24.12.19

Recensione "Amagami SS e Amagami SS plus" - Anime e Core, la grande passione per l'animazione giapponese - 6 - di Enrico G.


Torna il nostro giovane esperto di animazione giapponese con un articolone.
Se sei appassionato non puoi perderlo

“Per non arrivare in ritardo all’appuntamento che lei aveva finalmente deciso di darmi, arrivai al luogo dell’incontro un’ora prima. Mi chiedevo se fosse a causa del Natale, ma quel luogo era più affollato di coppie del solito. Il fatto di stare aspettando qualcuno, come tutti gli altri, mi rendeva felice. Quella era la Vigilia di Natale, due anni fa. Lei non si fece mai vedere all’appuntamento”
Queste parole così lapidarie non sono la classica introduzione che ti aspetteresti, da un anime come Amagami.
Sulla carta è una commedia romantica, per di più ambientata a Natale, con tutto il suo carico di buoni sentimenti. È l’adattamento di un videogioco, un media con una narrazione tutta sua, di cui non sono un grande appassionato. È la classica storia dove un ragazzo fa innamorare di sé ogni personaggio femminile. Ha tutto ciò che mi terrebbe lontano come la peste, eppure, io non solo ci sono maturato con Amagami, ma sono fermamente convinto che sia tra il meglio che ci possa essere nel genere.
Questi 24 episodi, più due speciali, catturano una magia difficilmente replicabile, o anche solo esprimibile a parole. Direi che ciò che lo caratterizza di più sia l’atmosfera: prendiamo il primo episodio, con cui si ritorna al presente. Il ragazzo che parlava, Tachibana Junichi, lo ritroviamo chiuso nel suo mondo, meravigliosamente rappresentato da quel planetario nell’armadio. Dopo la traumatica esperienza, esattamente come la ragazza di Gremlins, è arrivato a detestare quel periodo che si approccia nuovamente, il Natale. Viene ridestato da sua sorella Miya (i genitori ci sono, ma non li vedremo mai), si fa forza e va incontro al suo giorno. Ecco, anche questi piccoli gesti, svegliarsi, prepararsi per andare a scuola, creano una sensazione di intimità che durerà per tutta la serie.
Personalmente poi, provo ancora una certa emozione nel vedere tutti questi dettagli di una mattina di dicembre: la sveglia, i brividi fuori dal letto, la poca voglia di andare a scuola. Vivevo queste stesse sensazioni quasi quotidianamente quando guardavo l’anime per la prima volta, e le ricordo ben vivide anche uscito dalle superiori. Ora si unisce una certa familiarità con i personaggi, quasi fossero compagni di battaglie di un periodo duro per tutti, e non posso evitare di sorridere vedendoli curvi, o pensierosi, o in preda agli sbadigli come me, sulla strada per scuola.
Viene dato il giusto spazio a tutti: ovviamente alle future innamorate, compagne di liceo che daranno un nuovo significato al Natale di Junichi, alternandosi ogni quattro episodi in versioni alternative della stessa storia. Ma anche alla routine familiare dei Tachibana, alla stessa cittadina Kibitou, all’amico Umehara Masayoshi, personaggio che, come tutti d’altronde, parte come stereotipo per poi acquisire profondità.
E c’è una dolce sigla, di Azusa, che tornerà a cantare nel sequel, superandosi, dell’anime che l’ha lanciata quando aveva solo 22 anni; c’è un animazione semplice ma piacevole, dai tratti morbidi, portata in vita da bravissimi doppiatori; c’è la musica di Toshiyuki Omori, una delle più belle colonne sonore io abbia mai ascoltato in un anime televisivo.


È una quieta introduzione a questo mondo, che mi piacerebbe esplorare nella stessa maniera dell’anime, tramite le ragazze che amerà Junichi. Come ho detto, esiste anche un seguito, Amagami SS Plus (si vede che non sono l’unico ad avere un’alta opinione della prima serie), che dedica due nuovi episodi ad ogni ragazza più uno speciale. Parlerò di entrambi, cercando di far trasparire perché questo anime sia così speciale.

Haruka Morishima
Ovvero, uno stereotipo tra i più comuni: la idol della scuola, quella perfetta e inarrivabile che tutti amano ed ammirano. Solo a poco a poco emergono dei tratti più umani e meno idealizzati, anche grazie all’incredibile lavoro della doppiatrice, che fa emergere una voce più bassa e sottile quando è assonnata o vulnerabile. Doppiatrice che, come tutte le altre poi, dà la voce anche all’ending della sua route, lasciando come al solito stupiti di come canto e recitazione siano intrecciati nel doppiaggio nipponico. Haruka non è poi così straordinaria, ma forse è proprio questo il punto: essere una ragazza come tante, fissata con ciò che è carino (non a caso descrive Junichi come tale, nel senso di gentile, con le altre persone), desiderosa di sorprese e stimoli.
A proposito di sovversioni, c’è il fatto non indifferente che il nostro protagonista venga rifiutato alla sua prima proposta: in fondo è uno slice of life, uno spaccato di vita vera sui problemi più comuni tra gli adolescenti, come non essere corrisposti. Fortuna vuole che Junichi sia ostinato, e che ad Haruka non dispiacciano poi molto le sue attenzioni.
Questa sua personalità riesce a rendere plausibili anche gli eventi più assurdi che scaturiscono dalla mente degli sceneggiatori, prova quantomeno di una certa fantasia. È una commedia in fondo, e un sorriso me lo ha sempre strappato. Alcuni personaggi secondari sono un po’ come gli spettatori in questo: non essendo innamorati, assistono, riconoscono l’assurdità della cosa, ma ci passano sopra con un sorriso. Il capitano di questo atteggiamento (e del Club di Nuoto) è Tsukahara Hibiki, la migliore amica di Haruka, introdotta per poi ritornare con un ruolo importante nell’arco di Ai, il mio preferito. È il classico personaggio più sottotono che livella l’esuberanza dei protagonisti, ma riesce più volte a sorprendere. Il mio momento preferito dell’intero arco narrativo di Haruka deve essere proprio la sua conversazione telefonica con l’amica: rilassata, dolce, che mostra, nel caso non fosse abbastanza chiaro, quanto è perspicace Hibiki, e in fondo pure sensibile. Dovessi indicare chiaramente un momento di Amagami per far capire a chi non lo conosce perché mi piace, è questo: qui realizzo il suo essere un po’ fuori dal tempo, con questi ambienti familiari giapponesi così sobri, che ricordano vagamente gli interni di Ozu, ma anche un po’ di Studio Ghibli.

