11.9.19

Festival del cinema di Venezia 2019 - giorno 9 - 7 settembre



A HERDADE (The Domain)
 di Tiago Guedes


CONCORSO

Filippo Tassinari

La famiglia Fernandes, proprietaria di vasti terreni a sud di Lisbona, è protagonista negli anni, dal dopoguerra ai giorni recenti, delle rivoluzioni subite dal paese e all’interno del nucleo familiare.
Lunghissimo drammone a cavallo tra La meglio gioventù e Dinasty. 

Voto: 5

Riccardo Simoncini

Un racconto epico nel senso originario del termine. Un'odissea storica che travalica e scavalca il tempo e si concentra piuttosto sullo spazio. Al centro, infatti, di “A herdade” vi è una tenuta fondiaria, uno spazio circoscritto che è fisicamente e giuridicamente ereditato e sullo sfondo trascorrono i decenni che si succedono e la Storia che penetra in quello spazio. Così si scontrano e si confrontano la realtà terriera di quella tenuta, dove tutto è particolareggiato e a dimensione del singolo uomo e la grande realtà, del Portogallo, quella macroscopica, rivoluzionaria, a dimensione umanitaria. Purtroppo, però, il grande difetto del film è di concentrarsi fin troppo sulla realtà limitata della terra (e sul concetto specifico di proprietà), non approfondendo con la dovuta attenzione i grandi capovolgimenti politici e sociali del Novecento e mantenendo sempre uno stile impersonale che facilmente può essere accostato a tante fiction Rai minori. In “A Herdade” è anche altro ad essere ereditato, non solo la terra, ma anche i valori, il modo di pensare e di agire. Per questo, quando la storia ed il mondo circostante mutano in fretta, e il nostro mondo invece è semplicemente ereditato, iniziano i problemi, cominciano i conflitti ed i mattoni di quell'antica tenuta che è rimasta erta per un sacco di anni iniziano a cadere. 14 mila ettari: una proprietà terriera così tanto estesa da legittimare infatti il suo proprietario, il “padrone” Joao, ad imporvi le sue regole, come fosse uno stato autonomo a sé stante. Possiede la terra, possiede gli animali e crede di possedere persino gli uomini. Ma, come si diceva, l’imminente arrivo di nuove ideologie rivoluzionarie, sconvolgerà l’equilibrio di quel luogo apparentemente isolato dall’ambiente circostante. Ma se si perdono prima i lavoratori, poi le terre, poi gli animali, se inizia, cioè, a disintegrarsi quella proprietà pezzo dopo pezzo, cosa rimane allora? Solo un uomo, come tutti gli altri.


PARTENONAS (Parthenon) 
di Mantas Kvedaravičius


SETTIMANA DELLA CRITICA

Filippo Tassinari

Diversi personaggi raccontano frammenti delle loro vicende: un ragazzo sudanese scappato dalla guerra, una prostituta ucraina, un delinquente curdo, una studiosa di immagini sacre.
Macchina a mano, riprese alle spalle dei protagonisti e voice over. Intreccio senza trama: Visionario forse sì, visibile forse no. 

Voto: 4


HAVA, MARYAM, AYESHA 
di Sahraa Karimi


ORIZZONTI

Filippo Tassinari

Kabul, Afghanistan. Racconto a 3 episodi. Hava, è in dolce attesa, ma di lei nessuno si cura, dividendo la casa con un marito assente ed il peso dei suoceri. Maryam è una giornalista, colta ed indipendente, che ha appena concluso un lunghissimo rapporto causa infedeltà del partner. Ayesha scopre di essere incinta e il suo fidanzato scompare.
In una paese con una cultura ancora patriarcale, la regista racconta il tentativo di emergere di queste donne, diverse tra loro per classe ed età, ma determinate a creare un cambiamento. 

Voto: 6


SANCTORUM
di Joshua Gil


SETTIMANA DELLA CRITICA

Riccardo Simoncini

Prossimi alla conclusione del festival (e in chiusura della Settimana della Critica), arriva questo grande film-esperienza (il secondo dopo Scales, già recensito qua sul blog al giorno 5). Siamo in Messico, in un territorio dove i narcos hanno preso il controllo per gestire la produzione di droga. I contadini, non avendo altra alternativa per sopravvivere, devono così divenire lo strumento fondamentale e chiave affinché quella terra produca in quantità il prodotto finale. Si ritrovano dunque in mezzo alla lotta violenta e sanguinosa tra narcotrafficanti ed esercito messicano. Loro, i contadini, persone semplici, mosse da altrettanto semplici aspirazioni. Loro che sanno solo coltivare la terra, perché quello è stato loro insegnato dai genitori. Loro che, magari pur non avendo un’istruzione, conoscono però in ogni suo dettaglio quella terra vivente che coltivano, sanno come allevarla, crescerla, fino a riceverne il frutto finale. E proprio per questo rapporto di simbiosi, che si stabilisce tra gli indigeni e la natura messicana, colpisce e va nel segno l’opera di Joshua Gil, regista già impegnato nel reparto della fotografia in alcuni film dell’amato Carlos Reygadas. E la lezione del regista messicano si nota, per esaltare il valore esperienziale dell’opera cinematografica, dove la dimensione onirica e visionaria (a cui contribuiscono artificiosi effetti speciali digitali) è in perfetto equilibrio con una dimensione più documentaristica. L’uomo che cura la terra è lo stesso che è in grado di sentirne il battito pulsante, il respiro vitale o semplicemente il pianto, il lamento, il grido sofferente di chi è sfruttato senza pietà. E così come un bambino può sempre sentire e distinguere la voce materna, anche in questo caso quei contadini possono percepire la voce della madre terra, con i suoi segnali e i suoi avvertimenti. Quella natura costituisce dunque un luogo ancestrale, con la sua simbologia e mitologia, a cui i contadini possono rivolgersi per chiedere aiuto. Perché, a causa di quella guerra tra narcos ed esercito nazionale, a rimetterci sono i contadini, gli indigeni, che continuano a soffrire e morire. Non si può contare su altri uomini, ma solo sulla spiritualità della terra. E a quella richiesta d’aiuto, la natura, così grande e potente, risponderà con tutte le sue forze. Contro uomini che non possono niente, se non stare a guardare. Sarà l’apocalisse. Sarà una luce che da piccola stella, si farà prima flebile fascio attraverso la nebbia e poi tutto invaderà.


NEVIA
di Nunzia De Stefano 


ORIZZONTI

Filippo Tassinari

Nevia ha 17 anni: senza madre e con il padre in carcere, vive nel campo Bipiani di Ponticelli con la nonna e la sorellina. La vita non è semplice, dovendosi arrangiare tra la miseria del contesto, l’assenza di lavoro, i ruoli genitoriali assenti e uno spasimante che la corteggia.
Esordio alla regia per Nunzia De Stefano, ex moglie di Matteo Garrone, qui come produttore: il racconto, di ispirazione autobiografica, ha il suo punto di forza nella performance della protagonista e nella naturale empatia che trasmette allo spettatore, anche grazie ad una equilibrata costruzione dei personaggi. 

Voto: 6

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