3.3.22

Recensione: "Piccolo Corpo"

 

Opera prima, magnifica, di una giovane regista friulana, Piccolo Corpo è il racconto di una madre, della sua bimba nata morta e di un lungo viaggio verso un santuario dove, si dice, può avvenire un miracolo.
Quel miracolo è un unico respiro, un unico respiro per ricevere un nome, un nome e un battesimo per non restare confinati per sempre in un limbo.
E il limbo, la condizione di mezzo, è il trait d'union di tutto il film, tra vita e morte, tra realismo e favola, tra passato e presente, tra mare e terra, tra identità sessuale.
Un film di rara grazia e mai retorico, anzi, forte come forte è la sua protagonista.
Ancora, l'ennesimo, grandissimo film italiano.

Presenti spoiler dopo seconda immagine.

Una spiaggia.
Un gruppo di donne canta una nenia che si perde nei tempi.
Una ragazza con un velo, il ventre gonfio pronto a dare una nuova vita.
C'è un piccolo rito di sangue, probabilmente propiziatorio.
La ragazza si disvela, in tutti i significati della parola, e si avvicina al mare.
Unisce il suo sangue all'acqua, recita un rito.
Siamo in un piano sequenza morbidissimo che quasi non te ne accorgi.
Siamo dietro di lei, poi davanti, poi dietro, in questa lenta passeggiata accompagnata da voci millenarie.
E' un incipit che basta masticare anche solo poco di cinema per capire che solo ad una cosa può portare, a qualcosa di tanto tanto bello.

Siamo in un'isola.
Le spiagge sono spoglie e non hanno una fine.
C'è già una sensazione che poi ci accompagnerà per tutto il resto del film, quella di essere in una terra di mezzo, in un tempo di mezzo (passato sì ma foss'anche un oggi crederemmo al film), in una narrazione di mezzo (a metà tra neorealismo e favola, come lo stupendo Re Granchio per capirsi).
Ma del resto il bagnasciuga dove staremo per tutta la prima parte del film è la terra di mezzo perfetta per antonomasia, una terra che ha finito d'esser mare ma ha ancora il mare dentro e una terra che ha finito d'esser terra perchè sta cominciando ad incontrare il mare.
E io non so quale sia il paradiso e quale l'inferno tra il mare e la terra ma questo bagnasciuga ricorda tanto un Limbo, una terra sospesa tra altre due.


Ed il Limbo è quella dimensione dove sarà costretta a stare per sempre la bimba nata morta di Agata, la ragazza disvelatasi poche righe fa e che adesso, tra pianti e sofferenze, vediamo distesa in un letto, dentro ad una capanna, con un fuoco che poco calore può dare quando nella stanza c'è il freddo della morte.
Questa bimba non ha nome, non ha nemmeno diritto ad averne uno chè, per averlo, bisogna almeno esalare un respiro, foss'anche uno soltanto.
Ma niente respiro, niente nome e, ahimè, niente battesimo.
Nessun Paradiso possibile quindi, nessun luogo aldilà di quest'isola dove Agata, la madre, un giorno potrà rivedere sua figlia.
Eppure, c'è forse una soluzione.
Si dice che lassù, in quelle montagne lontane da quest'isola, ci sia un santuario dove i bimbi nati morti tornano in vita giusto il tempo di fare un respiro, giusto il tempo di ricevere un nome.
Agata diseppellisce la poverissima bara dove è rinchiusa sua figlia, si prende quel Limbo di legno in spalla e parte per un viaggio in solitaria verso quel santuario, verso il Paradiso potremmo dire.

