20.3.23

Recensione: "Akira" - AnimE e Core, la grande passione per l'animazione giapponese - 16- di Enrico G.




Torna il nostro giovanissimo super esperto di Anime giapponesi Enrico.
In realtà ogni volta che scrivo "torna" (riguardo le rubriche esterne del blog )dovrei invece dire "finalmente ripubblico un pezzo di..." visto che loro li pezzi me li mandano sempre, sono io che rimando...
Ma stavolta non potevo perder tempo perchè Enrico ci parla di un capolavoro animato che ha fatto la storia del cinema e che proprio settimana scorsa è tornato nei cinema, Akira.
Vi lascio alla sua presentazione e poi alla (sicuramente bellissima) recensione.

Nominatemi un anime più conosciuto di Akira, se vi viene in mente. Un film talmente rappresentativo di un’idea, di un modo di fare, di un concetto di arte, che raramente è stato raggiunto nella storia dell’animazione anni ’80 (ma forse, proprio del cinema tutto), allo stesso tempo diventato popolare tramite esso. È con Akira che il “cartone giapponese” diventò per la prima volta qualcosa da volere, ricercare fieramente, pretendere dal mercato, spalancando le porte dell’Occidente a ciò che venne prima e dopo. Alcuni di quei prodotti sono tornati di nicchia. Lo stesso Katsuhiro Otomo è stato messo in ombra dalla sua creatura, e sì che è la mente dietro Steamboy, Roujin Z, Metropolis, Spriggan, antologie, fumetti. Akira invece è rimasto intoccabile, torna nei cinema e in ristampa ogni pochi anni, e finalmente, al suo 35esimo anniversario, mi sono deciso anch’io a vederlo per la prima volta, sul grande schermo. Questa, più che una recensione, è l’impressione di chi per una volta smette i panni di appassionato, e torna ad essere spettatore in una sala. Davanti a sé, un film di corpi torturati, di metropoli devastate, dei loro suoni, e dei loro colori, centinaia di colori.

Per dovere d’inventario, attualmente disponibile anche su Netflix.

Spoiler sparsi, ma d’altronde lo avrete già visto tutti.


Una parola innanzitutto, sulla visione “competitiva” di film. La ricerca spasmodica dei grandi capolavori della storia del cinema, a mio parere, non può essere una gara né un’indigestione. Il desiderio di entrare a far parte della cultura della cinematografia passata può solo essere lodevole, se umile. Per contro, non ho mai condiviso l’idea che per “capirci qualcosa” della settima arte, o qualsiasi altra espressione artistica per quel che importa, ci debbano essere patenti e passaggi obbligati, determinate visioni nel caso del cinema. Lascerei volentieri la scienza di queste espressioni a chi le fa o le studia, mentre la comprensione non richiede altro che una mente degna di questo nome. È una convinzione che si rafforza quando ho l’occasione di vedere un rinomato classico sul grande schermo: ammirare Akira come era stato inteso nel 1988 vale tutta la pazienza con cui l’ho atteso – pazienza che in realtà, è spesso null’altro che un “attendere il momento giusto”, pratica perfezionata in anni di attesa della distribuzione italiana di prodotti orientali (una specie di addestramento zen ad honorem). Con in più, tutta la naiveté di conoscere poco o nulla sui retroscena del film, esattamente come la maggior parte degli spettatori di allora. E poco importa se fino a ieri mi avrebbero detto di essere indegno di chiamarmi appassionato di anime.
E allora, sotto la patina della notorietà, qual è la storia di Akira? Il film è ambientato nel 2019, prevedendo con largo anticipo che le Olimpiadi di Tokyo dell’anno dopo sarebbero state azzoppate da una catastrofe umanitaria. Trent’anni prima una misteriosa esplosione, che vediamo nel famosissimo incipit, ha sconquassato il centro della capitale giapponese, ricostruita successivamente attorno all’impressionante cratere. Questa Neo-Tokyo però è a sua volta un buco infernale di instabilità e degrado, sulle cui strade regnano i Centauri, giovani scapestrati riuniti in bande, che in sella alle loro moto combattono come se la guerra non fosse mai finita. È durante una di queste scorribande che Tetsuo quasi muore, scontrandosi con un bambino dall’aspetto di un vecchio. Nemmeno il gruppo del ragazzo e il loro leader, Kaneda, possono impedire che scienziati e militari dall’aria losca portino via entrambi…



