26.2.24

Recensione: "La zona d'interesse" - Cinema 2024

 

Si abusa - io per primo - dell'aggettivo "importante" quando si parla di alcuni film.
Eppure in questo caso è impossibile discostarsene, La zona d'interesse è un film troppo importante.
Perchè attraverso una storia e una regia pulite, geometriche e perfette - come pulita, geometrica e perfetta è la vita che vive la famiglia del gerarca nazista a fianco - appena un muro li divide - dall'orrore dei campi di Auschwitz - in realtà riesce a raccontare talmente tante cose e a suscitare talmente tante metafore e suggestioni da far quasi spavento.
E a raccontare l'oggi ancora più dello ieri.
Un film sull'indifferenza all'orrore, sull'alienazione, sul far finta di non sentire il brusio.
Brusio che, invece, per chi vuol sentire, è rimbombo e frastuono.


Ho pensato per quasi tutto il film che quello che stavamo vedendo fosse la Germania.
Ma non la Germania di allora ma quella di adesso, o meglio qualsiasi Germania esistita da dopo il 1945 a finchè questo mondo andrà ancora avanti.
La metafora era troppo forte.
Un muro a dividere due cose.
Nel film sono da una parte la villetta con immenso giardino del gerarca con famiglia e dall'altra il campo di sterminio di Auschwitz.
Nella mia metafora, invece, da una parte del muro c'è la Germania del presente e dall'altra il suo passato.
Perchè è così, qualsiasi cosa faccia questa nazione, qualsiasi cosa faccia un tedesco, da qualche parte della sua testa, al di là di un muro immaginario, c'è quello che questa nazione è stata in quegli anni.
Si divertono, stanno con la loro famiglia, fanno film, sono potenti, vivono in maniera normale ma quel muro c'è, loro lo sanno, e anche se hanno paura di arrampicarsi e vedere quello che c'è dall'altra parte, nel sovrappensiero l'altra parte c'è sempre.
Sempre.
E quel sovrappensiero nel film sono rumori, sono urla, sono colpi di pistola, sono pianti, sono carri armati che si muovono, sono forni che bruciano.
Qualcosa che è lì perennemente nella nostra testa ma che o per empietà o per indifferenza o per non impazzire proviamo a non percepire, a non sentire, a non farci caso.
In questo senso bellissimo ripensare che anche l'altro grande film sull'Olocausto di questi nostri ultimi tempi, Il figlio di Saul, usava questa tecnica del "fuori campo", del non visibile.
Ma se lì l'orrore era nascosto nel fuori fuoco qua è proprio nascosto del tutto, coperto da un muro di cinta.
Poi ho pensato che questo discorso, alla fine, potevamo ampliarlo a qualsiasi nazione, a qualsiasi essere umano, perchè quel passato alla fine riguarda tutti noi, è una macchia che ha sporcato l'intero genere umano, e dare tutto il peso ai soli tedeschi è pura ipocrisia.
Da questa parte del muro, quindi, ci siamo tutti noi e il nostro presente, dall'altra quel passato in qualche modo comune a tutti.
Un passato ben nascosto ai nostri occhi e ai nostri pensieri.
Ma a 5 metri da noi.
Poi, come se avessi avuto davanti delle matrioske e le stessi usando in modo contrario al consueto -ovvero dalla più piccola alla più grande - ho pensato che la metafora potesse diventare ancora più ampia, allargarsi ancora di più fino a diventare completamente esistenziale.
E che questo importantissimo film non racconti quindi il nostro rapporto con l'Olocausto, ma il nostro rapporto con qualsiasi atrocità cerchiamo di non vedere, non affrontare o dimenticare.
Da una parte, quella della villetta, ci siamo noi che ci raccontiamo di star bene, che il mondo sia bello, che le cazzate che facciamo ogni giorno siano importanti, noi che pensiamo quasi esclusivamente a noi stessi e chi ci sta vicino.
Dall'altra tutti gli orrori del mondo, le guerre, le atrocità, gli esseri umani che muoiono di fame, i bambini privati della loro infanzia e tutto quello che volete metterci.
Da un lato noi che, forse per non impazzire, cerchiamo di curare il nostro giardino, amare i nostri figli e accarezzare i nostri cani, limitare insomma il nostro interesse in quella sola nostra zona, appoggiandoci al titolo del film.
Dall'altra tutti gli orrori del mondo.
Alcuni di noi quel muro, in realtà, lo attraversano spesso, anzi, qualcuno decide addirittura di dedicare la propria vita al di là di quel muro.
Ma quasi tutti gli altri, un buon 90% - io in primis - preferiamo stare di qua.

Potremmo ancora aggiungere un quarto grado di lettura, ovvero immaginare che di là del muro ci sia la nostra parte oscura, e per nostra intendo proprio quella che ognuno di noi ha singolarmente di sè, i nostri traumi, le nostre zone oscure, i lati peggiori di noi, ma mi fermo qua.