 Questi adolescenti che si parlano attaccati alla cornetta d’ingresso non possono non farmi pensare al capolavoro I Sospiri del mio Cuore, irraggiungibile spaccato sulla Vita e l’Amore. Anche qui si vedono, a tratti, quello stesso fascino, di vita all’aperto, nei parchi, a saltare la corda o chiacchierare in pausa pranzo, senza le sovrastrutture imposte da telefoni, politica, cultura di massa (e per fortuna senza gli odiosi ragazzini in bicicletta, non parliamo del solito brodo nostalgico-citazionista in salsa anni ’80). È bello perdersi in questa cittadina, Kibitou, nei suoi tramonti perenni che rendono l’acqua del mare color zafferano, nei viottoli dove si respira la neve e il Natale, tra le sue innumerevoli pale eoliche (a volte esagerano e le piazzano anche in mezzo agli edifici, dove non dovrebbero certo stare); ti dà l’idea di volerla visitare, parlare con i suoi abitanti così simpatici da sembrare reali.

Come introduzione al mondo di Amagami, insomma, direi che Haruka è perfetta. Ed è per questo che, riguardando Amagami SS + (quelle poche volte), parto spesso da lei, ora messa alla fine della serie, e la identifico come il segno che qualcosa è cambiato. Non in meglio, purtroppo: il secondo arco di Morishima è abbastanza imbarazzante. Una sensazione rara, perché se Amagami ha un pregio è farti accettare avvenimenti sopra le righe portandoli a proprio favore. Ad esempio: nella prima stagione, il fatto che Morishima avesse come secondo nome Lovely, bizzarro risultato della sua discendenza inglese, le dà una certa personalità, anche se può far sorridere lo spettatore. Ma nella seconda, che abbia una sorella identica, cioè proprio lo stesso design con i capelli biondi e gli occhi verdi (o almeno dicono che sono verdi, a me sembrano azzurri come quelli di Haruka), molto più anglofona e che di secondo nome fa Sexy, supera ampiamente la quantità accettabile di improbabilità. Per fortuna c’è Hibiki, ancora il personaggio-spettatore di questi due episodi, suo malgrado trascinata in queste assurdità. Anche con la sua presenza autoironica però, si calca davvero troppo la mano sull’idea di matrimonio. Questi ragazzi sono troppo maturi per le scenette da “giochiamo agli sposini”, e troppo vicini all’adolescenza per pensarci seriamente. Quindi immaginate la mia reazione al finale con la cerimonia di maturità…
Ammetto che Junichi per una volta tira fuori i cosiddetti e si guadagna pienamente l’appellativo di Boss datogli da Umehara, mettendo anche il cuore in pace alla sorella, ma non posso glissare sull’assurdità della cosa (considerando pure che Tachibana è stato ingannato e praticamente costretto a quella dichiarazione!), e su di lei che gli salta al collo con un improbabile salto di tre metri (ma chi sei, Michael Jordan?). Finale a suo modo epico, diversamente da tanti altri nella stagione, ma non è una di quelle cose che rende fieri di essere fan di Amagami…