La trama del film è veramente una creatura curiosa, sicuramente frutto del tentativo di comprimere in due ore l’imponente graphic novel di Katsuhiro Otomo, che è anche regista, sceneggiatore e designer dei personaggi dell’adattamento. Va velocissima nella prima parte, rombando gloriosamente come le splendide moto futuristiche dei protagonisti, anche se è solo l’introduzione del mondo e dei caratteri. Va lenta, persino con qualche tempo morto, nella seconda che è quasi azione non stop. Imbastisce un mondo immensamente ambizioso per raccontare la storia intima e contrastata di due amici d’infanzia. È ignorantemente e fieramente portata avanti da esplosioni, sfoggio di poteri telecinetici, intrattenimento puro, ma pure basata su un conflitto molto personale, su temi molto adulti (la volontà, l’innocenza, i principi animatori di questo mondo, il sacrificio), sul protagonismo di personaggi in buona parte difficili da scrivere (e da leggere, nelle loro motivazioni profonde). È insomma, uno di quei mix che, o hai in mano un capolavoro che riesce miracolosamente a tenere tutto assieme e farlo funzionare, o esploderà pesantemente come un mezzo corazzato qualsiasi sulla strada di Tetsuo. Nel caso di Akira, direi che la posterità ha già decretato su quale lato si adagia. Direi che posso coscientemente accodarmi, visto che nella mia particolare visione i capolavori sono proprio questo: non film perfetti, anzi, opere d’arte che si ergono per strani e sovente imperscrutabili motivi al di sopra dei loro difetti. Sono i Blade Runner, sono i Brisby e il Segreto di Nimh, entrambi del 1982 (l’anno del manga), da cui Akira sembra aver appreso una lezione importante, la costruzione di un futuro cyberpunk dall’uno, la guerra tra Scienza, Natura e Ignoto (intesa come polemos, uno dei principi eraclitei) l’altro. Che poi futuro tra virgolette, quel 2019 è tale solo sul calendario, il mondo di Akira è quello anni ’80 dei telefoni a gettoni e le manifestazioni studentesche e antigovernative che infuocavano le strade del Giappone. A tal proposito, se volete un valido rappresentante di finzione storica ambientato in quel mondo, vi consiglio caldamente di leggere Norwegian Wood, un libro straordinario scritto da chi, Haruki Murakami, quegli anni li ha vissuti davvero.



Frattanto nel film, uno dei gruppi di protesta finisce per incrociarsi con i giovani Centauri quando Kaneda, alla stazione di polizia dove li hanno sbattuti dopo il rapimento, si invaghisce di una dei membri, Kei. Anche se sembrano saperne sul misterioso vecchio-bambino – chissà se Otomo si è ispirato al Mamoo della Pietra della Saggezza, a sua volta modellato sull’attore Paul Williams de “Il Fantasma del Palcoscenico” – i ribelli e la loro lotta col potere costituito sono più che altro un MacGuffin per giungere alla presenza di Tetsuo. Meravigliosa e tragica però la loro fine, trascinati nella sorte parallela del consiglio di governo; divorati da questo Giappone al limite che fagocita e collassa continuamente su sé stesso. Esattamente come farà, in una esplosione di body horror, il corpo di Tetsuo, provato infine dai suoi poteri psicocinetici: acquisiti nello scontro fatale di quella notte, lo rendono praticamente imbattibile, al costo di tremendi mal di testa, visioni, incubi come quello delirante dei giocattoli indemoniati, che sembrano una versione satanica di certe carte di Yu-Gi-Oh. E una voce che lo chiama: ma, se proprio a lui appartiene, chi è questo fantomatico Akira? Comincia una marcia della morte attraverso Tokyo, mentre si accodano torme di fanatici millenaristi, in cerca del loro salvatore, e un esercito ottuso e violento cerca inutilmente di opporvisi.