Credo che questo film resterà nella piccola o grande storia del genere.
Non so nemmeno quanto sia bello - e bello lo è - ma come importanza e potenza ha pochi eguali.
Forse, giocando con le parole, La Zona d'interesse è più bello per quello che rappresenta che per le cose che vengono rappresentate.
Ma non perchè pecchi nei significanti, assolutamente, ma perchè come significato è gigantesco e, per quanto mi riguarda, diventerà uno di quei film "esempio" ai quali ogni tanto riferirsi.
Si comincia con uno schermo nero di lunghissima durata, quasi un momento di riflessione e preparazione a quello che vedremo dopo.
Saranno addirittura 3 i momenti a "tinta unita" del film visto che oltre questo nero iniziala ne avremo uno di completo bianco - quasi accecante - e uno di completo rosso, tra l'altro, quest'ultimi due, di eccezionale intensità ed emozione per come arrivano.
Poi vediamo la famiglia in riva al lago, un luogo al contempo vicinissimo ma lontanissimo dall'orrore.
Se ci pensate già in questi primi 5 minuti capiremo quanto il sonoro in questo film - come raramente mi è capitato in vita di vedere - sia l'assoluto protagonista del film.
Perchè passiamo dal silenzio assoluto intervallato dal canto delle cicale (rumore di serenità per eccellenza) a quel quasi impercettibile ma disumano brusio che ci accompagnerà per tutto il resto del film.
Un brusio, come detto prima, che è crasi e compresenza di urla, pianti, spari, forni che bruciano.
Un brusio, termine italiano che indica una cosa lieve, che è invece un rimbombo, un frastuono - termine opposto - se solo lo si vuole ascoltare.
E rimbombo, frastuono, lo è di per certo per noi spettatori.
Ma per i protagonisti del film non esiste nemmeno il brusio - mai ne fanno menzione - ma la loro vita è identica a quella in riva al lago, una vita ideale, serena, pervasa dal silenzio, senza problemi, senza affanni, senza niente che turbi.
Non è un caso che l'unica persona che invece quel brusio lo sentirà e l'unica persona che vorrà anche vedere al di là del muro (in quella scena magnifica di forni brucianti di notte, alla finestra in camera) ossia la nonna.
Perchè viene da fuori.
Perchè non si è abituata, come tutti gli altri, all'indifferenza dell'orrore.
Forse un'altra metafora (in un film che è gigantesco proprio per questo, per come rende metaforica ogni minima azione ha dentro), ovvero quella di come "vivere" dentro l'orrore abbia assuefatto tutti, abbia reso tutto quello che accadeva in quei tempi in Germania una cosa normale, accettata o, nel caso peggiore, non presa in considerazione, ignorata.
E invece quella madre che arriva lì, come fosse qualcuno che entra nell'orrore da fuori senza esserci cresciuto a fianco giorno dopo giorno, quelle cose le sente.
E, benchè nazista (ricordiamo le prime cose che dice quando entra in casa) si rende conto, si rende perfettamente conto di tutto.
Perchè i suoi occhi e i suoi orecchi hanno voluto vedere e sentire, perchè erano occhi e orecchie vergini.
E andrà via, perchè è inevitabile a quel punto andare via.
Ma la sua lettera, di cui non conosciamo il contenuto (e io come al solito preferisco quando lo spettatore non può sapere) finirà in un forno.
Già, in un forno, dove per quella gente finiscono tutte le cose da eliminare, che li infastidiscono.
I forni di Auschwitz, il forno dove finisce la lettera, il forno di Hansel e Gretel, forni ovunque.

Hansel e Gretel viene letta di notte.
E' una favola dove i buoni, i due bimbi tedeschi, uccidono in un forno i cattivi, la strega.
L'analogia è talmente evidente che è inutile sviscerarla.
E nasconde anche l'ipocrisia dei tedeschi, quel loro sentirsi puri, minacciati, come due bambini che devono eliminare degli esseri deformi e cattivi.
Ma mentre quel padre abietto legge alla propria figlia la favola di notte un'altra bambina esce di casa e, incurante dei pericoli, raccoglie mele e le nasconde per farle trovare ai deportati al lavoro.
Le immagini sono in negativo (o termiche, non so), di eccezionale bellezza e suggestione (al confine con i disegni).
E anche qui abbiamo probabilmente l'ennesima metafora, ovvero di come l'unico gesto umano del film sia visto "in negativo", al buio, come se il mondo normale, lucente e sereno, fosse quello crudele e immorale della famiglia tedesca e, in questo quadro, coerentemente, il mondo invece come dovrebbe essere, quello della solidarietà e dell'umanità, sia buio e in negativo (che dà il senso dell' "opposto").


Bambina che poi, come un dono caduto dal cielo in attesa che qualcuno lo trovi e ne faccia l'uso migliore, troverà un piccolo scrigno con dentro uno spartito.
E suonerà quella musica, in quelli che sono gli unici momenti in cui il film cerca di esprimere speranza.
Speranza ammaccata e straziata, ma speranza.