Piccolo Corpo è l'ennesimo gioiello di questi ultimi due anni di cinema italiano.
Al solito un cinema povero, ai confini spesso del naturalismo, legato a luoghi e tradizioni, un cinema che flirta quasi sempre col documentario ma con la voglia di raccontare storie, storie minime che diventano gigantesche, come fossero Miti greci.
E questa storia dei primi del Novecento (lo desumo dalla scena della lampadina), probabilmente legata a leggende del luogo (siamo in un Friuli restituitoci in maniera straordinaria) diventa così una storia universale e bellissima, apparentemente legata in maniera indissolubile alla religione ma, a ben pensarci, completamente e "solo" umana, un vero e proprio atto d'amore, disperato e bellissimo, che una madre fa per la propria figlia, l'unico atto d'amore possibile visto che tutti gli altri, quelli che avrebbe fatto se quest'ultima fosse in vita, le sono stati preclusi.
Gli altri non la capiscono, gli altri son quelli de "tanto ne farai un altro" ma solo Agata ha portato dentro al corpo quella vita, solo lei può amarla così tanto da capire che quella figlia non è un ruolo sociale - una figlia appunto - ma una vita unica ed insostituibile.
Tra l'altro - magari un giorno ci faccio una lista - è davvero particolare come in quest'ultimo anno il tema della maternità sia stato così presente (basti dire che Cannes e Venezia sono stati vinti da due film sul tema, ma ce ne sono tanti altri).
Ma è anche vero che sempre più donne (ah, la regista di Piccolo Corpo è una ragazza, Laura Samani, un viso dolce, buffo e sanamente folle, quasi da stand up comedian) riescono finalmente a fare film e il tema della maternità, di questa scelta al giorno d'oggi sempre più difficile e, di conseguenza, probabilmente più consapevole, diventa quasi automaticamente un'urgenza.

Buffo come questo film mi abbia riportato alla mente uno che nulla c'entra con Piccolo Corpo, Il Figlio di Saul.
Anche lì, però, si raccontava di un corpo morto, anche lì il nostro protagonista aveva come unico scopo nella vita dare serenità a quel corpo.
(già che ci sono in questa stramba e insensata trilogia su film che cercano di "salvare" corpi già morti aggiungerei il quasi sconosciuto e magnifico To Dust).
E' vero, tanto uno vive di spazi apertissimi e sguardo che va all'infinito - Piccolo Corpo - tanto l'altro, invece, già esteticamente - con quelle sfocature ai lati - ci dava un'atmosfera apnoica.
Senza che vada ad elencare altre macrodifferenze tra i due film (a che pro? sono completamente diversi) mi ha emozionato però questo scheletro comune e questa capacità di rendere queste loro "missioni", questa loro determinazione a salvare quei corpi già morti, qualcosa di universale e di bellissimo.
In ogni caso torniamo ad Agata, l'avevamo lasciata pronta a partire.
Lo farà con una zattera, zattera con la quale lascerà - a sensazione per la prima volta - l'isola in cui è nata.
A tal proposito sarà bellissimo poi trovarci davanti questi due personaggi, Agata e Lince (il nostro secondo protagonista, tempo di attraccare e Agata sta per incontrarlo), dicevo sarà bellissimo avere due protagonisti così opposti, una che è fatta di mare e probabilmente non è mai stata nella terraferma e mai visto le montagne e la neve, l'altro - Lince - all'opposto, un ragazzo (ops..) che ha sempre vissuto di boschi e montagne, senza mai aver visto il mare (mare che gli viene raccontato da Agata attraverso gli odori e sapori, in maniera così banale e scontata da risultare poetica).


Lince, già.
Assisteremo ad un dialogo che in un film che già strutturalmente non prevede colpi di scena ce ne regala uno così, nascosto, venuto fuori da una sola frase.
Lince, in realtà, è una donna.
E se ci pensate siamo all'ennesimo limbo del film (il bagnasciuga, il passato/presente, la realtà/favola, la vita e la morte e, adesso, anche l'uomo/donna), un essere umano "di mezzo" che dona a Piccolo Corpo, senza urlare, senza tesi, senza nessuna costruzione, anche questa tematica. E lo fa  meglio di film che puntano tutto su di essa.
Ci immaginiamo il passato di Lince, questa ragazza che non accetta di esser tale, questa suo dover scappare dalla mentalità della sua famiglia e del suo piccolo borgo. Ad un certo punto, con un brivido, abbiamo anche una suggestione quando ad Agata vengono tagliati i capelli e la ritroveremo con lo stesso taglio, quasi identico, dello stesso Lince.
E ci immaginiamo se, chissà, quella ragazza in passato ebbe la stessa sorte, se c'è un aborto di mezzo (magari voluto), o se, semplicemente, quel suo look se l'è creato da sola, molto più a immagine e somiglianza di come si sente dentro.
E tutto questo, tutto questo, ce l'abbiamo con una sola frase pronunciata, dal buio, da suo padre.
Intanto i due amici proseguiranno per questo lungo viaggio (a proposito, lungo? potrebbe essere di 3 giorni come di settimane) verso il santuario.
La Samani per fortuna evita il rischio della stasi (e in un film naturalistico spesso accade) e mette tante piccole cose lungo il percorso, l'attacco dei banditi (con quella banditessa che si commuove aprendo la scatola, magnifico), la scena della miniera (che ci regala 30-40 secondi di completo buio che sono portentosi), l'emorragia di Agata e poi, finalmente, le montagne.
Tutto è gestito con tempi pressochè perfetti, attraverso luoghi magnifici, fisici sì ma carichi di qualche potere che va oltre al fisico.
La fotografia è splendida (ma era bastato il prologo, la scena dell'aborto e la partenza in zattera per rendersi conto dalla bellezza delle luci) e le due protagoniste (a sensazione al debutto, di solito in opere prime di questo tipo è così) sono magnetiche con lei, Celeste Cescutti, di grande presenza scenica, con uno sguardo sempre fermo, deciso, di ferrea lucidità e determinazione, forse talmente forte che paradossalmente empatizziamo meno con lei proprio perchè lei stessa sembra dirci di star bene.
Mentre Ondina Quadri - Lince - con quei due occhi che sembrano quelli che McCurry - nel viso di qualcun altro - fotografò entrando nella storia, è personaggio davvero complesso, probabilmente dotato di scarsa intelligenza, privo di esperienza, quasi bambino, eppure al tempo stesso capace di scelte coraggiosissime, come quella che fu un tempo quando se ne andò e questa di adesso, accompagnare Agata.
Ma ormai, lo abbiamo detto, siamo alle pendici della montagna.
E' stato un viaggio di mare, un viaggio di terra, di carro, di miniera, di valli, di tanti paesaggi che sembrano quasi le tappe e le stagioni di una vita (emblematico quel dover attraversare il buio della miniera per arrivare alla salvezza).


E ora nevica pure e si fa fatica, chè sembra di essere nel Castello di Kafka tanta è la stessa fatica e il raggiungimento di qualcosa che forse è e forse non è.
(tra l'altro ho paragonato il film a Re Granchio e Il Buco e quel lago in montagna e la miniera quanto li ricordano?).
Forse abbiamo qua i primi due punti non chiarissimi della sceneggiatura.
Uno è il perchè Agata rinunci e butti la scatola in mare (ma ci possono essere mille ragioni), poi quel ritrovarla morta a riva (lei ha salvato la scatola? E' stato Lince a salvare entrambi? e perchè Lince è lì, li ha seguiti di nascosto?).
Poco male, amo le non spiegazioni, anche se qua un filo ho storto il naso.
Arriviamo al santuario.
Come al solito io non sapevo nulla del film ma più persone mi avevano anticipato un finale "sbagliato" o che comunque rovinava il film.
Io l'ho trovato bellissimo, il migliore possibile.
Per tutto il film abbiamo creduto in quel viaggio, in quella missione, per tutto il film abbiamo voluto dare un senso a quello che vedevamo.
Il senso che Agata dava al suo viaggio era lo stesso senso che, almeno io, ho cercato di portare con me.
E in questo film perso nella tradizione orale non ci poteva essere un finale migliore.
Il miracolo accade, la bimba fa un unico respiro (brividi).
Le viene dato un nome.
E quel nome è Mare.
Lo stesso mare che Lince non ha mai visto, lo stesso mare che rappresentava invece tutto per Agata, lo stesso mare dell'incipit dove la madre glorificava quella nuova vita.
Quel mare, adesso, è arrivato alla montagna.
I due mondi si sono incontrati, questa ragazza/o ha in braccio mare e montagna, ha in braccio la genesi del viaggio, il viaggio stesso e la sua conclusione.
Tutto il film è in quel piccolo corpo, tutti i suoi significati, tutti i suoi opposti.
Agata chiese se un giorno avrebbe potuto rivedere quella sua piccola bimba.
Le fu risposto di no, che non era possibile.
Eppure eccoli lì, eppure eccoli lì abbracciati insieme.
In un mare di montagna.

24 commenti:

  1. meno male l'hai visto, e proprio una gran recensione, ma come poteva non esserlo per un gran film?

    la fine secondo me non si spiega, ma forse Lince li seguiva perchè era affascinata da quell'avventura di Agata, e magari era un angelo custode (poco esperto), che poi la piccola bara sia finita in acqua può essere perché Agata era rassegnata e non sarebbe mai arrivata, pensava, e allora l'acqua era l'elemento più importante della sua vita, oppure era arrabbiata con quel Caronte,e poi quel tuffo come tanti nel cinema, per esempio quello de "La forma dell'acqua"

    al solito ho usato meno parole di te:
    https://markx7.blogspot.com/2022/02/piccolo-corpo-laura-samani.html

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    1. grazie Ismaele!

      non lo so, le tue due possibili letture di quel gesto non mi convincono (nel senso non riesco a farle mie) ma sicuramente c'è qualcosa che mi è sfuggito

      ahah, le tue parole bastano e avanzano ;)

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  2. Me sembra un po’ quello che voleva fare Saul con “ suo figlio” …

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  3. https://www.youtube.com/watch?v=GLtGBtxdaKw

    OT ghghgh

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  4. Write a book about what…PANTEGANA T-SHIRT!

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  5. Anche x me é stato difficile capire cosa avviene sul lago … ho letto una decina di recensioni ed ecco che idea mi sono fatta. Direi che é un secondo colpo di scena. Agata come personaggio non può evolvere: é la determinazione, l’amore di una madre x una figlia, x ciò che é nato, cresciuto e uscito dal suo corpo, il bisogno di dare un nome a tutto questo e al proprio dolore. Ma Agata DEVE passare il testimone, perché Lince é in una situazione ben più disperata. Lince é una figlia che non é stata amata, che non ha un’identitá (eppure é viva!), che non ha una fede/speranza. In questo momento avviene un inaspettato cambio di protagonista. È Lince che evolve, che passa dal dire “mi fai paura; non si può dare un nome a una cosa morta” a farlo lei stessa in prima persona, contagiata e illuminata dalla determinazione di Agata. Diventa la madrina di un battesimo, ma non lo fa solo per Agata e la sua bimba: lo fa x rinascere lei stessa. Agata sa che ormai il corpicino avrà un nome e si toglie di scena rinunciando a darglielo lei stessa; le basta riunirsi alla figlia nell’acqua, perché così facendo crea una nuova vita: quella di Lince

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    1. Molto bella!

      Lettura intelligente, profonda, complessa e davvero difficile da afferrare

      grazie di averla condivisa

      (ci vuole un occhi di..Lince)

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  6. Grazie a te; se non avessi letto il tuo commento non sarei arrivata ad elaborare il mio!

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    1. E' così che bisognerebbe sempre fare, dare interpretazioni e aiutarsi a vicenda :)

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  7. Credo che Lince abbia preso a cuore chi non aveva un nome, un'identità...Agata dice se non hai un nome non esisti, e quando chiede a Lince quale fosse il suo vero nome lui/lei non risponde. Anche Lince é in un limbo, per questo credo si adoperi affinché la bambina non rimanga "indefinita".

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    1. Lettura interessantissima e assolutamente pertinente, vero

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  8. C'è anche un altro aspetto chi mi ha colpito Lince ha paura di Agata...in realtà potrebbe essere spaventata dall' amore così grande di Agata che va anche oltre la morte per una figlia nata morta ma da riportare in vita , un amore che é messo a confronto con quello inesistente dei suoi genitori da cui invece lei ,benché viva, é stata rinnegata.

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    1. Sì sì, credo che la questione che Lince prenda a cuore sta cosa così tanto c'entri tantissimo col disamore da lei ricevuto. Tutto quello che ha sempre voluto l'ha visto adesso in Agata a in quel corpicino

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  9. Spiegatemi il finale ! Così a mente fredda e’ questo quello che mi chiedevo dopo aver visto Piccolo corpo.
    Un film così bello , così ben recitato , con una fotografia stupenda ma con un finale così criptico.
    Che poi se avessi dato più peso alle quattro righe di presentazione del film non mi sarei posto tante domande.
    E invece ho dovuto cercare un intervista alla regista fatta da qualcuno del pubblico presente in sala dopo la proiezione del film per avere la risposta.
    Agata era morta e questo l’avevo capito , mi era sfuggito il piccolo particolare che il film raccontasse di una leggenda.
    E la leggenda si è concretizzata nel film.
    Nel finale.
    E che il film parlasse di una leggenda c’era scritto pure nelle didascalie su Raiplay che accennavo prima.
    Della serie come complicarsi la vita per niente.
    Come il solito non ho letto niente della tua recensione.
    Ti ricordi che su fb t’avevo scritto che forse lo immaginavo un po’ come Il figlio di Saul questo film, dall’incipit della storia.
    Invece sti cazzi ( si può usare con questa accezione l’espressione?)!
    Con Saul non c’ha niente in comune ma proprio niente.
    Sai quel finale cosa mi ha ricordato ?
    (Chissà se l’hai scritto pure te nella tua rece?)
    Quasi me vergogno ad ammetterlo perché parlo di un horror ,mi ha ricordato tantissimo La Madre , il film del 2013.
    La c’era un fantasma che voleva ricongiungersi disperatamente alla figlioletta nata morta se non ricordo male e alla fine ci riesce..non so se te lo ricordi.
    Ma quel finale , quella scena girata dentro l’acqua , quel cercare la figlia e poi trovarla e restare assieme per l’eternità’ mi ha fatto tornare in mente quelle scene finali de La madre.
    Piccolo corpo , il titolo pensavo fosse riferito alla bambina invece secondo le parole della regista , il corpo è quello delle due protagoniste .
    Un corpo in continuo divenire .

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    1. No, "sticazzi" significa "non me ne frega niente" :)
      Eh, se ricordi ti dissi che sì, c'era questo bellissimo punto in comune con Saul (che credo di aver detto anche in recensione) ma che per il resto erano diversissimi

      Non ricordavo per niente il finale de La Madre ma amo sempre questi richiami tra film così diversi e con livelli pure così diversi, ahah

      ecco, preferivo non sapere le parole della regista, anche perchè mi sembra assurdo pensare che Piccolo Corpo non sia riferito a quel...piccolo corpo ;)

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  10. Nel lungo viaggio che intraprendono le due donne , loro cambiano. Il loro piccolo corpo diventa per Agata femminilità, per Lince invece espressione di libertà.
    Io pensando a Lince immaginavo che il suo personaggio fosse tormentato .
    Ma pensavo male , perché pensavo da essere senziente che vive la nostra epoca e crede che un personaggio come quello di Lince sia pieno di complessi per la sua sessualità “ incompresa “ cosi difficile da accettare in una società attuale figuriamoci in un paesino rurale friulano dei primi del novecento.
    Insomma ho associato tutte le tematiche LGBT al caso.
    E probabilmente l’ha fatto pure uno del pubblico in sala facendo una domanda diretta alla regista e ricevendo una risposta da questa e poi dall’attrice stessa che interpreta il personaggio di Lince presente anche lei in sala.
    Una risposta che mi ha disarmato: Lince e’ un personaggio aggiunto in corso d’opera , non pensato subito ma diventato necessario ad alleggerire il peso della intera vicenda pensata all’inizio solo per un unico personaggio , Agata.
    E lei si può considerare un personaggio fluido ma non per forza una lesbica.
    Prosegue l’attrice , essere Lince e quindi tagliarsi i capelli e indossare un paio di pantaloni per una ragazza dell’epoca rappresentava l’unico modo per potere essere libera e allontanarsi da casa .
    Una critica al patriarcato se vogliamo si può leggere anche in questo modo.
    Poi c’è stata un’altra domanda la cui risposta che mi ha fatto sorridere molto.
    E’ stato quando qualcuno ha chiesto alla regista se i colori diversi , la luce usata fosse una scelta voluta per descrivere il cambiamento, il divenire del film.
    Ad esempio, perché la neve ? perché il grigio della miniera , i chiaroscuri in certe inquadrature.
    Insomma se fossero state delle scelte volute , calcolate.
    E anche qua la risposta della regista mi ha spiazzato .
    Cioè a volte noi ci si scervella in seghe mentali per capire la ragione di questo o quello quando la risposta è la più semplice e probabilmente forse la più scontata.
    Il meteo ha detto la regista .
    “E’ lui che ha condizionato tutto , non c’è stato niente di studiato o artificioso ..semplicemente se c’era la neve e ‘ perché quel giorno nevicava.
    Se la scena è scura o grigia non abbiamo usato filtri era la luce che pennellava la scena.

    Anche con la luce negli interni ha avuto pochi rinforzi perché abbiamo usato prevalentemente l’illuminazione che davano le lanterne.”
    Nella sfiga ( Covid, contagi ecc.) del lungo periodo che purtroppo è servito a girare il film , quasi cinque anni , c’è stato il vantaggio di sfruttare la mutevolezza delle stagioni nei periodi in cui era possibile girare le scene.
    E alla fine questo ha giovato alla fotografia del film.
    Bello , bello davvero .
    C’è solo una piccola cosa che stona e forse noi maschi non l’abbiamo notato.
    Infatti l’ha notato mia moglie.
    C’è una scena di nudo integrale di Agata dove ..e vabbè come fai a non notare il bosco che c’ha in mezzo alle gambe-:)?
    Eh .. si vede che hanno voluto ricreare l’ambiente dei primi 900 dove le donne sicuramente non si depilavano l’inguine .
    E lei ..vabbè però allora avrebbero dovuto lasciarle pure i peli sulle gambe!
    Piccolo errore che io non avevo notato-:)
    Ciao

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    1. Ecco, mi smentisco subito e sono molto contento di queste due chicche che hai riportato, ahah

      dico quella del personaggio di Lince e quella della fotografia

      ma vedi, in realtà non mi smentisco, io non sopporto semplicemente quando i registi ti spiegano il film, specie i film con tante interpretazioni. Ma tutte le altre risposte, o tecniche, o sui personaggi o curiosità sono davvero belle

      5 anni? oddio, questo mi sembra strano, in 5 anni sarebbero cambiati anche gli attori, specie così giovani

      però se l'ha detto lei mi fido

      eh, no, avevo notato ovviamente il pube peloso ma non notato, ovviamente, la non coerenza con le gambe, ahah

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    2. Agata è una madre che partorisce una figlia prima del momento. La bambina non respira, non ha un nome, finirà nella terra di mezzo.
      Lince libera entrambe, madre e figlia, dal buio. Mare adesso esiste ed Agata può finalmente elaborare la sua perdita.

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    3. Certo anonimo ma non capisco perchè in risposta a Max, forse per sbaglio

      comunque sì, è come dici

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  11. Per quanto riguarda Lince, quando le due si separano è proprio Lince a dire (all'incirca) "mi fai paura perché vuoi dare un nome a una cosa che è morta". Io l'ho interpretata come un riferimento al dead name per le persone trans, ma non so se dico un'assurditá. La stessa cosa a posteriori l'ho collegata alla scena in cui Agata chiede a Lince qual è il suo vero nome. Queste due scene a me è sembrano legate dalla riluttanza (o come ha detto Lince, da una vera e propria paura) di Lince a partecipare al tentativo di Agata di "riportare in vita" il passato, qualcosa che non c'è più, come - appunto - la vita precedente di Lince, da ragazza. Anche quella di Lince è una storia di elaborazione del lutto.

    Sulla scena del lago poi, Agata, subito dopo aver aperto la cassa e aver guardato da uno spiraglio il suo interno, appoggia delicatamente la piccola cassa di legno sullo specchio dell'acqua per lasciarla andare. Io credo che questa scena rappresenti l'elaborazione vera e propria del lutto. Per la prima volta Agata si confronta con il piccolo corpo della figlia, realizza che è morta, affronta la sua morte e "la lascia andare", salvo poi tuffarsi non riuscendo a separarsene, abbracciandola "per sempre".

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    1. Mi sembrano due letture illuminanti, complimenti, davvero....

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

2 metti la spunta qui sotto su "inviami notifiche", almeno non stai a controllare ogni volta se ci sono state risposte

3 ciao