In questa parte centrale si sente un accenno di stanca, il film sembra andare un po’ a blocchi, enfatizzati da un certo numero di stacchi sul nero, alcuni efficaci, altri meno. Se tutto rimane appassionante credo sia merito dei personaggi, non esattamente profondissimi, forse troppo numerosi (di nuovo, immagino il manga ne avesse anche di più), ma decisamente carismatici e chiari nelle loro motivazioni. Prendiamo la già citata Kei, che dopo l’infiltrazione nell’istituto di ricerca perde praticamente scopo, tanto che in svariati momenti del terzo atto sono altri a controllare le sue azioni. Eppure è assolutamente empatica la sua dedizione al compagno, che si scontra con l’orrore alla violenza; è comprensibile la nascita di un affetto per Kaneda; e non è certo un mistero perché si oppone al governo, brutale, repressivo, e ancora più che nelle strade lo vediamo nella scuola del ragazzo, alle origini, dove la disciplina dei rettori viene inculcata a botte mentre le classi e la struttura sono lerce, graffitate, in totale anarchia.




È un Giappone marcio, perché fondato sull’incapacità di proteggere, se non sul coscientemente distruggere, il candore dei bambini. Lì nascono le piaghe sociali e materiali di Neo-Tokyo, una Babilonia al neon inchiostrata in colori vivacissimi. D’altronde è impossibile parlare di Akira senza menzionare l’animazione, le sue centinaia di tinte. 327 per l’esattezza, distribuite con una precisione maniacale, come le luci gialle alle finestre dei palazzoni mastodontici, tutte sistemate a punta di pennello, ogni singolo puntino su ogni singolo pannello. Un lavoro mostruoso, quasi espressionismo a colori, specie nelle tonalità di rosso: le esplosioni, il sangue, le labbra, i palazzi, il titolo del film, quelle cinque letterone che appaiono in fila, purpuree. Ma soprattutto Kaneda e il suo bolide, tutto rosso, la moto, i guanti, gli stivali, i pantaloni, il giaccone. Una fiamma umana, che infatti anche quando Tatsuo è diventato ormai un mostro quasi incontrollabile e irredimibile, rimane l’unico capace di tenergli testa praticamente solo per soggezione, dove non riuscivano a imporla eserciti armati fino ai denti. Anche lui, ovviamente, con quella ruvida personalità che ne fa sicuramente il personaggio più bello del film.



Si potrebbe parlare per ore di Akira, scriverci saggi, farci video - li hanno scritti, li hanno girati – sulle implicazioni sociali, sul non tanto velato sottotesto atomico, le idee riguardo alla moralità della scienza e il mistero dell’energia, umana e sovrumana, che pervade il mondo. Si potrebbe parlare di come Akira sia un film a tutti gli effetti che ha solo trovato una sua forma animata, e che con la sua maturità, anche nell’uso della violenza, della nudità, del linguaggio, abbia rivoluzionato la narrazione in Oriente come Occidente. Si potrebbe parlare della sua influenza perdurante nei media, tanto che credo ognuno possa citare un pezzo di cultura popolare ispirato da Akira. Nel mio caso, tornando all’animazione nipponica con Principessa Mononoke, il più cupo e sanguinoso (non a caso) film di Miyazaki, che credo si sia ispirato, vedendo Kaneda e Kaori avvinghiati dal corpo virulento e infetto di Tetsuo, per i suoi Ashitaka e San dentro il cinghiale indemoniato. Insomma, Akira da 35 anni non smette e non smetterà di riempire la fantasia di tutti, con la sua regia di prima classe, la musica potente e evocativa, ovviamente la sua sovrumana animazione, tranquillamente dentro i primi cinque posti di tutti i tempi: non vi dico la fatica scegliere solo poche immagini da questa esposizione d’arte in movimento, specie dagli scorci notturni e le corse con le moto, di cui vanno citate almeno l’inchiodata di Kaneda e l’immortale immagine dei fanalini rossi e arancioni, che lasciano la loro scia nel buio della città. Ma mi fermo perché questa, appunto, non è una recensione, ma solo i pensieri di chi finalmente ha potuto vedere uno dei più grandi cult animati di tutti i tempi, nel suo giusto spazio, in tutto il suo splendore.

12 commenti:

  1. Lessi il manga e vidi l'anime a 15 anni e da allora è una delle mie opere di riferimento. Davvero, è qualcosa di strabiliante.

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    1. Immagino che in quella fase giocoforza diventi un metro di paragone imprescindibile. Lo puoi godere a qualsiasi età, come ho fatto io, ma credo sia un film fatto per eccitare i giovani.