Kaoru Tanamachi
Una delle cose che più mi sorprendono di questa serie è come riesca a prendere ruoli e farli diventare personaggi. Nanasaki e Ayatsuji sono le mie preferite perché sfuggono a semplici descrizioni, Sae e Rihoko quelle che mi piacciono di meno poiché nel loro stereotipo ci sguazzano. Poi in mezzo ci sono Morishima, che riesce ad innovare lo strabusato ruolo di bella della scuola, e soprattutto Kaoru, l’amica d’infanzia raccontata con intelligenza. Quest’ultima sembra il solito maschiaccio che nasconde un lato molto femminile, una “cattiva amica”, come viene definita in modo azzeccato e originale da Tachibana. Certo, dimostra di avere un cuore tenero, ma non fa niente per nasconderlo. Oltre ad essere molto più identificabile, è l’ennesima occasione per far brillare di luce riflessa i coprotagonisti.
La scuola non rimane esclusivamente il nido d’amore di Junichi e compagne, ma un luogo pieno di persone, con vite e psicologie separate. Per esempio Keiko Tanaka e Umehara, i migliori amici dei due, che peraltro formerebbero una bella coppia di loro, anche se sono contento non si vada in quella direzione. La prima crea davvero un personaggio piacevole: è gentile, poco invasiva, ma importante. L’intera trama di questi quattro episodi parte da lei, che si dichiara ad un ragazzo, viene rifiutata, anche in modo piuttosto crudele, e non ne fa una tragedia: praticamente un miracolo nel genere. Questo evento spinge Kaoru e Junichi a confrontarsi sul loro rapporto, che non soddisfa più entrambi, con l’aiuto dei loro amici e personali “shipper”.
E via ad eventi divertenti ed improbabili, come la scena dell’ombelico, che assieme al ginocchio di Haruka e altro fa parte di quegli strani fetish che ogni tanto spuntano fuori nell’anime e la gente si diverte a prendere in giro (a ragione). Però il tutto scorre con piacere, non ci sono cliché fastidiosi o drammi forzati, solo un racconto dolce di un’amicizia che si trasforma. Si raggiunge l’apice non al tradizionale Festival del Fondatore (diventerà centrale più avanti), ma alla più intima Port Tower. E superare le vertigini per vedere la neve cadere da sotto i propri piedi, con le dita intrecciate, apre una nuova relazione quale appoggio nei momenti più duri. Un piccolo messaggio che prelude al finale, uno dei miei preferiti nella serie. Quella serata sotto la neve e uno stesso tetto, molto cozy, l’alzata il mattino dopo, per correre sulla spiaggia, rappresenta alla perfezione questo arco, semplice, ma d’atmosfera.
È finita, ma non del tutto: come sempre, c’è da confrontarsi con la seconda stagione. E sarò subito sincero, con mia enorme sorpresa sono proprio questi due episodi i miei preferiti della stagione, forse migliorano addirittura ciò che era stato fatto nella prima. Non ho idea del perché abbiano messo tutto il loro impegno proprio nell’arco di Kaoru, ma l’hanno fatto, e vanno ringraziati per questo. La trama è semplicissima, più di base non potrebbe essere: Junichi e Kaoru vogliono stare un po’ da soli, quindi partono per la loro ultima vacanza delle ferie estive alle superiori.
Sappiamo che però non importa tanto cosa racconti, ma come lo racconti, quindi qui come lo fanno? Innanzitutto c’è una notevole energia fin dai primi minuti, appropriata al rapporto dei due ex cattivi amici. Iniziamo in media res: Kaoru e Tachibana lavorano entrambi al parco divertimenti, per capirci quello che avevano aperto sei mesi prima, preminente nell’arco di Nanasaki. Come sempre Amagami ha almeno un minimo collegamento con la realtà: se i ragazzi vogliono farsi una vacanza, devono guadagnare qualcosa con un lavoro part time. Purtroppo, ricevono poco per aver fatto un casino durante lo spettacolo di Inago Mask, una specie di parodia dei Power Rangers citata più volte nella prima stagione. Infatti, come a ricordarcelo, tra il pubblico troviamo pure Nanasaki e il suo fratellino Ikuo a fare un piccolo cameo, vista l’importanza dello show per loro. Insomma, in qualche modo racimolano abbastanza soldi per fare un viaggio low cost su quei bus dove si percorrono lunghe distanze di notte, dormendo direttamente lì. Ho sentito che sono effettivamente usati da molti turisti occidentali, che magari vogliono risparmiare qualcosa unendo viaggio e pernottamento…

È un primo episodio all’insegna del divertimento, retto sul fatto che i due si completano perfettamente, sia come amici che come fidanzati. C’è un momento particolarmente divertente dove, in maniera del tutto inconsapevole, attirano l’attenzione dell’interno pullman mezzo addormentato. E l’avrò notato solo io, ma l’unico della compagnia già sveglio prima del fatto, giuro che è il papà di Mitsuha di Your Name, sono identici. Comunque “l’incidente” accade per via della passione di Kaoru per i prodotti in edizione limitata, un bell’aggancio con la prima stagione, che sarà anche il motivo per cui i due, durante una sosta, verranno lasciati indietro in un’area di servizio. Per fortuna non perdono lo spirito avventuroso, e vengono aiutati dal guidatore del camion più colorato di sempre, un omone mezzo culturista mezzo filosofo, che li lascia a delle terme campagnole per la notte. Non terme qualunque: l’Onsen (sorgente termale) dell’Antico Dio Dragone, un posto che sembra uscito direttamente da un film dell’orrore, con la nebbia, facce di granito gigantesche e terrificanti, e una inquietante obaasan a gestirlo. Ci ritroviamo in un piccolo thriller in miniatura, tra suoni inquietanti, macachi venuti dalle montagne, e qualche momento calmo tra la cena e le terme. Mi piace come alla luce del giorno dopo tutto sembra molto meno minaccioso, la locanda diventa accogliente, e anche una vecchina spiritata può rivelarsi una buona padrona ed ottima cuoca. I problemi per tornare a casa non sono finiti, eppure i litigi non spezzano mai la coppia, anzi la rinforzano; la spensieratezza, anche tra pioggia e fermate del bus in disuso, le darà l’avventura tanto ricercata. Alla fine arriverà a prenderli Umehara, gloriosamente a cavallo della barca del ristorante di sushi, per usare le parole di Junichi “come se Buddha in persona fosse venuto personalmente a salvarci dall’Inferno”.
Credo che, in Amagami SS Plus, questo fosse tutto quello che volevo, e magari anche di più.

