicologico e intimo di un solo uomo, un uomo che in un'ora e mezza vive e trattiene mille emozioni.
E forse trattenerle così a lungo può portare solo a un epilogo, quello del meltdown, del punto di ebollizione

Cinque-sei anni fa il mondo dei film in piano sequenza (unico o no, vero o no) sembrava popolato sempre dagli stessi nomi, film grandi e piccoli che hanno fatto la storia di questa magnifica tecnica (che distrugge uno degli aspetti più importanti e forse difficili del cinema, il montaggio).
Adesso, invece, vuoi per sperimentalismo, per necessità, per sfida o per spettacolo, i film che puntano sui long shot sono sempre di più, tanto che sarà forse arrivato il tempo di fare una bella lista qui nel blog.
Boling Point è forse uno dei più particolari, sia perchè molto circoscritto (siamo letteralmente in 50 metri quadrati o poco più) sia perchè riesce quasi del tutto a "nascondere" il piano sequenza che, qui, non si fa mai spettacolare, non si fa mai "fine", ma soltanto mezzo.
Un piano sequenza quindi che più che tecnico diventa contenutistico. 
Siamo in tempo reale nella cucina di un ristorante di classe a Londra, e per dimostrare in maniera perfetta e realistica tutto quello che accade ecco che il piano sequenza diventa elemento straordinario - vero - perchè ci permette di vivere tutto quello che contemporaneamente si può vivere in una cucina. Andremo in mezzo ai tavoli, poi nella cucina a vista, poi nel retrocucina (dove c'è la pasticceria), poi fuori, poi in bagno, e tutto questo continuamente, senza - ovvio - soluzione di continuità.
Solo così potremmo vivere realmente tutto, senza "trucchi" (i trucchi che ovviamente un montaggio può contenere, vuoi per la messinscena o le piccole e grandi ellissi temporali).
Attenzione, non pensiamo che un film con montaggio non possa dare la stessa adrenalina, anzi - vedi ad esempio i fratelli Safdie - è possibile realizzare film con montaggi frenetici ed estenuanti che regalano la stessa immedesimazione ed atmosfera, ma è ovvio che il senso di "realtà" di un P.S era e resterà unico.
In più anche in una simile tecnica è possibile "respirare" e qui il regista lo fa ad esempio in due sequenze che uno spettatore occasionale può vedere solo come "narrative" ma in realtà sono assolutamente costruite ad hoc per altri motivi.
Mi riferisco al lavapiatti che va a prendere la droga fuori dal locale o alla proprietaria che va a piangere in bagno.
A cosa servono queste due scene?
Hanno due finalità.
La prima è quella di far riorganizzare tutti gli attori, prendersi una pausa dalla frenesia, preparare tutto quello che verrà da lì in poi. Quando il lavapiatti va fuori in quei 5 minuti nel frattempo, dentro al locale, tutti gli altri attori e la troupe hanno finalmente un momento di respiro e di riorganizzazione. E' come se si fosse completata una tappa, ora si respira e poi via con la seconda.
E questo serve anche agli spettatori che finalmente possono uscire da quel turbinio ininterrotto di cose ed emozioni ed andare a rifiatare là fuori, con quel personaggio che li accompagna.
Stessa cosa, come dicevo, nella scena della proprietaria, con l'operatore che se ne va via solo con lei e regala 5 minuti di pausa a tutti, inquadrando per un buon minutino anche una porta chiusa.


Tutto questo è mascherato come fossero scene narrative, chapeau (anche se quella del ragazzo di colore si vede da lontano che sia leggermente forzata e fuori fuoco, mentre quella della proprietaria, oltre che "furba", rende anche più bello e complesso un personaggio).