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  2. Incredibile. Ho pubblicato anche io oggi un post su Akira, dopo averlo visto per la prima volta in occasione della sua ultima uscita cinematografica (però sono riuscita a vederlo su Netflix, la sala di zona aveva orari impossibili per me). Non è il genere di anime, né di manga, che preferisco, ma ne riconosco le qualità e la natura di opera seminale, in grado di influenzare l'arte cinematografica, d'animazione e fumettistica internazionale come nessun altra e sono contentissima di averlo finalmente guardato!

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    1. Quoto ogni cosa che hai detto, mi ci ritrovo perfettamente. Nel mio caso parte dell'esperienza è imprescindibile dalla visione in sala (tra l'altro, bella davvero, elegante, per le occasioni speciali come questa), che ho trovato in orari e luoghi fortunatamente fattibili. Ma c'è poco da fare, qualunque modo tu voglia vedere Akira, non lascia indifferenti ;) dove ti posso leggere?

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    2. Sul Bollamanacco di Cinema, il mio blog :)

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  3. Ciao Enrico come stai?
    Hai mai visto Ti voglio mangiare il Pancreas di Shin'ichirô Ushijima?
    Te lo chiedo perché questo è il penultimo anime che ho visto.
    L’ultimo è’ stato Akira.
    E l’ho visto anch’io per la prima volta.
    Data la mia età (53) ne avevo già sentito parlare ai “miei tempi” ma allora negli anni novanta gli unici anime che seguivo erano quelli del preserale di italia uno alle venti a cena perché li guardava mia sorella più piccola di me.
    Però ricordo molto anche il merchandising che girava attorno al marchio Akira.
    E confesso che allora non mi interessava molto conoscerlo l’anime però ammetto che mi incuriosiva molto la fama che lo accompagnava in quel determinato periodo storico .
    Adesso che l’ho visto mi chiedo ma perché?
    Che ha di così bello?
    Forse mi aspettavo qualcosa d’altro, non saprei .
    È innegabile che bisogna per forza contestualizzarlo a quel periodo storico perché temo e te mi saprai dire se ho ragione o meno che oggi giorno nonostante i manga restino i fumetti più venduti in Italia quella magia che avevano i vecchi anime basati su quei manga , le opere attuali non sono riuscite a riproporla.
    Forse è solo un problema generazionale.
    Detto questo l’ho trovato molto visionario e molto colorato.
    Come scrivi benissimo te.
    Le animazioni passabili ma niente a che vedere con l’animazione della Disney ad esempio o con certi capolavori dello studi Ghibli.
    E questo perché i tratti dei manga son molto codificati di loro e mi ripeto ma il più delle volte trovo i personaggi molto anonimi.
    Cioè tutti uguali.

    Certe scene in verità le avevo già viste su YouTube, basta cercare anime splatter e disturbanti che tra i vari titoli compare Akira.
    La scena del body horror (?) di Tetsuo mi ha ricordato molto Society di Brian Yuzna .

    Vabbè è stata una visione necessaria per capire meglio la storia di questi capolavori dell’animazione giapponese.
    Piccola curiosità, dato il successo che ha avuto allora e per quanto si è continuato a parlarne, io fino all’altro ieri credevo che Akira fosse un seriale invece mi ha sorpreso molto sapere che è stato un unico film d’animazione.
    Carino.
    Max


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  4. Ciao Max, impegnato più del solito, per rispondere alla tua domanda, ma fortunatamente trovo ancora tempo per questo spazio a cui sono così affezionato.
    Visto che è un commento bello e denso vado per punti:
    1 no, non ho ancora visto Voglio mangiare il tuo pancreas, ma c'è l'ho in canna, come si suol dire, devo solo trovare la voglia, visto che ho un'avversione congenita per i "film col malato". Ma una sera tiro fuori i fazzolettoni perché credo potrebbe piacermi parecchio.

