18.4.24

Recensione: "Ennio Doris - C'è anche domani" - Cinema 2024

 

Se inviassimo a qualcuno una foto mostrante solo il nostro pisello di 20 cm, ecco, in quella foto, così nuda, zoomata e specifica comunque ci sarebbero più margini di umiltà dell'intero film su Ennio Doris.
Perchè sì, perchè magari è vero, ti ho mandato la foto di un pisello di 20 cm ma non è implicito che io sappia usarlo.
Invece in "Ennio Doris - C'è anche domani" non c'è un solo secondo, un solo cm, una sola fessura che non ci mostri il nostro SuperEnnio come l'essere vivente più meraviglioso della storia della nostra specie, un Galileo Galilei, un Francesco d'Assisi, un John Nash e un Mahatma Gandhi non solo fusi insieme ma che sono solo una piccola parte del Tutto.
La più grande agiografia che il cinema abbia mai conosciuto.
E io sono tra i pochi fortunati a poter dire, per ora, di averlo visto.

(ci tengo a dire che tutta la recensione va vista in chiave ironica nel pieno rispetto di Ennio, di sua moglie e dei suoi splendidi figli. Se c'è una cosa che il film racconta benissimo e che nessuno potrà contestare è quella di avere davanti una famiglia veramente bella)


Quando nell'ultima immagine del film (scusate per il beneaugurato spoiler) il piccolo, ricciolosissimo e biondissimo mini-Ennio Doris corre dal padre con la prima pagina della Gazzetta in cui si celebrava la vittoria di Coppi su Bartali all'ultima tappa del Giro le mie ultime forze sono crollate.
Sì perchè in quasi due ore di film il buon Ennio (o suo padre per lui in questo caso) non aveva mai sbagliato nulla.
E cazzo, quella volta avevano sbagliato! Avevano pronosticato Coppi e il Giro invece ormai  l'aveva vinto Bartali!
Cazzo!
Ma il padre di Ennio, e questo è il senso della frase che dà titolo al film, gliel'aveva detto al figlio:
 "C'è anche domani", c'è un'altra tappa, vedrai che qualcosa succede.
E niente, quella magrissima soddisfazione che per un solo secondo durante tutto il film ci fosse stato un errore dei Doris non si è materializzato, sfuggito proprio all'ultimo fotogramma.

Sì perchè per tutta la pellicola ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo vaticinio, ogni suo calcolo, ogni sua previsione si era rivelato come il gesto-parola-vaticinio-calcolo-previsione di un Eletto, un uomo semplice e buono (e siamo abbastanza sicuri che lo fosse davvero) che, novello Clark Kent, per tutto il film era entrato in una astratta cabina telefonica uscendone sempre con vestiti diversi, quelli di Galileo Galilei, quelli stracciati di Francesco da Assisi, quelli più casual di John Nash, quelli, quasi inesistenti, del Mahatma Gandhi e altri personaggi minori come questi.
Un uomo che sapeva osservare il cielo calcolando le traiettorie delle stelle, che sapeva come parlare con le mucche e farle adagiare dolcemente a bordo strada, un uomo che solo schioccando un dito seppe illuminare la Tour Eifell, un uomo capace di calcoli a mente strabilianti che gli facevano capire, da bambino povero, che quel filetto di frisona non si poteva comprare e da adulto - sempre povero (perchè nel film il buon Ennio rifiuta sempre compensi e soldi) - gli facevano capire come muoversi nelle Borse o attraverso i disastri dei crack finanziari.
Un uomo che in 70 anni di vita e in due ore di film solo UNA volta perde leggermente le staffe, e lo fa con il suo amico/nemico d'infanzia - un personaggio fil rouge che avremo per tutto il film - amico di cui mi sfugge il nome e che, quindi, sarà per sempre per noi "l'amico".
E quando lo fa, quando finalmente il nostro Ennio si dimostra anch'esso uomo come noi, capace di sbagliare o di arrabbiarsi, che fa?
Regala un lavoro a quell'amico.

"Questa cosa non dovevi farmela!!!!"
Minaccia Ennio.
"Per punirti ti offro un lavoro alla mia banca!"

Una punizione probabilmente eccessiva per l'amico, ma questi deve in qualche modo accettarla, ritrovandosi a prendere un mucchio di soldi per compensare lo sgarbo.