Sae Nakata e Rihoko Sakurai
Ecco le due route che mi piacciono di meno. Non c’è nemmeno molto da spiegare, ed è questo il problema. L’arco di Rihoko è lo stesso di Kaoru, ovvero dell’amica d’infanzia innamorata del ragazzo della porta accanto, con l’unica differenza che la prima prova tali sentimenti fin dalle elementari, mentre la seconda se ne accorge solo anni dopo il primo incontro, alle medie. Un minimo dettaglio, che sulla trama però ha un effetto valanga: Kaoru (e Junichi assieme a lei) deve convivere con un cambiamento, quindi in ognuno dei quattro episodi c’è una costruzione, una serie di eventi ben congegnati e scritti con la testa che renderanno, piano piano, tutto diverso. Con Rihoko invece, è sempre tutto uguale. I suoi sentimenti non cambiano in questi 80 minuti, e, miglior pregio ma anche enorme limite dell’arco, nemmeno quelli di Junichi. Esatto, questa è l’unica route (assieme alla sorella, per fortuna) dove i due protagonisti non si mettono assieme alla fine. Scelta anticonformista, che però non basta per non annoiare. Dei quattro episodi mi restano solo in mente le senpai del Club del Tè di Rihoko, due personaggi coloriti che portano un po’ di vivacità negli eventi. Non è un buon segno che rimangano impressi solo i personaggi secondari (tanto da vederle con piacere anche in altre routes) a scapito del fulcro emotivo: una ragazza poco interessante e, non me ne voglia la doppiatrice, con una voce a volte forzatamente zuccherosa, che spesso mi ha distratto da quel poco che avveniva. Paradossalmente, potremmo parlare di miglioramenti nel sequel, che non alzano comunque troppo la soglia dell’attenzione. Innanzitutto, sono solo due episodi, che scorrono decisamente meglio. Poi sono tra quelli con la migliore colonna sonora dei 13. Per chissà quale ragione Toshiyuki Omori, schiacciato tra composizioni riciclate e poche occasioni narrative, proprio qui infila qualche nuovo tema musicale davvero azzeccato. L’animazione al contrario è forse tra le meno curate in Amagami, specie nei dettagli e nei personaggi in secondo piano. Ma il problema più evidente è di gran lunga la scrittura, al solito. Tra la fine del primo e l’inizio del secondo episodio abbiamo qualche momento, come la dichiarazione di un ragazzo (solo apparentemente aggressivo) a Rihoko, piuttosto efficace. Per una volta abbiamo l’occasione di vedere la ragazza più seria e decisa, e conseguentemente una doppiatrice dalla voce più naturale. Ma dura poco: il finale manda a farsi benedire quello della prima stagione, ed è così improvviso da lasciare basiti, ancor prima che insoddisfatti.

Ancora peggio va con Nakata, nella mia route sfavorita. Per quanto semplice, finora ho provato a far passare l’idea che Amagami valga la pena di essere capito. Mi piace, e vorrei che altri potessero accorgersene, ma non qui. Qui è dove non voglio nemmeno provare ad analizzare, visto il salto mortale all’indietro che avviene, dove prima si faceva di tutto per andare controcorrente, opporsi alla facile sdolcinatezza, alle caratterizzazioni fatte con la carta carbone, a tutto ciò che è stato fatto o detto in qualsiasi altro anime romantico uguale agli altri. Nakata, ovviamente l’eroina dei nostri quattro episodi, è proprio l’anti-Amagami: è la gnocca prosperosa, ma pudica e ingenua come poche; è molto benestante, esattamente come Haruka, ma dove quest’ultima senza bisogno di tanta idealizzazione, era comprensibilmente la ragazza più desiderata della scuola, Sae no. Lei non ha proprio nessuno che le gira intorno, eccetto il nostro svampito protagonista, che la aiuterà a superare la sua timidezza. Non è nemmeno un falso ideale, come per Ayatsuji più avanti: lei tanto bella e tanto onesta pare, e tanto bella e tanto onesta è. Curiosamente, nella seconda stagione, diventata finalmente popolare, le cuciranno addosso proprio la trama della rappresentante di classe: organizzare come Presidentessa il Festival del Fondatore. È davvero l’arco di Ayatsuji, svuotato della sostanza. Anzi, ne conferma persino gli errori, come quel maledetto Mazinga a grandezza naturale ad un festival delle superiori, che doveva piacere tanto agli sceneggiatori visto che se lo sono trascinato fin dalla prima stagione. Non ci sono veri momenti clou in tutti e sei gli episodi, anche se è esilarante, all’inizio della seconda stagione, vedere Junichi che si preoccupa di non essere riconosciuto come ragazzo di Sae, nonostante abbiano praticamente fatto le prove generali di un matrimonio davanti all’intera scuola. Ora che mi sono imposto di rivedere proprio tutto Amagami SS e ne ho parlato, direi che posso tornare a saltare questa parte ogni volta che lo rivedo…

Ayatsuji Tsukasa
Questa ragazza chiude la prima stagione canonica di Amagami SS, e credo non ci fosse modo migliore di concludere in bellezza. Non è la mia ragazza prediletta, che ho deciso di tenere per il finale, ma è di certo quella con la storia più interessante. Comincia tutto normalmente, con Ayatsuji nel ruolo che le abbiamo sempre visto avere in tutti gli episodi: la Presidentessa del Festival del Fondatore. Questa è la sua storia, quindi stavolta Junichi si offrirà di farle da vice per aiutarla.
Solo che la ragazza, come scoprirà presto, è complicata.