Ma dopo il solito prologo tecnico (quando ci sono i piani sequenza mi ci perdo sempre) andiamo al film.
Che è un film che, con alcune semplificazioni e piccoli errori, racconta tutto lo stress, le emozioni, le dinamiche e le paure che possono nascondersi in una cucina, specie quella di un ristorante "importante" e che quindi non può permettersi di sbagliare.
In realtà il giorno che ci viene raccontato (anzi, l'ora e mezzo di tempo reale) non è un giorno qualsiasi ma accadono tante piccole cose che porteranno al meltdown, al "boling point" del nostro protagonista, lo chef Andy (un grande Graham).
Innanzitutto c'è stata la visita dell'ispezione sanitaria che, per problemi piccoli e puntigliosi, fa perdere al ristorante di Andy due punti nella valutazione.
Poi c'è a cena un ragazzo che deve dichiararsi all'amata, amata che, però, ha una tremenda allergia per le mandorle.
Poi viene a cena un collega di Andy, un famosissimo chef adesso popolarissimo in tv che, in maniera molto furba e disonesta, porta con sè una critica culinaria molto importante.
Come se non bastasse questo chef è creditore con Andy di migliaia d'euro.
L'ispezione sanitaria, la presenza del collega e del critico e tutti gli altri piccoli/grandi problemi che possono presentarsi in una serata porteranno Andy - uomo già di suo in profonda difficoltà psicologica, senza più vitalità e spinta nel lavoro e ormai perso nell'alcolismo - ad un collasso che, in un finale davvero forte, avrà il suo inevitabile epilogo (e quel punto di ebollizione diventa quindi non tanto quello di sfogo, ma quello in cui un corpo non ce la fa più a reggere una data pressione, e collassa).
Il film è, ovviamente, girato in maniera straordinaria (l'operatore, come in Victoria, diventa il vero e proprio eroe dell'operazione), ha attori molto credibili (meravigliosa la sous chef, a mio parere più grande interpretazione di tutti), ha un inevitabile grande ritmo (se il piano sequenza non ha ritmo è quasi inutile si faccia) e racconta in maniera davvero mirabile tante emozioni e dinamiche che si possono vivere in sala, in cucina, nel retro.
Ho amato moltissimo il tremendo personaggio del ricco razzista, una persona odiosa a cui io avrei dato anche più spazio (tra l'altro splendido come venga raccontato, arrogante ma completamente analfabeta di grande cucina, con quel vino che secondo lui andrebbe fatto decantare in bottiglia anzichè in bicchiere e la poca cottura di una carne che solo in quella maniera andrebbe mangiata).
Certo non c'è tempo e spazio per dare troppa complessità ai personaggi ma bastano poche pennellate per darci empatia, come la cameriera di colore umiliata, il giovane pasticcere con tagli nel braccio, la souf chef che da sola deve sopportare tutta la pressione della cucina, la proprietaria svampita e malata di social che, in realtà, ha dentro un'anima molto fragile e sincera (quando viene umiliata va a piangere, altri sarebbero esplosi e avrebbero licenziato il personale).


Vero è che si prova a infilare dentro un pò di tutto, la visita sanitaria, l'altro chef a cena, il critico, l'influencer ridicolo, la ragazza con allergia, il cliente insopportabile e maleducato, il lavapiatti drogato, la ragazza non inglese in prova, lo chef triste e alcoolizzato, la manager inadeguata, tanto che il rischio che il film abbia troppa carne al fuoco (scusate la battuta) è dietro l'angolo. 
Eppure ogni vicenda e personaggio vengono sempre e solo sfiorati da questo fiume in piena che è la ripresa unica, cosicche non c'è mai la sensazione di accumulo od overload.
Non mancano i piccoli difetti come alcuni minimi errori (come quando viene chiesto di cuocere più l'agnello in piastra e l'aiuto chef lo mette subito a fare, roba di due/tre minuti, mentre poi ne passano almeno 10 da quando lo consegna), piccole furbate (è un ristorante quasi stellato e malgrado quella sera ci siano 100 coperti vediamo preparati e mostrati pochissimi piatti dato che che alla fine quelli sono attori e non veri cuochi) o strane strade senza sbocchi (all'inizio mancano un sacco di ingredienti ma poi questa cosa non porta assolutamente a niente).
E' perfetta però la figura di Andy, talmente perfetta che non riusciamo a capire se sia un cuoco di scarso talento e solo "fortunato" (il collega dice che esiste solo grazie a lui) o un cuoco di grandissimo talento ormai però senza più vita, entusiasmo o sogni (fa un errore dietro l'altro, non ci sembra mai essere nel pezzo nè avere una grande manualità).
Certo il film è piccolo, sia nella durata che in quello che racconta che nelle intenzioni (non può avere ad esempio nè l'importanza, nè la tecnica nè l'ambizione di un Athena) ma questa sua componente molto intima e umana è quello che ce lo fa piacere.
Il suo non aver pause e raccontare tante cose e tanti personaggi in modo continuo probabilmente ci tolgono leggermente quell'empatia che più tempo e più spazio ci avrebbero regalato, ma questa è una precisa scelta, nel momento esatto che proviamo qualcosa per un personaggio siamo già 10 metri altrove a seguirne un altro.
Il finale è bellissimo, tremendo ma bellissimo.
Andy non ce la fa più, la visita sanitaria, l'errore nella ragazza allergica, l'impossibile gestione della cucina, le umiliazioni del collega si sommano ad un periodo esistenziale terribile.
E allora usciamo da tutto e lo seguiamo andarsi a rovinare nel suo stanzino.
Per l'ultima volta.
Anche se forse poi Andy capisce che tutto quello che sta vivendo non gli piace.
Che può ancora reagire, che può ancora rinascere.
E allora butta via tutto, pronto forse a darsi un'altra chance.
Ma ormai il punto di ebollizione era stato raggiunto e non si può sbollire l'acqua in due minuti.
Il suo corpo crolla, non sappiamo se per un infarto dovuto alle emozioni provate o per una overdose.
Andy crolla, davanti a noi, tre metri lontano da tutti, nel silenzio.
Chissà quale sarà il suo destino, chissà se si rialzerà.
E magari il suo prossimo piano sequenza, la sua prossima vita, sarà più serena, più bella, più pulita.
Magari tornerà quello di un tempo.
Ma adesso è tutto fermo, questa tremenda inquadratura della sua vita ha avuto termine.
Forse, ahimè, ha avuto termine l'intero film della sua esistenza

7.5/8

4 commenti:

  1. Neanche un commento? Scandaloso. Gran bel film, davvero. Bellissima sorpresa. Avendolo perso al cinema l'ho dovuto guardare in lingua originale e, pur essendo l'esatto contrario degli integralisti della lingua originale, l'accento inglese gli ha dato un ulteriore marcia in più. Soprattutto per l'accentaccio ( è il "cockney" ?! mai capito un cazzo di accenti :-D). di Graham. D'accordissimo sulla prova della sous chef, Pasticceri quota "tenerezza" molto apprezzata.
    Voglio cogliere l'occasione per ringraziarti delle dritte sul piano sequenza. A qualcuna ci potevo forse arrivare da solo ma preferisco venire qui e trovare la pappa pronta.
    Grande Giusè.

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    1. Ahah, ma ormai ahimè nel (nei) blog non si commenta più, inutile stupisse de recensioni con zero commenti

      ma è sempre bellissimo riceverne uno

      ma sai che anche io (oddio, mi fai venire dubbi ma so quasi sicuro) l'ho visto in lingua originale ma al cinema?

      ahah, molto carina la cosa della quota tenerezza

      bene! ogni volta che c'è un piano sequenza mi prende talmente tanto che perdo righe su righe a cercare di farne capire la grandezza e il significato, se c'è anche solo uno che apprezza bellissimo

      grande te marco e speriamo de vedecce presto!

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  2. visto ieri, un grande film, avevi ragione!

    https://markx7.blogspot.com/2023/03/boiling-point-philip-barantini.html

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