Un uomo che nella sua vita ha inventato praticamente tutto tranne la ruota (inventore incerto), la penicillina (Alexander Fleming), il motore a vapore (James Watt) e l'Opera d'Arte Mobile (Andrea Diprè).
Tutto il resto è merito di Ennio Doris, un benefattore che, con un gioco di parole colmo di dolcezza e stima, potremmo chiamare anche Bene-Fattore, visto che Ennio non dimenticherà mai il suo passato di figlio di allevatore di vacche ma, anzi, compirà ogni gesto o scelta della sua vita sempre con tutti gli insegnamenti che quel passato gli ha lasciato.
Ennio veniva infatti da una famiglia poverissima che, come già citato sopra, non poteva permettersi il filetto ma doveva ripiegare sulle frattaglie (anche se è strano che lui e la madre quelle frattaglie l'abbiano comprate ma poi le lasciate lì in negozio), che aveva un padre buono, colmo di valori e facilmente infinocchiabile dagli arroganti del paese, che è cresciuto sognando di spalare il letame delle vacche ma che aveva una testa troppo oltre per accontentarsi di quel futuro.
A tal proposito l'incipit con Ennino che ha l'intuizione di far sgonfiare le ruote di un camion per recuperare i 12 cm - la misura di un pene non certo grande ma dignitosamente brillo - che avrebbero permesso allo stesso camion di passare sotto una galleria dimostrano quanto quel bambino fosse speciale, quanto i numeri nella sua testa facessero ghirigori e sesso selvaggio tra loro (e lo capisco, ho un problema simile), quanto, quindi, nel suo futuro non ci sarebbero state le vacche del padre ma qualcosa di più grande, qualcosa che avrebbe potuto semmai farlo interagire con altre vacche, quelle di Berlusconi ad esempio, ma nemmeno quello, perchè Ennio si innamorerà prestissimo - e sarà per sempre marito fedele - di quella che sarà l'unica e sola donna della sua vita, una 15enne sua compaesana che poi diventerà sua splendida moglie e madre dei suoi due figli.
Ennio la conoscerà andandosene per risaie, campi fangosi, fabbriche e case cercando di vendere contratti bancari perchè, in una sua scappatella ad una filiale della Banca del Veneto si era accorto, dopo una struggente scena in cui - come un musical disneyano - danzava tra i numeri che albergavano la sua testa, dicevo, si era accorto che la gente in filiale non ci andava.
"E allora la Banca andrà da loro" inventò Doris.


E così, calzoni lunghi ma comunque troppo corti perchè non ci sono i soldi e quindi gli stessi pantaloni si mettono da 10 anni, Ennio prende la sua bicicletta e - portatore sano di un sorriso che, molto simile alla paresi, mai lo abbandonerà per tutto il film - diventa una specie di medico condotto che invece di cure porterà tra contadini, operai e gente semplice dei contratti da firmare. E le firme arriveranno in tempo 3 secondi perchè a quel sorriso non si resiste.
Dicevamo che in uno di questi incontri Ennio vedrà LEI, Lina, sull'uscio della porta.
E i due avranno un colpo di fulmine così fulminante che si guarderanno per due minuti con la stessa espressione delle pastorelle di Medjugorje durante l'estasi, un'estasi che non sarà pareggiata nemmeno da quella - comunque notevole - suscitatasi dall'incontro a Portofino con un giovane - anch'esso portatore sano di sorriso, ma a differenza di Ennio anche di trombate - di nome Silvio (ma torneremo dopo a loro).
Ennio con un immenso coraggio si dichiarerà alla famiglia di Lina (uno stuolo di 10 donne che lo guarda con lo stesso sguardo, astioso e curioso, col quale noi spettatori guardiamo il film) ma per farcela dovrà affrontare il Boss Finale, ovvero il padre della sposa.
Padre che gli ricorda che la donzella ha solo 15 anni e deve quindi aspettarne 4 per sposarla.
Ed Ennio, in piena fase prestazionale, inizia a fare i conti di quanti giorni, quante ore e quanti secondi saranno questi 4 anni, ma il conto viene violentemente cesurato dal padre che - mettendogli in bocca un bichierin de vino - gli dice "Bevi!".

Tra i poteri concessi al Nostro scopriamo che c'è anche quello di avere una colonna sonora privata che suona in base a quello che gli succede in vita.
E così quando alla balera lui balla con Lina l'orchestrina suona proprio in quel momento "Non ho l'età" oppure quando Ennio va a casa della ragazza a dichiararsi il fratellino di lei fa partire a caso il giradischi e il pezzo, che non ricordo, parla di quanto saranno felici quando saranno insieme.
Ovviamente sia l'orchestrina che il fratellino di lei hanno agito come sotto una sorta di ipnosi causata dal sorriso irresistibile di Ennio.

------------------------------------------------------------------------------

Uno ZERO incontra un OTTO e gli dice:
"Che cintura stretta che hai!"


Scusate l'intermezzo ma questa freddura è importante per la vita di Ennio, per quella della sua famiglia e, per osmosi, credo anche per la nostra.

