12.2.24

Recensione: "The Holdovers - Lezioni di vita" - Cinema 2024

 

L'ultimo film di Payne è, come spesso accade, una coccola.
Lui è uno di quei registi, come ad esempio Dolan e P.T.Anderson, che ci dà sempre l'idea di amare i suoi personaggi e, di conseguenza, farli amare a noi, anche quando sono spigolosi e con molti lati fastidiosi.
Un burbero professore, un giovane allievo triste e ribelle e una cuoca che ha da poco perso il figlio in guerra sono costretti a passare due settimane da soli (le vacanze di Natale) nell'enorme istituto dove insegnano, studiano e cucinano (a seconda dei ruoli).
Tre diverse solitudini, tre diversi dolori che, piano piano, si avvicineranno e colmeranno a vicenda.
Un film divertente, dolce, anche amaro a volte e che restituisce un Giamatti incredibile, da pelle d'oca.

Siccome sono uno stronzo mi ritrovo a scrivere questo film a quasi 10 giorni dalla visione.
So che questa "scusa" la scrivo sempre più spesso ma penso sia importante dirlo.
Anche perchè scrivere così tardi ha anche i suoi lati "interessanti" (magari non per il lettore, ma per me), ovvero vedere i film con più distacco e capire cosa ti è restato.
Credo che una recensione scritta il giorno dopo o una dieci giorni dopo, in alcuni film e in alcuni casi, possano essere molto differenti tra loro.

E' buffo, in questo senso, che io parli di cosa mi è restato di The Holdovers in un film che nel titolo proprio questo significa, ovvero qualcosa che resta, qualcuno che resta, un retaggio.
Insomma, questa mia recensione è, in qualche modo, l'holdover di The Holdovers.
Mi sono quasi impaurito nel rendermi conto che ho dimenticato già tanto, cosa che mi infastidisce perchè mi dà la brutta sensazione che il film magari non fosse così bello.
In realtà credo ci sia una spiegazione molto più oggettiva e tecnica.
Ovvero che ci sono alcuni film talmente tanto parlati, talmente tanto basati nella sceneggiatura nei dialoghi che poi li perdi presto e facile.
Troppe parole, troppi scambi tra i protagonisti, troppe cose.
E' molto più facile, secondo me, che nel tempo rimangano nella testa quei film con pochi elementi, specialmente quelli con pochi dialoghi, come se la nostra mente non dovesse fare il doppio lavoro di ricordare sia immagini che testi.
E The Holdovers è l'opposto, è un film di parole, tantissime parole, che riserva le sue più grandi emozioni nei dialoghi e nelle interazioni dei personaggi.
Perchè racconta di 3 persone rimaste sole in un college durante le vacanze natalizie, persone che appunto attraverso il parlarsi e il confidarsi si avvicineranno, si capiranno e cominceranno a volersi bene.