    2 Forse ti rispondi da solo su Akira, Max :)
    la qualità dell'animazione da sola deve essere sembrata fuori da questo mondo a chi negli anni '80 si guardava Jeeg Robot d'acciaio con i suoi disegnini scattosi, e lo sembra ancora oggi, poi era il contesto giusto, i messaggi giusti. All'epoca il Ghibli era appena nato e fuori dal Giappone non lo conosceva nessuno, la Disney invece era in crisi nera, Akira ha sconvolto quegli americani che fino ad allora pensavano l'animazione fosse roba per animaletti canterini. E siccome, come hai scoperto, non è una serie ma la gente ne voleva ancora, è arrivato in Occidente un mondo di cartoni simili. Forse anche meglio, io non penso metterei Akira neanche tra i miei primi 20 anime preferiti; però è un cult, ed è stato il primo, questo non glielo si può negare.

    3 non ho capito, trovi anonimi i personaggi di Akira o dei manga moderni? Perché credo che uno dei maggiori fattori di successo del film sia proprio la riconoscibilità dei personaggi, almeno Kaneda e Tetsuo, o i bambini-vecchi... Gli altri non mi dispiacciono, hanno quei tratti un po' rotondeggianti che adoro, casomai il problema è che sono un po' troppi e te li dimentichi.

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  5. Non so , forse è solo un problema mio.
    Ma trovo molto codificato il tratto manga in generale.
    È difficile da spiegarti.
    Ti faccio un esempio con gli anime che più conosco , pensa alle donnine di Matsumoto, le figure femminili si assomigliano tutte.
    Cambia il colore dei capelli a Maetel del Galaxy Espress 999 e hai Queen Esmeralda di Harlock.
    Banjo del Daitarn 3 è la versione più adulta di Alcor di Goldrake.
    Tekkaman e Actarus sembrano separati alla nascita e via così.
    Se te mi chiedi di ricordarmi le fisionomie dei personaggi di 5cm al secondo visto un anno fa non ci riuscirei ..e non scherzo.
    Ciao
    Max

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    1. No no capisco benissimo ora quello che intendi, e hai ragione. Non so se sia pigrizia, una forma mentis da "se non è rotto non aggiustarlo" o qualcosa legato alla società giapponese, tendenzialmente orientata all'omologazione, qui bisognerebbe chiedere ad un esperto di storia del fumetto. Sta di fatto che l'approccio è diverso dall'Occidente, dove magari pensiamo a Topolino, che disegni tre cerchi neri e lo riconosci - ma attenzione, non sempre, Milo Manara per esempio lavora proprio "alla giapponese".
      Immagino si riduca tutto a cosa vuoi ottenere, e se lo ottieni con un design che ti ricorda più il disegnatore che il personaggio, ci può stare per me. Il mio disegnatore preferito è Kenji Tsuruta, e se guardi le sue donne sono tutte identiche e va bene così: ciò che importa e le distingue è la storia, questo cambia come pensano, si vestono e si comportano. :)

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  6. Benissimo , felice di essere stato capito!
    Su Milo Manara che intendi con disegna alla giapponese?
    Son tutte uguali le fisionomie dei suoi personaggi?
    Non mi pare ...ma prontissimo a cambiare idea (eventualmente)

    Voglio mangiare il tuo pancreas : è proprio il contrario di quello che pensi per certi versi , non credo ti serviranno i fazzoletti.
    Pensa che io dal titolo credevo fosse uno splatter ahahah!!!
    Comunque non è il solito film a tema malato.
    Ciao a presto

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    1. Hahaha solo tu Max potevi immaginarlo, e lo dico in senso positivo :,) credo onestamente che, in conseguenza alla sacrosanta pretesa di avere traduzioni fedeli ai dialoghi giapponesi, si stia prendendo la brutta abitudine di adattare fedelmente anche i titoli. E da grandissimo ammiratore dei giapponesi, lo dico, sono titolisti orribili, e molti anime suonano ancora più ridicoli in italiano haha. Eri stato forse tu una volta a consigliarmi Maquia? Il cui sottotitolo è "decoriamo la mattina dell'addio con i fiori promessi", ma che casper vorrebbe dire? :,)

      Manara assolutamente lavora così, guarda le sue donne e dimmi se non sono tutte maledettamente uguali, siano su Corto Maltese, Gilda di Adrian o Lucrezia Borgia... il punto è che sono così belle che nessuno s'è mai lamentato haha.

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    2. Assolutamente no!
      Non consiglio film con titoli del genere ahaha!!!
      Comunque l’avevo capito quello che intendevi con Milo Manara solo che mi rodeva darti ragione-:)))
      Ciao

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