-----------------------------------------------------------------------------------------

Ne approfitto anche per dire che il film, incredibilmente, è girato davvero bene, in 3/4 scene ha anche una bellissima fotografia e, in generale, è molto ben curato.
Il problema sono molti attori (tra cui ahimè il protagonista, il Doris ragazzo) e il contenuto.
Siamo di certo davanti alla più grande agiografia nella storia del Cinema.
Se, imitando Ennio, mi fossi messo a contare i momenti in cui Doris veniva glorificato (o come padre, o come marito, o come figlio, o come nonno, o come bancario, o come uomo illuminato, o come virtù morali, o come intelligenza, o come computatore di conti, o come uomo capace sempre di perdonare, o come benefattore, o come umiltà, o come vaticinatore o tanto altro), dico, se avessi contato i momenti in cui Doris viene glorificato credo che saremmo tranquillamente oltre i 241.
Non ricordo 2 minuti filati del film (vi giuro sono SERISSIMO) dove Doris non eccelle per qualcosa.
Per farvi capire il livello se inviassimo a qualcuno una foto mostrante solo il nostro pisello di 20 cm ecco, in quella foto, così nuda, zoomata e specifica, comunque ci sarebbero più margini di umiltà dell'intero film su Ennio Doris.
Perchè sì, perchè magari è vero, ti ho mandato la foto di un pisello di 20 cm ma non è implicito che io sappia usarlo.
Invece no, invece nel film non c'è mai un solo secondo, un solo cm di pellicola, una minima fessura o un minimo dubbio sulla magnificenza di Ennio.
E in questa recensione già così lunga vi avrò raccontato al massimo il 27% delle scene o dei momenti da SuperEnnio.

Uno che ad esempio invitava importanti soci a casa sua ma interrompeva ogni 30 secondi l'incontro per andare ad accogliere all'uscio gente semplice alla quale firmava fogli a caso (una scena davvero vicinissima a quella dei Santi che toccano la testa dei fedeli), uno che assumeva gente in due secondi se questa sapeva fare 4 triangoli con sei matite (meraviglioso quello che il tempo di 3 passi si ritrova una giacca e una 24 ore addosso), uno che grazie alla sua simpatia e al suo sorriso poteva vendere un contratto a chiunque (la scena della chiamata al Segretario della Confindustria o quella dove umilia il povero Cagliari fissando 10 incontri in 3 minuti), uno che durante il crack finanziario americano che rischiava di mettere a terra molti suoi correntisti decise di mettere soldi di tasca sua per risarcirli.
E tanto tanto altro.


Ma due dei momenti più belli riguardano Silvio.
Nel primo incontro, quello a Portofino, assistiamo al più grande switch di doppiaggio della storia del cinema italiano.
L'attore che interpreta Berlusca parla infatti un faticoso milanese, come giusto che sia.
Ad un certo punto, però, probabilmente si dimentica del ruolo e per commentare il:

"Voglio aprire una banca!"

detto da Doris risponde con un:

"Ma un ce ne sono già troppe???"

con una cadenza toscana assurda. 
Incredibile che nessuno si sia accorto della cosa ma forse questo era soltanto un altro potere di Doris, ovvero quello di far switchare la cadenza degli interlocutori.
Ci rimarrà anche indelebilmente nel cuore la scena di Silvio ed Ennio ad Arcore, loro felici come bambini mentre rincorrono e raccattano fogli che se ne sono volati nel giardino, MERAVIGLIOSA.

Ma c'è un punto oscuro, una scena incomprensibile che non abbiamo capito e che mi darà la stupenda occasione di voler rivedere questo capolavoro.
Ennio e Lina sono, da "anziani", su una casupola di legno, una specie di povero ma ben curato chalet.
A memoria credo che sia la loro prima casa.
Lo spettatore è convinto che i due siano tornati nella casa del loro primo amore, quella dove hanno passato i loro primi anni insieme, del resto tutto il film è un rimembrare il passato o prenderlo tra le proprie mani.
Ad un certo punto, però, entra il figlio che li chiama.
Questi escono e uno si aspetta che escano FUORI ma invece no, attraversata la porta si ritrovano nella loro mega villa dove vivono.
Aprono la porta della casupola e sono dentro il villone dove abitano ora, ripeto.
E' molto probabile che io e il mio amico, a quel punto, fossimo drogati dal film e pronti a credere a qualsiasi cosa avessimo davanti, qualsiasi apparizione (del resto Ennio questo è stato per tutto il film, un'Apparizione Divina).
Ma questo uscire dalla casupola e ritrovarsi nel villone moderno è un qualcosa che non mi fa dormire da 2 giorni, vi giuro.

Grazie vita, grazie Ennio, grazie tutto.

Vi lascio con questo video.
Perchè nel 2000 un uomo buono tracciava con un bastoncino intorno a sè un cerchio, in quella che sarebbe diventata una delle pubblicità più iconiche dei nostri tempi.
E vedere la genesi di quel bastoncino è qualcosa di troppo importante.



2 commenti:

  1. Ma veramente guardi anche questo cinema d'avanguardia?
    Altro che Tarkovskji.....Ti stimo :-)))))))

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma che scherzi, io ce camperei co sti film, ce so cresciuto coi fratelli e poi con gli amici, mi mancano ;)

      solo che, ecco, 11 euro che ho pagato sono un filino troppi :)

      Elimina

due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao