14.7.21

Recensione: "La Terra dei Figli"

 

Il The Road italiano è un film magari meno potente, magari meno "bello", magari meno efficace ed emozionante del capolavoro di Hillcoat ma, se possibile, ancora più ricco di tematiche e più complesso.
Il mondo, non sappiamo per quale ragione, è finito.
Sul delta del Po vivono ormai poche decine di uomini, in sperdute palafitte.
Tra queste c'è un ragazzo (nato dopo l'Apocalisse) e suo padre.
Alla morte di quest'ultimo il ragazzo troverà un diario di appunti.
Non sapendo leggere resterà solo una cosa da fare, prendere la sua barca e, rischiando la vita più volte, trovare qualcuno che gli possa dire che c'è scritto in quel quaderno.
Film magnifico sui ricordi, sulla memoria, sulle emozioni da nascondere e quelle da riscoprire.
"L'amore me lo sono preso tutto addosso io per non farti soffrire"
Una piccola perla

PRESENTI SPOILER

 Sarà scontato ma è difficile non considerare La Terra dei Figli come il The Road italiano. E non è solo per la sua cornice post-apocalittica, e non è solo perchè non sappiamo la stessa Apocalisse come sia sopravvenuta (qui si parla di "veleni", è l'unica informazione che abbiamo) ma più che altro perchè si racconta la storia di un padre e un figlio, anzi, come nel caso del capolavoro di Hillcoat possiamo dire di un Padre e un Figlio, con la maiuscola, visto il ruolo simbolico che ricoprono (paradossalmente nel film di Cupellini ancora di più).
Non è un caso, ad esempio, che non sapremo mai il nome del ragazzo protagonista, lui è solo "Il Figlio". Possibile anche suggestione biblica, ma ci torneremo.

Siccome ho nominato The Road sparo subito quella che a prima vista potrebbe essere un'eresia, ovvero l'esser convinto che La Terra dei Figli, a livello tematico e di complessità, vada addirittura oltre (e io di The Road ho letto anche il libro - uno dei pochissimi di questi anni - parlo a ragion veduta).
Non so se abbia la stessa potenza, non so se abbia la stessa efficacia, ma di sicuro La Terra dei Figli mette dentro ancora più cose (con il rischio quindi di depotenziarle, certo).


Intanto un passo indietro.
Mi ero innamorato di Cupellini con Una Vita Tranquilla, un fantastico noir con protagonista Toni Servillo (sicuramente nei migliori 30 film italiani ultimi 10 anni). Poi avevo avuto la conferma del regista con Alaska, film potente, bello, ma irrisolto o comunque imperfetto.
Senza ombra di dubbio, però, il film che probabilmente sarà per sempre associato a Cupellini è quest'ultimo (anche se è vero che il suo cult è Lezioni di Cioccolato - tra l'altro girato qui a Perugia - di cui pochissimi però saprebbero dire chi è il regista).
La regia de La Terra dei Figli è fantastica. Un'inquadratura più bella dell'altra, movimenti di macchina come se piovesse (un centinaio) di infinita morbidezza e mai esagerati (per capirsi non si arriva mai alle "sorrentinate"), campi lunghi, primissimi piani, piccoli piani sequenza, capacità eccezionale di restituire le magnifiche location del film (vero e proprio personaggio della pellicola, ci troviamo nel delta del Po tra, credo, l'alta Emilia e il basso Veneto).
Una vera e propria lezione di regia ed estetica in un film in cui non c'è mai, a livello visivo, qualcosa di banale, ma una continua ricerca dell'inquadratura e del movimento perfetto (voglio citare ad esempio gli ultimi momenti di vita del padre, con quella macchina da presa che non gli si stacca di un cm, con quel muoversi ed appannarsi continuo senza mai darci la sensazione di ritrovarci in un Dogma alla Trier ma con un grandissimo controllo).
E, attenzione, in un film che poteva reggersi con le sue gambe quasi solo col soggetto e col racconto ritrovarci anche tutto questo è importante.
In Una Vita Tranquilla e in Alaska Cupellini si era affidato a due mostri come Servillo e Germano per poi affiancargli giovani e meno giovani attori italiani (tra il poco conosciuti e lo sconosciuti). Qui invece nessun big (a parte il quarto d'ora finale di un commovente Mastandrea), Cupellini si affida ad un giovane rapper romano (viso da cinema fatto e finito) che dovrà portare quasi l'intero film sulle sue spalle.
Riuscendoci.
A me son comunque piaciuti tutti tutti, Cupellini rischia facendoli recitare nei dialetti delle zone e in modo molto naturale (qualcuno del Sud potrebbe perdersi qualche frase) ma da sempre la recitazione molto naturale e pochissimo costruita è caratteristica dei film del regista (vedere gli altri due per capire).
Davvero grandissima la Golino in quello che è il personaggio forse più malinconico ed umano del film.