I film di Payne sono sempre delle coccole, anche quando - e lo fanno quasi sempre - raccontano di vite piene di cicatrici e dolore.
Payne è uno di quei registi (penso anche a Dolan e P.T.Anderson) che mi danno la stupenda sensazione di amare i propri personaggi.
Anche quando sono personaggi spigolosi, ambigui, non amabili, Payne li dirige amandoli e, di conseguenza, li fa amare a noi.
E' uno di quei registi "retorici" ma di una retorica sana, sotto le righe, non ricattatoria.
Semplicemente uno di quelli che vuole dirci che ogni persona al mondo, e di conseguenza ogni personaggio, ha delle cose belle dentro da scoprire, ha un punto di vista con cui lo possiamo vedere per emozionarci.
Inutile non ammettere che The Holdovers si regge quasi del tutto sul personaggio di Giamatti e - le due cose non sempre combaciano sul cinema - su Giamatti stesso, autore di una prova mostruosa che riconcilia con l'arte attoriale.
Il suo è un professore vecchio stile, pochissimo incline alla leggerezza e completamente assorbito, quasi disumanizzato, per l'amore della Storia, Storia che fa capolino - sotto forma di citazioni - in quasi tutte le sue frasi e che lui sembra prendere ad esempio per ogni aspetto della sua vita.
Questa sua prigione di cultura, come detto, lo "disumanizza", nel senso che lo anestetizza dalle emozioni, lo rende distaccato, formale, accademico, in ogni cosa che fa.
Eppure, e lo capiremo durante l'arco delle due ore e passa del film, nel suo passato c'è anche "vita" vera, furore, gioie, amori, sogni e disillusioni.
Il ragazzo che fu, forse perchè sconfitto dalla vita e ormai disilluso, ha preferito trasformarsi in un "ruolo", quello del professore integerrimo completamente dedicato alla sua materia e con rapporti umani ormai limitati a quelli con uomini defunti da secoli, greci e latini soprattutto.
Il suo legame per gli altri è quindi una specie di paradosso temporale in cui lui dialoga solo e soltanto con esseri umani di civiltà antiche.
Eppure ora, restando da solo con il giovane Angus e la madre piena di dolore Mary, il professor Paul Hunham è "costretto" a interfacciarsi di nuovo con la vita reale, con persone reali, con cui deve convivere, a cui deve insegnare cose, dalle quali impara cose e grazie alle quali "ritorna" sempre di più a quello che era, un uomo ancora capace di emozionarsi, velatamente innamorarsi, arrabbiarsi, fare cose che riguardano la vita e non la sua materia.
E scopre così anche di essere uomo che può diventare guida, specie per quel giovane apparentemente così stronzo e ribelle che è Angus.
Angus che, invece, è adolescente con alle spalle e intorno a sè una tragedia continua, con quel padre buono che un certo giorno ha cominciato ad andarsene di testa e con quella madre incapace di capire il dramma e la solitudine del figlio, persa più che altro nel vivere la sua nuova relazione.
Un ragazzo senza più alcun amore e affetto intorno, con un viso al tempo stesso dolcissimo e "cattivo", perchè la dolcezza e la cattiveria, la rabbia, sono le due cose che adesso convivono in lui.
C'è poi Mary, madre che da pochissimo ha perso il suo unico figlio, anch'esso ex studente di quel college, morto militare in Vietnam.
E' molto bello come si ritrovino quindi da soli tre personaggi con 3 diversi dolori addosso, uno quello del fallimento e di una vita non vissuta, uno quello rabbioso del disamore e della paura del futuro e una quello della perdita della cosa più importante della sua vita, il figlio.
Giocando con le parole sono tre solitudini rimaste sole nella solitudine di un edificio.
Eppure non c'è scambio più grande e più vero di quello che avviene, appunto, tra solitudini diverse, perchè c'è quella sensazione di "parità" e di reciproco aiuto, come se ogni solitudine riesca a mettere dei mattoncini nel muro di dolore dell'altra solitudine e, al tempo stesso, ricevere mattoncini diversi da lei.