I personaggi del comandante nazista e di sua moglie sono radicali, eccezionali in questo (ho amato molto come vengono descritti, senza nessun grigio, senza dubbi, senza rimorsi, senza mai consapevolezza).
La vita da sogno che hanno costruito a 2 metri dall'orrore è veramente "assoluta", senza il minimo pensiero a quello che sta accadendo di là.
Anzi, non a quello che sta accadendo (perchè "accadere" è verbo che molto spesso presuppone qualcosa al di fuori di noi) ma a quello che volutamente e scientificamente sta proprio facendo Hess (la scena dove spiegano il funzionamento dei forni in maniera così fredda e industriale, chiamando "carico" i deportati, è tremenda).
Non solo fanno finta di non sentire quei rumori, non solo non provano la minima empatia per chi sta morendo di là (anzi, Hess cerca sempre metodi migliori per sterminare) ma la loro indifferenza e completa ipocrisia la notiamo in tanti piccoli dialoghi.
Come quel "i riscaldamenti funzionano male, d'inverno fa molto freddo" detto da lei.
Pensare al proprio innocuo e temperato freddo mentre a 5 metri da loro passano gli inverni a temperature sotto lo zero, quasi nudi.
Sono frasi impercettibili che dimostrano quanto, semplicemente, quello che vivono gli ebrei non esiste, non è nemmeno preso in considerazione.
O quel pulirsi dopo il bagno nel lago dove finiscono cenere e ossa di gente bruciata, ceneri e ossa che vengono viste come un fastidio malgrado siano proprio loro, e Hess in primis, ad averle causate.
Pazzesco.
O quel chiamare il proprio giardino "Paradiso", a due metri dall'Inferno e concimare le proprie piante e i propri fiori con i resti degli ebrei (altra metafora? il lavoro che stiamo facendo rende più belle e divertenti le nostre vite, vedi anche i denti d'oro con cui giocare e i nuovi bellissimi vestiti da indossare).
O sperare che le viti crescano per "coprire la vista".
O preoccuparsi di un cespuglio di lilla calpestato.
Sono proprio menti che vivono in un loro mondo in cui l'altro mondo non esiste, non è contemplato, non può essere nemmeno oggetto di orribile paragone con loro.
No, non esiste, e le poche volte che entra dentro il loro mondo fatato, come una cenere, è solo un fastidio.
Tutto radicale, empio, freddo in una maniera glaciale.
Tutto nero senza alcuna sfumatura.
Anzi, tutto bianco come un perfetto abito bianco.


L'unica scena - madonna che bella, geniale - che secondo me ha la forza di far intravedere una zona oscura nel cervello di quegli esseri umani senz'anima, e per zona oscura intendo un loro "segreto", una specie di fascinazione per l'ebreo che loro non vogliono far vedere) è quella appena sussurrata, accennata, ma potentissima, del probabile sesso con una deportata e del poi andarsi a lavare.
Per andarsi a lavare Hess attraversa un lungo tunnel buio (avrebbe tranquillamente potuto lavarsi al bagno di casa no?) che lo porta in un luogo sporco, decadente, malmesso e oscuro.
Come fosse un luogo della sua mente dove esercitare le proprie perversioni, quelle indicibili.
Ma, anche in questo luogo oscuro e nascosto agli altri Hess si lava, come a dirsi "che schifo, ho fatto sesso con un ebrea".
Eppure il sesso l'ha fatto.
Mi sembra la metafora più bella, come quegli omofobi che in realtà sono - più o meno latentemente - omosessuali, e che fuori sono in un modo ma poi dentro di sè, all'oscuro da tutti, hanno la tendenza opposta.
E che però son così ipocriti che anche nella loro vera natura, quella natura che fanno tanto finta di ripudiare, anche in quella zona buia, comunque "si lavano", come a pulirsi la coscienza, come a dire a sè stessi "no, non sono questo, io odio i gay"
Io odio gli ebrei.

E in questo film al tempo stesso così glaciale anche stilisticamente, con tante inquadrature ferme e location perfettamente pulite, ineccepibili, geometriche, in cui nulla è mai caos, nessun dialogo, nessuna azione, nessun oggetto, nessuna emozione, forse l'unico caos è quel fumo che esce dalle ciminiere, unica presenza informe e difforme - e scura, e nera - che contrasta il candore di colori e cose.
E' per questo contesto e questa cifra stilistica che considero ancora più potente e bello che si possano ravvedere così tante metafore, come se più ti pulisco le cose, meno le rendo complesse, più rendo complessa la loro interpretazione.
Penso anche a quel bimbo tedesco che gioca coi dadi, e si dispera per un numero sbagliato (giocare con i dadi è giocare con le vite degli altri).
O all'immenso finale.
Se devo dir la verità tutta la parte con Hess fuori da Auschwitz la trovo molto più debole, ed è sempre un peccato quando la seconda parte è più debole della prima (molto meglio il contrario).
Restano però due cose, e valgono il prezzo della parte.
Una è lui che immagina di gasare i suoi stessi compagni, in quell'immenso salone di gala.
Come se ormai il suo "lavoro", la sua missione sia così radicale e lui sia così onnipotente nel farla che potrebbe farla con chiunque.


E poi il finale, con il suo corpo che cede, con il vomito che arriva.
E lui che si ferma e guarda verso di noi.
E l'azione si sposta ai giorni nostri.
E per la prima volta vediamo gli effetti di quello che accadeva di là dal muro.
Vestiti, scarpe, oggetti di tutte le persone che quegli anni furono uccise in nome di un ideale senza alcun senso.
E' un museo dove alcune ragazze, in modo sereno, annoiato e spensierato, stanno pulendo.
Compresi quei forni che abbiamo "sentito" per tutto il film senza mai esserci andati dentro.
Adesso sì, adesso siamo là dentro, quando tutto è finito da anni e anni.
E' talmente potente questo finale che, in un film con dentro una decina di metafore, qui ne ho immaginate addirittura due.
La prima è l'indifferenza che ancora esiste nei confronti di questo abominio.
Con queste ragazze che puliscono come fosse una normale camera d'albergo.
La seconda è il tentativo, attraverso quelle pulizie, di pulire la propria coscienza, di cercare di cancellare quello che si è fatto.
Quello che la Germania cerca di fare da sempre (e si merita anche di farlo, la colpa dei padri non può riflettersi sui figli).
Pulire, pulire, pulire.
Ma è tutto un effetto placebo, il ricordo resta, anzi, pulendolo lo rendi ancora più lucente.