Ayatsuji sovverte parecchio la figura della rappresentante di classe perfettina, che fa tutto per il bene degli altri (compreso innamorarsi dell’imbranato protagonista) perché è un angelo sceso in terra. Lei vuole presentarsi così per ricevere raccomandazioni per l’università, ma soprattutto per una questione più sottile, di mentalità. Vuole raggiungere i suoi obbiettivi e si è costruita una personalità apposita, non spontanea, che le fa vivere i suoi valori senza esporli. È una persona tormentata, non per chissà quali drammi (ci viene appena accennato un certo dissidio familiare, che la porta a sobbarcarsi di lavoro scolastico pur di non tornare a casa), ma per pura umanità.
Una ragazza impenetrabile, diversa da sua sorella Tsukasa Yukari, con cui non intercorre un bel rapporto, completamente assorbita dall’apparenza. Quest’ultima al contrario è un personaggio quasi alla Terrence Malick, persa nel suo mondo, pura come la neve richiamata dal suo nome, praticamente senza sovrastrutture.
La trama dunque gira intorno al Festival del Fondatore Kibitou, dal quale Ayatsuji sembra completamente ossessionata. Questo evento, che nelle altre routes è più che altro un dettaglio, porta la storia sull’indagine della psicologia in frantumi della ragazza, ancora più che sulla storia d’amore con Junichi.
Adoro per esempio quel ribollire al colloquio con la prof, che le aveva solo proposto di fare di meno, visto il tempo che stringeva per le troppe cose da fare. Solo che è difficile prendere la cosa sul serio quando un Festival delle Superiori comprende un Mazinga gigante, interamente da dipingere, che parrebbe esagerato persino nella pre-produzione di un film di Godzilla…
Il suo fortissimo orgoglio la porterà a chiedere malvolentieri l’aiuto di altri compagni di classe, alienarseli rivelando la sua vera personalità in seguito ad una semplice provocazione, per poi reprimerla quasi totalmente per il bene di tutti. È un personaggio incredibilmente poliforme, per avere a disposizione quattro episodi basati su un videogame, uno strano incontro di freddezza ed un animo impetuoso. Esemplare in ciò la sua confessione d’amore al ragazzo: l’antiromanticismo e la passione impetuosa assieme, di una ragazza adolescente alle prime armi con i sentimenti. L’amore è un possedimento, un contratto da siglare, ma anche un taccuino compromettente (non sapremo mai quali oscuri segreti contenesse) dato alle fiamme, perché il brivido di mandare tutto all’aria per un nonnulla non basta più, davanti a sentimenti travolgenti.
Il finale, ricordo dell’intera serie se non contiamo gli episodi speciali, ti colpisce con tutta la forza dei 23 precedenti. È il culmine di un grande anime di personaggi secondari: le ragazze innanzitutto, che ruotano e quindi si vedono sporadicamente, a volte con migliori risultati di quando hanno degli archi narrativi tutti per loro. Oppure quelli ricorrenti: per esempio in quello di Ayatsuji c’è Umehara, che si rivela un amico più profondo e saggio di quanto lasci intendere, ma anche quel bambino senza nome (forse il fratello di Nanasaki?) che rifiuta le caramelle da lei, perché capisce che la sua personalità edulcorata non è genuina.
È il culmine di un grande personaggio in un finale fantastico, capace, almeno nel mio caso, di colpirmi alle viscere con la pura forza della sua interiorità.
In Amagami SS Plus, sarà lei che aveva concluso gli archi canonici a continuare per prima. Quindi nonostante tutto, le mie aspettative erano piuttosto alte. Non ricordo quando di preciso ho visto questo seguito, anzi ricordo poco proprio dell’anime in sé. Sta tutto in quel plus, che almeno non ci prende in giro: questo è un più, un’aggiunta per chi proprio voleva le storie dei propri beniamini continuare. Il problema è che non parliamo di un anime romantico qualunque: è Amagami, quello che era stato mille volte meglio di quanto meritasse di essere. All’inizio Ayatsuji suggerisce qualche idea interessante, come le difficoltà nel rapportarsi con un partner sempre al meglio, sempre più avanti di te. Presto purtroppo si torna su binari conosciuti: c’è un altro evento importante da organizzare, con le elezioni del consiglio studentesco al posto del Festival del Fondatore, un’altra difficile collaborazione per Junichi e la sua amata. Mi piace che Ayatsuji abbia una rivale come candidata Presidente, e che tale Kurosawa sia sotto sotto più interessata a fregarle il ragazzo che la carica. Bene anche per come resiste la relazione tra i protagonisti, evitando l’orrendo cliché del “mando una relazione in malora per un fraintendimento chiaribile in 2 secondi”, anche se ciò spoglia questi 40 minuti di ogni possibile tensione, che la faceva invece da padrona negli episodi originali.
Però sono obbligato a chiedermelo: perché introdurre proprio questa ragazza qualunque, quando avevate Risa? Chi ha visto sa, Kamizaki Risa, la ragazza dell’episodio speciale nella prima stagione. Beh, qui non si vede da nessuna parte, e se c’era un’occasione d’oro per aggiungere un po’ di conflitto era questa. Sarebbe stata un’interessante versione alternativa, senza nemmeno bisogno di troppe spiegazioni. Invece dobbiamo sorbirci una campagna elettorale prevedibile, resa ancora più surreale dalla serietà con cui prendono in Giappone un ruolo simile, rispetto alla barzelletta che erano le elezioni e il consiglio studentesco del mio liceo…
Comunque questa Kurosawa non è un personaggio totalmente sconosciuto nella prima serie: un occhio di falco può beccarla ben due volte, stranamente, nell’episodio finale di Nanasaki. In entrambe le occasioni centra Ayatsuji: si vede con il suo sorrisetto di sfida durante il discorso d’inaugurazione al Festival, e in una frazione di secondo, che ti perdi se batti le palpebre, le va dietro, come volesse parlarle, dopo aver risolto alcuni problemi (ovvero Takahashi-sensei ubriaca) alla bancarella dell’Oden. Boh, immagino fosse un personaggio del videogame scartato dalla narrativa principale, ma solo qualcuno che ci ha giocato potrebbe confermarmelo.
Un finale totalmente a caso lascia un certo amaro in bocca, per una delle ragazze più intriganti di Amagami SS. Peccato.