E così queste tre persone, tra momenti difficili, altri divertentissimi ed altri emozionanti, passano del tempo insieme, senza mai gesti eclatanti (è bellissimo che dopo tutto quel tempo insieme Paul e Angus mantengano comunque un certo "distacco" e reciproco rispetto dei propri ruoli, vedi anche il bellissimo e commovente saluto finale) ma semplicemente vivendo cose piccole uno insieme all'altro e dovendo giocoforza contare ognuno sugli altri due.
Ne nasce così un film molto sotto le righe, in cui niente viene mai urlato, un film dolce e malinconico che mischia continuamente l'idea di crepuscoli e albe esistenziali (ogni personaggio al tempo stesso sembra scivolare sempre più in basso ma per ognuno c'è la sensazione di una nuova vita davanti che sarà migliore di questa di adesso).
Forse non ho percepito quell'aura di cult che, ad esempio, avevo avuto con Sideways e Nebraska, ma è ancora presto per dirlo.
Credo sia uno di quei film (come quello che ho visto l'altro ieri al cinema, spero di parlarne) che fanno davvero bene, che vanno visti, che non hanno niente di indimenticabile ma ti lasciano sensazioni addosso bellissime.
La regia di Payne è quasi invisibile, dopo una settimana non ricordo quasi nemmeno una grande immagine, un grande movimento di macchina, una scena montata in modo formidabile, niente.
Quello che contano sono i personaggi e quello che vivono.
E ti resta dentro quel ragazzo morto in Vietnam che fa "Lamb" di cognome (credo assolutamente voluto), gli aneddoti storici di Paul, a volte super interessanti a livello culturale ed altre volte, vista la situazione in cui li declama, spassosissimi (tipo quello del Rubicone), e resta Angus che rimane da solo, unico giovane, e vaga di notte tra le stanze e il suo dolore, o quando se ne scappa a suonare il pianoforte, o quando, finalmente, riesce a passare del tempo con una sua coetanea, scambiandosi quel bacio forse senza senso, quasi sicuramente senza un domani, ma al momento così necessario e bello, e resta quella scena minima in cui Paul si accorge di prendere le stesse pillole di Angus, due persone così diverse ma che in quel momento capiscono di avere dolori e demoni simili, o la bellissima scena del dolce flambè che loro, in modo ribelle, riescono ugualmente a creare ma che, da perfetti e dolcissimi losers, fanno cadere a terra.
E resta il viaggio in auto, perchè Payne non è Payne se i suoi personaggi non si mettono in macchina e fanno un lungo viaggio, forse il suo marchio di fabbrica.
E il momento di orgoglio personale di Paul, coadiuvato da Angus, con quelle bugie all'ex collega, scena minima ma emblematica di qualcosa che, grazie anche ad Angus, sta tornando "dentro" Paul, come una specie di fuoco per cui si è rotto le palle di essere il professorino brutto, scontroso e con l'occhio sbilenco cui tutti odiano o perculano.
E questo si vedrà specie nel saluto finale al Preside, così liberatorio e scurrile da alzarsi in piedi ed andare ad abbracciarlo.
E resta Mary che piange di dolore in una cucina altrui, e resta un alberello di natale orribile ma più bello del più bello degli alberi di Natale, e resta un regalo multiplo uguale per tutti e un petardo che scoppia.
O lei che prende dolcemente la mano di Angus mentre aspettano di sapere il destino del ragazzo.
Ragazzo che non vuole finire in Accademia Militare, lì dove ha perso la vita lo stesso figlio di Mary.
E, soprattutto, resta lo straziante incontro tra un ragazzo e un padre che, ormai, c'è e non c'è.
Un incontro rubato, reso possibile soltanto da una situazione ancora più brutta di quella consueta, l'essere ancora più soli.

"E' questo l'occhio buono Angus"
dice il professor Paul
forse il regalo più bello che quel professore possa fare.
Perchè per tutto il resto del mondo esistono entrambi gli occhi di Paul, uno dritto e uno sbilenco.
Anzi, sono proprio quegli occhi a renderlo ridicolo e forse a farlo odiare ancora di più.
Ma Angus è diverso, Angus merita di sapere quale sia l'occhio da guardare, Angus merita di guardarmi dritto negli occhi, in fondo all'anima.
Perchè è forse l'unico che quell'anima l'ha conosciuta davvero.




12 commenti:

  1. Un film splendido che hai descrito con l'anima di chi sa appassionarsi, un film che fa bene.. "un alberello di natale orribile ma più bello del più bello degli alberi di Natale". Eccole certe coccole di film, che ti fanno capire che la bellezza esce da te e puoi ricoprirci la vita.

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  2. Ogni volta, Giuse, leggerti è un piacere.

    (Ho amato molto The Holdovers, per tante ragioni. Amo questo genere di narrazioni: dolci ma col cuore di tenebra, scanzonate eppure profonde, tranquille tuttavia indomite. Ci sono tre solitudini che si incontrano, che imparano a riconoscersi, fino a deviare il corso del futuro. E si uniscono in una danza che è tanto divertente (poiché scoordinata) quanto struggente (poiché catartica). Fino a scoprirsi, fino a inventarsi, fino a diventarsi. Fino all'inizio, perché quando ci si guarda davvero negli occhi, con la volontà di mostrarsi e di conoscersi, allora un po' si nasce - malgrado l'inevitabile dolore del venire alla luce.)