E questo criminale in quelle scale, fermandosi, sembra vedere tutto questo.
Sembra vedere quello che sta facendo.
Sembra vedere il futuro, un futuro dove, a bocce ferme, potrà finalmente guardare il passato.
E come nel finale di quell'eccezionale film che fu The Act of Killing, il suo corpo sembra non reggere a quell'orrore, a quella consapevolezza.
La sua mente è ancora malata, indifferente.
Ma il suo corpo parla per lui.
E guardando la macchina da presa, finalmente, vede.
Un uomo che non aveva mai nemmeno sentito adesso vede.
Ma è troppo tardi vedere adesso.
E' troppo tardi.




24 commenti:

  1. Premessa, avevo forse delle aspettative sbagliate ed ero convinto che avrei visto un MIO film.
    Glazer, come regista, non mi ha mai convinto, ma il tema e l'idea erano talmente forti che c'era tutto per aspettarsi di uscire dalla sala consapevoli di aver assistito a qualcosa di estremamente "forte". Tradito dalle mie conoscenze, mi aspettavo un "DogTooth" alle porte di Auschwitz, una sorta di "Nastro Bianco" 2.0 e ... e invece, questo è "La Zona d'Interesse" nella sua unicità e originalità e il regista è J.Glazer con il suo rigore, con la sua capacità di risultare asciutto e distaccato.
    Se proprio proprio, se fosse lecito cercare un paragone, beh ... ci ho ritrovato la geometria simmetrica ed architettonica e la rigidità emozionale di un "Sacrificio del Cervo Sacro", o qualcosa, soprattutto nella fotografia, alla Kubrick.
    Il film è un 'esperienza sensoriale, tutto avviene o fuori dallo schermo o, al più, accennato attraverso qualche personale azione di uno dei protagonisti (la mamma che se ne va, il figlio che si impone di non farlo più, ecc..).
    Non c'è narrazione, ma solo una messa in scena di uno stato di fatto. Ecco che così nell'apprezzare ogni singola intuizione del regista, rimango stranito dall'assenza di una trama. Per 1h 40' non accade nulla da raccontare, eppure le riflessioni, gli aneddoti, le emozioni sono tantissime. Eccezionale il finale, ma non unico momento eccezionale, con Lui che scende le scale (come una discesa negli inferi, nel buio); con il protagonista della scena che percepisce qualcosa che sarà, qualcosa che è orrore, qualcosa che gli provoca conati di vomito, qualcosa che lui sta vivendo, anzi ne è un importante "generatore".
    Cosa è la Zona di interesse? è quella zona che esclude il resto. Il proprio giardino, quello spazio che è unico, va difeso, preservato. Fuori (qui in adiacenza) c'è l'orrore, che si sente anche. Ma il sonoro è come quello di un bosco (anche nella prima scena bucolica, c'è un sottofondo di rumori, di suoni) a cui ci si fa l'abitudine. Vivi vicino ad un'aia? sarà normale sentire il gallo che canta. Vivi in città? il rumore del tram non ti darà fastidio. Vivi vicino ad un cascata? il roboante rumore sarà parte delle tua vita, come il roboante rumore del forno che brucia 24h su 24; così è uguale per gli spari, le grida. Per te, solo per te, il tuo giardino è tutto. I tuoi animali, i tuoi figli, il tuo focolare, anche la tua servitù riempiono la tua vita e l'unica ansia è perdere quella tua "zona d'interesse". Così sei indifferente, ti importa nulla del resto.
    Aihmè i tedeschi in quell'epoca erano incastrati tra la necessità di fare, di dare soluzione al LORO bene comune (vedi LUI) e il disinteresse per le conseguenze del raggiungimento di quell'obiettivo (vedi LEI), ma noi siamo diversi? ognuno concentrato sul proprio lavoro, sul proprio INTERESSE, sulla difesa e preservazione del proprio orto, indifferenti a quello che accade ai nostri vicini, anzi insofferenti verso chi sta peggio, chi arriva da noi in cerca di aiuto. Siamo silenti, attenti a migliorare il nostro tenore di vita e assolutamente insensibili alle tragedie che accadono a fianco.
    Il film in tutto questo è "straordinario", si giova di una fotografia eccellente, di un sonoro PROTAGONISTA, di interpretazioni funzionali, ma manca la narrazione.
    Esco dalla sala come se mi mancasse qualcosa.
    Gran film, ma dove è fortissimo mostra, per me, il suo limite maggiore. Tu spettatore vivi una sensazione, ma non hai una storia da seguire

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    1. Però anche Dogtooth e Il Nastro Bianco sono molto asciutti e freddi eh, ma forse intendevi qualcos'altro :)

      Sì sì, non accade nulla che "smuove" la trama. Potremmo dire che poteva esserlo la fuga della nonna ma no, anzi, una cosa così importante viene risolta dalla figlia buttando la lettera.
      Il film a livello di azione cambia solo quando Hess va via, ma è solo un cambio di scenario, nulla più
      Direi che il finale l'abbiamo inteso in modo identico ;)
      Te hai aggiunto - hai ragione - che quello scendere le scale è anch'esso simbolico, uno scendere nell'abisso (tra l'altro scena molto buia)

      Più che "si sente anche" dire "si sente soltanto" :)

      "Vivi vicino ad un cascata? il roboante rumore sarà parte delle tua vita, come il roboante rumore del forno che brucia 24h su 24; così è uguale per gli spari, le grida. Per te, solo per te, il tuo giardino è tutto. I tuoi animali, i tuoi figli, il tuo focolare, anche la tua servitù riempiono la tua vita e l'unica ansia è perdere quella tua "zona d'interesse". Così sei indifferente, ti importa nulla del resto."

      molto bene

      "Aihmè i tedeschi in quell'epoca erano incastrati tra la necessità di fare, di dare soluzione al LORO bene comune (vedi LUI) e il disinteresse per le conseguenze del raggiungimento di quell'obiettivo (vedi LEI), ma noi siamo diversi? ognuno concentrato sul proprio lavoro, sul proprio INTERESSE, sulla difesa e preservazione del proprio orto, indifferenti a quello che accade ai nostri vicini, anzi insofferenti verso chi sta peggio, chi arriva da noi in cerca di aiuto. Siamo silenti, attenti a migliorare il nostro tenore di vita e assolutamente insensibili alle tragedie che accadono a fianco."

      ancora meglio ;)

      sono sicuro che questa mancanza che hai sentito, nei giorni, la dimenticherai. Perchè se il film avesse raccontato una storia avrebbe perso molto dell'altro. No, la sua storia era raccontare il nulla di una vita accanto all'orrore.
      Premere il tasto sulla vita avrebbe fatto perdere potenza all'orrore


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    2. si si, hai ragionissima. Già mentre scrivevo e cercavo di spiegare perchè, "post visione", non ne ero entusiasta, mi rendevo conto che non avevo argomenti a riguardo.

      oggi concluderei il mio commento con
      "Gran film; dove sembra debole (l'assenza di narrazione) esprime la sua massima forza"

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    3. non sapendo cosa sarebbe stato, mi ero costruito il film che andavo a vedere con le "mie" basi ...

      così ipotizzavo quella casa adiacente al campo, un po' come la casa di DOGTOOTH, con la sua educazione, con il padre famiglia che teneva all'oscuro moglie e figli ...
      [che poi in parte è così, anche se poi il figlio più piccolo, qui si affaccia alla finestra, per poi ritrarsi dicendo a se stesso "non devi farlo mai più"]

      mi immaginavo una narrazione asciutta, ma con dei fatti, con delle emozioni, come ne IL NASTRO BIANCO.

      Felice di aver visto ALTRO

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    4. Ahah, allora ci ho preso!
      Dico riguardo quella tua perplessità che, secondo me, era invece uno dei punti forti del film

      Sì sì, in effetti il riferimento a Dogtooth comunque ci sta alla grande eh
      Un microcosmo con regole sue e che fa finta che non esisti il resto del mondo

      Sì, nastro bianco ovviamente più narrativo, con un plot molto più complesso (solo il plot però)

      e sì, bello che sia altro ;)

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  2. Un'opera in sottrazione su più livelli (sonoro, visivo, interpretativo, filmico) che impatta prepotentemente facendo leva sul non esplicito e che si affida al bagaglio storico e culturale - scontato e imprescindibile - dello spettatore.
    Spettatore che è posto nel ruolo dell'occhio sorvegliante e giudicante, grazie a un utilizzo di camere fisse e nascoste nelle scene che garantiscono una continuità perfetta e disturbante nel montaggio.
    L'inquietudine maggiore deriva dalla conscia apatia che i membri della famiglia Hoss esercitano verso l'esterno di quella bolla/prigione di privilegio rappresentata dalla villa e relative pertinenze bucoliche: spari, grida, fumo, fuoco sembrano non penetrare la perfetta illusione del giardino della signora Hoss, i figli stessi distolgono volontariamente lo sguardo per tornare ai propri giochi (soldatini, tamburi da picchiare, denti umani, bastoni); si osserva una famiglia normale, benestante, con sogni e difficoltà comuni, e se solo quel muro fosse leggermente più alto e i rumori più ovattati nulla farebbe percepire la mostruosità a cui si sta assistendo. E' il messaggio più diretto che il film rivolge al pubblico, spesso volontariamente incapace di voler guardare oltre i muri (fisici, politici, culturali, digitali) e di riconoscere la sofferenza perpetrata ai propri vicini.
    La morte permea tutti gli elementi: l'acqua che porta cenere e ossa, l'aria pregna dei miasmi dei forni e dei treni, la terra cosparsa di cenere (che - fertilizzando - permette a splendidi lillà di fiorire), il fuoco che colora di rosso sanguigno le notti.
    In contrappunto la vita - rappresentata dalla ragazza che furtivamente distribuisce frutta ai prigionieri - è mostrata attraverso una termocamera a infrarossi che restituisce dei colori al negativo e veicola un contrasto visivo e semantico rispetto alla fotografia naturale con cui è ritratta la famiglia Hoss. Notevole come, grazie all'effetto del calore, la ragazza e i frutti che dona sembrino emanare luce, rendendoli elementi angelici, divini.
    Particolarmente orrorifiche alcune sequenze all'interno di empi corridoi bui, culminanti in una scalinata che, per ripetitività, contesto narrativo e oscurità, non può che rappresentare la discesa infernale che Rudolf Hoss sta percorrendo, insieme a vacui tentativi di ripulirsi la coscienza: lava i suoi scarponi intrisi di sangue, lava le sue membra adultere, vomita vuoti conati di colpa premonitrice.

    Tecnicamente un lavoro magistrale e millimetrico: a livello visivo con una composizione delle scene a inquadratura fissa ed un montaggio studiati meticolosamente per mostrare, nascondere o incorniciare determinati dettagli a seconda del punto di osservazione. A livello fotografico con una messinscena naturalistica/documentaristica contrapposta ad alcune sequenze più espressioniste e molto suggestive. A livello sonoro con un ruolo diegetico dei suoni fondamentale e con una colonna sonora in sottrazione che prende il sopravvento in tre momenti significativi.

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    1. Bella recensione precisa e puntuale che mi trova in linea col tuo pensiero.

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    2. Manchi solo te matteo (essendo il commento più corposo)
      Ma arrivo presto

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  3. Bellissima recensione come sempre
    Sono rimasta ferma, immobile per tutto il film, la percezione di un fastidio nonostante il bello di quei boschi, di quel fiume, di quel giardino e di quei bimbetti. Un po' tanto meno il corpo bianco e (apparentemente) flaccido del comandante con quella ridicola acconciatura e postura (all'inizio del film)
    Tanto mi ha inchiodato questo film tanto mi ha agitato Green Border dove l'orrore lo vedi
    E quindi ti viene da chiederti come sia cambiato l'animo umano
    Ma no, non cambia, meglio non vedere, girarsi dall'altra parte, creare muri, divisioni
    non pensare che è solo questione di fortuna dove nasci e dove vivi

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    1. Grazie mille...

      Sì, credo che sia stato scelto volutamente un attore che pare "bello" ma in realtà è bianchiccio e flaccido, sono sempre piccole cose che si mettono in sceneggiatura per rendere questi personaggi meno potenti di quello che vogliono essere

      Green Border mi manca mannaggia, ma so da più fonti essere bellissimo

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  4. sono d'accordocon quello che scrivi, un film che resterà.
    a tratti insostenibile, all'inizio, e anche dopo, mi mancava il respiro, noi sappiamo cosa c'è oltre il muro...

    ti ho preceduto di un paio d'ore, ecco la mia piccola recensione:
    https://markx7.blogspot.com/2024/02/la-zona-dinteresse-jonathan-glazer.html

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    1. A me il finale è piaciuto da morire ma solo se inserito col passato, col montaggio alternato che Glazer ne fa

      Lui che scene le scale, vomita, guarda verso noi, arriviamo all'oggi, torniamo a lui

      Questa costruzione l'ho trovata straordinaria perchè è come se fosse stata inserita, in modo geniale, nel passato, nella diegesi del film

      per il resto d'accordo su tutto, anche sulle note sui "nuovi" muri

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    2. ci ho pensato molto alla scena che non mi è piaciuta, non in assoluto, ma nell'economia del film.
      in tutto il film domina il non visto (quella bambina che lascia da mangiare è bellissima, ma non vediamo chi prenderà qualle briciole), la scena del museo mi sembra fuori luogo, dal punto di vista stilistico, della coerenza del non detto, del non visto, quasi uno spiegone non necessario.

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    3. No no, ma assolutamente, la tua critica è molto pertinente

      Io ho amato quel finale proprio per il contrario, ovvero che senza che nessuno di noi se l'aspettasse il film ci ha portato 70 anni in avanti per mostrarci, senza appelli, tutto quello

      E proprio perchè era un film sul non mostrare ho trovato questa cosa bellissima. E anche inserita perfettamente nel film, come se Hess, solo in quel momento, abbia potuto vedere e capire. E non nel suo tempo e intorno a lui, ma vedendo il "futuro", capendo solo ora la portata che avrebbe avuto quella tragedia

      per me un finale immenso

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  5. Il giorno dopo averlo visto, era l'anteprima nazionale del 27 gennaio, sono andata in biblioteca e ho preso "Il comandante di Auschwitz" di Newton Compton (tradotto molto male, ma pazienza). Consiglio la lettura per l'approfondimento delle psicologie dei vari componenti della famiglia Höss, i due coniugi in particolare, fin dai primi momenti in cui si conobbero.
    La Hüller sembra proprio una brava interprete: in questo film ha fatto un bel lavoro sul corpo, soprattutto sulla camminata e il modo di stare in piedi.
    Torno a vederlo questa settimana, voglio rivedere meglio tutti i particolari che scorrono sul retro dell'algida vita degli Höss.

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    1. Che, se non sbaglio, non è il libro da cui è tratto il film ma un altro ancora.
      se fossi ancora un lettore come ero tanti anni fa lo comprerei subito e divorerei

      La Huller è una grandissima attrice, se non l'hai visto recupera Anatomia di una caduta, incredibile la sua interpretazione

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    2. Ciao Caden
      Il libro è di Martin Amis.
      Speravo di leggerlo prima ma non volevo nemmeno perdere il film in sala. Ha vinto la sala, un film del genere non può esser visto sul piccolo schermo.
      Mi ha lasciato sgomenta, quanti dettagli che lavoro pazzesco.
      In un intervista alla protagonista, racconta che erano ripresi da telecamere fisse nella casa, senza altre persone che loro attori, questo è stato determinante per creare quella particolare atmosfera nella casa, interni definiti e geometrici, tutto perfetto per questa storia.
      Nott
      France Basil

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    3. Ah, bellissima nota questa che mi dici della regia, davvero sorprendente, l'ho sentita quasi mai...

      Ha vinto la sala ma potrai far vincere anche il libro :)

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  6. PRIMA PARTE - Complimenti Giusè e detto da un glazeriano come me valgono doppio!
    La sensazione più ricorrente che ho provato durante la visione di questo capolavoro è stata quella di un profondo, insopportabile fastidio che mi sono portato a casa e che continua a stare con me. Obiettivo di Glazer è proprio questo: infondere, radicare in noi una lacerante sensazione di fastidio…” perché è successo tutto questo? perché sta succedendo ancora?” Quella stessa sensazione di fastidio che si prova guardando la celeberrima scena della spiaggia in UNDER THE SKIN (che ad oggi per me rimane insuperata per livelli di tensione, angoscia e pathos) e anche lì ci chiediamo perché? perché non fa niente? domanda che automaticamente ci viene da ribaltare su tutti noi…perché non facciamo niente? E Glazer vuole che questo fastidio ce lo portiamo a casa…la musica straniante di Mica Levi (immensa anche in UTS) con cui inizia film ritorna dopo l’ultima immagine, come monito incessante…
    La poetica di Glazer si basa sui contrasti, sugli opposti, che stimolano, attivano la reazione dello spettatore che è portato a farsi mille domande sulla natura umana, sulla solidarietà, sulla mancanza di solidarietà, sull’amore, sull’odio, sulla solitudine (Höss in fondo è un uomo solo, solissimo), sulla morte…Contrasti ce n’erano tantissimi in UTS e ce ne sono ancora di più in TZOI, come:
    - la doccia della piscina che perde acqua (simbolo di vita) che richiama le “docce” delle camere a gas;
    - stesso discorso per le api che favoriscono la vita riprese sui fiori coltivati con la cenere dei prigionieri morti;
    - e per la cenere nell’acqua del fiume;
    - e per i girasoli e i crisantemi;
    - la vite che copre il muro…nel Vangelo la chiesa d'Israele è paragonata alla vigna nella quale Gesù rappresenta la vite;
    - la camera termica che nel freddo della notte riprende l’animo caldo della ragazza polacca;
    - subito dopo sempre Alexandra suona al pianoforte le note che ha trovato su un pezzo di carta nel lager, la madre è sulla terrazza a ritirare i panni dei prigionieri morti...in sovrimpressione compare il testo, purtroppo ancora attualissimo, del brano che inneggia, malgrado tutto, alla vita;
    - l’allegra marcetta “Rosamunda” che si sente al di là del muro e che veniva usata per accompagnare i prigionieri verso la morte;
    - Höss grande macho oppressore e sterminatore che non può fare a meno dei piaceri del sesso che gli procura una sua schiava e che non dorme nello stesso letto con la moglie;
    - la precisione millimetrica con cui la giovane domestica posa il bicchiere sul vassoio perché sa che un minimo errore può costarle la vita, scena che stride con il gruppo di amiche tedesche (per la prima e forse unica volta quasi fuori campo, con un ribaltamento straniante rispetto all’impostazione del resto del film) che deridono gli ebrei morti;
    - il riferimento al Canada (paese che da poco aveva ottenuto l’indipendenza/libertà) per beffeggiare i morti ai quali hanno sottratto i vestiti;
    - nella stalla con i cavalli (la cui struttura è molto simile all’interno dei dormitori dei lager) c’è scritto: “la felicità della terra si trova sulla schiena dei cavalli” (che richiama il galoppare in libertà);
    - Höss vestito di bianco;
    - Hedwig che cammina furiosa perché vuole rimanere in quel “paradiso” mentre sullo sfondo si vede il muro e il filo spinato del lager che costringe gli ebrei a restare in quell’inferno;
    - la pulizia nel museo e la pulizia etnica.

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    1. SECONDA PARTE
      Nelle opere di Glazer è poi fondamentale l’utilizzo del nero, dell’oscurità, evidente fin dai suoi videoclip, come quello meraviglioso fatto per Karma Police dei Radiohead, che trova la sua sublimazione in UTS: il liquame nero dove sprofondano gli uomini che diventano prede dell’aliena (metafora potentissima dell’abisso verso cui si sta dirigendo l’umanità). E in TZOI il buio è ancora foriero di contrasti: l’unica luce (=vita) che si vede è quella della fiamma dell’inceneritore (=morte). Il buio è anche dentro, nei lunghi corridoi della mente di Höss, costretto a correre a lavorare come un forsennato, a spegnere tutte le luci della casa e chiudere tutte le porte, per non pensare a quello che accade al di là di quel maledetto muro. Ma un barlume c’è sempre in fondo a quel buio…in UTS era rappresentato dall’animo puro del ragazzo deforme e in TZOI dalla ragazzina polacca (veramente esistita e morta poco dopo la conclusione delle riprese)…Glazer ha grossa fiducia nei giovani…la speranza (che condivido) è che i giovani salveranno il mondo, nonostante i manganelli…
      Una volta a casa non ho potuto fare a meno di pensare alle parole del libro di Salmen Gradowski “Sonderkommando”, fonte di ispirazione del magnifico IL FIGLIO DI SAUL di László Nemes: "e la Luna, ve ne sono due, sicuramente. Una Luna per le nazioni, amorosa e tenera, che sorride dolcemente al mondo e ascolta il suo canto di gioia e felicità. E una luna per il nostro popolo. Una luna crudele, brutale, che assiste a tutto, indifferente e gelida, e sente i lamenti e le grida dei cuori, dei milioni, che lottano con la morte che li afferra". THE ZONE OF INTEREST parla di questa seconda luna...e con il suo film Jonathan Glazer ci sprona a far sì che di Luna ne rimanga una sola...quella più bella e amorosa...che possa risplendere su un mondo senza muri, strisce e musei alla memoria. Il capolavoro del regista inglese è un film-specchio ...che ci costringe inesorabilmente a riflettere seduti nella nostra zona di interesse...che ci fa ricordare le parole di Primo Levi "i mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere davvero pericolosi. Sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e obbedire senza discutere…" e quelle, terribilmente attuali, di Elie Wiesel "ho giurato di non stare mai in silenzio, in qualunque luogo e in qualunque situazione in cui degli esseri umani siano costretti a subire sofferenze e umiliazioni. Dobbiamo sempre schierarci. La neutralità favorisce l'oppressore, mai la vittima. Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato". Chiudo con un plauso al sound designer Johnnie Burn...principale artefice dell'altro film nel film.

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    2. @ Stefano De Rosa
      solo una precisazione perché anche io non avevo capito l'accenno al Canada... Kanada è il nome dato a un magazzino di stoccaggio all'interno del lager; i prigionieri stessi hanno iniziato per primi a chiamarlo così...
      @ Caden Cotard
      altro chiarimento storico: la donna con cui Hoss ebbe una relazione era una prigioniera austriaca (Eleonore Hodys), da quello che ho letto non mi pare fosse ebrea. Questa relazione (e il fatto che la donna rimase anche incinta) è stato uno dei motivi del temporaneo allontanamento di Hoss da Auschwitz.

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    3. Molto interessante, grazie!

      Letto adesso.
      Era comunque una deportata ad Auschwitz, leggo. Insomma, non una relazione consenziente, un'amante, ma una deportata politica che lui approcciava

      Chissà se è la stessa figura del film, forse

      In ogni caso la lettura che ho dato anche se un pò depotenziata resta

      stefano, arrivo eh

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  7. Visto ieri sera La zona d interesse .. complimenti x la recensione super approfondita. riguardo alle immagini in notturna la penso come te e quel misto di immagini infrarossi e telecamere termiche, lo vedo come una sorta di paura di essere scovati e ovviamente iper controllati .

    Il museo con donne pulizie , ma soprattutto le teche con oggetti , mi dan L idea di essere “quadri” freddi ; come persone singole potremo anche osservarli, riviverli pensando al passato , ma a livello di collettività , quei “quadri’ mi dan L idea di non aver un significato universale “utile” , nel nostro dimenticare velocemente il dramma/male/dolore se non nel momento in cui c troviamo di fronte a quest “ opera d’arte in cornice”.
    La colonna sonora/uso dell audio mi è piaciuta molto , tranne in 2 punti :
    Mentre inquadra i fiori e si sente il sottofondo del campo d concentramento L ho trovata un po’ esagerata ( ci fosse stato un silenzio assoluto sarebbe stata ancora più forte e meno diretta) ma gliela perdono 😜anche il finale un silenzio L avrei apprezzato di più anche se magari più banale , ma capisco anche la scelta di quella melodia .

    Un altra cosa che ho notato sono i colori a schermo intero , nero bianco rosso , ovviamente della bandiera nazista.

    a livello emotivo ho vissuto il film come se fosse il momento in cui il mare si ritira, quell istante in cui c è un vuoto , una pausa , prima del devastante tsunami successivo . Il film sta infatti lavorando dentro di me più dopo la visione che durante.

    D’accordo con te che questo è un film davvero importante.

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  8. Ciao Giusè
    Visto ieri. Che dire....
    Un film dal punto di vista tecnico fatto benissimo, niente da eccepire. Coraggioso? anche si. Ingegnerizzato per vincere un Oscar? assolutamente si (il tema trattato è una garanzia di successo alll'Academy) Bello? assolutamente no. Pericoloso? Si, pericolosissimo!
    Perchè? Perchè viviamo in un epoca dove poche cose sono ormai in grado di smuovere le coscienze della massa bue, senza cultura ed empatizzante con tutte le figure losche, sbagliate deviate che il cinema degli ultimi anni utilizza per far cassa al botteghino.
    Purtroppo le metafore che vedi tu e la gente che legge il Tuo blog non sono ciò che il "medio man" è in grado di cogliere ( a proposito fantastiche analisi le Tue)-
    Il rischio di questo film è di "normalizzare" una figura come quella di Rudolf Höss agli occhi degli ignoranti, farla involontariamente percepire come una persona dedita al suo lavoro, alla famiglia, che eseguiva solo ciò che gli era stato commissionato con zelante attenzione agli indicatori di prestazione aziendali.
    Un potenziale influencer dei nostri tempi, Pronto a tutto per raggiungere l'apprezzamento
    Lo so che può sembrare aberrante ma vi sarà una parte del pubblico che empatizzerà con la famiglia del mulino bianco tedesco, sulla scia dell'empatia che suscitano i vari killer sui quali va tanto di moda creare serie (esistiti o inventati che siano). E se questo avviene vuol dire che nel film c'è qualcosa di profondamente sbagliato. Non nel film in quanto tale ma nel progetto che c'è alla base.
    Un pò come per il film "La caduta " con il geniale Bruno Ganz, film oggetto di infiniti meme e che ha avuto la grande "colpa" di rendere la figura di Hitler quasi umana, a tratti rassicurante, una sorta di vecchio zio malato e perci un pò fuori di testa di cui aver pietà.
    Mi secca dirlo, perchè potrei sembrare snob, ma questo è un film per organismi pensanti e siamo purtroppo nella fase del crepuscolo del pensiero; per assurdo questo accade nel momento in cui la condivisione della conoscenza è al suo massimo da che esiste la vita su questo pianeta.
    Non ho più fiducia nella capacità della gente di cogliere le metafore....ci si ferma sempre più sulla mera apparenza.
    La mia paura è che succeda anche per questo film, il quale susciterà in più persone di quante credi frasi del tipo:
    "Tedeschi, che debbano fare macchine o sterminare un popolo, hanno una marcia in più. Deutsche Präzision"

    Mandi Mandi

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