Ai Nanasaki
Eccola. Mentre salta da un’altalena, scherza e dice cose assurde con una faccia serissima, come fosse un personaggio di Wes Anderson, e ad una domanda risponde con un sorriso enigmatico, prima di correre via. Questa è Nanasaki Ai, fin dall’inizio la mia preferita. Questi quattro episodi dedicati a lei sono quanto di più simile alla perfezione ci possa essere in un anime romantico come questo. Forse perché Ai è semplicemente la più interessante. Innanzitutto è una gran lavoratrice, cosa poco comune in una ragazza al centro di una storia romantica, animata per di più. Membro del Club di Nuoto, volontaria per la raccolta rifiuti, aiuto fondamentale per le faccende domestiche a casa sua; è un interessante contrasto con Junichi, che ci viene introdotto come privo di spinte o motivazioni. Letteralmente, dopo il tradizionale ricordo della dolorosa Vigilia di due anni prima (dove stavolta incontra Nanasaki, tornando a casa dopo essere stato scaricato) e la sigla, lui e Umehara hanno una piccola discussione con Ayatsuji, intenta ovviamente nei preparativi per il Festival del Fondatore.
Già che l’abbiamo tirata in ballo poi, esattamente come Ayatsuji Nanasaki è l’unica con un motivo portante che la spinga a frequentarsi (e quindi innamorarsi) con Tachibana: prima era l’aiuto come organizzatore del Festival, ora l’amicizia della ragazza con Miya, sua compagna di classe. Queste due si somigliano, e pure i realizzatori sembrano essersene accorti: infatti sono le uniche protagoniste ad avere una vera interazione, in almeno tre occasioni. La prima nell’aula studio, durante le ripetizioni, la seconda alla bancarella dell’Oden. Ayatsuji squadra la matricola entrambe le volte, dandole una silente approvazione, accetta la sua amicizia e si fa da parte (o meglio, aspetta il suo turno). La ritroviamo una terza volta, “alla lontana”, che osserva lei e Tachibana lavorare fianco a fianco e poi svignarsela per una romantica nuotata alle terme, mentre assiste rassegnata da una finestra della scuola.
Tornando a noi, la rappresentante avrebbe bisogno di aiuto, ma Umehara deve lavorare al ristorante di sushi di suo padre, mentre Junichi è semplicemente svogliato. Si alza in ritardo, si distrae dallo studio per leggere il Romanzo dei Tre Regni dei Castori, geniale parodia/omaggio in forma manga al classico cinese, quello che ha pure ispirato la Battaglia dei Tre Regni, filmone epico di John Woo. Tutto questo si ripercuote sulla vita scolastica, infatti viene richiamato personalmente dalla Prof. Takahashi. Sembra un evento da poco, ma se consideriamo che ci sono pacchi di anime interamente ambientati a scuola, dove è eccezionale vedere anche solo mezza lezione, momenti del genere sono praticamente un miracolo. Amagami continua a volerci dare una visione più realistica possibile: essere studenti non vuol dire solo romanticismo e svaghi, ma anche problemi, tensione, prove da superare. Non si tratta nemmeno di qualcosa di slegato dalla storia principale: il colloquio con la professoressa di Tachibana pone una divertente riflessione su come i bambini e i ragazzi non diano ascolto e creino problemi alle figure autoritarie femminili, come sorelle maggiori o maestre, forse proprio perché sotto sotto vogliono essere ripresi, guadagnarsi le attenzioni che non ha l’obbediente e il tranquillo. Vale per Junichi, come per il fratellino di Nanasaki, Ikuo. Ecco ancora quel contrasto, tra la ragazzina già indipendente e il suo senpai, più grande ma meno maturo. Per la prima (unica?) volta nella serie, anche il nostro protagonista ha un sottile sviluppo, che vada oltre superare il trauma di due inverni prima: trovare motivazioni, lievi spinte a impegnarsi. Poco importa che siano piccole cose, raccogliere rifiuti da una spiaggia, guadagnarsi un Ooban’yaki, spiegare le equazioni ad una matricola (già, perché Nanasaki detesta la matematica, che è di per sé un personalissimo motivo per adorare un personaggio fittizio), aiutare il club di nuoto alla bancarella di Oden.
Nanasaki è onesta, schietta, diretta, anche nei suoi sentimenti, che non reprime (in realtà la cosa grandiosa di questo anime è proprio come nessuna delle ragazze odi o sia odiata da Junichi prima di innamorarsi). Però non è perfetta: non può stare dietro a tutto, e quel Natale l’amore verrà prima delle selezioni per le gare di nuoto dalle quali Hibiki l’ha esclusa.
Non voglio rivelare troppo del finale, basti sapere che trovo questo sia il modo giusto di esprimere il romanticismo: tenero, quasi col cuore in mano, intimo, sensuale. Fa strano comunque vedere quel laghetto mentre nevica e ci sono alcuni cervi che girano nei dintorni, sembra di vedere Corpo e Anima…