Ma di cosa parla il film?
Il mondo è finito, a causa di meglio non precisati "veleni" (ci sono anche personaggi con brutte escrescenze nel corpo, magari c'entra).
Tutto dovrebbe essere successo circa 20 anni fa visto che il nostro personaggio principale ha sui 18 anni, è nato dopo l'Apocalisse e non ci sono praticamente altri ragazzi visto che tutti i bimbi piccoli venivano uccisi appena nati per non farli vivere in un futuro terribile.
In realtà, però, non c'è l'atmosfera di The Road, ovvero quella post-post-apocalittica. Ci sono ancora colori, i fiumi sono ancora blu, l'erba è ancora verde, si può ancora coltivare e pescare. Insomma, è un mondo finito sì, probabilmente senza alcun futuro ma con un durissimo presente ancora possibile. Non è un caso forse che anche a livello fotografico non troveremo mai gli indimenticabili grigi di The Road, non ci sarà mai quella luce livida. E trovandoci intorno al fiume non vedremo nemmeno la stessa distruzione (nessuna città si paleserà ai nostro occhi, l'unica immagine di devastazione del mondo che fu resteranno quelle automobili in fila).
Insomma, diciamo che siamo pochi anni prima dello scenario del film di Hillcoat


Il Figlio, come ho scritto più volte, è nato dopo l'Apocalisse. Questo fattore lo porterà quindi a conoscere solo il mondo che si è creato dopo la Fine. E il padre, al fine di proteggerlo, racconterà a lui solo cose (o spiegherà a lui solo cose) che gli possano servire nel mondo di adesso, tutto quello che riguarda il prima ma che adesso non serve più glielo nasconderà.
 Assistiamo quasi ad un piccolo Dogtooth quindi, ovvero ad un film che racconta di un ragazzo che conosce il mondo solo per quello che il padre gli racconta (anche se qui per una "protezione" positiva, non come nel film di Lanthimos).
Non parliamo solo di oggetti o di gesti (il ragazzo ad esempio quando trova le automobili non sa cosa siano) ma anche di sentimenti. Anche se su questo versante dobbiamo tornare analizzando il magnifico finale.
Il film ha la capacità d'esser molto lungo (due ore), di essere suddiviso in almeno 5 parti ben distinte ma, e questo capita raramente, non avere nessuna di queste 5 parti più debole dell'altra. Il film convince sempre, non cala mai, ha piccole sottotrame credibili, personaggi sempre nuovi e sempre funzionali, è coeso.
Le scene davvero belle non mancano, penso a quei corpi che riemergono dopo lo scoppio delle bombe, alla morte di Aringo (uno dei tanti villain del film), ad alcune splendide inquadrature del ragazzo che va in barca, alla stupenda scena di quando esce dalla chiusa (che rappresenta una specie di Colonne d'Ercole con un mondo sconosciuto al di là), agli impiccati, alle auto in fila, alla scoperta della ragazza in gabbia (2 minuti che ricordano tantissimo Il Segreto dei suoi occhi), all'aratro umano sotto la pioggia, al fuoco della casa.
C'è davvero tanto per gli occhi.
Secondo me ci sono due errori abbastanza gravi di credibilità.
Il primo sono i due ragazzi che non solo dopo aver ucciso i contadini non si fermano qualche tempo in quella casa piena di cibo, ma che non portano con sè nulla, nemmeno due foglie di insalata.
Il secondo è che quando Mastandrea compie il massacro non sentiamo nemmeno uno sparo, in un luogo talmente silenzioso dove dovrebbero essere fragorosi (e infatti l'ultimo sparo echeggerà come una bomba). Purtroppo un errore che ha due spiegazioni, la prima quella per cui il "capo" in questo modo non si è accorto di nulla, la seconda è il mostrare il massacro allo spettatore solo dopo.
Ma ahimè la cosa non regge.
Non ho poi amato la scena onirica sott'acqua, se devo essere sincero.