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    1. grazie amico mio (2)

      danza divertente poichè scoordinata ma struggente perchè catartica hai vinto tutto

      chiudiamo internet

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  3. "Non so niente della letteratura di oggi. Da tempo gli scrittori miei contemporanei sono i greci", diceva Jorge Luis Borges.

    https://markx7.blogspot.com/2024/01/the-holdovers-lezioni-di-vita-alexander.html

    off topic:
    solo per chi ha amato Gigi Riva
    https://www.labottegadelbarbieri.org/aeroporto-di-cagliari-elmas-gigi-riva/

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    1. Cazzo Francesco!

      incredibile, ho appuntato per due volte nel taccuino "breakfast club", tutto il film sono stato a ripensarci e poi,come al solito, scrivo di getto e mi sono dimenticato

      film del tutto sovrapponibili, l'ho pensato per tutto il tempo

      citazione di Borges (autore che adoro) perfetta

      (ma che poi, Rombo di tuono è perfetto per un aereoporto ;) )

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  4. Si è proprio come scrivi, questo film è bellissimo e ciò che rimane dentro sono i personaggi fatti di quei chiaro/scuri così profondamente umani: il preside, i docenti beceri, i ragazzotti viziati, il bidello gentile, la segretaria che organizza la festa di Natale
    E poi ci sono loro, il professore Mary Lamb, la cuoca e Angus, che emergono da questo macro/micro-cosmo, coi loro dolori, rabbia e solitudini e costretti dagli eventi a condividere tempo e spazio durante le feste di Natale
    Eppure sarà proprio questa costrizione che li porterà a fidarsi l'uno dell'altro, a spingerli verso l'elaborazione dei rispettivi dolori e infine all'accettazione di se

    Ed è Angus che, secondo me e suo malgrado, da la spinta definitiva; lui arrabbiato e deluso dall'abbandono della madre, già profondamente segnato dal "vuoto" imprevisto lasciato dal padre a causa della malattia mentale e che ad ogni costo vuole incontrare.
    Il dono portato da Angus al padre (quanta dolcezza c'è in questo gesto), una palla di vetro con la neve, diviene la chiave per aprire, con uno scossone definitivo, la porta verso la nuova vita che attende entrambi, maestro e discente, con l'ultimo dono, il segreto svelato, che consentirà ai loro sguardi di incontrarsi prima dell'addio.
    Ma quanta bellezza!

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    1. Ma ti rendi conto che non ho praticamente scritto mezza riga sulla prima mezz'ora, sugli altri personaggi?

      ma che buffo :)

      Angus se vogliamo è anche il trait d'union degli altri due, uno perchè grazie a lui ripensa al ragazzo che era e riprova certe emozioni, l'altra perchè può identificarci il figlio appena perso

      ecco, non ho parlato di Breakfast Club (segnato in agenda), non ho parlato degli altri personaggi (segnati in agenda) e non ho parlato manco della palla de vetro (SEGNATISSIMA in agenda)
      ma che segno a fa??

      bellissima la tua ultima frase :)

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    2. È vero, Breakfast Club! Non ci avevo pensato, ma come ho fatto!
      È che tu prendi appunti ma poi scrivi di getto, col tuo stile inconfondibile 😊

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    3. Che poi questo è più bello di Breakfast Club ma non potrà avere lo stesso successo e ricordo visto che quel piccolissimo film è stato un miracolo, raccontando una generazione

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  5. Un film splendido che, come scrivi, "fa stare bene". E lo fa senza essere patetico, senza pietismi, anzi, con una bella dose di stronzaggine e personaggi adorabili e sfaccettati. Sarà la mia futura coccola di Natale.

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    1. Mai patetico, mai retorico di quella retorica che infastidisce

      e gli stronzi di cui scopri il cuore sono sempre la cosa più bella ;)

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due cose

1 puoi dire quello che vuoi, anche offendere

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3 ciao