Arriviamo alla parte che temevo di più di Amagami Plus, ovviamente temendo una delusione come per Ayatsuji. Il primo episodio fila abbastanza liscio: la relazione tra Ai e Junichi continua, un anno dopo. Lui è sempre più preso dalla scuola preparatoria, lei ha un nuovo ruolo di responsabilità, come capitano del Club di Nuoto. Si fanno nuovamente i preparativi per la Vigilia di Natale, ma senza la spensieratezza dell’anno prima. Certo, Kaoru e Keiko fanno progetti per gli appuntamenti, citando i luoghi delle route nella prima stagione: la Port Tower che Junichi aveva visitato con lei, il cinema con Nakata, il parco divertimenti con Nanasaki; il ragazzo, d’altro canto, è molto meno libero, deve prepararsi per l’università in un campo di addestramento, una specie di scuola militare giapponese dello studio (e indovinate chi si immaginano che sia l’inflessibile direttore…). Insomma, Ai dovrà stare con Miya e Sae per la Vigilia di Natale, dopo che Junichi è stato rapito (letteralmente) da quelli del campo. Tutto lineare, anche troppo. L’interesse per questo episodio si basa quasi interamente sul carisma dei protagonisti: a me basta nuovamente sentire la voce vellutata di Yukana, doppiatrice di Nanasaki, perché mi importi qualcosa della storia.
Ma non è sufficiente: questo è Amagami SS, l’anime che mi ha fatto cambiare prospettiva sulla serialità romantica, è sorpresa, è anticonformismo, nel suo piccolo. E allora, vederlo solo come “passabile” fino ad ora mi lascia l’amaro in bocca. Poi però, arriva il secondo episodio. E in uno scatto di dignità, gli sceneggiatori regalano l’unico, vero momento di sorpresa della serie. Junichi scappa dal campo per raggiungere la sua amata a Kibitou, che cerca di distrarsi cercando un regalo per il fratellino. Eccolo, finalmente ritornato, quel protagonista che non è solo perverso, imbranato ma sfacciatamente popolare, come ogni singolo protagonista di qualsiasi anime di sempre; ritorna ad essere intuitivo, scherzoso e garbato, e assieme a lui anche la scrittura. Come Nanasaki nella prima stagione aveva rinunciato alle gare di nuoto, Junichi rinuncia alla presenza al campo per quella notte. Si citano altri elementi del primo Amagami, come il regalo di Natale del ragazzo, quel cappotto bianco latte, che è lo stesso di Morishima al loro primo appuntamento. Ci si diverte (col cameo di Takahashi-sensei al quartiere a luci rosse), ci si commuove, rivediamo addirittura il vecchio Umehara, che copre il suo amico per permettergli di passare una felice Vigilia. Ancora una volta Amagami, con la sua semplicità e i buoni sentimenti, mi ha fregato.

Risa Kamizaki
Il primo episodio speciale, una specie di arco narrativo condensato in 24 minuti, con tanto di momenti “nascosti” delle route precedenti. Ci arriveremo. Prima però bisogna riprendersi dalla sorpresa, perché l’episodio comincia con il nostro Tachibana Junichi, il perdente in amore, che riceve una lettera romantica e una dichiarazione da una ragazza molto carina. Insomma, non parte ancora la sigla che lui è lì lì per baciarsela. Nei primi minuti. E non è un sogno.
Sta di fatto che questa Risa è troppo perfetta, ovviamente nasconde qualcosa: sa un po’ troppe cose del ragazzo, e vuole che nessuno sappia della loro relazione. Il motivo è che, in questa route alternativa, lei ha fatto fallire TUTTE le possibili relazioni di Junichi. E non si parla solo di spiare ogni ragazza che gli si avvicinasse, allontanandola facendole vedere una foto contraffatta di lui con una presunta fidanzata, oh no. Lei è addirittura la responsabile del suo trauma natalizio di due anni prima, il perno dell’intera storia. Infatti, a sorpresa, vediamo finalmente Makihara, la ragazza che aveva scaricato Junichi quella famosa Vigilia, che gli chiede come mai non si era presentato all’appuntamento. Lui ovviamente era andato al parco, lei al cinema, come le aveva detto di fare una certa amica molto discreta…
Agli occhi di chiunque conosca il significato della parola “stalking”, tutto questo potrebbe sembrare parecchio deviato. Aggiungiamoci pure che ogni relazione è fallita semplicemente perché dopo il momento di rottura Junichi e le ragazze non hanno più parlato della cosa (che dice parecchio su come funzionino certe relazioni in Giappone), e che Kamizaki lo ami dalle elementari semplicemente perché le finiva il latte a pranzo. Voglio dire, Risa è talmente psicopatica che persino nell’anteprima dell’episodio speciale seguente, quello di Miya Tachibana (calma, non ha niente a che fare con l’incesto), si lamenta che a differenza dell’onnipresente sorellina, lei non ha avuto abbastanza spazio! Eh, aspetta di vedere il trattamento in Amagami Plus…
Nonostante queste preoccupanti psicologie, che vedrei bene per Yuno Gasai di Mirai Nikki, non mi è mai dispiaciuto troppo l’episodio. Come sempre, Amagami se la cava sul filo del rasoio con due armi: ironia e redenzione. La prima stempera un po’ i toni, perché nonostante tutto credo sia impossibile non ridere davanti a reazioni come quella di Ayatsuji. Risa le fa vedere la foto, e lei ovviamente getta subito la maschera, probabilmente facendole una sfuriata e lasciandola annichilita…
Poi, aiuta che questo sia forse l’episodio più prettamente natalizio: è una sorta di favola dickensiana, dove abbiamo un protagonista per certi versi orribile, che deve ritrovare la bontà sepolta dentro di sé. Risa ha fatto fallire l’appuntamento di Junichi perché sapeva che Makihara avrebbe voluto scaricarlo in pubblico. Uno scherzo crudele, apparentemente estraneo alla ragazza dolce che ci è stata presentata al parco, anni dopo. Forse vogliono dirci che le persone cambiano, e la maturità acquisita alle superiori può scusare ciò che non veniva percepito così male alle medie, pur facendo soffrire altri. Anche Risa deve cambiare, e redimersi, se ci tiene davvero a Junichi. È un peccato non sentirla scusarsi con le ragazze che ha ingannato (davvero Ayatsuji ha reagito così bene?), ma almeno possiamo vederlo, mentre scorrono i titoli di coda. Si può anche perdonare, sotto un bianco Natale.

Miya Tachibana
Come secondo speciale abbiamo addirittura un episodio dedicato alla sorella di Junichi. Niente di scabroso, per fortuna, solo una dedica all’affetto, per una volta non di tipo amoroso. L’episodio è diviso in due tronconi: il primo ripete un po’ quello che è successo con Risa, ovvero seguire Junichi in alcuni momenti clou delle sue relazioni; infatti rivediamo quest’ultima, intenta al fianco di Miya nella sua attività preferita, stalkerare il ragazzo. Almeno sua sorella lo fa perché sinceramente preoccupata per lui: abbiamo già visto nei primissimi episodi, con Morishima, il suo atteggiamento ostile. Quello che il fratello ha confuso per antipatia verso la idol della scuola era in realtà iperprotettività. Certo, come tutti i fratelli, litigano, si prendono in giro e non vanno sempre d’accordo, ma c’è anche tanta condivisione per le pene dell’altro. Miya sa sicuramente della brutta serata del Natale di due anni prima, e non vuole che Junichi si innamori sconsideratamente, rischiando di soffrire di nuovo… In fondo lo dice lei stessa, “non riesco a capire cose come uscire con qualcuno, odio e amore”, ma questo non le impedisce di fare il meglio per suo fratello, fin dal primo episodio, tirandolo fuori da quel planetario che si è costruito nell’armadio (la sua depressione). Quando ci si pensa è un personaggio effettivamente delizioso, mai troppo seria, capricciosa, ancora troppo giovane per interessarsi all’amore (la mia scena preferita dell’episodio è quando respinge uno dei suoi ammiratori). Insomma, è incredibilmente vera. Sarebbe andato bene pure così, ma l’episodio continua, virando improvvisamente sulla storia di questo gatto trovato per strada, da riportare alla madre. Niente di male, semplicemente poco interessante; immagino ci tenessero davvero a spiegare il significato di Amagami, “morso affettuoso”, appunto quello con cui i felini esprimono l’affetto (non chiedetemi però per cosa stia SS). Così, nonostante un finale un po’ “volemose bene” misto a figuraccia stile “Natale a Kibitou”, il messaggio ancora una volta atterra. Poco importa se Junichi non ha ancora una ragazza (volendo, questa è la route dove rimane single), finché non sarà il momento giusto ci sarà la sua sorellina a volergli bene, a dargli quei morsi affettuosi.
Tono completamente diverso per il suo arco speciale in Amagami Plus, che potremmo definire un episodio corale. O, come preferisco io, l’episodio fanservice. Perché davvero, la trama è la seguente: le ragazze vanno alle terme. Punto. Ogni personaggio femminile precedentemente apparso si ritrova in questo magnifico espediente narrativo per mostrarle più scosciate del solito. Devo ammettere che sopporto questo episodio meglio di quanto vorrei, forse perché abbraccia il lato più caciarone di Amagami, buttandosi sulla commedia senza sottotesti, senza sfumature, senza niente di più profondo delle vasche dove si immergono le nostre belle. Si nota persino dal linguaggio, vagamente più sboccato del solito, e ammetto che non mi dispiace vederle scatenarsi senza maschi in giro, dimostrando un’ultima volta quanto sono terra terra, non principessine pudiche e virginali. Sarà che vederle interagire tutte assieme nello stesso luogo è effettivamente una cosa speciale, visto quanto mi sono affezionato a queste ragazze e che questo è l’ultimo di ben 39 episodi; saranno i siparietti tra Umehara e Junichi, impegnati a casa nelle loro maratone di s…ollazzi, ma mi sono divertito. Ancora una volta, il finale non centra nulla con il resto, e si poteva puntare su una fine più gloriosa per la serie, ma non importa.
Il bello di Amagami, spero di averlo espresso, non è nelle sue caratteristiche individuali, ma nella forza di un insieme.
Ha qualcosa che mi attira moltissimo nella serialità, la compattezza. Anche quando la storia dovrebbe progredire, molte serie tv trattano i singoli episodi come autoconclusivi, con alcuni eventi fissati, e il resto in mano allo sceneggiatore/regista di turno, che cambia continuamente. In una specie di onda si attraversano alti e bassi, mentre Amagami si muove su una linea stabile, quella della narrazione cinematografica insomma. Certo, ci sono le parti che piacciono di più o di meno, ma il disegno è uno solo. È qui che persino l’odiosa narrazione ad “archi” diventa una forza: vista la grandissima rivedibilità, ti sorbisci quelli meno interessanti la prima volta, poi salti direttamente alle parti migliori. E anche si fosse patiti della visione cronologica, nessun problema: basta aspettare un poco, avere un attimo di pazienza, e nel giro di quattro episodi si cambia tono, storia e situazioni. Nella semplicità e limitatezza del genere, che può inibire molti (compreso me), Amagami SS ci mette ciò che quasi nessun altro ha: impegno. È una serie piacevole, leggera ma non stupida, anzi piuttosto ancorata alla realtà: le ragazze qui, e persino coloro che non amano la serie lo riconoscono, sono genuine, vere in un certo senso. Non vedrete capelli dai colori accesi, pettinature o abiti strambi, rotondità esagerate (a parte forse Nakata, ed è uno dei motivi per cui non la sopporto). Persino gli occhi, i famosi occhi “moe”, cioè giganteschi e luccicanti, che caratterizzano così tanti anime, qui hanno giusto un paio di tonalità. Nero, marrone, forse un vago violetto con Ai, e quelli azzurrissimi di Morishima, peraltro giustificata perché di ascendenza mezza inglese.
Visto da lontano, è un anime incredibilmente superiore alla somma delle sue parti, romantico, scherzoso, pieno di vita, anche con quel minimo di complessità che ti spinge a fregartene qualcosa di questi adolescenti, delle loro paturnie, del loro Natale, che sia felice o meno.

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