Ma nel quarto d'ora finale ecco che, in maniera debordante, esplodono tutte le tematiche del film.
Innanzitutto c'eravamo portati avanti per tutta la durata quella dell'importanza dei ricordi, della memorie, delle "parole" (non è un caso che la didascali ad inizio film ci ricordi che nessun libro fu scritto dopo la fine). Lo spettatore pensa che in quel quaderno in qualche modo venga portato il ricordo del mondo che fu. E in realtà molto probabilmente è così anche se Mastandrea leggendo solo le ultime due pagine scoprirà che l'intento di quel diario probabilmente era un altro, ne parleremo.
Prima volevo, giusto in maniera incidentale, dire che forse non è un caso che lei si chiami Maria e lui non abbia un nome. Una coppia che richiama quindi la Bibbia e che magari è simbolo e speranza di un futuro, un futuro dove ci sarà un "figlio degli uomini" che farà ripartire tutto.
Ma andiamo alle due tematiche principali.
La prima riguarda i ricordi e il dolore.
Ogni volta che Mastandrea cercava di avere un ricordo della sua vita precedente il suo capo lo mutilava. Questo sia per tenerlo "prigioniero" del solo presente, così da farlo rendere al meglio, sia perchè, è vero, in certi casi i ricordi sono puro dolore.
E non è un caso che quando Mastandrea leggerà l'intero diario deciderà non solo di uccidere tutti (perchè ricordando la meraviglia della vita precedente non accetterà più l'orrore e l'inumanità di questa) ma anche di uccidersi.
Se ci pensate è semplicemente il parossismo di quanto sopra, se ogni ricordo era una mutilazione allora uno tsunami di ricordi sarà un dolore troppo grande da sopportare, meglio farla finita.
E' un personaggio commovente il suo, forse sì manipolato dal suo capo (che gli ha fatto una specie di lavaggio del cervello) ma che in realtà capisce che quello che lo stesso aguzzino gli diceva era reale, ricordare vuol dire farsi troppo male.


Ma, come avvenne un pò in Another Round, ecco che solo negli ultimi 5 minuti scopriamo che uno dei temi principali se ne era stato nascosto fino a quel momento.
E quel tema è ancora una volta l'amore.
In realtà lo stesso figlio lo dirà, lui vuole assolutamente sapere cosa c'è scritto in quel diario per un motivo, scoprire se suo padre lo amava.
Ecco così che la sua disperata ricerca di un lettore acquisisce contorni struggenti, specie per un ragazzo che è cresciuto senza nemmeno conoscerli i sentimenti.
Questa è un pò anche una metafora di quasi tutti noi, padri e figli incapaci di dire al proprio figlio o padre quanto lo amiamo.
Anche se qui la motivazione è opposta, non averglielo mai detto era per proteggerlo.
Ecco che si raggiungono vette altissime di scrittura (non so se degli sceneggiatori o già presenti nel fumetto di Gipi da cui è stato in gran parte ricavato il film).
Quel padre non aveva mai detto a suo figlio di amarlo, non l'aveva mai abbracciato (se non una sola volta a 4 anni, davanti un cavallo morente) perchè se gli avesse insegnato l'amore lo avrebbe reso debole. Ogni essere umano più conosce i sentimenti più deve accettare che possano renderlo debole.
Ed ecco che come quel figlio non conosceva le automobili e mille altre cose così, al tempo stesso, non conosceva i sentimenti.
Non è un caso che alla morte del padre non abbia pianto.
Non era cinismo, non era freddezza, era semplice non conoscenza di quel sentimento.
Ed ora leggendo quell'ultima pagina quel figlio non solo scoprirà che il padre l'aveva sempre immensamente amato (tanto da dire "mi sono preso tutto l'amore addosso io per proteggerti" come se provare cose fosse un peso che a lui non voleva dare) ma che è proprio per quel motivo che non l'aveva mai dimostrato.
Una specie di ossimoro pare ma che invece investe anche le nostre vite reali molto spesso, se ti amo non te lo dimostro per non farti male, per non darti un peso.
Quel Figlio adesso sa.
Così come avesse imparato cos'è un ristorante, cos'è un'auto, cos'è una partita di calcio, ha imparato cos'è il dolore e cos'è l'amore.
E c'è infatti un'ultima scena che uno spettatore distratto può vedere solo come un bel finale, non ricordando il percorso.
No, è il punto di arrivo di tutto.
Lei sta male, non si risveglia, sembra morta.
E quel ragazzo che non pianse alla morte del padre buttandolo poi in mare adesso sì, piange.
Perchè adesso qualcuno gli ha insegnato quei sentimenti.
Magari sarà più debole, è vero, ma avrà comunque scoperto la cosa più bella della vita


7 commenti:

  1. Mi accorgo solo ora che non c'è nessun commento sotto questa lucidissima analisi di un gioiello purtroppo poco distribuito e poco pubblicizzato.

    Quindi intervengo sia per colmare questa lacuna facendo onore alla tua recensione, sia per condividere il brano "Terra che trema" - interpretato da Maria Roveran (Maria nel film) e prodotto da un mio omonimo e quasi compaesano - che riprende la filastrocca canticchiata nel bosco.

    https://open.spotify.com/track/6yJ6TWSwM2DHFM3qKJkDe8?si=4d2ff68196d44e6f

    Buon ascolto!

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    1. Eh, ormai nei blog non commenta più nessuno, tocca fassene na ragione, ahah

      grazie Matteo!

      è la prima volta in vita mia che apro sto Spotify e infatti non me l'ha fatta ascoltà, ahah, devo mette l'app

      ma recuperata sul tubo!

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  2. Effettivamente potevo immaginare a cosa andavo incontro, ma con leggerezza mi aspettavo un viaggio più “one the road”, invece, “Pinocchio”, di strada ne ha fatta molta di più.
    Il confronto con “Pinocchio” non è casuale. Lui burattino di legno, ora umano, in mezzo alle cattiverie di chi umano lo è per nascita, ma non per cuore; in cerca di risposte, con ingenuità ed arroganza.
    Ecco qui “Il Figlio”, umano ma dal cuore di legno (quindi un Pinocchio inverso), costretto dagli eventi a ripercorre la strada (qui il fiume) alla ricerca inconsapevole dell’amore che non ha mai conosciuto/ricevuto.
    Paesaggi che, …“mai una gioia”: abbandono, sporcizia, miseria e fame sono l’arido contesto in cui si dipana una storia semplice, fatta di pochi personaggi, tutti ben caratterizzati, tutti oltremodo “disperati”, senza futuro.
    Accompagnati (in un viaggio solitario) da inquadrature e movimenti di camera sempre attenti ai dettagli, ma soprattutto accompagnati da una strepitosa colonna sonora di Motta, si arriva ad un finale alla Blade Runner; dopo tanta pioggia e tanto pessimismo, un raggio di sole e una “nuova speranza”. Poco prima il passaggio atteso per tutto il film, la confessione, arrivata tramite un Deus Ex-machina particolarmente risolutivo, forse troppo risolutivo (va bene far funzionare le scene, ma la credibilità non andrebbe abbandonata).
    Bel film, forte nel messaggio, ottimamente messo in scena, ma a mio parere deboluccio non solo in un paio di difetti di scrittura, ma anche nell’essere più fiaba che romanzo.

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    1. bellissimo il refuso "one the road"

      in effetti ci sta, per larghi tratti è un "on the road" di una sola persona, ahah

      geniale l'analogia per contrasto con Pinocchio!

      eh, paesaggi che più che "mai una gioia" raccontano un mondo che le gioie non le può vivere più, più che un presente disperato raccontano un passato morto e un futuro inesistente (come The Road, anche se qui con qualche speranza)

      è di Motta la colonna sonora? ma pensa...

      "oco prima il passaggio atteso per tutto il film, la confessione, arrivata tramite un Deus Ex-machina particolarmente risolutivo, forse troppo risolutivo (va bene far funzionare le scene, ma la credibilità non andrebbe abbandonata)."

      ora perso a rispondere a mille commenti, con la testa su mille cose e a tanti mesi dalla visione mi son perso, mi dici?

      ah, ho capito, dici che pecca di realismo e sembra più un racconto archetipico

      per me no ma (dico come l'ho vissuto) ma in effetti ci sta alla grande

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    2. il senso era
      arriva il personaggio di Mastrandrea. Arriva come nuova figura (benchè nel prologo...) e per d'incanto, risolve tutto; anche troppo
      Compreso che elimina tutti i "problemi" (compresi i suoi) e nel farlo (ma ho letto dopo la tua rece) la sceneggiatura bara (spari non sentiti da nessuno, mentre il suo ultimo per il suicidio, riecheggia ancora.

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    3. One the Road ....me lo spenderò. Funziona :-D

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    4. Ah, capito!

      Io lo ricordo come personaggio riuscitissimo, sia di suo che inserito nella drammaturgia

      Insomma, nè forzato nè strumentale

      Però ho capito come l'hai visto te ;)

      ahah, sì, va usato ;)

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao